Noi moriamo a Stalingrado
Alfio Caruso
Longanesi, pagg.280, Euro 16,00
 
IL LIBRO – La sconosciuta odissea di 77 soldati italiani precipitati nel peggior mattatoio della seconda guerra mondiale Stalingrado, 1942: settantasette soldati italiani, appartenenti quasi tutti a due autoreparti, il 127° e il 248°, avevano portato guastatori e rifornimenti alla 6a armata tedesca di Paulus e dovevano rientrare dopo aver riempito gli autocarri con la legna per affrontare l’inverno. Furono invece bloccati dall’avanzata dell’Armata Rossa alla fine di novembre del 1942. L’evento che cambiò le sorti del conflitto viene vissuto dal basso, il massacro dei combattimenti s’intreccia ai tormenti di poveri soldati. La loro lenta agonia è raccontata dalle lettere spedite a casa. In esse niente traspare dell’ansia, del vitto che comincia a scarseggiare, del freddo che aumenta, dell’attesa infinita di rientrare al reparto. All’apparenza tutti affermano di star bene, di essere lontano dai pericoli, di condurre un’esistenza tranquillissima. Ripetono l’accorato appello di mandare notizie, di non dimenticarli. Ma in gennaio affiora nei saluti a genitori, mogli e figli la fine di ogni speranza. Dopo la resa, prigionia, malattie e sconforto falcidiano i sopravvissuti. Solo due rivedranno l’Italia. Oggi la loro memoria vive nel ricordo dei familiari. Alfio Caruso, in una sorta di doloroso pellegrinaggio, li ha rintracciati quasi tutti.

  "Il più vecchio andava per i trentacinque anni, il più giovane ne aveva venti. La moneta volò per aria, da una parte c’era scritto morte, dall’altra vita. Uscì morte. Erano contadini, artigiani, muratori, commessi, pasticcieri, commercianti, c’era un professore di lettere, c’era un perito agrario, c’era un albergatore, c’era un medico, c’era un pompiere, c’era un fotografo di roba d’arte. Erano settantasette italiani di modeste pretese e d’infinita pazienza precipitati nel peggior mattatoio della seconda guerra mondiale: Stalingrado. Spettatori del dramma più fosco vissuto da un milione di uomini, pagarono un conto che a loro non competeva. Appartenevano a due autoreparti, il 127° e il 248°, più un oculista con il suo assistente sanitario, più un ricco borghese con il gusto dell’avventura."

  DAL TESTO – “Compongono l'ARMIR - acronimo di Armata Italiana in Russia - guidato dal generale Italo Gariboldi, che ha servito in Africa senza particolari benemerenze. Gran parte di essi sono giunti tra giugno e agosto per rinforzare il contingente inviato da Mussolini un anno prima, allorché il duce aveva chiesto a un Hitler perplesso il favore di schierare alcune divisioni del Regio Esercito accanto ai camerati tedeschi. Hitler non nutriva una grande stima dei nostri militari, soprattutto dei comandanti, forse influenzato dal drastico giudizio di Rommel ("I soldati sono leoni, gli ufficiali salsicce, lo stato maggiore letame"). Inoltre nel giugno del '41 il Fuhrer riteneva, non a torto, che Mussolini avrebbe dovuto concentrare i propri sforzi in Africa per consentire a Rommel di entrare ad Alessandria, conquistare l'Egitto e impadronirsi del fondamentale petrolio medio orientale. Ma Mussolini non aveva ceduto. A suo giudizio l'invasione dell'URSS (Unione Republiche Socialiste Sovietiche) - scattata il 22 giugno 1941, nome in codice Operazione Barbarossa - sarebbe stata una cavalcata trionfale. E lui continuava a essere ossessionato da un presenzialismo militaresco che gli consentisse di raccogliere i massimi benefici al tavolo della pace. Un'idea tanto fissa quanto sbagliata, che l'aveva già indotto a entrare in guerra nel 1940 pronunciando la frase più cinica del XX secolo ("Ho bisogno di un migliaio di morti per sedermi al tavolo della pace"). Di conseguenza dal luglio '41 dietro le motorizzate divisioni tedesche arrancavano i fanti della Pasubio, della Torino, della 3a divisione celere Principe Amedeo duca d'Aosta, chiamata sbrigativamente Celere, e le camicie nere del gruppo Tagliamento. Sulle loro teste volavano gli 82 aerei, divisi tra caccia, ricognizione e trasporti, che nei giorni del dolore, dicembre '42-gennaio '43, nessuno vedrà: il ghiaccio, infatti, impedirà la chiusura del tettuccio, i piloti proveranno a decollare con le tute termiche, ma a -50º non c'è tuta termica che basti".

  L’AUTORE – Alfio Caruso, nato a Catania nel 1950, è autore di cinque romanzi, thriller politici e di mafia: Tutto a posto (1991), I penitenti (1993), Il gioco grande (1994), Affari riservati (1995), L’uomo senza storia (Longanesi, 2006) e di due saggi di sport con Giovanni Arpino. Con Longanesi ha inoltre pubblicato: Da cosa nasce cosa (2000, nuova edizione 2005), una storia della mafia dal 1943 a oggi; Italiani dovete morire (2000), un’appassionata ricostruzione dell’eccidio di Cefalonia; Perché non possiamo non dirci mafiosi (2002), un’«autobiografia» della Sicilia tra storia e costume; Tutti i vivi all’assalto (2003), il racconto dell’epopea degli alpini in Russia; Arrivano i nostri (2004), sullo sbarco alleato in Sicilia nel luglio 1943; In cerca di una patria (2005), sui ragazzi che combatterono nell’esercito del re dopo l’8 settembre, e il romanzo L'uomo senza volto (2005). Presso Salani è apparso Breve storia d’Italia (2001). 

  INDICE DELL’OPERA – 1. Aspettami, ritornerò - 2. Laggiù sul Volga - 3. Ti ho mandato il vaglia - 4. Siamo bloccati - 5. Dalla cassa non si esce - 6. Aiuta tu papà e mamma - 7. Incontro alla morte - 8. Sessantatré anni dopo – Ringraziamenti - Indice dei nomi