La fabbrica del consenso | ||||
Noam Chomsky | ||||
Net, pagg.501, Euro 11,00 | ||||
IL LIBRO - Un giornalismo aggressivo, ostinato, sempre presente sul luogo dell'evento e sempre impegnato nella ricerca della verità: che la realtà dei giornali non corrisponda a questo modello Chomsky ed Herman non si accontentano di affermarlo, lo dimostrano. E provano, dati alla mano, come sia un occulto consenso d'élite a dar forma alle notizie, fin nei minimi particolari. L'analisi lucida e particolareggiata svela, con ricchezza di esempi, il meccanismo attraverso cui il mondo dell'informazione mobilita l'opinione pubblica per sostenere e difendere gli "interessi particolari" che dominano nella società. Così la stampa americana ha usato due pesi e due misure per raccontare le elezioni libere e la repressione governativa in Nicaragua e a El Salvador; l'invasione americana del Vietnam, quella sovietica dell'Afghanistan e quella indonesiana di Timor; il genocidio in Camboglia sotto un governo filoamericano e quello sotto Pol Pot. E svelano come le leggendarie inchieste giornalistiche sul caso Watergate e sullo scandalo Iran-Contras siano state condotte, in realtà, con un'incredibile mancanza di curiosità. L'analisi aggressiva e documentata di Chomsky, pensatore tra i più influenti e impegnati del nostro tempo, fornisce una risposta precisa alla domanda su quanto siano veramente strumentalizzati i mass media e fornisce una chiave per intepretarne i messaggi. Nel saggio che chiude il volume, Paolozzi e Leiss esaminano lo stato dell'informazione in Italia, passando in rassegna il comportamento dei giornali in occasione dei più importanti eventi politici e di cronaca. DAL TESTO – “I sistemi democratici procedono diversamente, perché devono controllare non solo ciò che il popolo fa, ma anche quello che pensa. Lo Stato non è in grado di garantire l’obbedienza con la forza e il pensiero può portare all’azione, perciò la minaccia all’ordine deve essere sradicata alla fonte. E’ quindi necessario creare una cornice che delimiti un pensiero accettabile, racchiuso entro i principi della religione di Stato. Tali principi non devono necessariamente essere affermati, anzi, sarebbe meglio darli per scontati, come implicita cornice del pensiero pensabile. I critici rafforzano questo sistema accettando senza discussione tali dottrine e limitando le proprie critiche alle questioni tattiche che sorgono al loro interno. Se i critici vogliono ottenere il rispetto ed essere ammessi al dibattito, devono accettare, senza fare domande, la dottrina fondamentale secondo cui lo Stato è di per sé buono e guidato dalle più nobili intenzioni, cerca solo dì difendersi e non si presenta come soggetto attivo nelle questioni mondiali, ma semplicemente reagisce di fronte a crimini altrui, talvolta incautamente a causa della propria ingenuità, della complessità della storia o dell’incapacità di comprendere la malvagità dei nostri nemici. Se persino i critici più severi adottano queste premesse senza discuterle, allora l’uomo comune potrebbe chiedersi, chi sono io per dissentire? Più la disputa tra "falchi" e "colombe" si inasprisce, più si rinsaldano le dottrine della religione di Stato, ed è proprio a causa del loro notevole contributo al controllo del pensiero che i critici sono tollerati, anzi onorati, perché si attengono alle regole”. |