Stalin e l'Europa. La formazione dell'impero esterno sovietico (1941-1953) |
||||
Fabio Bettanin | ||||
Carocci, pagg.351, Euro 25,00 | ||||
La formazione del blocco socialista in Europa orientale è stato uno degli avvenimenti centrali del XX secolo, i cui effetti durano ancor oggi. Grazie alla documentazione di recente emersa dagli archivi russi è possibile delineare il ruolo cruciale di Stalin, in positivo e negativo. Fu la sua abilità nel trattare da posizioni di forza, con realismo e duttilità, a consentire all’URSS di consolidare le conquiste territoriali della guerra e di formare il suo impero esterno. Fu l’incapacità di liberarsi dei dogmi della cultura politica del bolscevismo a impedirgli di progettare per i paesi dell’Europa orientale un futuro che non ricalcasse l’esperienza sovietica. La storia di quegli anni è cronaca di sconfitte epocali di Stalin e dell’URSS: la rottura con la Jugoslavia di Tito, il colpo di Stato in Cecoslovacchia e soprattutto la divisione della Germania furono infatti esiti non desiderati, legati all’incapacità sovietica di sostenere il confronto con i Paesi occidentali e di affermare la propria egemonia sugli alleati. Sin dall’inizio nell’impero esterno sovietico si formarono così crepe destinate a non ricomporsi, e che a distanza di decenni ne determinarono il crollo.
"La nascita dell'impero esterno sovietico - scrive Fabio Bettanin (docente di Storia dell’Europa orientale all’Università degli Studi di Napoli-L’Orientale) - fu il preludio alla formazione del mondo bipolare, destinato a durare per più di mezzo secolo, sino alla scomparsa del blocco degli Stati socialisti, che ha lasciato al mondo d'oggi l'eredità di Stati mai prima esistiti, o profondamente trasformati rispetto all'esperienza del periodo fra le due guerre mondiali". "Il recupero di pratiche, simboli e obiettivi strategici provenienti dal passato prerivoluzionario divenne componente non secondaria della politica e della ideologia bolscevica a partire dalla seconda metà degli anni Trenta". Tuttavia, secondo l'Autore, si trattò di un recupero "selettivo", che "non intaccò mai i dogmi del marxismo-leninismo, né una legittimità del potere incentrata sulla figura carismatica del vožd' Stalin, erede di Lenin. La Realpolitik divenne componente essenziale della politica estera sovietica ancor prima, a partire dalla firma del trattato di Rapallo con la Germania. Ma fu il realismo ad alimentare l'illusione di restare al di fuori della seconda guerra mondiale. E, quando ormai si delineava la vittoria sulla Germania, furono i progetti per il futuro assetto dell'Europa, approntati dalla diplomazia sovietica in ossequio ai dettami della Realpolitik, a far emergere un quadro inquietante: nonostante il prezzo pagato in vite umane e le energie profuse, la pretesa dell'URSS di divenire una grande potenza, in grado di decidere le sorti del mondo, poggiava su basi tutt'altro che solide. Lo spostamento della frontiera di qualche centinaio di chilometri a ovest, ai danni della Polonia, era elemento secondario rispetto all'emergere degli USA quale centro di potere militare ed economico senza eguali, e al pericolo della rinascita del militarismo di Germania e Giappone, spettro che continuò a perseguitare Stalin sino alla sua morte". "Dai documenti noti - aggiunge Bettanin - non è emerso alcun grande piano sovietico per la conquista dell'Europa. [...] fu la logica politica a suggerire, nei territori dell'Europa centrale e orientale occupati dall'Armata Rossa, la formazione dei cosiddetti regimi di democrazia popolare quale risposta più efficace e pragmatica ai problemi posti dalla volontà sovietica di assicurarsi il controllo prolungato dell'area. Nei piani sovietici, la loro formazione avrebbe consentito di non rompere i ponti con USA e Gran Bretagna, e di rispettare la diversità dei Paesi dell'Europa centrale e orientale, che l'URSS non aveva la possibilità di annullare nel breve periodo, mantenendo allo stesso tempo un sistema di relazioni strutturate in modo gerarchico, che avrebbe assicurato a Mosca un ruolo guida". |