"Afghanistan. C'è un aggettivo che, da ormai più di dieci anni, accompagna inesorabilmente il nome di questo Paese. L'aggettivo è: dimenticato. L'Afghanistan dimenticato. Un non luogo".
Vauro
Alcuni mesi prima degli attentati dell'11 settembre 2001 (che offrirono il pretesto agli Stati Uniti per scatenare la (programmata) aggressione su Kabul), Giulietto Chiesa (stimato giornalista, già corrispondente da Mosca de "La Stampa") e Vauro (vignettista de "il manifesto") effettuarono un viaggio nell'Afghanistan dei Talebani. Questo libro - i cui diritti d'autore sono destinati a Emergency, l'associazione umanitaria fondata da Gino Strada per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo - ne raccoglie l'appassionata e coinvolgente testimonianza.
"Le origini sociali dei taliban sono poverissime - ha dichiarato a Vauro il rappresentante "afghano" della Bridas (multinazionale del petrolio argentina), Sabjar Latif -. Per loro un pugno di riso era un sogno, non avevano mai conosciuto l'energia elettrica. La condizione miserabile nella quale vivono e fanno vivere Kabul è comunque un miglioramento rispetto al loro precedente modo di vita. Perché dovrebbero temere le sanzioni? Non gli importa niente di quello che potrebbero perdere: il caffè, quel poco di sistema elettrico che è restato? Ne possono benissimo fare a meno".
"Nessuno dei lumi - scrive Chiesa -, che da trecento anni almeno rischiarano (e talvolta accecano) le menti degli uomini e delle donne occidentali, è mai giunto fino ai villaggi afghani. (…) Per esempio le donne - tutte le donne - afghane vivono tutta intera la loro vita (quella piccola parte che è consentita al di fuori della casa-fortezza in cui sono nate) sepolte sotto il burqa, a prescindere da dove si trovino [cioè sia nei territori controllati dagli uomini del mullah Omar sia in quelli sotto il dominio del generale Massud…]. I mujaheddin che [grazie all'appoggio ('interessato') della Cia, del Mossad, dell'Isi, etc.] sconfissero i sovietici (e che vennero reclamizzati in Occidente come combattenti per la libertà) non erano e non sono più "progressisti" - in questo senso - dei taliban che li sconfissero". Sonani Kolhatkar (vicepresidente dell'Afghan Women's Mission (Awm), associazione statunitense per la difesa delle donne afghane), peraltro, ha di recente ricordato che "il salvataggio delle donne afgane è stato [strumentalmente] usato prima dai russi [ai tempi dell'invasione sovietica dell'Afghanistan], poi dai signori della guerra mujahidin appoggiati dagli Stati Uniti, e infine dai taliban. La guerra statunitense contro gli afgani è diventata più simpatica agli americani dopo le dichiarazioni di Bush secondo cui i bombardamenti servivano a salvare le donne afgane" (cfr. "Internazionale" n.444, 5 luglio 2002).
Vauro ha raccolto la seguente riflessione da parte di Zoia, una donna afgana: "Se [i russi, durante la loro permanenza a Kabul] permettevano alle donne di frequentare l'università era per trasformarle in spie al loro servizio e anche in puttane, i russi offendevano profondamente il sentimento religioso della mia gente". "Ma - ha osservato il vignettista del "Manifesto" - se proprio quelli che si sono nominati custodi di quel sentimento, i taliban, hanno imposto una delle più feroci oppressioni delle donne che la storia abbia mai visto". E Zoia di rimando: "I fondamentalisti sono falsi religiosi, se li sono inventati gli americani e il Pakistan ha inventato i taliban che servono solo interessi stranieri". "E - ha chiesto ancora Vauro - l'alleanza del nord, i mujaheddin di Massud [quelli che oggi "governano" l'Afghanistan per conto degli Stati Uniti]?". "Uguali ai taliban - ha risposto la donna -, criminali come loro".
"Sotto le macerie della guerra combattuta - è l'amara conclusione di Vauro - ce n'è un'altra tra le multinazionali, tra gli interessi economici che vedono nell'Afghanistan un crocevia strategico per le loro politiche mondiali di dominio finanziario; il petrolio e il traffico di droga sono i perni intrecciati di questo Paese senza stato. Una guerra sotterranea, come le mine, e che come le mine reclama i suoi morti".
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