La Turchia contemporanea
Hamit Bozarslan
il Mulino, pagg.149, Euro 11,00
 
La Turchia invia all'Europa segnali contrastanti: musulmana per il 99%, da tempo candidata all'ingresso nell'Unione Europea, si è dotata di un governo "islamico moderato" e dispone di strutture formalmente democratiche, ma la sua politica, sia interna sia estera, viene dettata da un Consiglio nazionale di sicurezza composto per lo più da militari.
  Questo saggio di Hamit Bozarslan (storico e sociologo, è maître de conférence all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi) fornisce gli strumenti per comprendere meglio la situazione attuale di questo paese diviso tra Occidente e Oriente, tra desiderio di integrazione e difesa della propria identità, ricostruendone la vicenda storica lungo l'intero arco del Novecento: dalla guerra di indipendenza (1919-1922) alla costruzione del moderno stato kemalista, ai regimi militari e alle elezioni politiche del 2002, che hanno segnato il definitivo tramonto della vecchia classe politica. Non mancano le pagine dedicate allo sterminio degli armeni e alla questione curda, due capitoli della storia nazionale che continuano ad alimentare il dibattito - e la diffidenza - internazionale nei confronti della Turchia.
  "Si dice spesso - scrive l'Autore - che senza Mustafa Kemal l'attuale Turchia non sarebbe esistita. Ma si può anche immaginare che, con o senza di lui, un'altra Turchia avrebbe potuto vedere la luce. Si rimane infatti colpiti nel vedere che dal 1908 al 2003 il paese si è trovato spesso di fronte a scelte difficili; e che ogni volta si è indirizzato verso una politica di repressione di massa, di integralismo, di violenze e di crisi acute".
  "Ultima componente di un impero multietnico e multiconfessionale, la repubblica turca è stata fondata sulla negazione radicale del suo passato più recente e quindi delle sue stesse basi storiche. Per assicurarsi la proprietà di una terra ottenuta a prezzo di grandi sacrifici ma anche - lo si dimentica spesso - di stermini e di pulizie etniche, il paese ha "turchizzato" la sua storia cacciando le popolazioni cristiane (armeni, greci, assiro-caldei). Interpretando ogni identità non turca come una patologia mortale, la Turchia è arrivata al punto di censurare lo stesso Mustafa Kemal, che aveva evocato l'ipotesi di un'autonomia curda. Considerando l'islam come la principale causa di morte dell'"uomo malato", il paese ha negato che la sua guerra di indipendenza fosse stata condotta, almeno in parte, in nome dell'islam e del califfato. Per paura di perdere la propria "identità nazionale", che si confondeva peraltro con l'islam, la Turchia ha negato anche l'esistenza della sua comunità alevita. [...] Tutto ciò ha portato a una forte identificazione in una turchizzazione acquisita di recente e in una Turchia come ultimo rifugio".