A colloquio
Carl Schmitt
Guida, pagg.111, Euro 7,25
 
IL LIBRO - Gli inediti qui presentati sono due 'Colloqui' distanti nel tempo tra loro, ma collocati in altrettanti momenti particolarmente significativi della vita di Carl Schmitt.
  Il primo risale alla fine del gennaio 1933, immediatamente a ridosso della nomina di Adolf Hitler a Cancelliere del Reich. Da questo colloquio risulta chiaro che l'andamento dell'incontro tra il giurista e il futuro Fuehrer si svolgerà all'insegna di uno Schmitt spinto, in un primo momento, più da ambizioni personali che da effettiva "adesione" al Nazionalsocialismo.
  E', comunque, con il secondo colloquio (un'intervista rilasciata nel febbraio 1972), che le tinte dell'incontro, sotto i colpi della lucidità dello stesso Schmitt, acquistano un significato particolare, che fornisce uno spaccato interpretativo ed esplicativo del Terzo Reich da parte di chi, "essendone in qualche modo inglobato", ne ha visti dall'interno sfaccettature e tratti da un "angolo di visuale privilegiato".
 
  DAL TESTO - "Il mio è un tipo singolare di passività. Che io abbia acquistato fama con l'essere decisionista mi risulta, in verità, incomprensibile. Penso che si debba avere una così grande distanza per la gioia della decisione in quanto tale, come la ho io, per sviluppare una teoria del decisionismo. Il tipico decisionista che si decide con entusiasmo non svilupperà mai una filosofia  o una teologia o una teoria del decisionismo. Per quel che mi riguarda, non ricordo alcuna decisione del genere".
 
  L'AUTORE - Nato nel 1888 da una famiglia operaia cattolica, Carl Schmitt studiò giurisprudenza a Berlino, Monaco e Strasburgo. La sua idea politica centrale risale al periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale: la legittimità dello stato è determinata dal modo in cui agisce di fronte al 'pericolo concreto' o nella 'situazione concreta', piuttosto che da qualsivoglia scopo morale. Il sovrano o il dittatore legittimo è colui che decide lo 'stato di eccezione' per preservare l'ordine e proteggere la costituzione. Seguace delle idee di G.W.F. Hegel e Thomas Hobbes, secondo cui l'uomo è 'caduto' e 'cattivo', Schmitt sostiene che tutta la vita politica si riduce ai rapporti tra “amici e nemici”.
  Nella teoria di Schmitt, le democrazie fondate sulle 'norme', sulle regole giuridiche, e sulla separazione dei poteri, perdono ogni potere quando debbono affrontare delle grandi minacce religiose carismatiche, o politiche, come quella bolscevica della sua epoca. L'esistenza di “situazioni eccezionali”, come gli stati d'emergenza, va ad infrangere le fondamenta stesse dei sistemi politici liberali che si basano su leggi prestabilite e su norme che in teoria dovrebbero essere applicabili a tutte le situazioni possibili. Schmitt si fece beffe dell'idea che un dibattito razionale possa portare alla verità, affermando che se si chiedesse ad un socialdemocratico del suo tempo chi volesse, “Barabba o Gesù?”, egli convocherebbe subito delle consultazioni e stabilirebbe una commissione per studiare il caso.
  Dal 1921 Schmitt si dedicò all'insegnamento e produsse trattati polemici che furono attentamente studiati soprattutto in quegli ambienti bancari sinarchisti che alimentavano l'esperimento fascista in Europa. Poi, come consigliere dei governi Brüning (1930-1932) e von Papen (1932), Schmitt fu impegnato a criticare e a minare la Costituzione di Weimar.
In «Teologia politica», già nel 1922 Schmitt sosteneva che il vero sovrano è l'individuo o il gruppo che prende le decisioni in una situazione eccezionale. Questo individuo, o gruppo, e non la Costituzione, è il sovrano. Tutto ciò che una Costituzione può contribuire al proposito è stipulare a chi compete prendere l'iniziativa quando la situazione diventa eccezionale.
  Nello scritto «Il concetto del politico» del 1927, Schmitt sostenne che l'esistenza e l'identità stesse dello stato si fondano sulla realtà più profonda ed essenziale del rapporto “amico e nemico”, e che la sovranità è determinata dall'individuo o dall'entità che è capace di definire e proteggere la società dai nemici nelle situazioni di minaccia esistenziale. Piuttosto che ricorrere alle norme, sostiene Schmitt, il sovrano ricorre alla legge del campo di battaglia o “al decisionismo concreto”. Fino alla sua scomparsa, nel 1985, Schmitt rimase un devoto ammiratore del Fascismo mussoliniano, al quale egli riconobbe la capacità di unire la chiesa, lo stato autoritario, un'economia libera, e i miti forti che motivano la popolazione.
 
  INDICE DELL'OPERA - Nota del curatore (Gianluca Giannini) - Colloquio n.1: Una conversazione radiofonica (1933) - Colloquio n.2: A colloquio con Dieter Groh e Klaus Figge (1972) - Postfazione. Carl Schmitt: la politica e il destino, di Gianluca Giannini