Iran
Emanuele Castelli
Sankara, pag.109, Euro 7,00
 
Dopo l'11 settembre 2001, l'Iran è tornato alla ribalta come componente di quell'"asse del male" che l'amministrazione Bush ha deciso di combattere nella sua lotta al cosiddetto "terrorismo internazionale". In seguito all'occupazione dell'Iraq, sono in molti a credere che il prossimo obiettivo della politica 'imperiale' degli Stati Uniti sia il Paese degli ayatollah, che d'altra parte già da diversi lustri figura sul "libro nero" di Washington.
Questo libro di Emanuele Castelli aiuta a capire con un excursus storico le molteplici identità di questo Paese e quale potrà essere il futuro dell'Iran, che deve fare oggi i conti non solo con l'evolversi della situazione internazionale ma anche con le istanze interne di una gioventù disillusa.
"Bastione americano" in Medio Oriente al tempo dello Scià di Persia, l'Iran ha assistito nel 1979 a una delle più grandi e imponenti rivoluzioni del XX secolo, quella ispirata dall'ayatollah Khomeini, che è successivamente sfociata in una Repubblica islamica a guida teocratica.
Tra i fattori principali che hanno garantito il successo della Rivoluzione islamica del 1979, l'Autore ravvisa "la cosiddetta <<American Connection>>, ossia il tentennamento di Washington che ha indotto via via lo scià alla paralisi". La caduta di Muhammed Reza è stata, dunque, provocata dal comportamento dell'amministrazione statunitense, "spesso incoerente e confuso", "dall'eccessivo focalizzarsi del dipartimento di Stato sull'astratto modello dei Diritti Umani, e in ultimo dall'inefficienza dei servizi di Intelligence che non hanno saputo né prevenire l'insurrezione né rimediare alla crisi".
"All'interno dell'amministrazione statunitense - aggiunge Castelli -, non solo da parte di Brzezinski, ma anche da una fetta consistente del Senato, si era già sviluppata una forte critica nei confronti dello scià e delle relazioni con l'Iran". Costoro vedevano con favore l'avvento in Iran di un regime "liberale e costituzionale", "che si facesse promotore dei diritti umani fondamentali".
In quel frangente, Muhammed Reza ebbe la percezione "di un supporto ambiguo e controverso da parte del governo di Washington". "Lo scià - osserva Castelli - era paralizzato, sospettoso. Già a partire dall'estate del 1978, quano la rivoluzione doveva ancora assumere connotati decisi, egli dichiarava di <<temere che l'America lo volesse far fuori>>".
"Fu a questo punto, e con il continuo aggravarsi della crisi, che un telegramma da Teheran, avente come mittente l'ambasciatore Sullivan e intitolato <<Thinking the Unthinkable>>, riportò la paralisi a Washington: Sullivan, affermando la sicurezza che le forze rivoluzionarie fossero fermamente anti-comuniste e che vi era la necessità di continuare a mantenere i rapporti con l'Iran, ventilava la possibilità che la situazione si sarebbe potuta risolvere passando dalla parte degli insorti. Khomeini, la cui verve politica non era ancora salita alla ribalta, poteva allora assurgere a leader, occupando quello che l'ambasciatore Sullivan definiva un <<Ghandi-like role>>". Sullivan non era il solo a pensarla in questo modo. L'ambasciatore americano all'Onu, Andrew Young, ebbe a definire Khomeini alla stregua di un "santo"; sul "New York Times", inoltre, un noto professore di storia mediorientale tesseva le lodi dell'ayatollah, celebrandone lo spirito di tolleranza (sic!)…
Il libro di Emanuele Castelli è pubblicato dalle Edizioni Sankara (tel. e fax 06/5138055 - E-mail: sankara@tin.it).