Alla festa della rivoluzione.
Artisti e libertari con D'Annunzio
a Fiume

Claudia Salaris
il Mulino, pagg.249, Euro 17,00
 
Nel riassetto territoriale seguito alla Grande Guerra, la città di Fiume era rivendicata tanto dall'Italia quanto dalla Jugoslavia; nelle more delle trattative, un manipolo eterogeneo di volontari italiani capeggiati da Gabriele D'Annunzio la occupò nel settembre 1919 e la tenne fino alla fine del 1920. L'impresa fiumana per molti versi è un episodio precursore del Fascismo, ma essa coagulò una quantità di esperienze diverse, di ansie di ribellione, di velleità rivoluzionarie. Sotto questo aspetto fu come un lungo e febbrile carnevale all'insegna della festa e della provocazione, in linea con le avanguardie del tempo, ma fu anche un momento "insurrezionale" come lo sarà il Sessantotto.
  Claudia Salaris (autrice di diversi libri sul Futurismo e le avanguardie del Novecento) rivisita l'avventura fiumana da questa particolare angolatura: attraverso le testimonianze anche letterarie di protagonisti noti o dimenticati racconta Fiume dalla parte degli "scalmanati" che vi accorsero a vivere una vita-festa fatta di bravate futuriste e di utopie, di trasgressione sessuale e di pirateria, di gioco e di guerra. In questa luce, Fiume è un capitolo significativo di quella cultura della rivolta che ha caratterizzato il Novecento.
  L'Autrice scrive che l'esperienza fiumana è stata "la fucina in cui s'è sperimentata per la prima volta una liturgia della politica di massa, che ben altra estensione avrebbe avuto negli anni del regime. Il recupero del passato come mito (la romanità), i saluti ("Eia eia alalà", "A noi!"), i motti (dal rude "Me ne frego" al più raffinato "Ardisco non ordisco"), perfino la canzone Giovinezza, inventata sul Piave ma ricorrente nelle adunate fiumane, nonché l'uso della camicia nera e del fez, indossati dagli arditi. E poi il culto dei caduti e dei martiri, la celebrazione degli anniversari (come la beffa di Buccari o la stessa presa di Fiume), le cerimonie di giuramento, le marce, ma soprattutto i discorsi che quasi quotidianamente D'Annunzio pronuncia dalla ringhiera del palazzo di governo (anticipatori di quelli mussoliniani dal balcone), a volte accompagnati da squilli di tromba, in cui il poeta, dialogando con sapiente uso di frasi retoriche e domande, riesce a creare una sorta di legame mistico con la folla. Sono solo alcuni esempi della politica-spettacolo inventata da D'Annunzio che il fascismo farà sua".
  "Fallito il progetto del "modus vivendi" inizialmente proposto dal governo italiano - aggiunge Claudia Salaris -, la politica dannunziana si spostò sempre più verso prospettive rivoluzionarie. In questo nuovo contesto si affermava quel particolare clima psicologico che, usando le parole di D'Annunzio, fece di Fiume la "Città di vita": una sorta di piccola "controsocietà" sperimentale, con idee e valori non propriamente in linea con quelli della morale corrente, nella disponibilità alla trasgressione della norma, alla pratica di massa del ribellismo".