Arturo Reghini a metà strada tra fascismo e massoneria

La figura dell’intellettuale neo-pitagorico Arturo Reghini dopo esser stata per molti anni posta ai margini dagli ambienti culturali, ritorna oggi ad essere posta al centro di molti dibattiti esoterici. È opportuno, quindi, cercare di rammentare in questo lavoro i momenti più significativi dell’esistenza terrena dell’intellettuale fiorentino.
Arturo Reghini nacque a Firenze il 12 novembre 1878. Discendente di una nobile famiglia originaria di Pontremoli, fu indirizzato, come voleva la tradizione nobiliare del tempo verso studi umanistici, che gli permisero di avere, oltre ad una vasta e strutturata cultura, la padronanza di molte lingue straniere. Iscrittosi al corso di laurea in matematica, presso l’università di Pisa, ne conseguirà il relativo diploma nel 1913.
La frequentazione di ambiente esoterici ha inizio per il giovane Reghini, nel 1896, quando entra a far parte della Società Teosofica di Roma, grazie all’interessamento di Isabel Cooper Oackley, sua amica, nonché delegata per l’Italia di suddetta società.
Insieme col Reghini vi aderirà nel 1898 il suo amico-discepolo, nonché biografo Giulio Parise.
Nel 1902, grazie all’intercessione dell’editore Giuseppe Sulli-Rao proprietario della milanese “Ars Regia” viene ammesso alla Massoneria. La sua iniziazione, avvenuta in maniera “irregolare” a Palermo è ancora oggi oggetto di discussioni.
Da questo momento in poi, il Reghini tenterà il perseguimento in ambito massonico (con tutti i suoi sforzi,) di due obiettivi da lui considerati di fondamentale importanza. Il primo era riportare la massoneria alle sue origini pre-illuministiche, quando il rito non era altro che una strada per il perfezionamento individuale e non dell’intera umanità; il secondo faceva riferimento alla tradizione pitagorica, che il Reghini considererà sempre viva in Italia e strettamente correlata alla forma massonica da egli propugnata.
Nel 1903 s’affilia alla loggia fiorentina “Michele di Lando” guidata dal Gran Maestro de Cristoforis. Nello stesso anno partecipa alla nascita della Biblioteca Teosofica che si tramuterà nel 1905 in Biblioteca Filosofica la cui direzione sarà affidata a Giovanni Amendola. In quell’anno però si registra l’abbandono da parte del Reghini della Società Teosofica a causa della frattura creatasi col gruppo dirigente, accusato dall’intellettuale fiorentino di perpetrare un atteggiamento eccessivamente autoritario.
Votato, quindi, ad un recupero delle origini del rito non può che commentare negativamente il “patto di Parma” siglato dal Grande Oriente d’Italia e quello di Francia che orientava la massoneria ad un atteggiamento più materialistico.
Nel 1906, grazie all’amicizia con Giovanni Amendola inizia una proficua collaborazione con la rivista “Leonardo” dove si distinguerà per una serie di articoli a difesa di Giordano Bruno ed e della sua fama di Mago.
Nel 1908 è sospeso dalla loggia “Lucifero”. I motivi di tale sospensione (che si tramuterà poi in espulsione) sono ancora tutt’oggi ignoti: gli esperti del settore al momento concordano nel collegarli ai dissapori scoppiati all’interno delle logge e che porteranno alla scissione tra il Grande Oriente d’Italia e la Gran Loggia di Piazza del Gesù.
In questa fase della sua vita il Reghini fa la conoscenza di un ambiguo personaggio che risponde al nome di Edoardo Frosini; costui, oltre a vantare una gran serie di brevetti e contatti con varie logge europee, era il Gran Maestro del Rito Filosofico Italiano, di cui l’intellettuale fiorentino entra a far parte nel 1912 come grande Oratore, col grado di VII:33.90.95. I rapporti col Frosini, però resteranno sempre burrascosi culminando con le dimissioni del Reghini dal Rito nel 1914. Alla base di tale decisione, furono soprattutto 3 motivi a pesare: la scoperta da parte del Reghini del traffico di brevetti e diplomi in cui il Rito era invischiato,l’autoproclamazione del Frosini a portavoce di un’antica Schola Italica e le ruberie perpetrate nelle magre casse del Rito da parte di un protetto del Frosini, tale avvocato Giuseppe Bolaffi.
Il 1914 però è anche l’anno di “Imperialismo pagano”. Un articolo che il Reghini pubblica presso la rivista “Salamandra”. In tale lavoro egli propugnava la ripresa di un nucleo ideologico, etico ed spirituale da contrapporre ai valori cristiani e a quelli agnostici e materialisti dell’Europa figlia dell’illuminismo e del positivismo, nonché alle nuove mode “orientaleggianti” propugnate da varie società del tempo.
Tali anni sono però anche quelli della prima guerra mondiale. Il Reghini non rimane immune di fronte al sorgere delle istanze interventiste; partecipa attivamente alla manifestazione del maggio 1915, tenuta nella sua amata Roma, e culminata al Campidoglio per ottenere la dichiarazione di guerra. Il Reghini partecipò attivamente alla tenzone bellica, giungendo ad ottenere sul campo il grado di capitano del genio. Stimato per il suo valore di combattente, fu ricordato dai suoi commilitoni, anche per l’abitudine di leggere durante le pause del combattimento una copia in lingua greca dei “Dialoghi” di Platone e dell’ essere sempre disponibile all’occasione a fornire di tali righe commento e traduzione.
Nel 1917 però la sua condotta militare rischiava di essere macchiata da una grave infamia:il già citato avvocato Bolaffi,l’accusò presso lo Stato Maggiore di spionaggio a favore degli imperi centrali. Fortunatamente le indagini che ne seguirono lo scagionarono completamente.
Finita la guerra, chiese nel 1919, di essere riammesso al Grande Oriente d’Italia. La sua domanda sarà però rifiutata. Secondo gli esperti del settore, le motivazione di tale rifiuto sono da ritrovare nella sua precedente fuoriuscita e nelle sue mai celate simpatie filo-fasciste.
Il 20 settembre 1921 riesce ad essere ammesso alla Gran Loggia di Piazza del Gesù, retta dal Gran Maestro Palermi.
Dopo il suo ingresso gli saranno affidate le funzioni di redattore-capo dell’organo di propaganda della loggia dal nome “Rassegna Massonica”. E sarà proprio dalle colonne di tale testata che riprenderà in nome dell’imperialismo pagano la sua lotta contro il cattolicesimo romano. I suoi toni, qui molto più duri rispetto al passato, sono dovuti anche al mutato atteggiamento di Mussolini nei confronti del Vaticano.
La situazione tra fascismo e società segrete degenerò definitivamente all’indomani del 13 febbraio 1923, data in cui il Gran Consiglio del Fascismo dichiarò l’incompatibilità tra militanza fascista e appartenenza alla massoneria. Le reazioni furono diverse: il Grande Oriente d’Italia liberando i suoi membri fascisti dal giuramento che li vincolava all’ordine inizia la lotta al fascismo sponsorizzando inoltre la fusione delle varie logge dissidenti che nel marzo del 1923 si riunirono nella Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana;
la Gran Loggia di Piazza del Gesù, invece, proclamava con la dichiarazione di fedeltà del 15febbraio1923 la sua lealtà al fascismo.
Questo evento preoccupò non poco Arturo Reghini ; se da un lato egli bramava di porsi al fianco dei dissidenti, questi ne rifiutarono l’ appoggio criticando le sue posizioni antidemocratiche e anticristiane. Quest’astio dimostrato nei suoi confronti, lo convinsero a restare al fianco del Palermi continuando a sperare in una ripresa del dialogo fra logge e governo.
Un significativo passo in tal senso sembrò essere l’incontro che il Gran Maestro e il Duce ebbero il 7 novembre 1923. Mussolini, sperava, infatti, di poter sfruttare i legami che la loggia di Piazza del Gesù aveva in campo internazionale, nonché di contare sulla personalità del Palermi per sedare gli innumerevoli contrasti sorti nell’agone massonico nazionale nei confronti del fascismo.
Nonostante le avversità del periodo, Il 18 dicembre 1923 Arturo Reghini fondò a Roma l’Associazione Pitagorica e la rivista Atanor. All’interno del comitato di redazione di questa testata troviamo anche nomi come Evola e Guenon. I temi trattati vanno dall’esoterismo alla politica senza dimenticare l’imperialismo pagano. Sarà dalle colonne di Atanor che il Reghini continuirà la polemica iniziata con Mussolini dopo la pubblicazione dell’ articolo “Universalità Romana e quella Cattolica” su Vita Italiana di Preziosi, in cui Reghini invitava il capo del fascismo a riorentare lo Stato verso i valori della tradizione romana ed abbandonare definitivamente il dialogo col Vaticano. A tali tesi il Duce rispondeva su “Gerarchia” con lo pseudonimo di Fermi.
Nel 1925 l’intellettuale fiorentino fonda la rivista “Ignis”. Con gli pseudonimi di “Maximus “ e “il Vicario di Satana” compirà un attento lavoro di riabilitazione della figura di Cagliostro; inoltre, sempre come Maximus produrrà una serie di articoli dove critica duramente i motivi posti alla base del ddl che nel novembre del 1925 sancirà l’abolizione della massoneria.
Dopo l’approvazione del ddl il 20 novembre 1925 ed in seguito alle violenze perpetrate ai danni delle logge massoniche il Grande oriente d’Italia decide in data 22 novembre di autosciogliersi; strada che seguirà anche il Gran Maestro Palermi che sospenderà le attività della Gran Loggia di Piazza del Gesù il 2 ottobre 1926.
Nonostante l’avventura di Ignis sia giunta al termine e l’irrigidirsi del clima lo costringa a tornare a Firenze per sbarcare il lunario come insegnante privato, non si può dire che il Reghini rimase inattivo; compì studi approfonditi sulla magia,inoltre, il 1926 è l’anno della sua collaborazione con la rivista “Ur” di cui Evola era il direttore responsabile. I suoi contributi a tale progetto oltre ad essere scarni nel numero si differenziarono dai suoi lavori passati per i toni più cauti dovuti, soprattutto, al fatto di essere divenuto un osservato speciale. La collaborazione, inoltre, fu anche minata dal rapporto non proprio idilliaco fra Evola e il Reghini; il Fiorentino così come altri collaboratori mal sopportavano il modo con cui il Barone Siculo-Romano gestiva il giornale, modificando articoli e operando tagli senza nemmeno interpretare gli autori dei pezzi.
Nel 1928 il rapporto con Evola degenerò ulteriormente a causa della pubblicazione del saggio evoliano “imperialismo pagano” che Reghini non smise mai di considerare come un plagio distorto del suo articolo del 1914.
Gli anni successivi al 1930 sono quelli del silentium post clamores ;infatti, poco si sa della sua vita. Certamente, come confermato dai suoi biografi, non è da considerare vera la tesi che lo vede a Parigi tra le file del gruppo degli intellettuali antifascisti.
Nel 1935 pubblica “Per la restituzione dei numeri pitagorici” opera recensita da Renè Guenon e preceduta dalla pubblicazione nel 1934 dell’articolo “Il fascio littorio” dove l’intellettuale fiorentino si impegna a spiegare i significati ermetici e simbolici del fascio nonché le sue connotazione col simbolismo muratorio. Gli anni che vanno dal 1936 al 1944 lo vedono impegnato nella stesura de “i numeri pitagorici”, opera peraltro ancora inedita.
Il periodo compreso tra il 25 luglio 1943 e l’8 settembre 1943 invece, lo vede profondamente riflessivo; la fine del sogno della “terza Roma” e di rinascita nazionale in cui tanto aveva sperato lo minano profondamente nell’animo nonché nel fisico. L’estremo attimo s’avvicina anche per il maestro fiorentino; dimenticato dai massoni che hanno avvolto le sue opere nell’oblio a cause delle mai sue rinnegate simpatie fasciste, il 1 luglio 1946 alle 5 del pomeriggio, in piena solitudine così come aveva vissuto,nonostante le numerose frequentazioni, Arturo Reghini volgendosi al sole per l’ultimo rito e piegandosi verso la Grande Madre si apprestava a soddisfare la suprema curiosità nella speranza, forse di essere accolto da quegli Dei che da sempre sono a guardia del fato dei puri di cuore.

Luigi Carlo Schiavone
Redazione di Rinascita Caserta
Rinascita, 3 febbraio 2007

 
   
 

Il risorgimento dello spirito
Vita, passioni, delusioni di Arturo Reghini, pitagorico del Novecento

Arturo Reghini sublimò il patriottismo risorgimentale in qualcosa di religioso. E prese tanto sul serio la profezia mazziniana sulla "Terza Roma" da farla coincidere - nella sua visione - con la prima ed autentica Roma: quella dei Cesari e di Virgilio, di Numa Pompilio e dei re auguri. A ben vedere, il massone e matematico toscano portava alle estreme conseguenze idee ed intonazioni d'animo che erano nell'aria.

Non furono in pochi, all'indomani del venti settembre, a vedere nella liberazione di Roma il punto di partenza per una Renovatio spirituale. Carducci esaltò le virtù latine contrapponendole - nel famigerato e in fondo innocuo "Inno a Satana" - ai languidi turbamenti dell'anima cristiana. Pascoli rievocò nelle poesie Virgilio e nei saggi critici il Dante esoterico. La fantasia di D'Annunzio (sempre turgida) giunse a immaginare un accoppiamento eugenetico che avrebbe dovuto generare, come novello Puer, il Re di Roma!

Reghini coronò di idee esoteriche queste aspirazioni. E mescolò nei suoi scritti un ruspante anticlericalismo ottocentesco con la più matura esigenza di formulare in modo chiaro - e geometrico - una prospettiva spirituale che fosse autonoma rispetto al cristianesimo.

Delle battaglie e delle delusioni di Reghini, delle acquisizioni culturali e delle disfatte che incontrò sul suo cammino trae oggi un bilancio il professor Natale di Luca, che alterna la docenza di medicina legale alla Sapienza di Roma agli studi storico-esoterici in collaborazione con la casa editrice Atanor.

La biografia su Arturo Reghini. Intellettuale neo-pitagorico tra massoneria e fascismo, uscita nel novembre scorso proprio per i tipi di Atanor, si segnala per la grande serenità di giudizio (non sempre facile di fronte a un personaggio che suscita simpatie o antipatie "a pelle"), ed anche per il profondo rispetto umano, che Reghini indubbiamente merita. Quel rispetto che gli è stato tributato recentemente dal cristiano-antroposofo Alvi sulle colonne del Corriere della sera, qualche anno fa da Elemire Zolla in Uscite dal mondo. E in fondo dallo stesso Julius Evola che nel Cammino del Cinabro volle lasciare un ricordo "pacificato" del suo antico amico-nemico. Arturo Reghini morì il primo luglio del `46, povero. Ma non "povero di spirito". Ciò nonostante, la lunga frequentazione delle geometrie di Pitagora dovette conferirgli una certa beatitudine nel guardare l'ultimo Sole di un pomeriggio d'estate. Il destino gli evitò con la morte di assistere a una nuova fase "guelfa" della storia patria. Reghini se ne volò via insieme ai fasci, ai labari, alle aquile di un'altra Italia - quella immersa nel sogno "romano" -, che, pur inabissandosi, sempre come un fiume carsico riemerge.

Alfonso Piscitelli
Linea, 14 gennaio 2004

 
   
 

Reghini, il massone pitagorico che amava la guerra

Arturo Reghini nacque a Firenze il 12 novembre 1878, da bambino lesse Pinocchio, ma sorprese i suoi per i calcoli a memoria e l' appartarsi in silenzio d' estate tra i grilli. Anche perciò, e perché cogli altri s' imbronciava, cresciuto fu mandato a studiare matematiche a Pisa. Qui i poliedri e le sfere diedero al suo pensiero quel libero fluire per cui, con la testa aperta come un nido di rondini, si persuase un bel giorno che il tutto universo era divino. E a Firenze scoprì nelle sezioni auree dei palazzi che pure i grandi del Rinascimento l' avevano capito. Uno zio lo erudì a diffidare del Vaticano, elogiando Giordano Bruno e le logge dei massoni che nel Settecento gli inglesi avevano per prime iniziato in Italia. Del resto anche il primo dei Lorena era affiliato. Il che almeno protesse un po' la memoria del paganesimo mediceo; e mantenne alla Toscana una certa tolleranza: qualche distacco dai preti e dalla noia. A Roma diciottenne fu ovviamente attratto dalla Teosofia della Signora Blavastsky, che non solo pretendeva di avere descritto le cosmogonie e i segreti dei più segreti maestri dell' India, ma aveva anche combattuto con Garibaldi. Nel 1902 tenne molto ad essere iniziato nell' ordine di Memphis e Misraim, secondo rituali egizi. Ma non gli parve che l' Italia fosse com' era ed è: un caotico Egitto reincarnato, non solo a Napoli. Si convinse invece che l' essenza dell' Italia e degli italiani era una Roma arcaica e mai morta, protetta da una sapienza primordiale che aveva emanato anche Pitagora. Era la stessa Roma che aveva infervorato Mazzini e il Risorgimento. E che non piaceva al Vaticano il quale con la bolla del 1738 del cieco Clemente XII scomunicava chiunque si affiliasse alla società dei massoni. Un anno dopo che era morto Gastone ultimo dei Medici. Peraltro dall' intreccio miserabile di favori e ripicche nel quale era decaduto il Grande Oriente il candido Reghini fu tra i pochi a non trarre vantaggio. Era la mattina professore di matematica nelle scuole superiori, per ritrovarsi puntuale ogni notte a rimirare come i pitagorici i numeri e le stelle. Gli parve ovvio che se uno era l' unità assoluta non poteva sommarsi a un altro uno. Scrivere uno più uno uguale due gli parve efferato: il due era semmai privazione dell' uno. Ma erano discorsi che poteva fare solo alla loggia Lucifero col suo amico Armentano. Era costui un musicista capace di misteri non troppo diversi da quelli che resero poi famoso Rol. Reghini ed altri stravaganti presero a ritirarsi con lui in una torre costiera in Calabria. Fu in quegli anni che il nostro più si cimentò, persuaso di poter divenire la musica che dà forma a una pianta o una pietra o il respiro di un angelo. Ma si sentiva un romano arcaico e perciò fu interventista. Nel 1913 compì strani riti per la vittoria nella guerra che sentiva prossima. L' anno dopo scrisse un articolo, "Imperialismo pagano", avversando tra l' altro il suffragio universale, che favoriva solo cattolici e socialisti. A guerra vinta col Grande Oriente sostenne pure l' impresa di Fiume. E il 23 marzo del 1919, quando fu fondato a Piazza San Sepolcro il primo fascio di combattimento, era il giorno in cui cadeva la festa romana del Tubilustrium o consacrazione delle trombe di guerra. Si persuase che Benito Mussolini era il tribuno che sarebbe riuscito a divenire console d' Italia. Ma nel 1923 il partito fascista disse che l' affiliazione massonica incompatibile con l' appartenenza al partito fascista. Reghini vide in ciò il lavorio dei gesuiti e del fratello cattolico del duce. Protestò che Roma era pagana. Ma nel 1926 ad Arnaldo Mussolini arrivò la delazione che il nostro faceva propaganda per il divorzio. In effetti faceva di peggio: coi seguaci di Steiner, il giovane Evola, Ciro Alvi e altri eretici, fondava riviste sulle tecniche ascetiche più proprie in Occidente. Fu esecrato non solo dalla Civiltà Cattolica, anche dal causidico assistente degli universitari cattolici: G.B. Montini. Ma Reghini era anche toscano, dunque incline al litigio greve: e si litiga meglio con quelli che si credevano amici. Perciò litigò col barone Julius Evola, tentò di farlo fuori da una rivista; poi gli rimproverò di avergli copiato il titolo e il senso di "Imperialismo pagano". Ma l' 11 febbraio ' 29 Mussolini firmò pure il Concordato: per chi era pitagorico e mazziniano, fu il gesto più esecrabile. Si ritrovò sorvegliato speciale della polizia politica fascista, scomunicato dai gesuiti e denunciato da Evola. Costui italiano, dunque fedele anzitutto agli odi fraterni, il 3 marzo 1929 denunciò il "massone Reghini" che "pretende di insegnare al fascismo la romanità... ". Concludendo che per lui "l' aria più propizia non è quella del continente: è invece quella delle isole ove il Reghini invece di insegnare a Roma ... in una pubblica scuola (caso di cecità degli organi di controllo?) si troverebbe più a suo agio". Una meschinità che complicò la vita del nostro pitagorico. Si ritirò a studiare dei teoremi che coi poliedri dimostravano il teorema di Pitagora, meglio di Euclide. Reghini era piccolino con la fronte diritta e le labbra pronunciate, occhi grandi e naso piccolo in un viso da tenace, i capelli all' indietro. Morì tra i numeri pitagorici seduto nel suo studio guardando il sole in una villa fuori Bologna nel luglio 1946. Gli sarebbe piaciuto Ariosto, Orlando furioso, canto XVII, 76: "E pur per dar travaglio alla meschina lasci la prima tua sì bella impresa. O d'ogni vizio fetida sentina dormi Italia imbriaca... ".

Geminello Alvi
Corriere della Sera, 18 agosto 2003