Firenze e la Repubblica Sociale Italiana (1943-1944)

Monica Pieraccini
Edizioni Medicea, pagg.360, Euro 18,00
 
IL LIBRO – Che cosa significava vivere a Firenze durante i mesi della Repubblica Sociale Italiana? Che cosa pensavano i fiorentini? Come impiegavano il loro tempo? Quali erano i problemi più difficili da affrontare?
Il libro, che tratta della vita quotidiana nel capoluogo toscano nel biennio 1943-44, cerca di rispondere a tutti questi interrogativi. Dalla scuola al teatro, dal cinema alle manifestazioni sportive, dai mezzi di trasporto al tesseramento, dall’organizzazione militare al servizio sanitario, per un’analisi che certo non pretende di essere esaustiva, ma che si propone di offrire al Lettore una panoramica d’insieme che lo aiuti a comprendere lo stato d’animo di coloro che furono testimoni di uno dei momenti più terribili per Firenze.

DAL TESTO – “Nei libri di storia non si parla della vita quotidiana durante i mesi della Repubblica Sociale. Non se ne parla perchè, con una discutibile omissione, si passa dalla caduta di Mussolini alla fine della guerra, lasciando una zona grigia, poco analizzata e basata su pochi dati, che trattano esclusivamente dell’andamento del conflitto bellico. La sensazione risultante è quella che nei 600 giorni di Repubblica Sociale Italiana la popolazione non abbia vissuto. Quasi come se si fosse dedicata anima e corpo alla guerra civile, o quasi come se si fosse chiusa in casa in attesa del passaggio degli alleati. Niente di più sbagliato. Almeno se si pensa all’Italia del Centro-Nord, dove la vita andò avanti, ben poco si paralizzò, e le amministrazioni cittadine, finchè non passò il fronte, riuscirono a garantire tutti i servizi essenziali alla popolazione. Non solo, ma nonostante la guerra, nonostante il momento terribile e di "emergenza", gran parte degli italiani – almeno quelli che non erano arruolati o che non avevano scelto di latitare sui monti – ebbe la possibilità di riempire le giornate assistendo a manifestazioni sportive e culturali di vario genere. Scuole e università erano aperte, i cinema e i ristoranti erano numerosi e in piena attività, i trasporti funzionavano e gli uffici pubblici mettevano in condizione i cittadini di districarsi tra le mille pratiche burocratiche, i negozi vendevano merce e, soprattutto, per chi aveva soldi, sul mercato nero era possibile trovare di tutto per continuare a vivere in modo decoroso. Certo, la situazione andò progressivamente deteriorandosi nel corso dei mesi e con l’avvicinamento del fronte, ma in linea di massima si può notare come l’apparato amministrativo della neo-costituita Repubblica Sociale funzionò, anche in condizioni estreme. 
  “Un altro mito da sfatare è che la popolazione, dopo l’8 settembre, abbia fatto la corsa ad arruolarsi nelle formazioni partigiane. Niente di più falso. Con la caduta di Mussolini, ma soprattutto con l’8 settembre, gli italiani furono sicuramente presi da un senso di angoscia, di paura e di smarrimento. Non si aveva idea di cosa avrebbero fatto i tedeschi, se si fossero fermati al nord, dove c’erano le principali industrie della penisola, o se fossero scesi giù, verso il Meridione. A proposito dei giorni dell’armistizio Arturo Loria, scrittore, collaboratore di "Solaria" e tra i fondatori della rivista "Il Mondo", nel suo "Diario di Bordo", affermava : "Occorre dominarsi, c’è da perdere la testa". E in effetti le voci si rincorrevano, si pensò anche al suicidio di Hitler, ma, l’ordine pubblico non fu messo in crisi, o comunque le reazioni furono più tiepide di quello che uno poteva immaginare. La tendenza della maggioranza della popolazione, da quel momento e, in modo accentuato, sino alla "liberazione" dell’Italia, fu quella di sparire o comunque di non compromettersi con nessuna delle parti in lotta. Schierarsi significava fare una scelta, e non molti, in questa fase di totale incertezza, erano disposti a sacrificarsi, tanto più che le difficoltà economiche imponevano ai più di restare ai loro posti per guadagnarsi lo stipendio necessario al mantenimento della famiglia. Per di più, schierarsi apertamente a fianco della R.S.I in un momento in cui la vittoria, se non impossibile, sembrava comunque lontanissima, era sicuramente un atto eroico, ed eroi sono infatti da considerare coloro che agirono in questo senso. Scappare sui monti e aderire al movimento antifascista era più facile, innanzitutto sotto l’aspetto psicologico, in quanto si era fiduciosi e ottimisti sugli obiettivi da raggiungere, ma comportava comunque anch’esso dei sacrifici, determinati dalla necessità di vivere nascosti sui monti, rischiando la pelle ogni giorno, in condizioni igieniche difficili e senza cibo. Così, la maggioranza degli italiani attese. Attese la fine della guerra, e con essa tutte quelle difficoltà materiali che rendevano più precaria la vita di tutti i giorni.”

L’AUTRICE – Monica Pieraccini, fiorentina, si è laureata in Scienze Politiche presso la facoltà “Cesare Alfieri” di Firenze. Appassionata di storia contemporanea, si occupa di ricerca sull’Italia del Novecento.

INDICE DELL’OPERA – Introduzione – I. Firenze nei 45 giorni di Badoglio – II. Le nuove autorità politiche a Firenze – III. Le autorità amministrative e giudiziarie – IV. I fiorentini e il loro stato d’animo – V. Situazione socio-economica e alimentazione – VI. I servizi pubblici e il sistema sanitario – VII. Istruzione e cultura – VIII. Divertimento e tempo libero – IX. La resistenza e il passaggio del fronte – X. Conclusioni – Bibliografia – Indice dei nomi