La politica araba di Mussolini
nella seconda guerra mondiale
Romain H. Rainero
Cedam, pagg.288, Euro 20,00
 
Questo documentato saggio del prof. Romain H. Rainero (docente di "Storia contemporanea" presso l'Università degli Studi di Milano) ricostruisce l'evoluzione dei rapporti dell'Italia fascista con il mondo arabo, mettendo a fuoco l'insieme delle dinamiche che, nel periodo culminante del secondo conflitto mondiale, ha portato l'Italia ad avere una "politica araba".
L'Autore ricorda come già "nella fase rivoluzionaria della sua attività politica" Mussolini "non fosse alieno [...] dall'evocare anche la questione dell'emancipazione nazionale dei popoli arabi. Dalla fondazione del suo primo movimento politico, il sansepolcrista, il 23 marzo 1919, Mussolini annoverava infatti, tra le questioni irrisolte dalla sistemazione versagliese, oltre alle mancate compensazioni politiche e territoriali all'Italia, pur compresa nell'ambito dei vincitori, anche l'egoistica spartizione delle egemonie mediorientali tra la Francia e la Gran Bretagna, spartizione che, oltre all'Italia, penalizzava gravemente gli arabi, cioè coloro che alla vittoria contro l'impero ottomano avevano dato un contributo decisivo".
Giunto al governo, il Duce "parve del tutto trascurare queste sue precedenti prese di posizione [...]. La politica estera che il regime prediligeva oscillava tra un ossequioso ricordo della grande alleanza di guerra con Londra e con Parigi, e quindi di intesa anche sul Medio Oriente, ed una ribadita delusione che il fascismo manifestava, in alterne occasioni, ma con toni piuttosto moderati, per i modesti benefici avuti dall'Italia dalla vittoria comune. Gli inizi di questa politica estera fascista rimangono dominati dagli orientamenti confusi, divisi tra una deferenza verso gli 'alleati' ed una rottura dei vecchi schemi del negoziato diplomatico".
Negli anni Trenta, osserva il prof. Rainero, "cominciarono ad essere più consistenti le iniziative che il regime fascista prese nel Mediterraneo ma il meno che si possa dire di queste è che la loro natura prevalente sia stata incerta e contraddittoria e forse anche solamente strumentale, alla mercè della 'grande politica' di rivalità e di concorrenza con Parigi e con Londra. [...] Ancora una volta si faceva una certa politica, la politica filo-araba, allo scopo di raggiungere obiettivi di politica estera di tipo più generale. Pertanto l'incertezza pareva regnare sospesa com'era il rapporto con il nazionalismo arabo ad altri elementi. Ed in questo gioco complesso la questione ebraica e palestinese entrava pure".
La campagna d'Etiopia sconvolse "l'intera impalcatura della politica araba di Mussolini", "la quale allineò l'Italia tra le maggiori potenze coloniali e ne sottolineò la doppiezza, quanto al ventilato sostegno alla causa dei nazionalisti arabi. Infatti quella che il governo fascista aveva deprecato, dal 1922 in poi, e cioè la politica coloniale di Francia e Gran Bretagna, era proprio della stessa natura della politica italiana nei confronti dell'Etiopia. Conquista militare e violenza anti-indigena ricalcavano schemi del colonialismo francese e britannico, vecchi di oltre cinquant'anni, cioè del primo periodo delle conquiste imperiali".
Ciononostante, si registrò in seguito "un certo avvicinamento dei nazionalisti palestinesi alle autorità fasciste alle quali, tramite il loro esponente più importante, il Gran Mufti di Gerusalemme Amin el-Husseini, Roma cominciò ad elargire favori, denari e armi".