L'autobus di Stalin e altri scritti | ||||
Antonio Pennacchi | ||||
Vallecchi, pagg.123, Euro 13,00 | ||||
In questo volume, sono raccolti cinque saggi di Antonio Pennacchi, che affrontano con la lente del paradosso cinque aspetti diversi ma non distanti della nostra realtà: "L'autobus di Stalin", "La moglie di Fini e le fonti di Bossi: noumenologia del calcio", "Omicidi rituali (Mio figlio è un guerriero Masai)", "G8 a Genova "Che fa Dumini?". Teoria e tecnica dei disordini in piazza" e "Homofaber. L'uomo, l'azienda, la globalizzazione".
Attraverso argomenti diversi, che spaziano dalla storia al costume, l'Autore offre una ricostruzione della realtà che abbatte ogni barriera del "politicamente corretto". Utilizzando il paradosso non come puro gusto estetico per la provocazione ma nel senso etimologico di sfida al luogo comune, al conformismo, elabora uno strumento di autodifesa basato sulla logica pura, contro i sofismi e la banalità. Un testo denso di citazioni, rimandi, ragionamenti che scava dentro i vizi della nostra intellighentia, espresso nello stile inimitabile dello scrittore pontino: colorito, arguto, spesso esilarante. "L'autobus di Stalin", che dà il titolo al libro, è una sorta di apologia di Stalin e quasi una dichiarazione di intenti: tu non puoi fregarmi, sembra dire Pennacchi al suo ipotetico interlocutore, usando le categorie del buono e cattivo solo quando è utile a te e, soprattutto, assolverti sempre. Tu sei responsabile dei gulag e dei campi di sterminio quanto della sorte dei ragazzini che muoiono sul motorino senza casco. Prima di chiamarti fuori devi quantomeno accettare un terreno dialettico comune e su quello confrontarti e fare il tuo esame di coscienza. "Ora io non è che voglio dire - scrive l'Autore - che Stalin era uno stinco di santo. Non lo so. Potrebbe pure essere. Certo però per tanto tempo tanta gente s'è pensata, in tutto il mondo, che era un benefattore dell'umanità e milioni di persone - nella seconda guerra mondiale e anche dopo, combattendo per la giustizia e la libertà - sono morte con il suo nome sulle labbra. A Beslan, il giorno dopo l'eccidio, la prima cosa che hanno fatto i parenti delle vittime è un corteo sotto la statua sua, una delle poche ancora in piedi. Comunque Stalin, forse, non era un santo e se adesso, una sera, venissero da me per portarmi in un gulag, la cosa non mi farebbe piacere. Anzi, ripugnerebbe pure alla mia di coscienza civile. Ma quello che voglio dire è che ogni storia va presa cum grano salis, spolverata bene e guardata contro luce, perché spesso le cose non stanno come sembrano. Tu per esempio hai tutto il diritto di fare revisionismo sul fascismo e la Dc, perché ogni giudizio storico - quanto più avanzano gli studi, le opportunità e gli strumenti del comprendere - va sempre sottoposto a costante revisione critica; ma hai il dovere di applicare le stesse categorie, con lo stesso beneficio d'inventario, anche allo stalinismo. Se ti presenti col calumet in mano per sederti con me allo stesso tavolo, a costruire insieme il futuro, è un paio di maniche. Ma se tu ti presenti dicendo "Viva noi", io non posso che risponderti "Viva Stalin"". |