Aleksandr Zinov’ev. Dipinti e disegni

Aleksandr Zinov’ev
Edizioni Spirali, pagg.117, Euro 25,82
 

IL LIBRO – Dipinti che fotografano la realtà sovietica, colta in momenti ora grotteschi, ora comici, ora tragici.
Elisabeth Heresch: “Un realismo incorruttibile che diviene fantastico attraverso la combinazione con elementi irreali: più realismo fantastico che surrealismo”.

DAL TESTO – “Avevo undici anni quando entrai a far parte della redazione del giornale murale di classe, con l’incarico di mettere nella debita forma, di scrivere cioè gli slogan e i titoli degli articoli e di disegnare le vignette. I miei compagni mi avevano scelto perché a quel tempo ero già solito riempire le pagine dei mie quaderni di ogni sorta di ometti e di animali. Mi dedicai al mio primo numero con il massimo zelo. In prima pagina disegnai il ritratto di Stalin, ma ne feci un ritratto tale che, mezz’ora dopo essere stato appeso, il giornale venne precipitosamente staccato dalla parete e poco mancò che io non venissi espulso dalla scuola. Fui perdonato in considerazione della mia età, della mia origine proletar-contadina e del mio profondo, sincero pentimento. Dopo di che mi fu vietato di disegnare i “capi” e ordinato di far solo caricature. Da allora mi sono dato alle caricature, a cominciare dai compagni di scuola, per passare a quelle dei commilitoni quand’ero nell’esercito, degli studenti e dei docenti della mia facoltà universitaria, dei   miei colleghi di lavoro, di chiunque, insomma, mi   capitasse sott’occhio. Ne ho fatte migliaia. Non mi sono mai preoccupato, naturalmente, di conservarle, né ho mai attribuito loro un qualche valore artistico.  In seguito cominciai a dipingere ritratti o scene di vita quotidiana. Quasi tutto ciò che ho dipinto è andato perduto. Si sono salvati soltanto alcune centinaia fra quadri e disegni, sparsi in raccolte private a Mosca. Gli altri, non so che fine abbiano fatto. Sebbene io fossi contrario, mia moglie Olga decise di raccogliere i miei disegni e i miei quadri. Riuscì a metterne insieme non più di qualche decina, che fece in tempo a spedire in Occidente poco prima della nostra partenza dall’URSS. Un certo numero di altre mie opere venne trasportata in Occidente da alcuni amici. Ho continuato anche nell’emigrazione la mia attività di artista-dilettante, ma non con l’intensità che le dedicavo a Mosca. Ho troppo poco tempo. E poi le facce degli occidentali m’interessano meno come artista. Uso la matita o il pennello soltanto per riposarmi dalle fatiche letterarie o per trarne un rinnovato stimolo”.

L’AUTORE – Aleksandr Zinov’ev (1922-2006) è nato in un villaggio russo. Laureato in filosofia, è stato professore di logica all’Università di Mosca. In seguito alla pubblicazione in lingua russa, nel 1976, di Cime abissali, viene sollevato da tutte le funzioni, privato di tutti i diplomi e escluso dal partito comunista dell’Urss. Ha vissuto a Monaco di Baviera, intervenendo in numerosi dibattiti intorno alla dissidenza e partecipando alla battaglia della scrittura civile. Nel 1999 era rientrato a Mosca. Ha pubblicato vari saggi di logica, di filosofia e di linguistica.

  "La malattia, un tumore al cervello - scriveva Fulvio Scaglione su "Avvenire" del 12 maggio 2006 - , l'ha infine ucciso ma senza riuscire a piegarlo. Perché Aleksandr Zinovev, scomparso all'età di 83 anni, non aveva mai smesso di scrivere e polemizzare, di aggredire i luoghi comuni e di stupire, di essere l'uomo-contro per definizione, dissidente da tutto e da tutti, anche da se stesso. Una carriera, quella del suo radicale antitotalitarismo, cominciata prestissimo, addirittura all'università, quando era riuscito a farsi espellere per aver immaginato un attentato contro Stalin che non avrebbe mai potuto realizzare. Sesto figlio dell'imbianchino Aleksandr Jakovlevic e della contadina Apollinarija Vasilevna, inurbatisi a Mosca alla fine degli anni Venti per cercare una vita migliore, il futuro filosofo e scrittore dava in quel modo un precocissimo calcio al futuro. Avrebbe recuperato arruolandosi nell'Armata Rossa e diventando, più avanti, un eroe dell'aviazione militare sovietica.
  "E poi via, con una vita tutta in bianco e nero, da un contrasto all'altro. La sua tesi di laurea, dedicata alla struttura logica del Capitale, gli valse nel 1951 la laurea magna cum laude ma fu pubblicata in Russia solo nel 2002. Divenne matematico, filosofo e uno dei più brillanti studiosi di logica, oltre che professore dell'Università di Mosca. Era direttore del Dipartimento di Logica dell'Università di Mosca e rifiutava di allontanare studenti e professori in aria di dissenso. Era nel consiglio editoriale della prestigiosa rivista Voprosy filosofij (Questioni di filosofia) e si dimise per protesta contro il culto della personalità negli anni di Brezhnev. Risultato: non gli fu mai permesso di accettare gli innumerevoli inviti all'estero per conferenze e convegni, e nel 1974 si ritrovò in pratica prigioniero in patria.
  "Nel 1976 la svolta: pubblica in Svizzera Cime abissali e subito perde il posto all'Università, è cacciato dall'Accademia delle Scienze e privato delle medaglie al valore conquistate durante la guerra. Dopo l'uscita, ancora in Occidente, di Un brillante futuro, aspra satira contro Brezhnev, viene invitato a scegliere tra il Gulag e l'esilio. Parte per la Germania, si sistema a Monaco dove vivrà fino al 1999.

  "Avrebbe ancora pubblicato molto (i saggi di Senza illusioni nel 1980 e di Il comunismo nel 1981, il romanzo Homo sovieticus nel 1983 e La casa gialla nel 1985), opere fluviali in cui la mano del docente di logica si sentiva sempre più di quella del narratore. E avrebbe deluso tutti, per la sua incredibile coerenza nel disallinearsi da qualunque aspettativa, soprattutto da quelle tipiche nei confronti del dissidente sovietico. Critico di Gorbaciov e della perestrojka, ribattezzata katastrojka con uno di quelle fulminee invenzioni verbali che gli riuscivano così bene. Critico di Eltsin e dell'influenza occidentale sulla Russia. Critico degli Usa, considerati più pericolosi della Germania nazista. Ammiratore di Slobodan Milosevic. Una volta tornato in Russia, nel 1999: critico della globalizzazione. Critico di Putin. Sostenitore della campagna presidenziale di Gennadyj Zjuganov, il segretario del Partito comunista, ritenuto un buon esempio di comunista post-comunista. Critico della Santa Rus', da lui considerata ormai morta.
  "La vita e il destino gli hanno però riservato una beffa che lo farebbe infuriare. Non è in queste posizioni recenti e controverse lo Zinovev che durerà, quello che leggeremo anche in futuro per capire meglio il passato. Questi lo troveremo, come sempre, nei saggi scritti da dissidente, cioè nel ruolo e nella condizione che più gli stavano stretti. C'era un homo sovieticus, eccome se c'era, e ben lo vediamo in questi ultimi tempi. Zinovev lo capì per primo, per primo cercò di descriverlo in modo quasi scientifico e sempre venato di un'ironia feroce, puntuta come solo la logica può esserlo. Di questo Zinovev sentiremo la mancanza. «La menzogna è in generale un elemento creativo della nostra vita», aveva sarcasticamente scritto dell'Urss. Pochi si erano battuti qua nto lui per affermare il contrario".