L'amnistia Togliatti
Mimmo Franzinelli
Mondadori, pagg.392, Euro 19,00
 
Il 22 giugno 1946, pochi giorni dopo la nascita della Repubblica, fu varata l'«amnistia Togliatti». Il provvedimento, che doveva pacificare il Paese, si tradusse nella liberazione di migliaia di fascisti. Chi lo aveva voluto? C'era qualcosa di sbagliato nei tempi e nella formulazione dell'atto di clemenza? O c'era invece qualcosa di inadeguato nei giudici cui spettava interpretare e applicare la legge?
  Quel che è certo è che l'amnistia portò all'archiviazione di molti processi, sollevò un'ondata di risentimenti e lasciò senza risposta molte domande.
  Per far luce sulla complicata vicenda dell'amnistia del '46, Mimmo Franzinelli  ha analizzato un'imponente mole di documentazione archivistica in gran parte inedita. Le "carte Togliatti", conservate alla Fondazione Gramsci, testimoniano, fra l'altro, la diretta paternità del segretario comunista nella stesura del decreto, smentendo la tesi che il guardasigilli fosse caduto in un tranello dell'apparato ministeriale. Le relazioni riservate di prefetti e comandanti dei carabinieri sulle scarcerazioni consentono di accertare chi beneficiò del "colpo di spugna", come e per quali reati: dai magistrati ai collaborazionisti, dagli stragisti ai delatori, dai torturatori di partigiani ai "cacciatori di ebrei". Le più significative sentenze della Corte di Cassazione ci mostrano direttamente con quali argomentazioni spesso incredibili si decretò l'impunità e perfino la riabilitazione giuridica della classe dirigente del Ventennio e della Repubblica Sociale Italiana.
  L'Autore affronta il tema di fondo del trapasso dal Fascismo alla democrazia e dalla guerra alla pace analizzando i fattori che concorsero a fare dell'amnistia un provvedimento tanto controverso: il mancato ricambio dell'apparato statale, lo strapotere dei vertici della magistratura, la sottovalutazione dell'impatto che il decreto avrebbe avuto nel paese, l'apertura di Togliatti agli ex fascisti in vista dei nuovi equilibri politici. L'amnistia si inserisce quindi nel quadro più ampio che in quegli anni vide l'insabbiamento di molti procedimenti per crimini di guerra e garantì l'impunità agli Italiani accusati di crimini di guerra in Africa, Iugoslavia ecc.
  Dopo sessant'anni è possibile ripercorrere per la prima volta minuto per minuto l'itinerario di un evento, importante e spesso dimenticato, che ha contribuito a definire nel bene e nel male la fisionomia della Repubblica appena nata.
  "Togliatti - scrive l'Autore - rivelò nell'estate 1946 a una riunione dei quadri di partito di avere ricevuto, in apertura della campagna elettorale per la Costituente, un memoriale redatto «da fascisti veri, organizzati nella illegalità, documento che era stato fatto arrivare anche ad Umberto [di Savoia, nel quale] si proponeva tanto a noi che a lui un patto»; il patto era imperniato sull'amnistia. Il dirigente comunista promise la sua disponbilità, convinto che la questione delle masse di italiani già aderenti al regime fosse un problema reale e che attraverso la politica della mano tesa si potessero conquistare - o comunque influenzare - ampi strati altrimenti esposti a suggestioni monarchiche, qualunquiste o neofasciste. Dentro una simile prospettiva si collocano iniziative come «Il Pensiero Nazionale», giornale fondato nel maggio 1947 dal «mussoliniano di sinistra» Stanis Ruinas con finanziamenti comunisti. All'apertura verso la massa degli ex fascisti si sommava la strategia della porta aperta agli intellettuali formati nelle organizzazioni e nelle accademie littorie. Da un lato, l'adesione o il fiancheggiamento al PCI consentivano agli ex fascisti di superare d'un balzo le passate compromissioni, dall'altro rispondevano a canoni di egemonia culturale della sinistra assai efficaci; ne è derivata una persistente reticenza sul retroterra fascista di intellettuali - ad esempio lo storico Delio Cantimori - divenuti nel secondo dopoguerra militanti comunisti".
  Dai carteggi di Togliatti emergono "scambi di opinioni e programmi di lavoro con ex mussoliniani disponibili al lavoro in organismi politici e/o sindacali filocomunisti. Il segretario generale del PCI superò prevenzioni e chiusure di principio; l'incarico governativo lo aveva posto a stretto contatto con personaggi già inseriti nelle istituzioni littorie e alcuni di questi erano divenuti suoi collaboratori".