Fatti e misfatti delle privatizzazioni |
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Biagio Marzo | ||||
Marsilio, pagg.218, Euro 12,50 | ||||
In questo saggio, Biagio Marzo (già parlamentare socialista) ricostruisce l'itinerario del processo di privatizzazione che ha cambiato l'economia del nostro Paese e i suoi tratti distintivi. "Correva l'anno 1992 (precisamente il 2 giugno del '92) - scrive l'Autore - e al porto di Civitavecchia era ormeggiato il panfilo Britannia di sua maestà la Regina d'Inghilterra. Non stava lì per una crociera di piacere, ma per tutt'altro. A bordo salirono personaggi della politica, della finanza e manager pubblici italiani, perché invitati da una strana organizzazione interessata alla promozione di servizi immateriali, la British Invisible. Imbarcati gli illustri ospiti il panfilo iniziò la navigazione verso l'Argentario. Durante la navigazione si tenne una riunione sul tema delle privatizzazioni. Per gli inglesi c'erano la Banca Warburg, la Barclays e i vari studi di consulenza finanziaria e legale della City. Molto attivo tra gli invitati italiani fu Mario Draghi, un nome e una garanzia, allora direttore generale del ministero del Tesoro. Per via di questa crociera di lusso, si vociferò persino di un complotto dei banchieri della City per mettere in ginocchio l'Italia e comprarsela a prezzi stracciati". All'inizio degli anni Novanta, intorno alle privatizzazioni si creò "un clima di euforia, tanto che i più ostinati dirigisti dovettero ammettere che, dopotutto, quel modello di privatizzazione stava dando degli ottimi risultati. Dopodiché, il vento cambiò direzione e il processo di privatizzazione prese ben altra piega. Troppo presto si era cantato vittoria. Eppure, Tangentopoli aveva accelerato, tra l'altro, la sconfitta dell'economia pubblica e la vittoria del libero mercato. In quel periodo si inneggiava al nuovo e tutto quello che era vecchio, anzi antico, era da spazzare via. Si intendeva come nuovo l'economia privata e il libero mercato e, comunque sia, entrambi erano indicati come le architravi del buon governo e della trasparenza. Perciò, guai a parlare di enti pubblici e a partecipazione statale, visto che erano le greppie in cui mangiavano i partiti e la classe dirigente della Prima Repubblica. Un furore giacobino era dilagato in ogni angolo del Paese e chi ne faceva le spese era l'economia pubblica con gli annessi e connessi e, nello stesso tempo, la classe politica di maggioranza, entrambe accusate di aver accresciuto in modo esponenziale il debito pubblico, attraverso il sistema delle tangenti". Marzo ricorda che il Psi di Bettino Craxi era contrario "ai "saldi di fine stagione" dei beni dello Stato. In particolare, l'obiettivo era quello di non svendere i gioielli di famiglia, di dismettere i rami secchi, di dare inizio a una forte politica di risanamento, di aprire le aziende pubbliche e quelle a partecipazione statale al mercato, di stringere alleanze tra pubblico e privato e di avviare un processo di internazionalizzazione. [...] Va da sé che la posizione di Bettino Craxi non era dirigista tout court, semmai la si poteva definire neokeynesiana. Dopotutto il Psi faceva gli interessi dello Stato, attenendosi alle leggi approvate dal Parlamento. Di certo, non faceva sconti sulle privatizzazioni e sulle dimissioni". |