"La rosa della mia guerra"
Gabriele d'Annunzio
Marsilio, pagg.327, Euro 24,00
 
"La rosa della mia guerra". Così D’Annunzio chiama Venturina, quando, nelle pause fra un’impresa e l’altra, torna dal fronte a Venezia assetato di musica e d’amore. Sì, è un amore grande, uno dei pochi nella vita del Vate-dongiovanni (in tre anni le scrive oltre milleduecento lettere!). Ed è un amore scandaloso. La giovane dama, Olga Brunner Levi, un’ebrea triestina maritata a un veneziano che ne condivide la melomania (lascerà il bel palazzo sul Canal Grande per costituirvi la nota Fondazione Ugo e Olga Levi per gli studi musicali), appartiene alla buona società: e vorrà secretato per decenni quel rovente carteggio che solo ora torna in piena luce.
  Vibranti di schietta sensualità, le lettere toccano tante altre corde: la tenerezza infantile, l’umorismo gioioso, e poi sospetti, ripicche, gelosie… Ecco le serate-concerto, l’incanto della Laguna, l’attesa trepida ed eccitata dell’azione bellica, la descrizione delle trincee insanguinate nella crudele bellezza del paesaggio: insomma, il carteggio ci svela il volto intimo di Gabriele, l’altra faccia del poeta-soldato. E non mancano gemme di versi improvvisati su quei fogli e lì dimenticati, e tante pagine in dialetto veneziano che col suo orecchio impeccabile l’Imaginifico usa con melodiosa facilità. Scritte con il tocco leggero delle raffinate "faville", ma tanto più calde di vita, le lettere a Venturina serbano dunque una piacevole sorpresa ai patiti di Venezia e ai Lettori dal palato più esigente.
  "Molto c'è in questo carteggio - scrive Pietro Gibellini (ordinario di Letteratura italiana a "Ca' Foscari") nella Prefazione -. C'è, soprattutto, amore e musica, che in certe vertigini di emozione e di stile finiscono per confondersi in un unico sentimento, in una "sensualità rapita fuor da' sensi", per dirla con l'espressione che d'Annunzio mutua da sant'Agostino, che evoca anche a chiusura del "Libro segreto", dove attinge una definizione della propria arte giusto dal "De musica" agostiniano. Scrive infatti a Olga: "Ci siamo mescolati come l'anima si mescola al corpo, come il fuoco s'attacca al legno, come l'occhio e lo sguardo, come la gola e il canto, come il sonno e il sogno. Tristano e Isotta. Te ne ricordi? Io ero te, tu eri me. Eravamo una cosa di voluttà e di oblio". [...] Scrivendo a quella donna senza "acume" e senza "stupidezza", Gabriele tutto le dice, con una varietà di temi e di toni che non paventa confronti con la corrispondenza inviata ad altre donne amate: un ventaglio più ampio di quello dei carteggi erotici, che rischiano sempre la monotonia (non solo nelle lettere di d'Annunzio, ma anche in quelle delle corrispondenti, comprese quelle superstiti di Eleonora Duse, che spostano l'ossessione dal motivo amoroso alla febbre dell'arte)".