Niente di personale,
Signora Fallaci
Stefano Allievi
Aliberti editore, pagg.171, Euro 15,00
 
In questo saggio di Stefano Allievi (docente di sociologia all'Università di Padova), sono raccolti tre testi che costituiscono una risposta ai libri della trilogia fallaciana contro l'Islam. Non una cieca rabbia e un'orgoglio mal riposto, non ragioni senza forza e forze senza ragione, non l'evocazione di un'Apocalisse inesistente. Ma un'osservazione ravvicinata della realtà islamica, come pure delle nostre reazioni e delle nostre paure, delle pulsioni profonde e talvolta inconfessabili che percorrono tanto l'universo islamico quanto occidentale.  
  "Libri unilaterali come quelli della Fallaci [...] - osserva Allievi -, che ci incitano, per vincerla, a dichiarare guerra a una intera civiltà - anzi, a molte -, a un'intera religione, e a coloro che ne sono i fedeli, ovvero alla bazzecola di almeno un miliardo e trecento milioni di persone, non solo ci incitano ad un comportamento ingiusto e immorale e assurdo, incompatibile con i nostri principi fondativi, ma nemmeno  aiutano la causa. Al contrario, la danneggiano. Perché questa sarebbe tutto tranne che una guerra santa, o una sana crociata: e, o non solo, è anche tatticamente stupida, perché sarebbe una guerra impossibile da vincere. E' una chiamata al genocidio, questa, non un'autodifesa contro il terrorismo".
  Secondo l'Autore, l'11 settembre 2001 è "stata dichiarata una guerra [...]  dai terroristi che hanno colpito le Twin Towers e il Pentagono. [...] Ma c'è anche, in corso, un'altra guerra, meno visibile, ma i cui effetti non è detto che saranno meno micidiali. Una sorta di guerra culturale, neanche tanto sottile (anzi, spesso assai rozza), neanche tanto coperta (anzi, spesso assai evidente), neanche tanto strisciante (anzi, spesso pare di vederla avvicinarsi a lunghi passi spediti). E che già da tempo si combatte da entrambi gli schieramenti su più svariati fronti. E non divide solo i noi e i loro, gli amici e i nemici. E' una guerra che si combatte al nostro interno, nell'interno stesso delle nostre coscienze, e ci divide, ci lacera, ci corrode". E proprio di questa guerra parla il libro in oggetto, oltre che "delle sue ricadute nella nostra vita, nella nostra società, nel nostro modo di essere, di pensare e di pensarci, e di pensare gli altri".  
  Riferendosi direttamente alla Fallaci, l'Autore chiede: "Non si rende conto che l'Islam, per dire, è quella stessa religione che fa [...] vivere in pace e nel timore di Dio centinaia di milioni di persone? [...] Non la sfiora nemmeno il dubbio - a me sì, spesso - che se non ci fosse l'Islam queste persone potrebbero essere non migliori ma peggiori? Anche se portassimo loro la nostra idea di libertà e i nostri beni di consumo che del resto, per lo più, non si potrebbero permettere, né l'una né gli altri?
  "[...] il suo pensiero, per quanto importante, non è la verità: al massimo un tentativo, fra i tanti, di rifletterci sopra. E non dei meglio riusciti. [...] Io per esempio, che come avrà capito non sono d'accordo quasi su niente con lei, non la odio per nulla: semmai provo tristezza, dispiacere - per lei. In una sana democrazia è ancora possibile. E' dove si demonizza l'altro, dove lo si dipinge come non è, dove si scontrano gli opposti fondamentalismi, insomma è nel mondo che descrive lei, che non è più possibile". 
  L'Autore, infine, ravvisa nel Mediterraneo non solo "un auspicio o l'idea di un radicamento occidentale che non sia solo quello atlantico", ma anche il "nostro destino. Basta prendere in mano una carta geografica e non essere accecati dal pregiudizio, per accorgersene. Noi italiani più di tutti gli altri. Ma anche l'Europa ha bisogno di questo radicamento e di questo contrappeso: le coste del Mediterraneo le sono altrettanto vitali che quelle atlantiche, nella sua economia e nella sua politica, e nella definizione del suo ruolo. Ma lo sono ancora di più nella sua stessa autodefinizione, nella sua cultura, nella ricerca delle proprie origini. Se l'Eurabia fosse questo, sarebbe un passo in avanti, non indietro. Qualcosa verso cui andare, non da cui fuggire".