"Scritti politici"
Georges Sorel
Utet, pagg.807, Euro 12,90
 
IL LIBRO - In questo volume curato da Roberto Vivarelli, sono raccolte le seguenti opere di Georges Sorel: "Riflessioni sulla violenza", "Le illusioni del progresso" e "La decomposizione del marxismo".
 
  DAL TESTO - "Lo studio dello scioperto politico ci porta a comprendere meglio una distinzione che bisogna tenere sempre presente quando si considerano le questioni sociali contemporanee. I termini forza e violenza vengono adoperati allo stesso modo sia per le azioni delle autorità che per quelle dei rivoltosi. E' chiaro che i due casi danno luogo a conseguenze ben diverse. Io sono del parere che sarebbe tanto di guadagnato adottare una terminologia che non desse luogo a nessuna ambiguità, e che bisognerebbe riservare il termine violenza per la seconda accezione; diremo dunque che la forza ha per oggetto di imporre la organizzazione di un certo ordine sociale nel quale governa una minoranza, mentre la violenza tende alla distruzione di questo ordine. La borghesia ha fatto uso della forza sino agli inizi dei tempi moderni, mentre il proletariato reagisce adesso con la violenza contro di essa e contro lo Stato".
 
  L'AUTORE -  "Oltre che sul terreno religioso, il pensiero di Bergson esercita una viva influenza anche sul terreno sociale, per il singolare innesto che dei motivi bergsoniani ha operato in seno al marxismo il celebre autore delle "Réflexions sur la violence" (1906) Georges Sorel (1847-1922). La coscienza, cui gli spiritualisti fanno riferimento, è solitamente intesa come la via interiore che porta alla conoscenza delle più profonde regioni dello spirito e, anche quando viene interpretata in senso pratico, cioè come volontà e azione, essa ha genericamente esiti intimistici e religiosi. Nel caso di Sorel, invece, che si richiama esplicitamente a Bergson, la coscienza è anche la sede di un "mondo fantastico" in cui si esprime la volontà di un'azione politica tutta esteriore, intesa a promuovere quella rivoluzione che libererà le masse oppresse dal capitalismo. In Sorel si realizza pertanto una strana commistione di temi spiritualistici e di fede marxista, da lui abbracciata nell'ultimo decennio dell'Ottocento. Anche per Sorel la realtà dell'uomo si riduce all'azione: un'azione che scaturisce spontaneamente dalla libera volontà dell'uomo. Ma a questo scopo occorre che nella coscienza umana sia presente un complesso di immagini in grado di agire sull'istinto, sprigionando in questo modo l'azione. A questo complesso di immagini spontanee ed istintive Sorel dà il nome di mito . Benchè entrambi rivolti alla prassi futura, il mito si definisce attraverso la sua contrapposizione all'utopia: mentre quest'ultima è una rappresentazione intellettuale che può essere razionalmente esaminata e discussa, e che quindi non ha un effetto pratico dirompente (siamo negli anni in cui sul Positivismo prevale il vitalismo), il mito è l'espressione immediata per immagini della volontà che attende di tradursi in azione. In questo senso, non ha alcuna rilevanza il fatto che il contenuto del mito sia o non sia realizzabile: in ogni caso esso diventa il potente motore dell'azione dell'uomo e la sola fonte di creazione di nuova realtà: "si può parlare all'infinito di rivolte senza mai provocare un movimento rivoluzionario, fin tanto che non vi sono miti accettati dalle masse […] il mito è un'organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal socialismo contro la società moderna". Nei tempi passati hanno svolto la funzione di mito la credenza dei primi cristiani nella prossima fine del mondo, oppure i sogni di rinnovamento nutriti dai grandi riformatori religiosi. Oggi il mito riveste la forma di "mito sociale" e trova il suo soggetto nelle masse popolari oppresse dal capitalismo e il suo oggetto nello sciopero generale : "lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel quale si racchiude tutto intero il socialismo". L'azione che il mito deve sprigionare è, dunque, l'azione rivoluzionaria e la "guerra di classe". Lo sciopero generale è infatti sentito come un'attività catastrofica, che porta alla paralisi, all'inceppamento e alla distruzione del vecchio regime capitalistico, creando le condizioni per la formazione di una nuova umanità. Per questo, dice Sorel, esso viene rifiutato dai socialisti riformisti, che sono piuttosto guidati da un'utopia da realizzare, intellettualisticamente, attraverso trasformazioni graduali. Al socialismo riformistico Sorel contrappone pertanto il suo sindacalismo rivoluzionario e anarchico. Il pensiero di Sorel si prefigge dunque una giustificazione della violenza, intesa però non come forza impiegata con calcolo razionale per ottenere risultati specifici (quale è quella usata dal sistema capitalistico per imporre il suo dominio), ma piuttosto come un bergsoniano slancio vitale e creatore che sprigiona energie spirituali in attesa di manifestazione: la violenza è la condizione e il mezzo per l'istituzione di forme via via più alte di organizzazione. E tutta la storia dell'umanità è solcata, nel suo processo, da fratture violente: il Cristianesimo, la Riforma, la Rivoluzione francese, il Mazzinianesimo; e a far sì che avvengano queste fratture sono le rappresentazioni da parte degli uomini di mondi fantastici, cioè di miti. Di qui il carattere profondamente etico della violenza, che assolve una funzione di liberazione e di creazione. L'impianto concettuale del pensiero di Sorel è particolarmente debole, risolvendosi in una forma di volontarismo e di spontaneismo irrazionalistico che ben si inquadra nel clima di avversione per il razionalismo positivistico che aleggiava in quegli anni. L'impatto che le sue teorie ebbero soprattutto sul mondo politico dei primi decenni del Novecento fu tuttavia enorme, anche se (proprio per via del suo carattere sfuggente) esso si prestò ad essere utilizzato sia da parte comunista sia da parte fascista (Sorel era la lettura preferita di Mussolini). Del resto, le stesse posizioni personali di Sorel non furono esenti da ambiguità: dopo aver difeso l'anarco-sindacalismo, egli si accostò, verso il 1910, al movimento di destra dell' "Action française" e non mancò di manifestare le sue simpatie per il nascente fascismo italiano. Con il sindacalismo rivoluzionario di Sorel emerge in primo piano la rivoluzione in quanto tale, quasi come se si verificasse una sorta di mitizzazione del cambiamento della società, una volontà cieca di fare la rivoluzione a mano armata e in modo violento. L'obiettivo, però, viene perso di vista e questo è molto importante perché farà sì che si ispirino a Sorel sia esponenti dell'ala progressista sia esponenti dell'ala reazionaria e fascista" (a cura di Diego Fusaro, filosofico.net).