Una guerra per l'impero
Nicola Labanca
il Mulino, pagg.479, Euro 24,00
 
La guerra per la conquista dell'Etiopia fu la prima voluta e vinta da Mussolini (che con essa aveva voluto spostare l'Italia "sul piano dell'Impero") e per questo glorificata dal Regime. Insieme alle due guerre mondiali fu la terza guerra di massa degli Italiani nel corso del Novecento, eppure è oggi quasi dimenticata, ricordata solo per le polemiche sull'uso dei gas o sull'obelisco di Axum. Ma cosa fu veramente la guerra per quegli italiani che la combatterono? Quale impero pensavano di costruire? Di quale razzismo erano intrisi i loro comportamenti? E, soprattutto, come mai nei decenni della Repubblica a rivendicarne il ricordo sono stati reduci ammalati di "mal d'Africa" o nostalgici?

  Rileggendo per la prima volta organicamente le memorie dei combattenti della guerra d'Etiopia accumulatesi dall'ultimo scorcio del Fascismo sino a oggi, questo saggio di Nicola Labanca (docente di Storia contemporanea e Storia dell'espansione europea all'Università di Siena) fa i conti a un tempo con il colonialismo fascista e con il postcolonialismo repubblicano, illuminando il rapporto degli italiani "brava gente" con il passato di un "Impero" coloniale tanto voluto dal Fascismo quanto rapidamente sfumato.

  "Nonostante le sue dimensioni e la sua rilevanza - scrive l'Autore -, soprattutto in Italia troppo spesso si è finito per vedere nella guerra d'Etiopia un piccolo conflitto coloniale, localizzato e quasi privo di rilevanza, che valeva la pena menzionare più che altro per via di una canzonetta fortunata, Faccetta nera. Troppo spesso le istituzioni, la politica, la cultura, l'opinione pubblica, gli italiani insomma sono sembrati ansiosi di scrollarsi di dosso il ricordo di chi portava la responsabilità storica di quel conflitto".

  Nelle intenzioni del Duce e del Regime fascista, "l'avvento dell'impero avrebbe dovuto trascinare il paese in una palingenesi miracolosa. Il fascismo si sarebbe trasformato in un regime imperiale e gli italiani da "popolo di santi, di eroi e di navigatori" sarebbero diventati un popolo imperiale. Non più quindi solo nazione, e tanto meno "Italietta" o "ultima delle grandi potenze", ma impero. Gli italiani avrebbero dovuto mettersi in testa di essere un popolo imperiale, perché tutto ormai in Italia, a partire da quel maggio 1936, doveva sentirsi "sul piano dell'impero"".

  Dopo il 1945, ricorda Labanca, la Repubblica, "i suoi cittadini e troppo spesso i suoi storici non parlarono più dell'impero. Con il passare dei decenni alcuni, fra gli italiani, non ne parlarono perché non ne sapevano; altri, pur sapendo, preferirono tacere sperando così di contribuire a [...] cambiare, rinnovare l'Italia".

  Gli ex combattenti, tuttavia, "continuarono a scrivere della loro esperienza anche dopo la fine della guerra, del colonialismo italiano, del fascismo". Nel libro di Labanca, viene esaminata questa memoria, "sopravvissuta al naufragare dei quadri sociali e politici che l'avevano prodotta".