Dentro la resistenza. La guerra in Iraq, la rivolta del Medio Oriente
Zaki Chehab
Laterza, pagg.273, Euro 15,00
 
IL LIBRO - "Chehab spiega come la gran parte della popolazione irachena si sia ribellata all'occupazione americana per i continui oltraggi subiti quotidianamente: cani 'impuri' che setacciano le loro case, soldati che calpestano le loro moschee, uomini che perquisiscono le loro donne. Chehab è un giornalista ben informato e di grande esperienza". (Anton La Guardia, "The Sunday Telegraph")
  "Pochi altri potrebbero affrontare questo argomento con la stessa profondità, consapevolezza ed esperienza." (Robin Oakley, European Political Editor, CNN)
  "Combinando analisi politica e confronto diretto con i militanti, Chehab getta una luce rara sull'evoluzione dei gruppi armati che da più di un anno stanno combattendo le forze della Coalizione ma che sono ancora poco conosciuti in Occidente." (Roula Khalaf, Middle East Editor, "Financial Times")
 
  DAL TESTO - "Diciotto mesi prima dei terribili eventi dell’11 settembre 2001, mi ero fermato a Beirut per far visita ai miei parenti, sulla strada fra Londra e Islamabad. Durante il soggiorno, un amico mi chiese se potevo fargli un favore per conto di suo cugino Samir, quando fossi arrivato in Pakistan. Samir era preoccupato per suo figlio Ziad, che era scomparso prima di aver completato i suoi studi ad Amburgo, in Germania. Si era allarmato quando la ragazza turca di Ziad gli aveva telefonato da Amburgo per dirgli che era scomparso. La ragazza pensava che potesse essere andato in Pakistan o in Afghanistan per ricevere un addestramento militare in uno dei campi gestiti da gruppi militanti, al confine fra i due paesi. La ragazza aveva spiegato che Ziad aveva cambiato personalità da quando si era avvicinato ad alcuni elementi radicali islamici che all’epoca vivevano in Germania. A Ziad piaceva andare a ballare con lei, bere birra e divertirsi. Come fidanzato, era gentile e accomodante, aveva raccontato la ragazza, e di religione non si parlava mai. Poi, invece, aveva cominciato a passare il suo tempo libero con i suoi amici religiosi, a visitare la moschea e a imparare scrupolosamente il Corano.
  "Ziad, che all’epoca aveva poco più di vent’anni, era cresciuto in un ambiente privilegiato, nella Valle della Bekaa, in Libano. Proveniva da una delle maggiori famiglie della zona di al-Marj, non lontano dall’autostrada che collega Beirut con Damasco. Anche se musulmano, Ziad era stato mandato a una scuola cattolica, e secondo i suoi parenti da bambino il suo sogno era guidare gli aeroplani. «Ma noi non lo abbiamo incoraggiato», mi dissero. Non c’erano precedenti di militanza nella sua famiglia, fatta di banchieri, imprenditori e proprietari di aziende agricole. Chiesi al mio amico se poteva darmi qualche indizio sul gruppo a cui Ziad poteva aver deciso di unirsi, o sulla città dove poteva essere andato. Non sapeva niente di più. Le mie chances di rintracciarlo erano alquanto esili, ma promisi che avrei fatto delle ricerche.
  "Quando tornai a Beirut, poche settimane più tardi, non avendo trovato traccia del ragazzo, telefonai immediatamente al mio amico per sapere se aveva qualche novità di Ziad. La buona notizia era che Ziad era ricomparso in Germania. La famiglia, però, non sapeva che il loro viziato rampollo era entrato nelle fila di al-Qa‘ida.
  "Un anno e mezzo dopo, mi trovavo nuovamente a Beirut in vacanza quando avvennero gli attacchi contro il World Trade Center e il Pentagono. Insieme al resto del mondo, assistevo incredulo alle dimensioni del terrorismo che si dispiegava di fronte ai nostri occhi. Il sentimento di repulsione che avvertivo si intensificava mentre rimanevo incollato alla televisione e divoravo ogni giornale per cercare di dare un senso a quello che era successo. Dopo due o tre giorni così, Munir e Rima, due miei cari amici, suggerirono di andare tutti al cinema per sfuggire a questa situazione angosciante. Scegliemmo un titolo allegro, Chocolat, con Juliette Binoche e Johnny Depp.
  "Qualche minuto prima di uscire di casa, l’Fbi aveva divulgato i nomi di alcuni dei dirottatori coinvolti nell’attacco. Uno dei nomi della lista era quello di Ziad Jarra. Dicevano che era di origine egiziana. Mentre cercavo di godermi il film, la mia mente continuava a tornare a quel Ziad, che ero sicuro fosse libanese, e non egiziano. Me ne andai dal cinema, scusandomi con Munir e Rima e spiegando che dovevo mettermi in contatto con il mio giornale in Arabia Saudita perché pensavo di avere una notizia in esclusiva, e cioè che uno dei dirottatori veniva dal Libano.
  "Rifinii l’articolo nel mio appartamento di Beirut, prima di tornare a sedermi davanti alla televisione a guardare i continui aggiornamenti sugli aerei dirottati. Nessuno parlava di legami con il Libano. La mattina seguente, soddisfatto che il mio giornale avesse pubblicato l’articolo e notando che nessun quotidiano libanese aveva scoperto la nazionalità di Ziad Jarrah (con h finale, in Libano), chiamai un mio vecchio amico, Hani Hammud, che era addetto stampa dell’allora primo ministro libanese Rafiq Hariri. La sua sorpresa per la mia telefonata mattiniera si trasformò in incredulità venendo a sapere che uno dei dirottatori era un nostro compatriota. Gli lessi la copia di «al-Watan» che riportava il mio articolo sullo studente scomparso in Germania.
  "Una serie di telefonate diplomatiche prese il via. Hani Hammud chiamò immediatamente il primo ministro per comunicargli la notizia. A questa seguirono molte altre telefonate per assicurarsi che io confermassi la mia storia. Il primo ministro Hariri informò quindi il presidente Émile Lahud e l’ambasciatore americano, che erano in riunione a Beirut.
  "I genitori di Ziad Jarrah non erano ancora a conoscenza del coinvolgimento del figlio negli attacchi. Il padre di Ziad era appena tornato a casa dall’ospedale, dopo essersi sottoposto a un’operazione a cuore aperto. Appresero quelle che per loro dovettero essere notizie scioccanti da Brent Sadler, il corrispondente della Cnn da Beirut, che si collegò in diretta quel pomeriggio per riferire che uno dei dirottatori in realtà era libanese, e non egiziano. Quando la redazione della sede centrale della Cnn ad Atlanta chiese chi fosse la fonte dell’informazione, Hani Hammud mi telefonò nuovamente per chiedermi se ero disposto a farmi intervistare dalla Cnn per raccontare che cosa sapevo di Ziad Jarrah e per confermare quanto aveva detto Brent Sadler. Rifiutai per la semplice ragione che sentivo di aver ferito a sufficienza la famiglia di Jarrah con il mio articolo, e non volevo aggravare la situazione andandolo a ripetere di fronte a tutto il mondo.
  "Per il padre, ancora sofferente per l’operazione, fu un colpo durissimo apprendere che suo figlio poteva essersi radicalizzato a tal punto da prendere parte a un’azione terroristica tanto orribile. Non volendo accettare il fatto, mostrò ai media il filmino di un matrimonio di famiglia, come a dimostrare che quel giovane che si divertiva tanto alle feste non poteva essersi invischiato con i fanatici religiosi. Nel video, Ziad ballava con le ragazze e sembrava apprezzare lo spirito della festa. Perfino negli ultimi momenti della sua vita, aveva rassicurato i familiari dicendo loro che alla scuola di volo in Florida, dove nel giugno del 2000 aveva cominciato i suoi studi per diventare pilota, andava tutto bene. Ma nel contempo conduceva una vita parallela. Era coinvolto in una sofisticata missione per distruggere Capitol Hill, la sede del Parlamento americano.
  "Ziad, da quello che si è appreso in seguito, era il pilota dello sventurato volo 93 della United Airlines, che decollò dall’aeroporto di Newark l’11 settembre 2001. Quel volo non raggiunse mai il bersaglio previsto: l’aereo si schiantò in un campo della Pennsylvania dopo che i passeggeri, a quanto sembra, presero d’assalto la cabina di pilotaggio gridando «Facciamogliela vedere»".

  L'AUTORE - Zaki Chehab, libanese, nato in un campo profughi, musulmano sunnita, lavora da vent’anni a Londra nella grande redazione di uno dei più diffusi quotidiani del mondo arabo, “Al Hayat”, di cui è il Political Editor. Ha seguito tutti i conflitti mediorientali degli ultimi venticinque anni, dalla guerra civile libanese all’Intifada, dall’invasione israeliana del Libano nell’82 alle guerre del Golfo e dell’Afghanistan. Ha commentato il conflitto in Iraq per CNN, Channel 4, BBC e importanti testate come “The Guardian”. La sua identità, insieme araba, musulmana e occidentale,gli ha consentito di conoscere la realtà irachena dall’interno. Ne è nato uno straordinario resoconto sull’evoluzione dei gruppi armati in Iraq ancora sconosciuti in Occidente, un’originale fusione di analisi politica e giornalismo d’inchiesta.
 
  INDICE DELL'OPERA - Introduzione. Il passato plasma il futuro - 1. Dentro la resistenza - 2. Combattenti stranieri - 3. Gli americani spiazzati: 1990-2005 - 4. Il disastro morale - 5. L’occupazione vista da occhi iracheni - 6. Sciiti, sunniti, curdi e il ruolo della leadership religiosa - 7. L’Iraq e i suoi vicini: Arabia Saudita, Siria, Giordania, Iran, Kuwait e Turchia - 8. La «Palestinian connection» - 9. Il futuro – Conclusione – Note - Indice dei nomi - Indice dei luoghi