Coloro che risvegliano i popoli: Kurt Eggers

Se c’è un personaggio emblematico tra coloro che risvegliano i popoli questo è senza dubbio il “poeta-guerriero” in cui s’incarnano il lirismo ed il coraggio, virtù essenziali a chi vuole far sentire la propria voce quando bisogna salvare la patria dal nulla o dal sonno. Affascinato fin dalla giovinezza dall’idea del sacrificio fondante, Kurt Eggers ha voluto che la sua vita fosse l’immagine della sua opera e che il suo messaggio alla gioventù fosse sigillato dal suo stesso sangue. Pochi uomini hanno esaltato con tanta forza il sacrificio della “morte in combattimento”. Poeta, scrittore, drammaturgo, storico, polemista scelse di affrontare il suo destino dalla torretta di un panzer alla testa di una formazione corrazzata di volontari germanici.

Ucciso in combattimento nel trentottesimo anno della sua vita Kurt Eggers ha incarnato fino al suo ultimo minuto l’ideale che aveva esaltato nei suoi libri: l’incontro indissolubile tra le due sue vocazioni quella dello scrittore e quella del combattente. Vocazioni unite eternamente, oltre ogni legame di parte, fino ad acquisire un significato eroico essenziale. Nato a Berlino il 10 novembre 1905 il giovane Kurt Eggers non ha nemmeno nove anni quando scoppia la prima Guerra mondiale. Il bambino è affascinato dai racconti di guerra dei più grandi e sogna di diventare anch’egli un soldato. Dagli undici ai tredici anni Kurt riesce ad essere ammesso al veliero-scuola “Berlin”. Ma dopo la disfatta tedesca prende la decisione d’entrare nella scuola per cadetti di Plön. La reazione che egli proverà in quel frangente si ritrova nelle prime pagine del magnifico libro “I proscritti” di Ernst von Salomon più vecchio di Kurt di tre anni. L’adolescente ha mantenuto i contatti con il vecchio comandante della nave-scuola e diviene suo attendente partecipando ai combattimenti contro gli spartachisti nel 1919 e al tentativo di putsch di Kapp nel 1920. Terminate queste esperienze guerresche torna sui banchi si scuola. Non ha ancora sedici anni quando lascia l’aula scolastica per unirsi ad un Corpo Franco che combatte contro i polacchi in alta Slesia nel 1921. Il giovane volontario Kurt Eggers, staffetta della formazione “Schwarze Schar” (Schiera Nera), parteciperà alla battaglia sull’Annaberg luogo simbolo della saga dei Freikorps. Dall’esperienza di questo assalto trarrà il racconto “Von jungen Herzen” ed una poesia:

Le grigie file dei morti cospargono le alture
Davanti all’Annaberg.
Le granate esplodono in mezzo ai gruppi d’assalto dei corpi franchi
Davanti l’Annaberg
Lanzichenecchi, combattiamo abbandonati e traditi dalla patria,
i fucili sono caldi e i cuori duri come la pietra
Sull’Annaberg!

Al suo fianco un camerata è morto ed un altro gravemente ferito ma la cima è conquistata. Dai ricordi di queste imprese nsceranno i libri "Der Berg der Rebellen", "Das Kreuz der Freiheit" e il dramma teatrale "Annaberg".

Il giovane volontario di sedici anni torna alla sua scuola, ma la sue assenze gli costano l’espulsione. Raggiungege allora una comunità agricola nel Mecklenburg senza aver ottento l’abitur (diploma di maturità). Si arruola in seguito in un reggimento di artiglieria della Reichswehr a Frankfurt sull’Oder ma il piccolo esercito da centomila uomini lo delude e riprende i sui studi. Prima a Berlino, poi a Göttingen e a Rostock prima di ritornare nela capitale. Il volontario dell’alta Slesia studia la biologia, la filosofia, il sanscrito, l’archeologia e, soprattutto la teologia. Impara l’aramaico per approfondire gli studi biblici e si interessa ai marcioniti considerati i primi eretici del cristianesimo. Nell’associazione studentesca  ”Burschenschaft Swebia” incontrerà il futuro martire nazionalsocialista Horst Wessel a cui sarà dedicato l’inno del partito (su Wessel vedi http://horstwessel.iespana.es/horstwessel/ ). Nel 1930 diventa pastore luterano in una parrocchia rurale del Mecklenburg. Ma s’interessa più della terra che del cielo e denuncia la miseria dei contadini tedeschi e l’eterna lotta da sostenere contro tutti gli oscurantismi. Le autorità ecclesiastiche si allarmano e lo nominano allora vicario a Berlino. Una delle sue prediche fa scandalo: per il pastore Eggers la verità della gioventù tedesca non si trova nella Bibbia ma nella Nazione! Scegli di lasciare la chiesa e di guadagnarsi da vivere come libero scrittore conoscendo la miseria e la fame.

Kurt Eggers si appassiona ad un personaggio che diventerà il modello esemplare del suo pensiero e della sua vita e a cui consacrerà molti libri: Ulrich von Hutten. Questo prodigioso “risvegliatore” del pensiero germanico è poco conosciuto nei paesi latini. Nato nel castello di Steckelberg in Franconia, alla fine del XV° secolo, fugge a sedici anni nell’abbazzia di Fulda dove fa i suoi studi, si reca a Roma dove diviene ostile al cattolicesimo e sostiene un cristianesimo specificamente tedesco. Si unisce a Lutero e moltiplica le lettere ed i pamphlets tanto che è costretto a rifugiarsi in Svizzera dove morirà nel 1523 sull’isola di Ufenau non lontano da Zurigo. L’ex pastore traduce gli scritti di questo ribelle che ha fondato tutta la sua esistenza sull’onore, la fierezza e la forza. Ormai posseduto completamente da questo personaggio straordinario, Eggers diventerà a sua volta un “riformatore”. Riunisce in un breviario eretico le massime dei grandi pensatori tedeschi di tutti i tempi. La preparazione al combattimento – sia spirituale che materiale – è la base del lirismo di questo giovane scrittore  che moltiplica i saggi storici, le raccolte di poesia e soprattutto i lavori destinati ai teatri all’aperto Thing. Singolare uomo di lettere, Kurt Eggers si appassiona sia alla mitologia nordica, alle leggende germaniche, alla storia tedesca che al più grande poeta dell’impero cinese Li T’ai Pes paragonando il suo destino a quello del suo amato Ulrich von Hutten. A trent’anni scrive una folgorante autobiografia “Der Berg der Rebellen” (La montagna dei ribelli) in cui fa rivivere i combattimenti dei volontari dei Corpi Franchi di cui ha condiviso avventure e pericoli. Nel 1939 esce il più importante tra i suoi libri, “Der Tanz aus der Reihe”, che si può tradurre come “La danza fuori dai ranghi”. E’ una sorta di autobiografia rivoluzionaria che ambisce a diventare il libro della giovane generazione, quella dei ragazzi che con una quindicina d’anni di meno di lui si preparano a terribili prove cantando: “Oggi ci ascolta la Germania. Domani il mondo intero…”. Negli anni prima della guerra Kurt Eggers non ha smesso di pubblicare libri su libri passando dalla biografia di Bismarck ad un racconto del viaggio di due adolescenti berlinesi verso il mar Baltico passando per il Mecklenburg. Furiosamente egli riunisce pensieri e poemi in brevi antologie in cui la linea direttrice è sempre la stessa : la vita è una lotta e solo i forti possono affrontarla. Kurt Eggers si inserisce pienamente nella linea filosofica di Friedrich Nietzsche, come testimonia questa breve poesia:

Da un tempo immemore un popolo
Generato da guerrieri
Ha fondato la sua giustizia;
Da tempo immemore un popolo
Che non rinnega il combattimento
Non degenera.

Ma quando un popolo
Sogna di paradisi
Merita il pericolo!
E quando un popolo
Spezza la spada
Chiama la sua morte.

Kurt Eggers , che aveva iniziatio la sua “carriera” di scrittore nel 1933, dopo aver abbandonato la sua carica pastorale, pubblica una quarantina di libri in quei sette anni di lavoro intenso. Dopo il suo matrimonio diviene padre di quattro bambini: Jörg, Wulf, Götz e Jens che egli alleva secondo il precetto essenziale: “ Insegnate ai vostri bambini la forza di carattere!”

Incaricato dell’organizzazione delle feste e delle cerimonie  all’interno del Servizio principale della razza e della colonizzazione nel 1935 egli non aderisce che due anni più tardi al partito nazionalsocialista perché “la politica” non lo interessa molto. All’inizio della guerra, nel 1939, si arruola nell’esercito e combatte come sottufficiale in un’unità anticarro assumendo anche le funzioni di corrispondente di guerra incarico che gli permetterà di scrivere un libro su quest’ennesima esperienza bellica. Smobilitato nel 1940 torna ala suo lavoro si scrittore. Parte nuovamente come volontario nel 1942 fedele al suo pensiero:”Forte è colui che sa vivere all’interno della sua comunità padroneggiando sé stesso.”

Si arruola questa volta nella divisione SS Wiking composta da volontari di origine germanica Danesi, Norvegesi, Olandesi, Fiamminghi, Finlandesi, qualche Svedese e Svizzero tedesco. Kurt Eggers arriva nella sua unità nell’autunno del 1942 nel momento in cui la Divisione si riorganizza dopo la terribile ritirata dal Caucaso. Il volontario all’età di 37 anni non è che un semplice sergente (Unterscharführer) ma porta sulla sua giubba nera il nastro della croce di ferro di II classe, la decorazione dell’aquila slesiana, la medaglia di bronzo dei feriti al fronte, l’insegna delle truppe blindate e la croce di ferro di I classe. Viene assegnato alla 2° Compagnia di Panzer del Battaglione corrazzato destinato a diventare presto un reggimento. L’arrivo di quest’intellettuale, che possiede un piccolo apparecchio radioricevitore portatile con il quale comunica col ministero di cui è uno dei responsabili, non manca di suscitare sorpresa. Diviene quello con le relazioni nelle alte sfere ed è chiamato “colonnello” tra i civili.

Ma apprende presto il suo mestiere di comandante di carro e il 20 aprile del 1943 viene nominato sottotenente (Untersturmführer) ricevendo il comando di un plotone di cinque carri Panzer IV. In ogni incarico conferma il suo valore. Segue una filosofia nichilista del pericolo che sorprende gli stessi veterani del fronte. Dicono che egli non salga sulla torretta di comandante del suo carro se non dopo aver indossato i suoi guanti pelle grigia. Continua a comporre poemi di guerra:

Ecco, là dove noi andiamo c’è la fine di questi giorni
C’è il paese pieno di sangue e di ferro, dove noi, gli uomini,
Siamo i soli a governare
Se dovesse essere necessario che voi ci perdeste,
Insegnate ai vostri figli la nostra saggezza
Affinché mantengano verso di noi la loro fedeltà

Ciò che ha scritto e cantato, la forza, la gioia feroce del combattimento, il cameratismo, il senso del dovere assoluto fino al sacrificio, la presenza familiare della morte, tutto questo è uno stile di vita intenso con una passione terribile e sensuale. Questo singolare ufficiale, che stupisce a allo stesso tempo inquieta i suoi sottoposti, è forse il solo ad amare la guerra per la guerra proprio quando il combattimento sul fronte dell’Est dura da più di due anni e sembra diventare ogni giorno più spietato e più incerto.

Il 12 agosto 1943, il plotone Eggers avanza nel paese nemico. Talvolta l’ufficiale canta a squarcia gola e picchia familiarmente sulla calotta del puntatore del suo carro lo Sturmann (caporale) alsaziano “Pablo”, un volontario originario di Colmar. E’ una bella giornata ed i carri viaggiano con tutte le botole aperte. Il plotone Eggers passa non lontano dal margine di una foresta di betulle. Improvvisamente si sentono dei colpi di cannone. Dei pezzi anticarro sovietici colpiscono sul fianco la 2° compagnia del battaglione corrazzato della divisione Wiking! Una granata colpisce il blindato e spezza in due l’ufficiale. Le sue gambe, troncate di netto, ricadono ed inondano di sangue il puntatore e l’addetto al caricamento completamente storditi dal boato dell’esplosione. Il busto di Kurt Eggers viene proiettato a più di otto metri dal suo panzer. Il poeta soldato impiega due ore a morire intanto che infuria la battaglia tra tedeschi e sovietici. I suoi uomini raccolgono i resti del corpo del loro comandante. La sera , il suo comandante fi compagnia, l’ Obersturmführer (tenente) Walter Multhoff, farà, secondo l’usanza, l’inventario delle sue cose. Dei libri, delle lettere, delle fotografie è tutto quello che resta di uno scrittore venuto volontariamente ad riunirsi al mondo dei guerrieri per fedeltà agli ideali della sua giovinezza. Una pagina si stacca e cade a terra. L’officiale la raccoglie. “Das Lied der Kameraden”, il canto dei camerati legge il titolo sopra due dozzine di versi. Multhoff mormora a mezza voce una delle strofe:

Quando cade uno tra noi
Trafitto dalle pallottole, dilaniato dall’acciaio
Il vento che sale verso il cielo
Ci porta allora canti e non lamenti.

L’ultimo addio dei guerrieri ai loro camerati caduti è descritto da qualche verso, dai i fiori, dai  rami di abete sempre verde e dalla tripla salva d’addio dei fucili. Poi l’ultimo verso finale:

E’ perciò che noi non piangiamo mai
Quelli che tra noi cadono.
Tutti cadranno un giorno:
Battete i tamburi!
Il mondo è bello!
Anch’io cadrò un giorno.

Articolo di Jean Mabire apparso sul n. 20 solstizio d’estate 2004 della rivista francese Terre & Peuple (Terre & Peuple, Bp. 1095, F 69612 Villeurbanne cedex e-mail: contact@terreetpeuple.com sito web: www.terreetpeuple.com ). Informazioni sullo scrittore anche nel sito in lingua tedesca: http://www.leverkusener-aufbruch.com/index01.html

Curriculum vitae:
Kurt Adolf Ludwig Eggers nato a  Berlin-Schöneberg il 10.11.1905 morto in azione di Guerra presso Isjum/Bjelgorod  il 12.08.1943. Figlio del dirigente della “Dresdner Bank” Wilhelm Eggers (nato a Göttingen 19/3/1871, e morto a Berlino il 7/4/1939) e di sua moglie Flora nata Schneider; nel 1907 si sposta con la famiglia a Schöneiche presso Friedrichshagen, dall’aprile 1911 al marzo 1913 frequentaVolksschule di Schöneiche, dall’aprile 1913 all’agosto 1916 frequenta il  Realgymnasium di Friedrichshagen vicino Berlino, dall’agosto del 1916 al maggio del 1921 frequenta il Gymnasium di Berlin-Wilmersdorf (con interruzioni); nel 1916 entra nella Deutsche Schulschiff-Schülervereinigung (DSSV); dal 1916 al 10/11/1918 tirocinio su una Schulschiff (nave scuola), dimesso il 10/11/1918; dal gennaio 1919 al 22/2/1919 Volontario nella Garde-Kavallerie-Schützen-Division, nel marzo del 1919 partecipa ai combattimenti contro gli Spartakisti a Berlino. Nel 1919 è per breve tempo membro del Deutschnationalen Jugendbundes (DNJ) e conosce il noto agitatore antisemita Richard Kunze detto ”Knüppelkunze”; dal 1919 al 1920 lavora come addetto alla sicurezza nel locale del Deutschvölkischen Schutz und Trutzbundes a Berlino, da 13/3/1920 al 18/3/1920 prende parte al Putsch di Kapp a Berlino come attendente del suo vecchio comandante di nave scuola; dal 6/5/1921 al giugno del 1921 membro del Freikorps „Schwarze Schar“(combattimento dell’ Annaberg nell’alta Slesia); decorato con lo Schlesisches Bewährungszeichen (Schlesischer Adler- Aquila slesiana) II grado e Schlesisches Bewährungszeichen (Schlesischer Adler) I grado; dal giugno al luglio del 1921 apprendistato commerciale presso la ditta ebraica di esportazioni Ullmann & Engelmann a Berlino, nel 1921 studia Economia agraria presso la Landwirtschaftlichen Hochschule a Berlino (senza concluderla), praticantato presso Tierärztlichen Hochschule; iscritto alla lega studentesca ”Burschenschaft Swebia”, membro del Technischen Nothilfe, membro del ”Verbandes national gesinnter Soldaten”; dal 1921 al 1922 lezioni di economia agraria nel Mecklenburg (interrotte); dal 24.06.1922 al 29.06.1922 incarcerato presso la prigione Berlin-Moabit (Eggers aveva il 24/6/1922 colpito un passante perché questi aveva condannato l’assassinio del Ministro degli esteri Rathenau); dal 1922 al 1923 servizio volontario amministrativo presso la tenuta di Giesensdorf (Niederlausitz), dal 1923 al 1924 cannoniere della  5. Batteria del 3° Reggimento prussiano di Artiglieria (Frankfurt sull’Oder), dall’ottobre1924 al 1925 uditore presso l’Università di Göttingen, nel ritorno a Berlino,  lavora saltuariamente come insegnante privato, dal 1925 al marzo 1926 studente del Friedrich-Gymnasium di Berlin-Charlottenburg; nel 1925 si iscrive a lMotorflug-Verband ”Sportflug GmbH” (Berlino); marzo 1926 consegue il diploma, dall’aprile 1926 al 1929 studia Filosofia, Archeologia classica e biblica, Scienze naturali e Teologia presso l’Università di Berlino, Rostock e Göttingen, nel frattempo si impiega come aiuto cameriere in un locale di Berlino-Wedding, portapacchi alla stazione “Stettino” di Berlino e come insegnante in Pomerania; membro della lega studentesca ”Corps Vandalia” a Rostock; nel 1929 Laurea di Teologia (con lode), nel1930 ordinato per 18 mesi parroco dei villaggi di Kratzeburg, Granzin e Krienke presso Neustrelitz e, contemporaneamente predicatore presso la chiesa della città di Neustrelitz, poi aiuto parroco a Berlino, nel 1931 abbandono della Chiesa, libero scrittore a Berlino e Lipsia, direttore del quotidiano nazional-rivoluzionario “Sächsische Landeszeitung“; dal 31/8/1931 matrimonio a Rostock con Gerda Boldt ( divorzia il 17/2/1933 geschieden), 29/4/1933 si risposa con la figlia del parroco Traute Kaiser; dal 1933 al dicembre 1934 direttore di trasmissione della radio di Lipsia comandante del Gau Westsachsen nell’Unione degli scrittori del Reich, autunno 1933 chiamato a collaborare con la cerchia poetica di Goebbels; autunno 1934 lavoro poetico; dal dicembre 1934 al 31/8/1936 dirigente del settore artistico della radio di Stoccarda, dal 1/7/1935 collaboratore della sezione SS del sud ovest,  il 5/9/1935 entra nelle SS (membro n. 273.203) come candidato SS presso l’ufficio della Razza e della colonizzazione interna (RuSHA), 19/9/1935 diviene effettivo delle SS, il  9/11/1935 nominato SS-Rottenführer, il 30/1/1936 nominato  SS-Unterscharführer, il 13/8/1936 nominato SS-Untersturmführer (con effetto dal 1/9/1936), dal 1/9/1936 al 1/6/1937 responsabile capo della sezione Schul II B ( Feste e Organizzazione delle Cerimonie) nel’ufficio scuola del RuSHA, il 1/5/1937 entra nel NSDAP (membro n. 3.953.817), dal 1/6/1937 al 1/11/1937 dirigente capo della sezione centrale III (Organizzazione Culturale) nell’ufficio scuola del RuSHA, dal 1/11/1937 al 1/11/1938 capo SS presso la RuSHA, nel 1937 referente culturale a Dortmund, dal 1937 al 1939 responsabile culturale del circolo “Dietrich Eckart Vereins“, dal marzo del 1938 dirigente per la Westfalia del sud della Camera degli scrittori del reich; dal 16/5/1938 al 16/7/1938 esercitazioni militari presso la 4. E-compagnia Panzer 16 (presso Hamm), 16/7/1938 volontario ed aspirante ufficiale della riserva; dal 1/11/1938 al 1/6/1939 dirigente SS presso l’ufficoi centrale, il 30/1/1939 nominato SS-Obersturmführer, dal 1/6/1939 al 1/6/ 1941 dirigente SS presso l’ufficio centrale del personale;  il 25/8/1939 volontario di guerra nelle waffen SS, dal 1940 chiamato come Sonderführer nell’ OKW; 17/971940 ottiene la decorazione per meriti sportivi Reichssportabzeichen in argento; dal 1/6/1941 al 12/8/1943 dirigente SS presso l’ufficio centrale; dall’ottobre 1942 è trasferito dal SS-Panzer-Ersatz-Abteilung al 2/I/SS-Panzer-Regiment 5, il 17/10/1942 nominato SS-Oberscharführer delle Waffen-SS (con effetto dal 1/10/1942), il 18/10/1942 trasferito alla SS-Division”Wiking“ come comandante di Panzer, dal 12/5/1943 SS-Untersturmführer  (con effetto dal 20/4/1943), dal 7/7/1943 al 17/7/1943 su ordine del RFSS è trasferito dalla SS-Panzer-Grenadier-Division „Wiking“ al Ministero del Reich per la propaganda e l’informazione popolare ed infine ritorno come comandante della 2. compania del  5. Panzerbataillons del SS Panzer Grenadier Divisione ”Wiking”; nel 1943 Croce di Ferro di I Classe; il 12/8/1943 cade a sud ovest di Bjelgoros , 16/9/1943 con effetto dal 21/6/1943 è promosso postumo SS-Obersturmführer delle WaffenSS. Ulteriori decorazioni: Croce di Ferro di II Classe,  Panzerkampfabzeichen in argento, Decorazione Nera per feriti di guerra, Croce di Servizio di Guerra di II Classe. Eggers fu autore di oltre 50 drammi, composizioni teatrali, storie e canti popolari e per soldati. Dop la sua morte la sezione corrispondenti di guerra delle SS venne chiamata Standarte ”Kurt Eggers”. Insignito del premio Ernst Keil della Fondazione Schiller. Secondo il Gräbernachweis des Volksbundes Deutsche Kriegsgräberfürsorge e.V. la sua tomba si trova in località Petropawlowka in Ucraina.

BibliografiaAnnaberg Volkschaft Verlag für buch,bühne und film, Berlin, 1933
Ulrich von Hutten.HörspielVolkschaft Verlag für buch,bühne und film, Berlin,1933
Das Spiel von Job dem Deutschen. Ein Mysterium Volkschaft Verlag, Berlin 1933
Das grosse Wandern ein Spiel vom ewiges deutsche Schicksal Volkschaft Verlag, Berlin, 1934
Hutten - Roman Eines Deutschen Verlag Propyläen, Berlin 1934
Deutsche GedichteVolkschaft Verlag, Berlin 1934
Deutsches Bekenntnis Widukind-Verlag, Berlin-Lichterfelde, 1934
Sturmsignale, Revolutionäre Sprechchöre Verlag Arwed Strauch, 1934 Repr. 1995
Schicksalsbrüder: Gedichte und Gesänge Deutsche Verlagsanstalt Stuttgart Berlin, 1935
Tagebuch einer frohen Fahrt Verlag Gustav Weise, Leipzig, 1935 
Herz im OstenDer Roman Li Taipes des Dichters Deutsche Verlags-Anstalt, Berlin, 1935
Die Bauern von Meißen. Ein Spiel Theaterverlag Langen- Müller, 1936
Vom mutigen Leben und tapferen Sterben Verlag Gerhard Stalling, Oldenburg, 1936
Die Geburt des Jahrtausends VerlagSchwarzhäupter,Leipzig, 1936
Gedichte
Verlag Georg Truckenmüller, Stuttgart, 1937
Der Deutsche Dämon. Neue Gedichte und GesängeVerlagSchwarzhäupter,Leipzig, 1937
Der Berg der Rebellen Verlag Schwarzhäupter, Leipzig, 1937
Schüsse bei Krupp. Ein Spiel Hanseatische Verlaganstalt, Hamburg1937
Ich habs gewagt!Hutten ruft Deutschland Widukind Verlag, Berlin-Lichterfelde, 1937
Das Kreuz der Freiheit. Ein deutsches Schauspiel Verlag Schwarzhäupter, Leipzig 1937
Der junge Hutten Gustav Weise Verlag, Berlin, 1938
Feierstunde mit dem Dichter Kurt Eggers Reihe, Der Orden Aufsatz 1938
Deutsche Gedichte VerlagVolkschaft, Dortmund,1938
Feuer über Deutschland Verlag Stalling, Oldenburg i. O. 1939
Dunkelmännerbriefe, aus dem "Mönchslatein" Verlag Schwarzhäupter, Leipzig, 1939
Die Stunde des SoldatenGedicht im Felde Reihe Die Innere Front NSK Aufsatz aus 1939
Der Tanz aus der Reihe. Erinnerungen Volkschaft Verlag, Dortmund, 1939
Ulrich von Hutten, 1488-1523 Verlag Schwarzhäupter, Leipzig 1940
Der Deutsche Dämon VerlagSchwarzhäupter, Leipzig,1940
Kamerad. Gedichte eines Soldaten VerlagSchwarzhäupter, Leipzig, 1940
Der Freiheit wildes Lied.Ketzereien großer MännerVerlagVolkschafts, Dortmund, 1940
Schwertspruch ReiheNationalsozialistische Monatshefte 1940 Heft 122 München, 1940
Der Soldat allein ist der freie Mann Reprint Sammlungsergänzung  Zwecke, Berlin, 1940
Von der Freiheit des Kriegers Nordland Verlag, Berlin, 1940
Vom Kampf und Krieg VerlagSigrune, Erfurt, 1940
Dunkelmännerbriefe von Ulrich von Hutten Verlag Schwarzhäupter, Leipzig,1941
Schreiben an Frau Wortmann Reprint Sammlungsergänzung  Zwecke, Berlin, 1941
Von der Feindschaft Verlag Volkschaft, Dortmund, 1941
Das Ketzerbrevier Volkschaft Verlag, Dortmund-Berlin, 1941
Die kriegerische Revolution Eher Verlag, Berlin, 1941
Rom Gegen Reich. Ein Kapitel Deuscher Geschichte Berlin, Nordland Verlag, 1941 
Der Kaiser der Römer gegen den König der Juden Nordland Verlag, Berlin, 1941 
Rom gegen Reich Nordland Verlag, Berlin, 1941
Der Tanz aus der Reihe Volkschaft Verlag, Dortmund, 1941
Tausend Jahre Kadeldütt. Ein fröhlicher RomanVerlagSchwarzhäupter, Leipzig, 1941
Kamerad, die Schicksalsstunde schlägt.Marschlied der Waffen-SSum Reprint Zwecke,1941
Das Lied der Deutschen Reihe "Rote Erde". Reprint Zwecke 1941
Der ScheiterhaufenWorte großer Ketzer Verlag Volkschafts-Verlag, Dortmund, 1942
Vater aller Dinge ; Ein Buch des Krieges
Franz Eher Verlag, Berlin, 1942
Von jungen Herzen. Erlebtes Verlag Eichblatt, Leipzig, 1942
Die Heimat der Starken Volkschaft Verlag, Dortmund-Berlin 1942
Das Reich des Soldaten VerlagSchwarzhäupter, Leipzig, 1942
Der Krieg des Kriegers Deutscher Verlag für Jugend und Volk, Wien, 1942
Aus meinen Wanderjahren Verlag Deutsche Volkbücher,Stuttgart 1942
Lebenslauf Verlag Georg D. W. Callwey, München, 1942
Dem Führer:Gedicht VerlagGeorg D. W. Callwey, München, 1942
Am Westwall:Gedicht Verlag Georg D. W. Callwey, München, 1942
Am Grabe eines Frontarbeiters
:Gedicht Verlag Georg D. W. Callwey, München, 1942
Aufbau:
Gedicht Verlag Georg D. W. Callwey, München, 1942
Was uns bewegt Wilhelm Limpert Verlag, Berlin, 1943  
DesReichesHerrlichkeitDortmund : Volkschaft Verlag, 1943
Der Kult des Aberglaubens Verlag Volkschaft, Dortmund, 1943
Von der Heimat und ihren Frauen Verlag Sigrune Erfurt, 1943
Das grosse WandernEin Hörspiel vom Aufbruch der Nation Reichs-Rundfunk, Berlin; o.J
Hutten, ein Freiheitsdrama o. J.
Hutten, eine Studie o. J.
Feuer über Deutschland. Eine Huttenballade o. J.
Arbeiter, Bauern, Soldaten. Eine Liedsammlung o. J.
Revolution um Luther. Ein Spiel o. J.
Tagebuch einer frohen Stadt o. J.
Revolutionar, Dichter und SoldatKurt Eggers starb den Heldentod Reihe Völkischer Beobachter Aufsatz aus 56. J. 1943 Nr. 246 vom 3.9.1943, München, 1943
Soldatengeist  Verlag Gedenkstätte für die europäischen Freiwilligen, Halbe 1991;
Eiserne Gedichte. Ausgesuchte Gechite Kulturkreis Dresden; 1999 Kurt-Eggers-Kreis e Freundeskreis für Geschichte
Kurt Eggers - Ein Gedenken ; Die Gefallenenfeier für Kurt Eggers, wiedergegeben anläßlich der Wiederkehr seines 95. Geburtstages am 10.11.2000
Dresden, 2000 stampato solo in 300 esemplari.

Kulturkreis Dresden Stadt, Postfach 280131 D 01141 Dresden

Nel dopoguerra, nella più grande operazione di censura e distruzione culturale della storia, anche le opere di Kurt Eggers furono messe all’indice. Il 13 maggio 1946 la Commissione Interalleata di Controllo emanò una legge “sull’estirpazione della letteratura a carattere nazionalsocialista o militarista”. Contemporaneamente si creò nella zona di occupazione sovietica un organismo specializzato “Schriften-Prüfstelle bei der Deutschen Bücherei” che intraprese subito la redazione di una nuova lista di libri proibiti (Liste der auszusondernden Literatur). La lista iniziale di 526 pagine comprende 13.223 libri e 1502 giornali proibiti dal 1 aprile 1946. A completamento di questa prima escono altri tre volumi rispettivamente il 1 gennaio 1947 (179 pagine, 4.739 libri e 98 giornali), il 1 settembre 1948 (366 pagine, 9.906 libri e giornali) e il 1 aprile 1952 (circa 700 libri e giornali). In totale furono proibiti poco più di 36.000 libri e periodici editi prima del 1945. Queste liste di proscrizione sono consultabili in quanto ristampate nel 1983 dall’editore antiquario Uwe Berg (Uwe Berg Verlag und Antiquariat, Tangendorferstr. 6, D – 21442 Toppenstedt, Tel. 04173 6625, Fax 04173 6225) o direttamente in rete al sito http://vho.org/censor/tA.html)

Traduzione, integrazioni e ricerca bibliografica (nulla in lingua italiana è stato scritto o tradotto dell’opera di Eggert, anche il bel libro di M. Freschi “La letteratura del Terzo Reich” Ed. Riuniti 1997 lo ignora completamente) a cura di Harm Wulf harmwulf2003@libero.it


Kurt Eggert - Un libro molto amato dalla gioventù tedesca


Eggert con i suoi carristi - L’ex sacerdote protestante K. Eggert in Russia conversa con un pope ortodosso

 
   
 

JEAN GIONO E "LE CHANT DU MONDE"

Il paganesimo di Jean Giono è stato ben identificato da Thierry Maulnier, che scriveva nel 1943, nella sua rubrica del quotidiano "L'action française": "Il signor Giono è uno di quei rari artisti per i quali il grande Pan non è morto e non è ancora pronto a morire". Punto di vista rafforzato da quello di Henry Miller: "Nell'opera di Giono chiunque possiede una dose sufficiente di vitalità e di sensibilità, riconosce subito "le chant du monde". Secondo me questo canto, di cui egli ci dà con ogni nuovo libro delle variazioni senza fine, è molto più prezioso, più commovente, più
poetico del Cantico delle creature". (The books in my life, 1951) Non si saprebbe spiegare meglio quale abisso separi il mondo biblico dall'universo di Giono.

Questo universo è bagnato di sole, di profumo di timo e lavanda, di canti di cicale. Figlio della Provenza, la sua patria, con la quale ha un profondo legame carnale, Jean Giono è nato a Manosque il 30 Marzo 1895. Suo padre, calzolaio, era anche un po' guaritore. Jean ne erediterà senza dubbio il
gusto di guarire gli animi, e si cimenterà in ciò nel Contadour. Si ricorderà per tutta la vita del saggio consiglio paterno: "Diffida della ragione". Quanto al nonno, era un carbonaro, come Angelo dell'"Hussard sur le toit" (L’Ussaro sul tetto)...Bella eredità.

La sua infanzia, che egli descrive in "Jean le bleu", è il momento di una scoperta meravigliata del mondo. Lui che diventerà, grazie ai suoi testi, un incantatore, è prima incantato, vale a dire è sensibile, intuitivamente, sensualmente, all'incanto del mondo. Il canto del mondo lo porta prima di
tutto in se stesso.

C'è qualche merito: avendo deciso a sedici anni di lavorare per aiutare i genitori, entra come "sbriga - faccende" al Banco Nazionale di Sconto di Manosque, ove doveva restare per diciotto anni. Per evadere da questo grigiore divora in continuazione e in modo disordinato: "Il libro della giungla", Omero, Virgilio, Stendhal, Dostoevskij, Shakespeare, i poeti tragici greci in una edizione molto popolare a 50 centesimi il volume. Questa copiosa iniziazione alla letteratura gli apre il cammino verso l'universo magico della scrittura.

Ma il destino ha preparato per lui, come per quelli della sua generazione, la prova più tragica tra tutte: a venti anni conosce, durante quattro interminabili anni, l'inferno dei campi di battaglia, da Eparges a Verdun (solo undici sono i superstiti della sua compagnia), da Chemin des Dames alla
Somme. Egli esorcizzerà questo bagno di sangue dipingendo in "Le grand truopeau" il quadro più terribile, tra quelli che conosco, delle carneficine del 1914-1918.

Dal suo matrimonio nel 1920 nasceranno Aline nel 1926 e Sylvie nel 1934. Saranno loro le custodi benevole ma tenaci del rifugio dello scrittore, che è la sua casa, poi, più tardi, della sua memoria. Ritrovando, dopo l'incubo, la sua Provenza, Giono si purifica camminando zaino in spalla sui sentieri degli altipiani spazzati dal vento e si siede, al crepuscolo, davanti al fuoco dei pastori, con i quali parla molto e dei quali saprà raccontare con fervore l'antica e semplice saggezza.

Nel 1924 inizia, a dire il vero modestamente, la sua carriera letteraria: il suo amico Lucine Jacques pubblica a proprie spese dei poemi in prosa intitolati "Accompagnés de la flûte", stampati in 300 esemplari dei quali solo 30 furono venduti. Tuttavia qui si ritrova tutto Giono: "Il silenzio a denti
stretti cammina, a piedi nudi, lungo i sentieri".

Nel 1927, Giono scrive "Nascita dell'Odissea" (decisamente questo provenzale si sente molto vicino a "nostra madre la Grecia"), testo rifiutato da Grasset. che si precipiterà a pubblicarlo nel 1930, perché nel frattempo Giono si è fatto conoscere. Grazie a Gide, che ha diffuso a Parigi tutte le
opinioni positive che ha di questo sconosciuto nella rivista "Commerce" (che ha lanciato, pensate un po', Fargue, Valéry, Joyce.), egli ha pubblicato nel 1929 "Colline", il cui tema è il ritorno del "Grande Pan". Lo stesso paganesimo, campestre e gioioso, si esprime in "Un de Baumugnes", pubblicato anch'esso nel 1929, poi, l'anno successivo, con "Regain". Seguono a raffica:
"Solitude de la pitié", "Présentation de Pan", "Manosque des plateaux" e "Le serpent d'étoiles" (1933), "Le chant du monde" (1934), "Que ma joie demeure" (1935). Ecco un autore inesauribile. ma il fatto è che lui canta, in ogni libro, il suo Paese, la Haute Provence, questa terra di montagne aspre ove bruciano il sole e le erbe aromatiche. Un Paese di grande tradizione
pastorale e poetica, dove la montagna realizza, nel suo silenzio e nella sua nudità, l'unione dell'uomo con l'Universo. "La montagna è mia madre" dichiara Giono in "Voyage en Italie" (1953).

Lassù, sulle rocce, tra i cespugli secchi odorosi o nelle foreste e nell'erba alta, la vita è potente e semplice, il ritmo dei giorni è lo stesso ritmo della natura. I venti avvolgono tutto. Gli alti pianori sono luoghi d'esaltazione, di comunione, agitati da un fremito continuo, da un linguaggio, come le querce di Dodona. Perché la natura parla a quelli che sanno ascoltarla (gli incantatori lo sanno, e Giono è un incantatore). E questo linguaggio afferma che tutto è vita: desiderio, piacere, dolore,
crescita, scambio. La natura è vita. Il contadino di "Colline" lo sa bene: "Egli pensa che uccide quando taglia un albero. Uccide quando falcia…Ogni cosa è dunque vivente? Tutto, bestie, piante, e chi lo sa? Forse anche le pietre". Questo è, dalla Grecia antica, il messaggio panteista che,
camminando attraverso il tempo, è giunto fino a noi, grazie ad una catena di messaggeri, e Giono ne è evidentemente un anello fondamentale. Perché i personaggi di Giono camminano in mezzo all' "immensa folla degli dei". Dove sono questi dei? "Sono nell'animo e nella bellezza degli alberi, succo e cuore brillante dei vegetali, istinto di battersi e di amare delle giovani bestie, dolcezza feconda delle donne". Tutto è un segno. Bobi, in "Que ma joie demeure" è affascinato dalle costellazioni, che sono altrettanti messaggi nel cielo: "Guarda i segni". E "Jean le bleu", cominciando la sua vita di uomo, afferma: "Ogni parola mi diceva l'importanza del sangue".

L'uomo e gli alberi appartengono allo stesso mondo: "Gli alberi avevano l'odore penetrante di quando sono in amore". E aggiunge: "L'uomo è come il fogliame attraverso il quale bisogna che passi il vento perché questo canti". Il panteismo è la comunione con l'Universo, consiste nel collegarsi al divino dappertutto presente nel mondo, poiché il mondo è divino, e Giono lo sa bene: "I temporali, il vento, la pioggia, non ne gioisco più come un uomo, ma sono io il temporale, il vento, la pioggia".

Bisogna qui metter fine allo stupido controsenso operato da Claudine Chonez (Giono, 1956, Le Seuil) quando afferma perentoria: "Non c'è religione in Giono".  Due possibilità: o lei non ha letto veramente Giono o confonde (ma non è la sola, perché duemila anni di condizionamento mentale hanno avuto la stessa difficoltà a distinguerli) religione e monoteismo. Sicuramente lo stesso Giono può aumentare la confusione quando dichiara a Jean Carrière (Giono, La Manufacture, 1985): "Ammetto di non essere adatto per Dio". Ma è un errore precisare che il Dio biblico e gli Dei non solo non sono la stessa cosa, ma che sono anche, senza possibilità d'errore, due concezioni perfettamente e irrimediabilmente incompatibili. D'altronde ogni ambiguità sparisce quando Giono si prende la pena di demolire la truffa intellettuale che è la confusione tra ateismo e paganesimo. Egli spiega il suo punto di vista, ed in maniera insistente, dialogando con Christian Michelfelder (Jean Giono et les religions de la terre, 1938, Gallimard): "L'affermazione dell'uomo libero si esprimerà sempre in una sorta di paganesimo molto colorato d'umanesimo. E questo è il motivo per cui sarà un paganesimo umano a salvarci. L'ateo dice no, si accontenta di rifiutare. Ma il pagano desidera, vuole, e quindi distrugge e ricostruisce. Il vero mondo sarà un mondo di pagani. L'umanesimo pagano è la grande affermazione dell'uomo pieno di vita. Resta nell'ateismo qualcosa dell'atmosfera triste delle religioni spiritualiste. Bisogna tuttavia mettere da parte i mistici. Ma il paganesimo libera veramente". Gran lettore di Omero, di Eschilo, di Sofocle, Giono afferma un paganesimo vitale e cosmico per mezzo di numerosi suoi testi. Perché là sono le vere ricchezze (Les vraies richesses, 1937): "Noi siamo degli elementi cosmici".

Questa comunione con il cosmo è il messaggio che predica il patriarca di Contadour, in questa comunità fervente e calorosa che ha raggruppato in un luogo solitario una cinquantina di persone tra il 1935 e il 1939. Con la pubblicazione dei "Cahiers de Contadour", ai quali ha collaborato un certo Marc Augier, sedotto dal carattere fortemente influenzato da Nietzsche di un Giono che insegna, come Zarathustra, ai suoi ascoltatori - discepoli: "La soluzione è attuabile attraverso ciascuno".

Il divino, Giono lo percepisce nelle stelle (Le serpent d'étoiles), nell'acqua (Colline), nella terra (Que ma joie demeure), questa terra materna e dura, amara e dolce. Ma anche negli animali, questi intermediari tra l'uomo e l'inanimato (o almeno che ha l'aspetto dell'inanimato). Tutto è vita: "Tutti gli errori dell'uomo derivano dal fatto che egli immagina di camminare su una cosa morta mentre i suoi passi s’imprimono in una carne piena di grande volontà".

Giono è un autore che scuote dal torpore (alcuni direbbero un iniziato ma è la stessa cosa). Egli ha in effetti la capacità rara di risvegliare il lettore, di farlo passare dall'altro lato dello specchio, con poche parole molto semplici. Lo testimonia Jean Carrière: "Avevo quattordici anni quando ho letto il primo libro di Giono, "Que ma joie demeure". La prima frase resterà per me la chiave di volta della magia, "Era una notte straordinaria". Ogni volta che rileggo quella frase passa in me la stessa piccola scossa, quella di un bambino meravigliato dal respiro delle foreste. La magia funziona ancora oggi. Divento di nuovo lo stesso bambino meravigliato".

Stupore: la capacità di stupire è una qualità rara, una ricchezza che proviene dall'infanzia e che pochi hanno la fortuna (o la volontà) di conservare- e che provoca la presa in giro delle "persone serie", vale a dire vecchie (perché l'età non c'entra niente, nel caso specifico molti sono vecchi a vent'anni: poveri loro). Stupore davanti al mondo, davanti alla vita, questo miracolo, perché al contrario di ciò che dice "L'Ecclesiaste" ("Vanità delle vanità, tutto è vanità" Bibbia, Libro dell’Ecclesiaste, Prologo 1,2-11), Giono afferma che "Rien n'est vanité" (“Nulla è vanità”, inedito, presentato da Christian Michelfelder): "Guarda come tutto conta, come tutto prende posto. Perché ci si è lasciati dire che tutto è vanità? L'acqua, e il prato, e il vento, e Yvonne (…) Colui che è solo, in piedi nella notte, canta come un albero ed è tutto sconvolto dalla canzone della sua carne(…) Sono sempre gli stessi che si stupiscono di San Francesco che parla agli uccelli".

Perché la vita è un'acqua di sorgente che cola tra le dita. Bisogna vivere ogni istante come se dovesse essere l'ultimo. In Svizzera, spellando un camoscio, Giono medita: "Qui è il mistero della vita e del mondo. E' un po' di succo verde, come una pania tra le mie dita. Ciò che sarò un giorno io stesso nel corso della mia trasformazione tra carne e pianta, tra pianta e pietra, tra pietra e cielo, tra polvere di stella e spermatozoo in cammino nelle spine dorsali". Ecco sorto il tema dell'eterno ritorno, della ruota che gira senza fine, la ruota solare che è simbolo di ogni vita. Una vita che non ha bisogno di giustificazioni, che basta a se stessa come portatrice di senso in sé: "Noi abbiamo dimenticato che il nostro solo scopo è quello di vivere e che, vivere, noi lo facciamo ogni giorno e tutti i giorni e che a tutte le ore del giorno noi raggiungiamo il nostro vero scopo se viviamo". (Rondeur des Jours, 1937).

Apollineo per molti tratti della sua opera, Giono è anche, profondamente, dionisiaco, come l'ha ben compreso Christian Michelfelder sottolineando che uno degli obiettivi dello scrittore è quello di "rimettere l'uomo nel seguito di Dioniso". L'eremita di Manosque, del resto, spiega lui stesso ciò attraverso certe immagini evocatrici. Per esempio, per descrivere nella prefazione delle "Vraies richesses" (1936) la montagna, la sua montagna di Lure dice: "Questa montagna di Lure, che si alza nel cielo non come un picco ma come il dorso mostruoso del toro di Dioniso". Davanti a questa montagna l'uomo si sente "messo di fronte alla terra".

Si ritrova qui l'influenza di Virgilio, già manifesta dagli "Accompagnés de la flûte": "Sia che discenda nel mezzo dei fiumi del frutteto, o che s’insinui nel canneto, questo respiro che tu credi essere il vento è esalato dal dio seduto lassù, sulla collina, in mezzo alle piante di salvia del cielo". Si pensa all'Eneide, libro VIII: "Su questa collina dalla cima verdeggiante, un dio, quale non si sa, sì, un dio risiede qui". E, dice Giono, bisogna tendere l'orecchio: "E vedi, sotto la sua voce musicale, che goccia a goccia questa sera cola attraverso i pini, commuoversi le piccole gole bianche di questo caprifoglio, ed alzarsi l'onda silenziosa degli ulivi argentati".

Giono il meditativo è anche un uomo impegnato civilmente. Fa parte di quelli che, avendo vissuto sulla loro pelle il 14 -18, non vogliono veder tornare la carneficina stupida e fratricida. E' in prima fila nella lotta dei pacifisti quando firma un telegramma intimidatorio a Daladier e Chamberlain, in data 11 settembre 1938. Per questo è arrestato e rinchiuso nel forte di Saint-Nicolas a Marsiglia, il 3 settembre 1939. Nonostante le proteste di qualche coraggioso, tra cui Gide, ci resta fino a novembre. Durante la guerra conduce una vita ritirata scrivendo poco. Ma commette un errore fatale facendo pubblicare una novella sul giornale "La Gerbe" (1). Questo lo porta ad essere arrestato nel 1944 per collaborazionismo da giustizieri improvvisati, e messo in prigione per sette mesi, nel forte di Saint-Vincent, nelle Hautes Alpes. Il comitato centrale degli scrittori, controllato dai comunisti, lo iscrive, naturalmente, nella sua lista nera, destinata ad impedire di esprimersi ormai ad un gran numero di scrittori, tra i quali figurano i più grandi nomi della letteratura contemporanea. Ciò si chiama epurazione. Il crimine di Giono? Tutta la sua opera lo dice: avrebbe potuto essere l'autore della famosa formula "maréchaliste" (del Maresciallo Pétain), "la terra non mente". Si capisce di colpo perché egli abbia potuto essere considerato da alcuni come un elemento particolarmente perverso e pericoloso.

Disincantato, Giono si volta verso una nuova tappa della sua opera. I suoi romanzi, che conosceranno un grande successo, sono ormai sprovvisti di ogni aspetto militante. Ma lo fanno affermare definitivamente come un grandissimo scrittore, riconosciuto come tale durante la sua elezione nel 1954 all'Accademia Goncourt (e, segno degli dei, per occupare il posto di Colette). Quindi fa l'esperienza dell'avventura cinematografica, realizzando nel 1960 il suo "Crésus", impersonato da Fernandel. Il mondo del cinema gli affida la presidenza della giuria del Festival di Cannes nel 1961. Giono non è più un maledetto, perché il suo genio ha vinto i mediocri. Dopo la sua morte a Manosque nella notte tra l'8 e il 9 ottobre 1970, la Pléiade gli rende molto in fretta un giusto riconoscimento pubblicando in sei volumi la sua opera romanzesca, tra il 1971 e il 1983.

Noi conserviamo nel cuore l'immagine di colui che ci ha risvegliato al canto del mondo. Colui che diceva: "Il poeta deve essere un professore di speranza". E nell'ultima frase dei "Grands Chemins" ci dà la ricetta della speranza:
"Il sole non è mai così bello come il giorno in cui ci si mette in cammino".
Allora mettiamoci in cammino. Sappiamo che Jean Giono camminerà al nostro fianco.

Tratto dal libro di Pierre Vial “Anthologie païenne” Les Editions de la Forêt, Solstizio d’estate 2757 Ab Urbe Condita (2004) 308 pagine, formato 210 x 140, ISBN: 2-9516812-3-2, 23 euro.
Richiedere a:
Les Editions de la Forêt 87, Montée des Grapilleurs, F 69380 Saint Jean des Vignes France o all’indirizzo www.terreetpeuple.com  E-mail:contact@terreetpeuple.com

A lungo si rinfaccerà a Giono la pubblicazione di Deux cavaliers de l'orage nella rivista La Gerbe (1), e Description de Marseille le 16 octobre 1939 ne La Nouvelle revue française (2) di Drieu La Rochelle, ed un reportage fotografico su di lui apparso su Signal (edizione francese del periodico tedesco). A lui sarà imputata anche una certa vicinanza alle idee del regime di Vichy (ritorno alla terra e all’artigianato, esaltazione della giovinezza), idee che Giono veicolava da molti anni. Le idee di Giono si riaffermano nella nuova edizione del 1941 del Triomphe de la vie. Il libro, assai ben accolto dalla stampa della collaborazione, sarà uno dei capi d’accusa per lo scrittore al termine della guerra. Nel 1943 Giono pubblica L’eau vive e Fragments d’un paradis.

(1)“La Gerbe, fondato e diretto da Alphonse de Châteaubriant l’11 luglio 1940 reca come sottotitolo “Settimanale della volontà francese”. Con tiratura di 140.000 copie è, dopo, “Je suis partout” la pubblicazione collaborazionista più seguita. I suoi principali redattori sono il corrispondente di guerra Marc Augier, più prossimo al direttore e noto in seguito come Saint-loup, il cattolico monarchico Bernard Fay, l’ex comunista poi doritista Camille Fégy, e diversi altri, tra i quali Alfred Canton, Luois-Charles Lecoc, Louis Thomas, Michèle Lapierre, Jean Passere, Maurice Morel, Aimé Cassar, André Castelot, Claude Cabry. Tra i collaboratori del giornale figura inoltre il quasi intero Gotha della Collaborazione: Jacques Benoist-Méchin, Abel Bonnard, Georges Montandon, Pierre Drieu La Rochelle, Jacques de Lesdain, Ramon Fernandez, Jean Hérold-Paquis, il nipote di Gobineau Clément Serpeille, Armand Petitjean e ancora Jean Anouilh, Henry de Montherlant, Paul Morand, Jean-Pierre Maxence, Marcel Aymé, Dominique Sordet, Pierre Mac Orlan, Maurice Rostand, Jean Giono, Jean de La Varende.”. Da Moreno Marchi “I duri di Parigi. L’ideologia, le riviste, i libri” Ed. Settimo Sigillo, 1997, pag. 67.

“L’antesignano ecologista Giono, piuttosto prossimo al governo del Maresciallo” (pag.13) “Al di là dei suoi atteggiamenti intransigenti, o forse proprio per questo, collaborano a “Je suis partout” molti tra i maggiori intellettuali dell’epoca,  tra i quali Pierre Drieu La Rochelle, Jean Anouilh, Marcel Aymé, Jean Goino, Pierre Mac Orlan, André Fraigneau, Jean de La Varende, Abel Bonnard. Vi compaiono inoltre alcune lettere di Louis-Ferdinand Céline, secondo la sua abitudine di mantenere rapporti con i giornali solo a livello epistolare, e addirittura, 11 agosto 1941, un racconto Mort subite, dell’italiano Alberto Moravia. Ma…sapeva quest’ultimo che si trattava di una pubblicazione antisemita? E, di converso, sapeva la redazione che si trattava di uno scrittore per metà ebreo?” Moreno Marchi “I duri di Parigi. L’ideologia, le riviste, i libri” Ed. Settimo Sigillo, 1997, pag. 65.

(2) “La Nouvelle revue française è una prestigiosa rivista letteraria mensile fondata nel 1909 da Gaston gallimard. Dopo aver interrotto le pubblicazioni per motivi bellici nel luglio del 1940, La Nouvelle revue française ricomparenel successivo dicembre, per volontà e sotto gli auspici dell’ambasciatore ed alto commissario tedesco a Parigi Otto Abetz. La dirige Pierre Drieu La Rochelle. (...) Lo stesso fatto di scrivere o meni sulla NRF rappresenta un termometro della popolarità alla quale è difficile rinunciare. Ecco così che tra scrittori ed intellettuali direttamente impegnati nella politica di collaborazione ed altri, che non lo sono o che vi discordano, su la Nouvelle revue française si ritrova alfine quasi l’intero l’empireo delle lettere francesi: André Gide, Paul Valere, Henry de Montherlant, Paul Léautaud, Marcel Aymé, Paul morand, Abel Bonnard, Paul Eluard, Marcel Jouhandeau, Jean Giono, Ramon Fernandez, alfred Fabre-Luce, jacques Chardonne, Marcel Arland, André Fraigneau.” Moreno Marchi “I duri di Parigi. L’ideologia, le riviste, i libri” Ed. Settimo Sigillo, 1997, pag. 76

Bibliografia italiana:
Lettera ai contadini sulla povertà e la pace, Ed. Ponte alle grazie, 2004; Note su macchiavelli. Con uno scritto su Firenze, Medusa Edizioni, 2004; Due cavalieri nella tempesta, Ed. Guanda, 2003; L’uomo che piantava gli alberi, Edizioni Angolo Manzoni, 2003; L’affare Dominaci, Ed. Sellerio, 2002; Angelo, Ed. Tea, 2002; Il serpente di stelle, Ed. Guanda, 2002; Morte di un personaggio, Ed. Passigli, 2001; Un re senza distrazioni, Ed. Guanda, 2001; L’ussaro sul tetto, Ed. Corbaccio, 2001; Il bambino che sognava l’infinito, Ed. Salani, 2000; La menzogna di Ulisse, Ed. Robin, 2000; Una pazza felicità, Ed. Tea, 200°; Il ragazzo celeste, Ed. Guanda, 1999; Collina, Ed. Guanda, 1998; Risveglio, Ed. Passigli 1997; La fine degli eroi, Ed. Sellerio, 1996; Il disertore, Ed. Guanda,

Traduzione, note, bibliografia e iconografia a cura di Harm Wulf.


Jean Giono - Opere di Giono nella Pléiade

Associazion des Amis de Jean Giono presso
Casa di Jean Giono, quartiere di Lou Parais
BP 633
F 04100 Manosque
Tel. e fax 04 92877303

Centre Jean Giono
3, bd. Elémir Bourges
F 04100 MANOSQUE
centre.giono@wanadoo.fr
http://www.art-en-provence.org/jean-giono/ 

L’uomo che piantava gli alberi
di Jean Giono
Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile.

Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza. Questa regione è delimitata a sud-est e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Drôme, dalla sorgente fino a Die; a ovest dalle pianure del Comtat Venaissin e i contrafforti del Monte Ventoux. Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi, il sud della Drôme e una piccola enclave della Valchiusa. Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i milledue e i milletrecento metri di altitudine. L’unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica. Attraverso la regione per la sua massima larghezza e, dopo tre giorni di marcia, mi trovavo in mezzo a una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio abbandonato. Non avevo più acqua dal giorno prima e avevo necessità di trovarne. Quell’agglomerato di case, benché in rovina, simile a un vecchio alveare, mi fece pensare che dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo. C’era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case senza tetto, corrose dal vento e dalla pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa. Era una bella giornata di giugno, molto assolata ma, su quelle terre senza riparo e alte nel cielo, il vento soffiava con brutalità insopportabile. I suoi ruggiti nelle carcasse delle case erano quelli d’una belva molestata durante il pasto. Dovetti riprendere la marcia. Cinque ore più tardi, non avevo ancora trovato acqua e nulla mi dava speranza di trovarne. Dappertutto la stessa aridità, le stesse erbacce legnose. Mi parve di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. La presi per il tronco di un albero solitario. A ogni modo mi avvicinai. Era un pastore. Una trentina di pecore sdraiate sulla terra cocente si riposavano accanto a lui. Mi fece bere dalla sua borraccia e, poco più tardi, mi portò nel suo ovile, in una ondulazione del pianoro. Tirava su l’acqua, ottima, da un foro naturale molto profondo, al di sopra del quale aveva installato un rudimentale verricello. L’uomo parlava poco, com’è nella natura dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di sé e confidente in quella sicurezza. Era una presenza insolita in quella regione spogliata di tutto. Non abitava in una capanna ma in una vera casa di pietra, ed era evidente come il suo lavoro personale avesse rappezzato la rovina che aveva trovato al suo arrivo. Il tetto era solido e stagno. Il vento che lo batteva faceva sulla tegole il rumore del mare sulla spiaggia. La casa era in ordine, i piati lavati, il pavimento di legno spazzato, il fucile ingrassato; la minestra bolliva sul fuoco. Notai che anche l’uomo era rasato di fresco, che tutti i suoi bottoni erano solidamente cuciti, che i suoi vestiti erano rammendati con la cura minuziosa che rende i rammendi invisibili. Divise con me la minestra e, quando gli offrii la borsa del tabacco, mi rispose che non fumava. Il suo cane, silenzioso come lui, era affettuoso senza bassezza. Era rimasto subito inteso che avrei passato la notte da lui: il villaggio più vicino era a più di un giorno e mezzo di cammino. E, oltretutto conoscevo perfettamente il carattere dei rari villaggi di quella regione. Ce ne sono quattro o cinque sparsi lontani gli uni dagli altri sulle pendici di quelle cime, nei boschi di querce al fondo estremo delle strade carrozzabili. Sono abitati da boscaioli che producono carbone di legno. Sono posti dove si vive male. Le famiglie, serrate l’una contro l’altra in quel clima di una rudezza eccessiva, d’estate come d’inverno, esasperano il proprio egoismo sotto vuoto. L’ambizione irragionevole si sviluppa senza misura, nel desiderio di sfuggire a quei luoghi. Gli uomini portano il carbone in città con i camion, poi tornano. Le più solide qualità scricchiolano sotto questa perpetua doccia scozzese. Le donne covano rancori. C’è concorrenza su tutto. Per la vendita del carbone come per il banco di chiesa, per le virtù che lottano tra loro e per il miscuglio generale dei vizi e delle virtù, senza posa. Per sovrappiù, il vento altrettanto senza posa irrita i nervi. Ci sono epidemie di suicidi e numerosi casi di follia, quasi sempre assassina. Il pastore che non fumava prese un sacco e rovesciò sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l’una dopo l’altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Io fumavo la pipa. Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo. In effetti: vista la cura che metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione. Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Così facendo, eliminò ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiché li esaminava molto da vicino. Quando infine ebbe davanti a sé cento ghiande perfette, si fermò e andammo a dormire. La società di quell’uomo dava pace. Gli domandai l’indomani il permesso di riposarmi l’intera giornata da lui. Lo trovò del tutto naturale o, più esattamente, mi diede l’impressione che nulla potesse disturbarlo. Quel riposo non mi era affatto necessario, ma ero intrigato e ne volevo sapere di più. Il pastore fece uscire il suo gregge e lo portò al pascolo. Prima di uscire, bagnò in un secchio d’acqua il sacco in cui aveva messo le ghiande meticolosamente scelte e contate. Notai che in guisa di bastone portava un’asta di ferro della grossezza di un pollice e lunga un metro e mezzo. Feci mostra di voler fare una passeggiata di riposo e seguii una strada parallela alla sua. Il pascolo delle bestie era in un avvallamento. Lasciò il piccolo gregge in guardia al cane e salì verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m’invitò ad accompagnarlo se non avevo nulla di meglio. Andava a duecento metri da lì, più a monte. Arrivato dove desiderava, cominciò a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva così un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che turava di nuovo il buco. Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprietà di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Piantò così le cento ghiande con estrema cura. Dopo il pranzo di mezzogiorno, ricominciò a scegliere le ghiande. Misi, credo, sufficiente insistenza nelle mie domande, perché mi rispose. Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quello che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla. Fu a quel momento che mi interessai dell’età di quell’uomo. Aveva evidentemente più di cinquant’anni. Cinquantacinque, mi disse lui. Si chiamava Elzéard Bouffier. Aveva posseduto una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita. Aveva perso il figlio unico, poi la moglie. S’era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza di alberi. Aggiunse che, non avendo altre occupazioni più importanti, s’era risolto a rimediare a quello stato di cose. Poiché conducevo anch’io in quel momento, malgrado la giovane età, una vita solitaria, sapevo toccare con delicatezza l’anima dei solitari. Tuttavia, commisi un errore. La mia giovane età, appunto, mi portava a immaginare l’avvenire in funzione di me stesso e di una qual certa ricerca di felicità. Dissi che, nel giro di trent’anni, quelle diecimila querce sarebbero state magnifiche. Mi rispose con gran semplicità che, se Dio gli avesse prestato vita, nel giro di trent’anni ne avrebbe piantate tante altre che quelle diecimila sarebbero state come una goccia nel mare. Stava già studiando, d’altra parte, la riproduzione dei faggi e aveva accanto alla casa un vivaio generato dalle faggine. I soggetti, che aveva protetto dalle pecore con una barriera di rete metallica, erano di grande bellezza. Pensava inoltre alle betulle per i terreni dove, mi diceva, una certa umidità dormiva a qualche metro dalla superficie del suolo. Ci separammo il giorno dopo.

L’anno seguente, ci fu la guerra del ’14, che mi impegnò per cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verità, la cosa non mi era nemmeno rimasta impressa; l’avevo considerata come un passatempo, una collezione di francobolli, e dimenticata. Finita la guerra, mi trovai con un’indennità di congedo minuscola ma con il grande desiderio di respirare un po’ di aria pura. Senza idee preconcette, quindi, tranne quella, ripresi la strada di quelle contrade deserte. Il paese non era cambiato. Tuttavia, oltre il villaggio abbandonato, scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia che ricopriva le cime come un tappeto. Dalla vigilia, m’ero rimesso a pensare a quel pastore che piantava gli alberi. Diecimila querce mi dicevo, occupano davvero un grande spazio. Avevo visto morire troppa gente in cinque anni per non immaginarmi facilmente anche la morte di Elzélard Bouffier, tanto più che, quando si ha vent’anni, si considerano le persone di cinquanta come dei vecchi a cui resta soltanto da morire. Non era morto. Era anzi in ottima forma. Aveva cambiato mestiere. Gli erano rimaste solo quattro pecore ma, in cambio, possedeva un centinaio di alveari. Si era sbarazzato delle bestie che mettevano in pericolo i suoi alberi. Perché, mi disse (e lo constatai), non s’era per nulla curato della guerra. Aveva continuato imperturbabilmente a piantarle. Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano più alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiché lui non parlava, passammo l’intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione. Aveva seguito la sua idea, e i faggi che mi arrivavano alle spalle, sparsi a perdita d’occhio, ne erano la prova. Le querce erano fitte e avevano passata l’età in cui potevano essere alla mercè dei roditori; quanto ai disegni della Provvidenza stessa per distruggere l’opera creata, avrebbe dovuto ormai ricorrere ai cicloni. Bouffier mi mostrò dei mirabili boschetti di betulle che datavano a cinque anni prima, cioè 1915, l’epoca in cui io combattevo a Verdun. Le aveva piantate in tutti i terreni in cui sospettava, a ragione, che ci fosse l’umidità quasi a fior di terra. Erano tenere come delle adolescenti e molto decise. Il processo aveva l’aria, d’altra parte, di funzionare a catena. Lui non se ne curava; perseguiva ostinatamente il proprio compito, molto semplice. Ma, ridiscendendo al villaggio, vidi scorrere dell’acqua in ruscelli che, a memoria d’uomo, erano sempre stati secchi. Era la più straordinaria forma di reazione che abbia mai avuto modo di vedere. Quei ruscelli avevano già portato dell’acqua, in tempi molto antichi. Alcuni dei tristi villaggi di cui ho parlato all’inizio del mio racconto sorgevano su siti di antichi villaggi gallo-romani di cui restavano ancora le vestigia, nelle quali gli archeologi avevano scavato, trovando ami in posti dove nel ventesimo secolo si doveva far ricorso alle cisterne per avere un po’ d’acqua. Anche il vento disperdeva certi semi. Con l’acqua erano riapparsi anche i salici, i giunchi, i prati, i giardini, i fiori e una certa ragione di vivere. Ma la trasformazione avveniva così lentamente che entrava nell’abitudine senza provocare stupore. I cacciatori che salivano in quelle solitudini seguendo le lepri o i cinghiali s’erano accorti del rigoglio di alberelli, ma l’avevano messo in conto alle malizie naturali della terra. Perciò nessuno disturbava l’opera di quell’uomo. Se l’avessero sospettato, l’avrebbero ostacolato. Era insospettabile. Chi avrebbe potuto immaginare, nei villaggi e nelle amministrazioni, una tale ostinazione nella più magnifica generosità?

A partire dal 1920, non ho mai lasciato passare più d’un anno senza andare a trovare Elzélard Bouffier. Non l’ho mai visto cedere o dubitare. Eppure, Dio solo sa di averlo messo alla prova! Non ho fatto il conto delle sue delusioni. E’ facile immaginarsi tuttavia che, per una simile riuscita, sia stato necessario vincere le avversità; che, per assicurare la vittoria di tanta passione, sia stato necessario lottar contro lo sconforto. Bouffier aveva piantato, un anno, più di diecimila aceri. Morirono tutti. L’anno dopo, abbandonò gli aceri per riprendere i faggi che riuscirono ancora meglio delle querce. Per farsi un’idea precisa di quell’eccezionale carattere, non bisogna dimenticare che operava in una solitudine totale; al punto che, verso la fine della sua vita, aveva perso del tutto l’abitudine a parlare. O, forse, non ne vedeva la necessità. Nel 1933, ricevette la visita di una guardia forestale sbalordita. Il funzionario gli intimò l’ordine di non accendere fuochi all’aperto, per non mettere in pericolo la crescita di quella foresta naturale. Era la prima volta, gli spiegò quell’uomo ingenuo, che si vedeva una foresta spuntare da sola. A quell’epoca, Bouffier andava a piantare faggi a dodici chilometri da casa. Per evitare il viaggio di andata e ritorno, poiché aveva ormai settantacinque anni, stava considerando la possibilità di costruirsi una casupola di pietra sul luogo stesso dove piantava. Ciò che fece l’anno seguente. Nel 1935, una vera e propria delegazione governativa venne a esaminare la foresta naturale. C’erano un pezzo grosso delle Acque e Foreste, un deputato, dei tecnici. Fu deciso di fare qualcosa e, fortunatamente, non si fece nulla, tranne l’unica cosa utile: mettere la foresta sotto tutela dello Stato e proibire che si venisse a farne carbone. Perché era impossibile non restare soggiogati dalla bellezza di quei giovani alberi in piena salute. Esercitò il proprio poter di seduzione persino sul deputato. Un capitano forestale mio amico faceva parte della delegazione. Gli spiegai il mistero. Un giorno della settimana seguente, andammo insieme a cercare Elzélard Bouffier. Lo trovammo in pieno lavoro, a venti chilometri da dove aveva avuto luogo l’ispezione. Quel capitano forestale non era mio amico per nulla. Conosceva il valore delle cose. Seppe restare in silenzio. Offrii le uova che avevo portato in regalo. Dividemmo il nostro spuntino in tre e restammo qualche ora nella muta contemplazione del paesaggio. La costa che avevamo percorso era coperta di alberi che andavano da sei a otto metri di altezza. Mi ricordavo l’aspetto di quelle terre nel 1913, il deserto… Il lavoro calmo e regolare, l’aria viva d’altura, la frugalità e soprattutto la serenità dell’anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne. Era un atleta di dio. Mi domandavo quanti altri ettari avrebbe coperto d’alberi. Prima di partire, il mio amico azzardò soltanto qualche suggerimento a proposito di certe essenze alle quali il terreno sembrava adattarsi. Non insistette. “Per la semplice ragione” mi spiegò poi, “che quel signore ne sa più di me”. Dopo un’ora di cammino, dopo che l’idea aveva progredito in lui, aggiunse: “Ne sa di più di tutti. Ha trovato un bel modo di essere felice!”

E’ grazie a quel capitano che, non solo la foresta, ma anche la felicità di quell’uomo furono protette. Fece nominare tre guardie forestali per quella protezione e le terrorizzò a tal punto che rimasero sempre insensibili alle mazzette offerte dai boscaioli. L’opera corse un grave rischio solo durante la guerra del 1939. Poiché le automobili andavano allora a gasogeno, non c’era mai abbastanza legna. Cominciarono a tagliare le querce del 1910, ma l’area era talmente lontana da tutte le reti stradali che l’impresa si rivelò fallimentare dal punto di vista finanziario. Fu abbandonata. Il pastore non aveva visto nulla. Era a trenta chilometri di distanza, e continuava pacificamente il proprio lavoro, ignorando la guerra del ’39 come aveva ignorato quella del ’14.

Ho visto Elzélard Bouffier per l’ultima volta nel giugno del 1945. Aveva ottantasette anni. Avevo ripreso la strada del deserto, ma adesso, nonostante la rovina in cui la guerra aveva lasciato il paese, c’era una corriera che faceva servizio tra la valle della Durance e la montagna. Misi sul conto di quel mezzo di trasporto relativamente rapido il fatto che non riconoscessi più i luoghi delle mie prime passeggiate. Mi parve anche che l’itinerario mi facesse passare in posti nuovi. Ebbi bisogno del nome di un villaggio per concludere che invece mi trovavo proprio in quella zona un tempo in rovina e desolata. La corriera mi depositò a Vergons. Nel 1913, quella frazione di una dozzina di case contava tre abitanti. Erano dei selvaggi, si odiavano, vivevano di caccia con le trappole; più o meno erano nello stato fisico e morale degli uomini preistorici. Le ortiche divoravano attorno a loro le case abbandonate. Ora tutto era cambiato. L’aria stessa. Invece delle bufere secche e brutali che mi avevano accolto un tempo, soffiava una brezza docile carica di odori. Un rumore simile a quello dell’acqua veniva dalla cima delle montagne: era il vento della foresta. Infine, cosa più sorprendente, udii il vero rumore dell’acqua scrosciante in una vasca. Vidi che avevano costruito una fontana; l’acqua vi era abbondante e, ciò che soprattutto mi commosse, vidi che vicino ad essa avevano piantato un tiglio di forse quattro anni, già rigoglioso, simbolo incontestabile di una resurrezione. In generale, Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza. La speranza era dunque tornata. Avevano sgomberato le rovine, abbattuto i muri crollati e ricostruito cinque case. La frazione contava ormai ventotto abitanti, tra cui quattro giovani famiglie. Le case nuove, intonacate di fresco, erano circondate da orti in cui crescevano, mescolati ma allineati, verdure e fiori, cavoli e rose, porre e bocche di leone, sedani e anemoni. Era ormai un posto dove si aveva voglia di abitare.

Da lì, proseguii a piedi. La guerra da cui eravamo appena usciti non aveva consentito il rifiorire completo della vita, ma Lazzaro era ormai uscito dalla tomba. Sulle pendici più basse della montagna, vedevo i campielli di orzo e segale in erba; in fondo alle strette vallate, qualche prateria verdeggiava.

Sono bastati gli otto anni che ci separano da quell’epoca perché tutta la zona risplenda di salute e felicità. Dove nel 1913 avevo visto solo rovine, sorgono ormai fattorie pulite, ben intonacate, che denotano una vita lieta e comoda. Le vecchie fonti, alimentate dalle piogge e le nevi che la foresta ritiene, hanno ripreso a scorrere. Le acque sono state canalizzate. A lato di ogni fattoria, in mezzo a boschetti di aceri, le vasche delle fontane lasciano debordare l’acqua su tappeti di menta. I villaggi si sono ricostruiti poco a poco. Una popolazione venuta dalle pianure, dove la terra costa cara, si è stabilita qui, portando gioventù, movimento, spirito d’avventura. S’incontrano per le strade uomini e donne ben nutriti, ragazzi e ragazze che sanno ridere e hanno ripreso il gusto per le feste campestri. Se si conta la vecchia popolazione, irriconoscibile da quando vive nell’armonia, e i nuovi venuti, più di diecimila persone devono la loro felicità a Elzélard Bouffier.

Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c’è voluto di costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie d’un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio. Elzélard Bouffier è morto serenamente nel 1947, all’ospizio di Banon.
 
   
 

Ernst von Dombrowski, l’artista dell’incisione

La caratteristica essenziale di quest’artista è di riuscire a catturare l’attenzione dell’osservatore al primo sguardo. I suoi suggestivi quadri, le scene semplici, essenziali, emotive, le figure evocative, i suoi impianti scenici ci portano ad una gioia interiore che emana dalla pura bellezza. Dombrowski lavorò all’incisione del legno con una maestria propria a pochissimi altri artisti. Ha prodotto più di duemila incisioni e, nonostante lo scarso margine d’identità caratteristico di quest’arte grafica, è riuscito a marcare con forza il suo stile peculiare. Nacque il 12 settembre 1896 ad Emmersdorf sul Danubio in Austria ed ebbe lì un infanzia molto speciale grazie al padre scrittore di racconti, poesie ed altri generi letterari. Questo ambiente familiare sarà fonte d’ispirazione per le prime opere del nostro artista. Per motivi di salute del padre, la famiglia fu costretta a diversi trasferimenti, dalla Boemia, nell’est Europa, fino all’Austria. Dombrowski stesso si sposta su differenti latitudini territoriali e regionali, studierà arte a Graz poi a Vienna anche se la sua gioventù è segnata dalla natia Stiria. Appena diciottenne si arruola e combatte nella prima Guerra Mondiale sul fronte polacco e russo. Nel 1924 si trasferisce a Graz dove si sposa. Precedentemente aveva cercato di organizzare le sue attività artistiche a Berlino ma la nostalgia della terra natale lo aveva riportato verso casa. I suoi primi passi nel mondo artistico furono marcati dalle più svariate tecniche grafiche che usò per illustrare libri per l’infanzia, racconti storici e d’avventura. Diversi suoi dipinti hanno per soggetti nudi femminili. Ma con pennello e lapis disegna anche scene politiche, costumi, paesaggi, opere classiche e tutta quella gamma di lavori che un artista svolge per perfezionare il proprio talento. Il suo momento arriva nel 1934 quando finalmente trova la via artistica che ha sempre sognato, dove troverà la sua espressione migliore e che gli permetterà di lavorare e creare un suo stile peculiare: l’incisione su legno. Con certe influenze espressionistiche, Dombrowski si presenterà in diversi concorsi ed incomincerà a farsi conoscere. Dal 1935 al 1938 crea un portfolio di 14 personaggi storici maschili intitolato “Bildnisse deutscher Männer” tra cui appaiono i ritratti di W. von der Vogelweide, U. von Hutten, I. Kant, G. von Berlichingen, Heinrich I (che sarà acquistato dal Capo dello Stato), A. Hofer (queste sei incisioni in lussuosa edizione originale sono disponibili, autografate dall’artista, presso l’editrice Schneider). Sarà la sua prima serie di opere veramente popolari che gli varranno la stima del pubblico e della critica. A partire da queste arriveranno molteplici offerte ed incarichi. Collaborerà con diversi settimanali e riviste illustrando le cose più disparate. Nel 1938 viene nominato professore e direttore di una delle classi di arte grafica all’Accademia di Arti Applicate di Monaco. Diventa responsabile dei servizi culturali per la Stiria. Aumentano le sue esposizioni e le sue opere sono assai richieste. Aumenta la sua proiezione verso una dimensione artistica europea ma la guerra tronca senza appello la sua carriera artistica in quanto viene mobilitato nel 1941 e richiamato come ufficiale sul fronte dell’est. Malgrado ciò una sua esposizione personale con moltissime opere si tiene nel 1943 alla “Junge Kunst im Deutschen Reich” a Vienna con un grandissimo successo. Sfortunatamente lo stesso anno il suo atelier viene completamente distrutto dai bombardieri alleati. Nel 1944 pubblica un libro illustrato, l’ultimo del periodo bellico, intitolato “Herzhafter Soldatenkalender” (calendario dei soldati coraggiosi) la cui edizione sarà completamente distrutta da un altro bombardamento a Francoforte nel 1945. Nello stesso anno, finita la guerra, viene detenuto dagli americani ed internato per circa due anni in un campo di concentramento vicino a Salisburgo. Riprende la sua vita artistica solo nel 1948 quando si trasferisce a Siegsdorf, in alta Baviera, dove costruirà la sua nuova casa. Prosegue il suo lavoro di disegnatore e pittore illustrando prevalentemente libri per bambini. A partire dal 1951 collabora assiduamente alle illustrazioni di diversi calendari annuali quali “Herzhafter Hauskalender”, “Unsere Kinder” e “Freundesgabe”. Negli anni ’50, infine, arrivano i primi riconoscimenti e premi post-bellici: la Medaglia “Erzherzog Johann”, nel 1959 la “Wappenadler” della città di Krems e, nel 1971, il premio Rosegger. Tra gli anni ’70 e ’80 espone in diverse mostre guadagnandosi altri premi. Nel 1982 crea una fondazione in Stiria per aiutare i nuovi artisti. L’anno seguente si tiene una grande esposizione a Salisburgo con oltre 200 incisioni e 140 dipinti. Lo stesso anno gli viene concessa dal Governo austriaco la Gran Croce al Merito della Repubblica. A partire da questo momento e fino al termine dei suoi giorni, riceverà moltissimi altri premi, onorificenze, e menzioni che lo riconoscono e consacrano come uno dei maggiori artisti austriaci di questo secolo. Il suo maggior orgoglio è quello di esser nominato cittadino onorario di Siegsdorf. Alla morte dell’artista il 14 giugno 1985 nella stessa cittadina, la sua opera viene donata alla città di Graz ed alla Fondazione del Heimatmuseum di Traunstein. Il nonagenario artista ci ha lasciato un’opera immensa di qualità straordinaria. Molte dei suoi lavori appaiono come trasposizioni delle opere di Caspar David Friedrich ma incise nel legno. I suoi alberi, i cieli, la natura, i paesaggi desolati ci comunicano molte cose e il romanticismo traspare sempre dai suoi dipinti. Ma allo stesso tempo i segni che Dombrowski incide trapassano il legno per portarci nel tempo reale dal passato storico. Come spesso accade un artista conosciuto (nel suo paese) resta ignoto al resto del mondo. Però di nuovo ci ricordiamo la frase di Graciàn, che affermava che questo non era il suo secolo, molti altri lo saranno, il genio è immortale.

Una completa bibliografia dell’artista è presente nel volume di Mortimer G. Davidson “Kunst in Deutschland 1933-1945” Malerei II pag. 270, Grabert Verlag 1992
Grabert Verlag, Postfach 1629, D 72076 Tübingen, Deutschland Telefon: 07071/4070-0 Telefax: 07071/4070-26 info@grabertverlag.de
www.grabert-verlag.de

La casa editrice Rudolf Schneider ha nel suo catalogo buona parte delle opere pubblicate da Ernst von Dombrowski e la ristampa di numerose xilografie dell’artista. Informazioni presso: Rudolf Schneider Verlag, Industriehof 8, D – 31180 Giesen-Hasede Tel. (05121) 770463 Fax (05121) 770303 Nella stessa città è possibile visitare un esposizione permanente con molte opere originali dell’artista L’indirizzo è: Kunstherberge Ernst von Dombrowski, Am Messeschnellweg, D 31180 Hasede, Deutschland Tel. 05121 770634 http://www.kunstherberge-hasede.de/  E-Mail:kontakt@kunstherberge-hasede.de L’orario di apertura è da mercoledì a venerdì dalle 10.00 alle 12.00 o su prenotazione telefonica.

Tratto dal n. 10 della bellissima rivista  trimestraled’arte, tradizione e cultura “El Barco Vikingo”. Ttraduzione e ricerca iconografica di Harm WulfSono apparsi articoli sugli artisti: W. Petersen, G. Sluyterman von Langeweyde, R. Wagner, F. von Defregger, W. Willrich, F. Staeger, N. C. Wyeth, J. Austen, H. Thoma, A. Kampf, J. de Avalos, R. Warneke, N. Rockwell, W. Kreis. La rivista, una rassegna periodica dell’arte tradizionale, è giunta al 22°numero agosto 2003. Abbonamento per 5 numeri 15 € da inviare a: Javier Nicolàs Ap. de correos 14.215, E - 08080 Barcelona

 

 
   
 

Franz von Stuck. Pittore e principe degli artisti
di Léopold Kessler

Numerosi furono i romantici, i pre-raffaelliti e i simbolisti che trassero ispirazione dalla mitologia greco-romana ma rari furono quelli che, come Franz von Stuck, fecero della loro vita un opera d’arte totale sotto il segno della gran salute della religiosità pagana. Il 23 febbraio 1863 a Tettenweis nella Bassa Baviera da una famiglia cattolica di contadini e mugnai nacque Franz Stuck. Dall’età di sei anni si mette in evidenza nel suo villaggio come autore di caricature. Lascia la famiglia a 15 anni per iscriversi alla Scuola reale d’Arti decorative di Monaco. Questa esperienza formativa di quattro anni gli permetterà di formarsi delle solide basi per la sua futura opera di pittore, architetto, decoratore e scultore. Gli anni seguenti, mentre si guadagna da vivere come illustratore di libri ed autore di caricature per riviste, comincia a dipingere. Di natura gioviale e scherzosa si unisce all’ambiente degli artisti di Monaco senza prendersi troppo sul serio. Nel 1889 espone al Palazzo del Ghiaccio di Monaco per la prima volta tre dei suoi dipinti ad olio: Innocenza, Il guardiano del Paradiso e il Combattimento tra fauni. Le tele sono ritenute provocatrici per i loro temi, i loro colori chiari e la loro tecnica ma  Il guardiano del Paradiso ottiene una medaglia d’oro ed un premio di 60.000 marchi. Ritroviamo già nelle tre tele della giovinezza le tematiche predilette di von Stuck: la bellezza conturbante e sensuale della donna (Innocenza), la trattazione a volte irriverente e a volte eroica delle tematiche religiose (Il guardiano del Paradiso) ed infine la mitologia e le divinità antiche, quale il Dio Pan, rappresentate in un ambiente selvaggio e pagano ricorrente nella sua opera (Combattimento tra fauni). La sua prima tela ad olio non è altro che una rappresentazione della Caccia selvaggia, il Wilde Jagd wotanico che supera naturalismo e impressionismo per creare un nuovo stile, un simbolismo mistico di una grandezza primitiva. Erede spirituale del pittore svizzero Arnold Böcklin, nei suoi famosi combattimenti tra centauri e nei suoi fauni maliziosi che godono di una natura risplendente, Stuck andrà più lontano, in una pittura pagana non priva d’ambiguità. Nel 1892 il movimento della Secessione di Monaco viene fondato, tra gli altri da Stuck che concepisce il manifesto con la divinità Atena con l’elmo. La Secessione raggruppa degli artisti che rifiutano i diktat dell’accademia, e riceve un riconoscimento ufficiale quando a von Stuck viene conferito, nel 1893 il titolo di professore. La gioventù si accalca all’esposizione della Secessione per vedere Il Peccato (Die Sunde), senza dubbio l’opera di Stuck che ha ottenuto il maggio successo e clamore. Glorificazione di un Eva avvinta ad un serpente, Il Peccato è un’interpretazione moderna e sviata di un tema giudeo-cristiano. Il nudo corpo femminile splende come un fanale nella cornice dorata che racchiude il dipinto. Questa è un’altra delle caratteristiche dello stile di von Stuck: scegliere delle cornici originali e spesso massicce che si integrano totalmente all’opera dipinta. La maggior parte di queste cornici sono scolpite con cura e si differenziano dalla massa dei prodotti industriali economici, interscambiabili e senza identità. Stuck continua a scioccare per i temi e il genere delle sue opere ( Lucifero, Il Vizio, Sirene, La Guerra…), la polizia proibisce l’esposizione delle fotografie del Bacio della Sfinge. I suoi corsi di pittura sono seguiti specialmente da Kandinsky, Klee e Albers (futuro professore del Bauhaus). Nel 1897 si sposa con un’americana monachense d’adozione, Mary Lindpainter, ed ottiene una medaglia d’oro all’Esposizione d’arte internazionale di Monaco in cui espone tra le altre opere L’amazzone ferita Questa tela, come molte altre di von Stuck, integra la fotografia nel processo di creazione: le modelle fotografate sono stilizzate e ed utilizzate in forma creativa, anche in numerosi ritratti commissionati ed autoritratti dell’artista e della sua famiglia. Senza pudore il pittore si serve anche di modelli fotografici per studiare successivamente i movimenti del corpo maschile. Nel 1898, Stuck fa costruire secondo  un suo progetto una casa-atelier a Monaco, la Villa Stuck, in uno stile imponente e neoclassico ispirato direttamente ad un quadro di Böcklin (Villa in riva al mare). Una delle sue più grandi sculture (Amazzone che lancia il giavellotto) troneggerà più tardi davanti alla villa. Tutte le decorazioni interne, compresi i mobili, i quadri e  le sculture vengono concepiti da von Stuck. Egli si eleva al rango di “Principe degli artisti” di talento universale tra i migliori artisti europei. I mobili della sua villa ottengono una medaglia d’oro all’esposizione universale di Parigi del 1900. Il principe reggente Leopoldo di Baviera lo nomina cavaliere dell’Ordine al merito della corona bavarese nel 1905. Il titolo nobiliare coincide con l’apogeo della carriera di Franz von Stuck. L’inizio del XX secolo vede la sua aura decrescere, i movimenti del Blaue Reiter, Die Brücke e del Fauves (fr., belve) iniziano a suonare la campana  a morte per i simbolisti considerati da questi giovani come dei ruderi ben sistemati. I tempi cambiano… Nel 1914 egli realizza una scultura in rapporto diretto con l’inizio della guerra (I nemici da tutti i lati). Il titolo di questa scultura guerriera è ripreso da uno slogan. Il combattente con la spada appare in numerosi manifesti di propaganda che invitano ai prestiti di guerra. Questa opera di von Stuck riapparirà più tardi in un suo dipinto con i tratti di un Ercole biondo che lotta contro l’Idra a  molte teste. Nel 1919 viene tenuto qualche giorno in ostaggio da estremisti di sinistra. L’anno seguente dipinge la L’angoscia dei Nibelunghi ispirato alla mitologia germanica che evoca il pericolo per la Germania vinta dopo la guerra. Continua ad insegnare la pittura rifiutando le tendenze più moderne dell’arte che vede come già contenenti il germe della decadenza. Realizza dei dipinti raffiguranti fauni e ninfe dal provocatorio contenuto erotico, una rappresentazione tragico-eroica di Sisifo e un Pan che suona un flauto. Nella vecchiaia von Stuck s’identifica sempre più con Pan che diviene la sua divinità tutelare. Pan non segue che le sue pulsioni, è lascivo, diretto da Eros all’inseguimento delle belle ninfe, molto legato alla natura, facente parte del lato bestiale di Dioniso. Prova la pittura d’influenza “impressionista” in due quadri ( Bambini con la slitta e Caccia allo struzzo) che saranno acclamati dalla critica dell’epoca. Considerate oggi come anodine queste opere fanno sorridere e mostrano a che punto i gusti sono versatili in materia di moda. Ritornerà dopo questa parentesi al suo stile originario con la rappresentazione di Elena di Troia e delle tre divinità Atena, Era e Afrodite che concludono degnamente una carriera folgorante prima di spegnersi un 30 agosto  del 1928.
Traduzione e ricerca iconografica a cura di Harm Wulf.

Bibliografia selettiva:
Eva Mendgen “Von Stuck” Ed. Taschen, 1995
Heinrich Voss “Franz Von Stuck werkkatalog der gemälde“ Ed. Prestel, 1993

Musei
Museum Villa Stuck Prinzregentenstr. 60 D -81675 München
Tel.: 089 45 55 51 25 Fax: 089 45 55 51 24
E-mail: villastuck@muenchen.de
Orario di apertura da martedì a domenica dalla 10.00 alle18.00

Museum Geburtshaus Franz von Stuck Kirchplatz 4 D - 94167 Tettenweis
Tel: 08534/1299 Fax: 0851/9293949
E-mail: info@woerlen.de
Orario di apertura dalle 14.00 alle 16.30 chiuso il lunedì e il martedì

Mostra al Mart Trento, (Palazzo della Albere, Via Roberto da Sanseverivo 45, 38100 Trento) 
dal 11/11/2006 al 18/3/2007.
"Franz von Stuck. Lucifero moderno - Moderner Luzifer"
Orari martedì-domenica 10.00 - 18.00, chiuso il lunedì. Informazioni e prenotazioni numero verde: 800 397 760. Ingresso intero: 5 euro
E-mail: info@mart.trento.it 
www.mart.trento.it

Opere di von Stuck al sito: http://www.artmagick.com/paintings/date/stuck.aspx

Articolo dal n. 16 hiver 2003 di Réfléchir & Agir. Revue autonome de désintoxication idéologique.
Indirizzo :
Réfléchir & Agir c/o CREA
BP 227
F – 31004 Toulouse Cedex 6
http://reflechiretagir.chez.tiscali.fr/
E-mail: reflechiretagir@fr.st


L’afflizione dei Nibelunghi,1920, Collezione privata - Nemici da ogni lato, Bronzo, 1914


La Caccia Selvaggia, 1889 Stadtliche Galerie Lanbachhaus, Monaco


- Il Peccato,1908 Neue Pinacothek Monaco oggi alla Galleria d'arte moderna "Empedocle Restivo" Palermo
- Pan suona il flauto, 1920, Collezione privata

Amazzone ferita, 1904, Van Gogh Museum, Amsterdam - Franz von Stuck

 
   
 

Un inedito: Ma déclaration des droits de l’homme
Chard o la cortesia della disperazione

Françoise Pichard detta Chard è sicuramente uno dei migliori disegnatori d’Europa. Certamente notevolmente superiore ai vari Forattini e Giannelli in circolazione in Italia. Jean Raspail, lapidario, ha scritto di lei: “ Molto più dei suoi colleghi, e io credo pressoché sola nella sua specie, Chard ha il tratto adatto ai tempi che noi francesi viviamo. Un tratto nero, caustico, spietato, talvolta tragico. Ma spesso un tratto geniale.” La sua scarsa fama, come disegnatrice di satira politica, è da attribuirsi solamente alla sua scomoda e scorretta collocazione politica. Nata negli anni ’40 in un villaggio del Loiret, debutta nel 1968 sul settimanale francese Rivarol che ha compiuto 50 anni di gloriosa attività nel 2001. Oltre a quest’impegno settimanale, Chard è nel comitato editoriale della rivista, dal 1982 disegna con cadenza giornaliera sul quotidiano Présent. Periodicamente escono suoi libri a fumetti, volumi illustrati e raccolte dei disegni satirici pubblicati dalle riviste su cui esprime il suo talento geniale. Un inedito di Chard è appena uscito: Ma déclaration des droits de l’homme. Quelle che seguono sono la prefazione di Camille Galic del volume La France métisse de A à Z seguito ideale del famosissimo e purtroppo esaurito l’ABC de la société plurielle apparso, con grandissimo successo nel 1987, e la presentazione dell’ultimo libro Ma déclaration des droits de l’homme di Marcel Signac.

Dalla società plurale alla Francia meticcia
“Nel 1987 quando un primo ministro chiamato Chirac, capitolò totalmente davanti alle lobby immmigrazioniste e rinunciò alla riforma del codice sulla questione della nazionalità, formalmente promessa ai suoi elettori, Chard tirò fuori il suo bazooka miniaturizzato: un ABC de la société plurielle, edito molto artigianalmente in formato di agenda e assai diffuso grazie al suo basso costo –10 solamente franchi per esemplare. Il successo fu immediato e l’ABC andò rapidamente esaurito nonostante ne fossero state stampate diverse migliaia di copie. E’ vero che molti lettori ne acquistarono diverse copie per diffonderlo tra amici e conoscenti. Qualche abbonato ancora ci chiede l’ABC, dovremmo ristamparlo? Era un mio desiderio ma questa soluzione facile fu rifiutata drasticamente dalla mia coimputata preferita che è anche la mia più cara amica – strana amicizia d’altronde, allo stesso tempo lontana e unita: noi ci vediamo molto raramente, non ci diamo mai del tu malgrado trent’anni e più di osmosi ideologica ma Rivarol non sarebbe quello che è senza le nostre quotidiane ed interminabili conversazioni telefoniche su tutti gli argomenti, dall’umore del gatto alla guerriglia delle FARC colombiane, dall’ultima di Chirac alle storie di M. Houellebecq. Françoise aveva ragione, una volta di più. La Francia ha subito negli ultimi quindici anni la più grave rivoluzione etnica della sua storia. La società plurale ha ceduto il passo ad una popolazione meticcia in cui, bene o male, gli indigeni vivono al ritmo dei loro occupanti. Chi si ricorda che all’inizio di quest’ottobre 2002 tutta l’attualità era dominata da tre diversi episodi emblematici: la sparatoria di Dunkerque dove un piccolo bianco esasperato, la cui amica era stata importunata da dei magrebini, ha fatto fuoco su un gruppo d’immigrati uccidendo un marocchino; la morte dell’algerina Sohane bruciata viva in un locale dal suo amico Djamal e il tentativo d’assassinio del sindaco di Parigi effettuato da un algerino razzista ed omofobico prontamente qualificato come squilibrato. Questo è il panorama della nuova Francia, che non ha più nulla della dolce provincia, e che Chard ci presenta oggi non solo con il suo talento e la sicurezza del segno ma anche con estrema lucidità, la vista profetica che fa la sua “unicità” direbbe M. Klarsfeld. Certe sue illustrazioni possono apparire esagerate – caricaturali – ma questo già accadde con l’ABC; oggi, dopo tre lustri, le scene descritte sono divenute banalmente quotidiane. Vedetta infaticabile, Chard ci avvertiva “Attenzione, terreno pericoloso” quando l’ideologia dominante ci abbagliava con l’immagine di un giardino dell’Eden in cui il latte della tenerezza umana si univa armoniosamente al miele che ciascuno avrebbe estratto dalle culture “altre”. La parola d’ordine non era allora “Arrichitevi delle vostre differenze” in un integrazione per definizione ideale? Ora sapete dove ci ha portato questo irenismo. Certo il peggio non è sicuro ma è meglio evitare di mettersi gli occhiali rosa quando la lotta per la sopravvivenza è di questo tipo. Il nuovo album di Chard è una radioscopia della Francia. Se non si terrà conto della sua diagnosi, bisognerà certamente parlare d’autopsia”. Insomma La France métisse de A à Z è un concentrato esplosivo. E’ il più bel regalo di Natale che potete fare ad amici e conoscenti perché aprendogli gli occhi li aiuterete ad affrontare il mondo.

Chard : Ma déclaration des droits de l’homme
di Marcel Signac
Se fossi librario metterei il nuovo libro di Chard nella categoria “trattati di Diritto Costituzionale”. La caratteristica dei grandi umoristi e proprio, in fondo, la loro serietà: un buon fumetto non si accontenta di far ridere, vuole anche far riflettere ed è perciò che il suo autore resta nella memoria. Qui la nostra autrice scuote la testa: la “Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo” adottata dall’ONU nel 1948, è il principio supremo di ciò che gli studenti chiamano con irriverenza il “Droit con” (Diritto costituzionale e libertà pubbliche”), insomma: il decalogo della religione laica e obbligatoria dell’umanità liberta da tutte le catene del passato; è in rapporto a questa che devono essere giudicate le Costituzioni di tutti i paesi. Dopo i 45 disegni di Chard, queste nuove Tavole della Legge sono messe molto male. Alcuni dei temi toccati dal libro: la satira colpisce equamente dappertutto, i Beurs della banlieu come gli ebrei in Palestina, usi del terzo mondo e arroganza occidentale, già il primo dei disegni ci mostra subito il bambino che appena nato si oppone alla morale internazionalista. In questa disamina illustrata alfabetica o piuttosto per articoli si analizzano tutti gli aspetti, magistratura, sindacato, parassiti della funzione pubblica (rappresentata con un petto nutriente dai molteplici seni come l’Artemide d’Efeso), leggi penali retroattive, “diritti della donna” nell’Islam – con una menzione particolare per l’articolo 9, dedicato al revisionista Zündel, e il 25-2 sull’aborto. Ciò che il libro colpisce senza tregua è l’ipocrisia. Si sa bene che l’ideale non è mai realizzato sulla terra; ma ciò che è intollerabile è la menzogna cinica. Bardèche diceva: “ Quando Brenno mise i suoi pesi sulla bilancia disse Vae victis, almeno non pensava d’esser Salomone”. Non è una novità: quando alla scuola primaria si doveva ingurgitare il catechismo laico sulla nostra immortale rivoluzione, mio padre mi obbligava a recitarlo con severità, poi, quando finivo per saperlo a memoria concludeva: “ E soprattutto ricordati che non è vero!” Il gioioso gioco al massacro di Chard su soggetti vari è introdotto da una bella ed interessante prefazione di Ghislain de Diesbach. Ci sono altri modi per criticare la nostra Legge suprema: recentemente mi hanno mostrato una carta igienica in cui ogni foglio portava stampato in articolo della Dichiarazione dei Diritti del 1789. Sicuramente un modo meno argomentato certamente meno artistico – non ho ancora parlato del tratto di Chard, né della sua capacità di rappresentare col disegno tipi umani e sociali, ma queste sue qualità, i lettori di Rivarol, le conoscono da molto tempo.
Rivarol che ha compiuto 50 anni di gloriosa attività nel 2001. Così lo descrive una recente manchette pubblicitaria apparsa sui giornali: Rivarol, settimanale dell’opposizione nazionale ed europea. 52 anni e tutti i suoi denti! 63 sequestri e 23 processi sotto De Gaulle, 14 processi sotto Gayssot (nome dell’autore della legge antirevisionista francese). Lanciato nel gennaio del 1951 dal gruppo fondatore della rivista Ecrits de Paris al quale si erano aggiunti le giovani promesse Antoine Blondin, Julien Guernec (François Brigneau) et Maurice Gaït (condiscepolo di Maurice Bardèche e di Pompidou all’Ecole Normale Supérieure), Rivarol ha festeggiato il 27 gennaio 2001 il suo cinquantesimo anniversario. Mezzo secolo di combattimento incessante contro l’impostura, la disinformazione, i potentati dominanti e per la salvaguardia della nostra memoria, 2500 settimane di revisionismo a 360 gradi che non hanno mai smussato gli artigli e i denti di un équipe, oggi diretta da Camille Galic, sempre rinnovata. E sempre sotto assedio avversario come testimoniano la dozzina di processi intentati quest’ultimo anno da Mrap, Licra, Ligue des Droits de l'homme e dalle altre lobby mondialiste con lo scopo esplicito di distruggere questo giornale troppo attento alla sopravvivenza del mondo europeo. Cinquantenario ma sempre giovane, Rivarol mantiene la rotta con i disegni di Chard, la più caustica e perseguitata stampa europea, gli editoriali e le cronache di A.G.D., d’Angelelli, di Moudenc, di Belesta, di Petrus Agricola e del misterioso Souriceau che vi mostra, con ironia devastante, i retroscena più nascosti. (Ri)scoprite la vita, nelle edicole ogni venerdì o per abbonamento. Ben venuti nel club dei malpensanti, fieri d’esserlo!

Di Chard sono stati pubblicati:
Anne- Marie Javouhey, Ed. Fleurus, 1979.
Au fil de L’acheron, Ed. Cahiers du Tartare, 1980.
Jeanne Delanoe Ed. Fleurus, 1980.
Le Chardnaval de la Cinquiéme Ed. Tuileries, 1982.
Le Pére Brottier Ed. Médialogue, 1983.
Nicolas Roland Ed. Univers Media, 1984.
Le Pére Dehon Ed. Fleurus, 1984.
Le Chardnaval socialiste Ed. Tuileries, 1986.
Chard à la une de Présent Ed. DMM, 1986.
Le Chat maltais Ed. Bédésup, 1987.
ABC de la société plurielle Ed. Tuileries, 1987.
Le 14 juillet 1789 Ed. Présent, 1989.
La revolte de Créve-Bouchure Ed. Le Triomphe, 1989.
Chard…gez! Ed. Nationales, 1991.
Le roman noir du Mètropolitain Ed. Libre Opinions, 1994.
20 ans de malheur Ed. Tuileries, 1995.
Profanation Ed. Aencre, 1996.
De droite à gauche Ed Tuileries, 1997.
La France métisse de A à Z Ed. Tuileries, 2002.
Chirac contre les fachos Ed. Tuileries, 2003.
Ma Déclaration des Droits de l’homme Ed. Tuileries, 2005

Ma Déclaration des Droits de l’homme, 12 euro comprese spese di spedizione. E’ possibile richiedere la dedica personalizzata dell’autrice. La France métisse de A à Z, 7 euro comprese spese di spedizione. E’ possibile richiedere la dedica personalizzata dell’autrice.

Per tutte le richieste scrivere a:
Éditions des Tuileries Rivarol Hebdomadaire de l'opposition nazionale et européenne 1, rue d'Hauteville
F - 75010 PARIS Tel. : 01-53-34-97-97 Fax : 01-53-34-97-98
contact@rivarol.com
http://www.rivarol.com

Tutti i libri di Chard, compresi i più vecchi, e moltissimi altri fumetti e testi dell’editoria non conforme possono essere ordinati al sito http://www.libre-diffusion.com/
Disegni di Chard nel “Prontuario del revisionista olocaustico” Ed. Effepi, 2004
Richiedere a Effepi E-mail: effepiedizioni@hotmail.com http://www.angelfire.com/rnb/effepi/catalogo.htm
Telefono: 010-642 3334  -  338-9195220

 
   
 

King Konk è vivo!
Il sistema non ha vinto!

Konk è senza alcun dubbio uno dei migliori
caricaturisti di tutti i tempi, un vignettista senza pari dall’umorismo devastante (giudicate voi stessi…).
Proprio poco tempo fa, Patrick Besson gli rendeva
un caloroso omaggio nella sua rubrica “bloc-notes”
su “Le Point”. Passato dall’estrema sinistra all’estrema
destra, quale misterioso segreto ha dunque scoperto
King Konk per fare questo lungo viaggio?
“R&A” ha indagato

 

R&A: Konk, Lei è nato a Rennes nel 1944. Che cosa è accaduto dopo…?
Konk: Io sono un figlio dell’assistenza pubblica. Sono stato abbandonato alla nascita e sono rimasto presso l’assistenza pubblica fino all’età di 10 anni. Poi sono stato adottato da dei genitori straordinari. A scuola ero piuttosto somaro eccetto che in disegno e in francese. Sono arrivato fino alla maturità che non ho nemmeno conseguito perché il giorno degli esami sono andato al salone dell’aeronautica! Non avevo un mestiere e siccome sapevo disegnare… Mi è sempre piaciuto disegnare sin dall’infanzia. Al termine del servizio militare, nel 1964 (non ho fatto la guerra d’Algeria), ho fatto 36 piccoli lavori diversi (commerciante di formaggi, di aspirapolvere, …). Mi sono ritrovato poi alle edizioni Presses de la Cité dove dapprima ho impacchettato i libri poi ho lavorato nel laboratorio in cui si facevano  bozzetti. È stato in quel momento che ho cominciato a disegnare come lavoro. Ho fatto delle copertine di libri. Poi ho lavorato presso un altro editore, Emmanuel Bourgois. Ho inviato allora i miei primi disegni a “L’Express”, a Tim. È stato Tim a ricevermi. Poveretto, oggi deve rivoltarsi nella tomba… È stato lui a lanciarmi. Mi ha dato una mano eccezionale mandandomi a “Le Monde”. Jacques Fauvet (che aveva appena preso il posto di Beauve-Méry) cercava un vignettista. Fino a quel momento io avevo pubblicato poco, a parte una serie sulla conquista dello spazio, mio primo lavoro. Era un favoloso colpo di fortuna ritrovarmi a “Le Monde” per esordire! Non avevano vignettisti, dal momento che Folon aveva fatto solo qualche vignetta… Anche Tim ma lui aveva un buon posto a “L’Express” e voleva rimanerci. Io sono rimasto a “Le Monde” 4-5 anni. Era un po’ una bella favola, guadagnavo bene. E poi dato che all’epoca ero di sinistra, ho voluto mettere insieme una cooperativa operaia… Costituisco un’impresa di pitture edili. Facevo soprattutto uffici nella città di Parigi. Il problema era che avevo una visione un po’ semplicistica delle cose. Io ero sempre molto meno caro dei concorrenti dunque alla fine avevo lavoro e 17 dipendenti! Tutto ciò andava bene finché non pagavo tasse e poi quando mi sono messo a fare un po’ di conti, ho fatto fatica a pagare le tasse e ci ho messo 2 anni a pagare l’URSSAF (rete di enti parastatali francese che percepisce i contributi previdenziali destinati a finanziare la previdenza sociale generale – NdT) dopo i miei due anni di avventura industriale!

R&A: È un po’ il LIP (nella nota fabbrica di orologi di Besançon, dove nel 1973 fu messo in atto per alcuni mesi un tentativo di autogestione – NdT)  di Konk!
Konk: Sì (ride)! Nel 1975 sono quindi ritornato a bussare alla porta de “Le Monde” e mi hanno ripreso subito. Ci sono rimasto fino all’arrivo della sinistra nel 1981.

R&A: Lei ha votato Mitterrand nel 1981?
Konk: Certamente! Dal 1975 al 1981, tutte le mie vignette erano a favore della sinistra. Pestavo su Giscard più che potevo. Per farla breve, io faccio parte di coloro che hanno preparato (modestamente) la vittoria della sinistra.

R&A: Oggi, Lei rinnega quelle vignette?
Konk: Non particolarmente. Sono un criticone professionista. Una volta che la sinistra è arrivata al potere, ho continuato a criticare liberamente la sinistra così come criticavo la destra. Fauvet e gli amici al giornale mi dicevano che bisognava dar loro tempo. Stava diventando un po’ pesante per me. Dunque, me ne sono andato.

R&A: Non è ancora l’episodio revisionista…
Konk: No, ma è in quel periodo che si è incominciato a parlarne. Non era un tabù all’epoca. C’era un vero e proprio dibattito. Non era stato ancora messo sotto chiave. Era stato addirittura un amico ebreo che me ne aveva parlato e che mi aveva fornito i primi libri di Faurisson. Io ero già molto antisionista e facevo delle vignette filo-palestinesi che mi erano valse un graffiti “Konk=SS” sulla porta de “Le Monde”. Poi ho lavorato presso “Le Matin” fino alla sua chiusura.

R&A: E Lei era più libero a “Le Matin” che era quasi il quotidiano del PS all’epoca!
Konk: Si, perché non facevo vignette politiche. Ho fatto un fumetto sulla Preistoria, abbastanza sciocco, se ci ripenso… Dopo “Le Matin”, ho passato dei periodi di disoccupazione. Poi mi sono ritrovato a “L’Evènement du Jeudi” che prendeva avvio con Jean-François Kahn. Avevo tutta una pagina di vignette politiche e di attualità.

R&A: Perché se n’è andato visto che “L’Evènement du Jeudi” non ha chiuso i battenti
Konk: C’è stato il processo Barbie. Io ho fatto una vignetta con un nazista dietro a dei reticolati e una croce uncinata cucita sul suo pigiama. Ciò ha creato delle storie. Kahn me l’aveva comunque lasciata passare. Ma i suoi più stretti collaboratori mi hanno cacciato via (soprattutto Held). Fu un po’ una vita da galera per qualche tempo. Per di più, avevo fatto un album da Albin Michel (Aux Voleurs) dove, proprio alla fine, avevo disegnato due pagine sul revisionismo. Da Albin Michel non avevano fiatato e tutto a un tratto qualcuno ha scoperto che c’erano quelle due pagine. Ho potuto difendermi su una pagina di “Libération”, cosa che oggi non succederebbe proprio più. Sono poi stato a “Valeurs Actuelles” e poi a “Le Figaro”. Era Franz-Olivier Giesbert che voleva che lavorassi con lui. Ero lì per prendere in seguito il posto di Faizant (che era già anziano), un po’ il pupillo… Ho lavorato lì per due anni e poi al momento dell’affare Rushdie, non potendo tacere, ho lanciato un comunicato dicendo che non si faceva tanto chiasso per la libertà di parola e di espressione degli storici revisionisti. Un’ora dopo aver spedito questo, Giesbert mi telefonava per dirmi che aveva bloccato la cosa. È abbastanza straordinario del resto: il padrone de “Le Figaro” può fare qualche telefonata alle agenzie di stampa e insabbiare l’affare. Giesbert mi ha vietato di pubblicare sul giornale per tre settimane…

R&A: In castigo, in un angolo come all’asilo infantile!
Konk: Sì, proprio così! Ho ripreso le mie vignette. E sei mesi dopo, avevo appena letto il Rapporto Leuchter e ho inviato una lunga lettera a Giesbert per dirgli che era assolutamente necessario che ne parlasse. E lì è finita per sempre! Giesbert mi ha ricevuto nel suo ufficio e mi guardava come un adepto di una setta, come il tipo che è stato appena avvelenato in Les cigares du Pharaon (album di fumetti con al centro il personaggio di Tintin – NdT)!

R&A: Il veleno del rajah aveva colpito ancora!
Konk: (ride) Sì ed è vero che Giesbert aveva comunque cercato di tirarmi fuori dai guai. A quel punto deve aver pensato che ero irrecuperabile. Io perdevo ovviamente molto. Mai ero stato pagato così bene (probabilmente quattro volte quello che guadagno oggi). Vivevo veramente bene. E allora sono arrivato a “Minute” e “National Hebdo”.

R&A: Le persone a Lei vicine, i Suoi figli gliel’hanno rimproverato?
Konk: I miei figli lo trovano coraggioso. Mi capiscono.

R&A: Ha dei rimpianti? Oppure oggi lo rifarebbe?
Konk: Non posso fare a meno di dire quello che penso.

R&A:  Essere libero…
Konk: Sì, sono meno retribuito ma più libero di un Plantu, per esempio, che sottopone ad approvazione tutti i suoi disegni, che lavora su vignette imposte, che si auto-censura…

R&A: Il fumetto La attira?
Konk: Ne ho fatto uno o due. In Histoire d’amour, mi raccontavo un po’. Era apparso un’estate su “Le Monde” poi l’aveva pubblicato Albin Michel. L’eterno tema dei rapporti uomini-donne m’interessa molto. Altrimenti nel fumetto, mi piaceva molto Reiser, già il suo disegno. E poi penso che forse sarebbe passato dalla nostra parte. Non seguo l’attualità del fumetto. Sono rimasto a Tintin, Asterix, Franquin.

R&A: Quali sono gli altri Suoi passatempi preferiti a parte il disegno?
Konk: In realtà, la mia passione è la tecnica! In questo momento, sto cercando di fare un’auto volante. Ho fatto tre automobili…

R&A: È la sindrome di Leonardo da Vinci!
Konk: (ride) No, perché non riesco a far volare la mia autovettura. Ma la tecnica mi ha sempre appassionato. Tutto il mio denaro è andato a finire lì. Per fare i miei prototipi. Ho trasformato una R5 in una specie di bomba. Poi ho fatto una piccolissima automobile che viaggiava comunque a 160 km/h.

R&A: Solo per divertirsi?
Konk: No, no, la mia ambizione è sempre stata quella di diventare un industriale.

R&A: È vero che si ha l’impressione che il disegno sia qualcosa che Lei fa perché non ha nient’altro da fare…
Konk: Ah sì, ciò mi fa andare su di giri. Se mi qualcuno mi compra un brevetto [industriale] importante, smetto subito. Ma, forse che, dopo tre mesi senza disegnare, il disegno mi mancherà! Dire quello che penso è importante per me. Questo lavoro fatto liberamente è comunque straordinario. Che privilegio!

R&A: E Lei come lavora? Segue attentamente telegiornali e giornali radio?
Konk: Sì, ma l’essenziale è rimanere nel mondo reale. È molto importante conservare il punto di vista del tipo medio che rientra dal lavoro e che ascolta le notizie alla televisione e reagisce in proposito. Se no, la spontaneità è repressa.

R&A: Suppongo che lei decripti le attualità per la loro parzialità…
Konk: (ride) Passo il tempo a soffrire davanti alla radio o alla televisione. Il mio sogno è di fare un libro dove reagirei avvenimento per avvenimento nell’arco di una sola giornata! Ascolto il notiziario delle 13h alla radio e delle 20h alla televisione.

R&A: Gli umoristi del passato o attuali hanno un’influenza su di Lei?
Konk: Un’influenza non so ma amavo molto Coluche. Non era poco. Come Reiser, io sono sicuro che quel tipo lì avrebbe finito per unirsi a noi o dire qualcosa. C’erano molte cose viste bene. Idem per Le Luron che aveva una bella faccia tosta: far cantare “L’important c’est la rose” a una sezione del PS o la sua canzone di Brel (“Ces gens-là”) su Fabius. Oggi si ritroverebbe in galera! Non amo molto le trivialità, le volgarità scatologiche delle “Grosses Têtes” (trasmissione della stazione radio francese RTL – NdT)  per esempio. Guardi, persino Bedos mi ha fatto ridere all’inizio con la Daumier e la sua naturale cattiveria.

R&A: Politicamente, Lei è cambiato? Lei ha un sentire diverso da quello del ragazzo che era?
Konk: Sì, probabilmente.

R&A: Oggi, che cosa La scandalizza di più?
Konk: Mi veniva voglia di dire che non ammetto che si resti di sinistra quando non ci si crede più. O che uno resti vescovo quando non è più credente. Un individuo di 50 anni sa molto bene che il socialismo è un truffa. Ma io capisco che si abbia voglia di essere socialisti a 20 anni. È normale, è idealismo. Ma alla mia età, quando si sa che non funziona, trovo che sia schifoso dire che può funzionare.

R&A: Ma si può ancora credere nella destra, in Sarkozy o Chirac oggi?
Konk: Ma quelle persone sono socialisti che non sanno di esserlo! D’altronde, che cosa ha fatto Sarkozy a parte far politica. Tutti quei tipi lì sono dei professionisti della politica. Non hanno mai fatto altro. Sono completamente avulsi dal reale!

R&A: Allora perché i Francesi continuano a votare per loro?
Konk: Grazie alla televisione, ai notiziari ecc…!

R&A: Quando si vede tutto ciò che succede con l’immigrazione, l’insicurezza, la disoccupazione, il denaro pubblico mal gestito…  Lei capisce che i Francesi non si ribellino di più?
Konk: È un po’ incomprensibile per me. Io mi stupisco che non ci si ribelli di più.

R&A: I problemi dell’immigrazione, Lei che cosa ne pensa?
Konk: Ah, io sono assolutamente contro l’immigrazione. Sono d’accordo con Le Pen. Credo che un paese debba preservare le caratteristiche dei suoi abitanti. È la legge della vita, come nella natura.

R&A:  Come vede Lei il futuro in Francia e in Europa?
Konk: La situazione è male avviata ma spero che non tutto sia perduto. Sono abbastanza pessimista a meno che Le Pen arrivi al potere.

R&A: Il FN, Le Pen, Lei ci crede?
Konk: Sì, comunque. Per quanto, a volte, io non sappia più veramente. Un vignettista è un po’ come un avvocato, al servizio del cliente. Ciò detto, io voto le Pen. Mi sembra di sentirmi ancora suonare il claxon al Bois de Vincennes nel 1981 per la vittoria di Mitterrand. E nel 2002, ho vissuto una deliziosa serata la sera del primo turno delle presidenziali. Per il FN, io divergo un po’ da loro perché non sono per la sicurezza estrema (io ho un temperamento piuttosto anarchico). Non ammiro l’esercito. Non sono nemmeno favorevole alla pena di morte.

R&A: La questione del revisionismo sembra essere cruciale ai Suoi occhi. Perché?
Konk: Perché è la chiave di tutti gli avvenimenti da 60 anni a questa parte. Ed è allucinante e sintomatico che non se ne possa nemmeno parlare o dibattere. È il solo argomento in questo caso, non ne vedo un altro che comporti questo interdetto totale. È ancora una volta una confessione.

R&A: Se Lei dovesse conservare solo un libro, un disco e un film?
Konk: È dura, ce ne sono così tanti! La promessa dell’alba di Romain Gary, un disco di Brassens (avrei potuto dire Brel oppure Né en 17 à Leidenstadt di Jean-Jacques Goldman!!!) e In famiglia si spara (film con l’attore Lino Ventura diretto dal regista Georges Lautner – NdT).

a b

Legenda vignetta a : “Mi ricordo bene. Apparteneva a mio nonno”.
Legenda vignetta b: "Vi resta un quarto d'ora per autorizzarci a fare la guerra!"

c

Legenda vignetta c: "Siete liberi!"

KONK Tout le monde il est français. Edizioni Auda Isarn, 2006, 28 euro spese postali comprese. Il libro può essere richiesto a: Auda Isarn, BP 90825, F 31008 Toulouse cedex 6 http://www.reflechiretagir.com/auda.html

Konk uccide. Il numero delle sue vittime morte dal ridere si contano a milioni. In quarant'anni questo disegnatore geniale ha lavorato per L’Express, Le Monde, Le Matin de Paris, L’Evènement du Jeudi, Le Figaro, Valeurs Actuelles, National Hebdo. Una discesa agli inferi che lo ha poco a poco ricondotto nel campo della libertà. Indifferente agli onori ed al guadagno, qualità rara al giorno d'oggi, Konk continua a disegnare spavaldamente quello che pensa sugli argomenti più che mai divenuti tabù: l'immigrazione, la mancanza di sicurezza, i tartufi di sinistra e di destra, la lobby che non esiste e che tutto controlla, il mondialismo e il suoi Frankenstein di Bruxelles,... Più di trecento disegni per un piccolo viaggio verso la fine della Francia che ci fa comprendere, tra il fragore delle risate, la misura della decadenza attuale. Fortemente scosigliato per piagnoni ed etnomasochisti.
Bisogna ancora ripetere che un album di Konk è un evento? No, senza dubbio. Ma conviene segnalare e raccomandare particolarmente questi 300 disegni al vetriolo rilegati in un lussuoso album all'italiana, rilegato, cartonato su carta patinata da 135 grammi. (Alain Sanders, Présent)
Prima di ritirarsi nel deserto, Konk è stato il miglior disegnatore francese. Profondamente originale e di molto superiore a Plantu, prima che Le Monde, per cui lavorava, si sbarazzasse di lui terrorizzato dalla sua attenzione verso il revisionismo. Proveniente dalla sinistra estrema il paria si ricicla a Minute e National Hebdo. Per tutti coloro che si lamentano di non trovarlo più nelle colonne di questi settimanali, una gran consolazione: Tout le monde il est Français, una selezione di 300 disegni al vetriolo, lussuosamente presentati in un albun cartonato. Un cadeau di Natale ideale per risvegliare gli addormentati! (Rivarol)
Konk non ha eguali nel mettere a nudo le imposture del sistema e nel provocare una risata devastante. (Dominique Venner)
Un nuovo album di Konk è un avvenimento nouvel album de Konk, c’est un événement. Konk va sempre al nocciolo e con un solo disegno scopre le menzogne e le imposture, mostra l'assurdità ed il non senso dell'ideologia dominante. Fa saltare in aria le statue raggrinzite del pensiero unico col gran fragore del riso. Ma è un riso amaro. Poiché mette a nudo, scolpendola, una realtà che non è veramente divertente. In breve è una vera enciclopedia della multiforme sovversione che distrugge la Francia. Spesso è un riso di disperazione ma anche un riso che restuituisce la speranza, che ridà il coraggio per ricominciare la lotta. Questo album, egregiamente stampato, in carta patinata da 135 grammi, con una robusta copertina cartonata, è un'arma di distruzione di massa.Da diffondere senza limitazioni. (Yves Daoudal, National Hebdo)

Il sito ufficiale dell'artista è http://www.konk.org Il suo blog http://www.konktextes.over-blog.com/ Una copiosa raccolta di disegni al sito http://dessins.de.konk.free.fr  Vignette di Konk sono presenti nel "Prontuario illustrato del revisionista olocaustico", Edizioni Effepi, 2004, 8 euro, http://www.effepiedizioni.com/
Bibliografia
Konk, Auto défense de Paris, Editions Ouvrières, 1973
Konk, Konk, Editions Ouvrières, 1973
Konk, Dessins - documents 74-75, Supplément aux Dossiers et Documents du Monde, 1975
Konk, Konk 2e vol., Editions Ouvrières, 1976
Konk, Konk deuxieme recueil, Editions Ouvrières, 1976
Konk, Demandez les programmes, Editions Minoustchine, 1977
Konk, Vive le nucléaire, Albin Michel, 1981
Konk, Histoire d'amour, Albin Michel, 1984
Konk, Aux voleurs, Albin Michel, 1986
Konk, Des sous! du temps!, Editions Denoël, 1989
Konk, 1789, Editions Denoël, 1989
Konk, Konk deuxieme recueil, Editions De l'Atelier, 1989
Konk, 1989 konk, Editions Denoël, 1990
Konk, Politiquement Incorrect, SANH/François Laurent, 1997
Konk, Pour la vie, Editions "Le Courrier de la Liberté", 2006 
Konk, La faillite, Editions "Le Courrier de la Liberté",  2006
Konk Tout le monde il est français. Edizioni Auda Isarn, 2006

Gli ultimi tre volumi sono disponibili presso l'autore al sito http://www.konk.org  Per gli altri bisogna esser fortunati e cercare in: www.amazon.fr 
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Intervista a Konk apparsa sul numero 17 della rivista francese  Réfléchir & Agir Revue autonome de désintoxication idéologique – Primavera 2004, pp. 40-43.
Réfléchir & Agir  c/o CREA, BP 80432, F - 31004 Toulouse cedex 6; contatto: reflechiretagir@fr.st sito internet http://www.reflechiretagir.com/


Foto: Konk a bordo dell’autovettura da lui stesso ideata e realizzata