L'Italia, la politica estera
e l'unità dell'Europa
Achille Albonetti
Edizioni Lavoro, pagg.XII + 220, Euro 12,50
 
La fine del XX secolo e l’inizio del XXI; l’ampliamento della Nato da 19 a 27 Stati membri; l’allargamento dell’Unione europea da 15 a 25 paesi; la firma del Trattato costituzionale; la divisione dell’Europa e la conseguente impotenza e irrilevanza manifestate nella recente guerra all'Iraq; le carenze della politica europeistica del governo Berlusconi. Questi alcuni temi, di grande attualità, trattati dall’Autore, che pone l’accento sul primato della politica estera e sulle sfide che l’Europa è chiamata ad affrontare nei prossimi decenni.
  Dopo aver esaminato la politica interna ed estera del nostro Paese, dall’Unità ai giorni nostri, ampio spazio viene dato ai rapporti con gli Stati Uniti, sia dell’Italia sia dell’Europa.
  A tali problematiche si accompagnano alcune considerazioni relative alla questione energetica, strategica per il nostro futuro, e suggerimenti per evitare il pericolo dell’isolamento e declassamento dell’Italia sulla scena internazionale. Infine, vengono illustrati i motivi per un rilancio della politica estera italiana ed europea.
  "Nel cantiere dell’integrazione europea - scrive Sergio Romano nella Prefazione - hanno lavorato, soprattutto nei primi due decenni, alcuni artigiani. Non erano uomini politici e non ebbero quasi mai incarichi ministeriali. Erano tecnocrati, grand commis, consiglieri, intellettuali. Il maggiore di essi fu naturalmente Jean Monnet, autore di quasi tutti i progetti che furono realizzati fra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Sessanta.
  "Molti crebbero accanto a lui e ne continuarono il lavoro: Robert Marjolin, Emile Noël, Georges Berthoin, Etienne Hirsch. Altri, come Etienne Davignon, andarono alla scuola di Paul-Henri Spaak. Altri ancora, come Roberto Ducci, Cesidio Guazzaroni e Renato Ruggiero erano italiani. Fra di essi vi è certamente l’autore di questo libro.
  "Achille Albonetti è stato Consigliere della Rappresentanza italiana all’Oece, membro delle delegazioni che hanno negoziato i Trattati europei degli anni Cinquanta, capo di Gabinetto del vice-presidente della Commissione e Governatore italiano nell’organo direttivo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica delle Nazioni Unite. È stato, anche, Presidente della Total italiana e presidente dell’Unione Petrolifera. Da venticinque anni dirige la rivista trimestrale “Affari Esteri”.
  "Sa di appartenere alla generazione che «ha fatto l’Europa», ne è legittimamente orgoglioso e non può fare a meno di ricordare con soddisfazione quella fase della nostra storia nazionale in cui i Governi centristi, quasi sempre guidati da un uomo politico democristiano, fecero scelte che hanno disegnato il profilo nazionale e internazionale del Paese: l’economia di mercato, la costruzione dell’Europa unita, l’alleanza con gli Stati Uniti.
  "Può darsi che l’Italia di allora sia diventata nei suoi ricordi migliore della realtà e che il sistema politico di quegli anni gli appaia più efficace di quanto non fosse. Ma le presenti condizioni del suo Paese e dell’Europa giustificano un po’ di nostalgia e di amarezza.
  "L’amarezza è probabilmente il sentimento che ha spinto Albonetti a scrivere questo libro.
 "Silvio Berlusconi ha adottato nelle questioni europee una linea apparentemente ortodossa, ma in realtà tiepida e distratta. Ha abbandonato il grande progetto comune per la costruzione di un aereo militare da trasporto. Ha lasciato che la Lega ritardasse per parecchio tempo l’approvazione del mandato di cattura europeo. Ha ceduto alla tentazione di rispondere sarcasticamente, durante una memorabile seduta del Parlamento di Strasburgo, alle provocazioni di un deputato socialista tedesco.
  "Ha permesso che i suoi personali bisticci con Romano Prodi andassero in scena di fronte all’Europa e avessero un effetto disastroso sulla presidenza italiana dell’Unione durante il secondo semestre del 2003. Ha fatto poco per contrastare con efficacia i vari direttòri che sono spuntati come funghi nel sottobosco europeo in questi ultimi tempi.
  "Negli altri maggiori Paesi dell’Unione il clima non è migliore. Gli inglesi vogliono un’Europa che non pregiudichi i loro rapporti speciali con gli Stati Uniti. La Francia di Chirac è afflitta da una sindrome gollista che appare, oggi più che mai, anacronistica. La Germania di Schröder sembra preferire il proprio prestigio a quello dell’Europa. La Spagna di Zapatero è più europea di quella di Aznar, ma sempre pronta a saltare sul primo direttorio che le passa accanto.
  "L’allargamento rischia di rendere l’Europa ingovernabile.
  "La Costituzione è un passo avanti, ma conferma che gli Stati non intendono rinunciare a quel tanto di sovranità che ancora rimane nelle loro mani dopo i progressi unitari degli anni Novanta. Parliamo molto di unilateralismo americano. Ma dimentichiamo di osservare che l’arroganza degli Stati Uniti è soltanto il recto di una medaglia che reca sul verso l’immagine di un’Europa imbelle e impotente.
  "La chiave di volta delle riflessioni dell’autore è una tesi che sembra aver perduto in Europa, negli ultimi cinquant’anni, una parte del suo originale prestigio. Albonetti crede nel primato della politica estera ed è convinto che il ruolo internazionale di uno Stato o di una federazione fra Stati sia il fattore che maggiormente contribuisce a definire la sua identità e la sua autorità.
  "Ma la politica estera è per l’appunto ciò che maggiormente manca all’Unione Europea. Abbiamo una politica agricola comune, un bilancio comunitario, un mercato unico, una moneta unica, una frontiera unica, una politica commerciale comune e un Parlamento che è andato progressivamente aumentando le sue competenze. Ma non abbiamo una politica estera europea. Questa contraddizione appare ad Albonetti pericolosa.
  "Credo che abbia ragione. La politica estera non è un sovrappiù che corona e decora il castello delle competenze statali. È un luogo in cui confluiscono tutti i poteri dello Stato. È il nodo che stringe insieme tutte le sue politiche. È un test di credibilità e coerenza.
  "Supporre che ogni Paese possa voltare le spalle al mondo, delegare ad altri la difesa dei propri interessi nella comunità internazionale e praticare al tempo stesso politiche nazionali conformi alle proprie esigenze, è assurdo. Senza la sintesi di una politica estera i singoli attributi della sovranità statale sono ombre, fantasmi, flatus vocis.
  "Se questo fu vero, in passato, per i singoli Stati europei, è ancora più vero per l’Unione: un mostro istituzionale assai più avanzato, in molti campi, di alcuni Stati federali all’inizio della loro storia, ma monco e incompiuto.
  "In queste condizioni le politiche nazionali dei singoli membri dell’Unione non potranno che disfare continuamente la trama tessuta dalla Commissione di Bruxelles. Ce ne accorgiamo nel rapporto con gli Stati Uniti, dove la pluralità delle posizioni condanna l’Europa all’impotenza e offre a Washington gli strumenti per «dividere e imperare».
  "Troppo appassionato per limitarsi alle analisi e alle constatazioni, Albonetti conclude il suo libro con una proposta. Occorre che l’Italia promuova con i maggiori Paesi dell’Unione un’iniziativa per la politica estera comune e soprattutto per la creazione di uno strumento militare che dia credibilità alla sua diplomazia.
  "Ritorna in queste ultime pagine un tema, quello della politica nucleare europea, a cui l’autore ha dedicato in passato molta attenzione. E se non tutti saranno d’accordo, pazienza: i Paesi fondatori hanno il diritto e il dovere di aprire la strada. Perché l’Europa, fino a quando non avrà un deterrente comune e, incidentalmente, un seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sarà soltanto, nella migliore delle ipotesi, un club economico-monetario.
  "Albonetti sa quali e quanti ostacoli le sue proposte troveranno sulla loro strada. Ma ha il merito di preferire la franchezza alla retorica e di affrontare un tema che molti preferiscono eludere. È questo il merito maggiore del suo libro".