Pasque di sangue - Ariel Toaff
(versione completa da link Thule Italia Biblioteca Digitale)

Analisi del libro effettuata da Don Francesco Ricossa sabato 17/03/07 a Trento

 
   
 

Dietro la “potente lobby ebraica“ degli USA c’è qualcun altro

di John  Kleeves
“Italicum”, mar.-apr. 2004 pp. 8-9 e mag.-giu. 2004, pp. 8-10
Mi rendo conto che una opinione sugli ebrei espressa dal prof. Mark Weber è degna della massima considerazione. Il professor Weber infatti vive negli USA, dove è nato nel 1951 e dove come si sa esiste una forte comunità ebraica, ed il principale oggetto dei suoi studi, se non l’unico, sono proprio gli ebrei dato che Weber - direttore di un “ Institute for Historical Review “ in California - è uno degli storici più impegnati nel diffondere il cosiddetto revisionismo dell’Olocausto.
Così Weber di ebrei se ne intende.
Ma ciò non significa che al riguardo debba sempre trovarsi dalla parte della verità, come effettivamente si è trovato per l’argomento dell’Olocausto. Secondo me infatti il prof. Weber sta diffondendo un’altra nozione sugli ebrei che questa volta è falsa : l’idea che la minoranza ebraica degli USA sia potentissima e che attraverso la sua lobby condizioni pesantemente la politica del governo federale, specie quella estera e va da sé quella mediorientale, sino al punto da essere quasi una eminenza grigia, un padrone occulto che manovra l’ignaro Paese per i suoi esclusivi interessi. Egli ha condensato questo concetto in un suo recente scritto intitolato “ A Look at the ‘ Powerful Jewish Lobby ‘ “ ( “ Un’occhiata alla ‘ potente lobby ebraica ‘ “ ), ed io appunto tale scritto intendo contestare.
 
Statistiche ebraiche
L’idea dell’onnipotenza ebraica negli USA parte dalla constatazione che la minoranza ebraica, numericamente esigua, domina o è spropositatamente rappresentata in tutti i settori chiave del Paese, essendo giunta a tali esiti per le sue capacità speciali. Nell’articolo citato Weber fornisce i dati quantitativi del successo ebraico negli USA :
- Gli ebrei, dice, dominano nell’economia : “ ... Gli ebrei hanno giocato un ruolo centrale nella finanza americana durante gli anni Ottanta e sono stati i maggiori beneficiari di fusioni e riorganizzazioni economiche. Oggi, sebbene appena il 2% della popolazione sia ebraica, quasi la metà dei suoi miliardari è ebrea.. “.
- Essi sono più che presenti nell’establishment nazionale : “ ... Gli ebrei sono meno del 3% della popolazione nazionale ma comprendono l’11% di quello che gli studi definiscono l’elite nazionale. Inoltre gli ebrei costituiscono più del 25% delle elite giornalistica e editoriale, più del 17% dei leader di importanti organizzazioni di volontariato ed interesse pubblico e più del 15% degli alti ranghi dell'amministrazione statale.. “.
- Essi più che dominano il settore intellettuale : “ ... Durante gli ultimi tre decenni gli ebrei negli USA hanno superato il 50% tra i maggiori 200 intellettuali, il 20% tra i professori nelle università più prestigiose, il 40% tra i soci dei maggiori studi legali a New York e Washington, il 59% dei direttori, scrittori e dei produttori delle 50 maggiori pellicole cinematografiche dal 1965 al 1982, e il 58% dei direttori, scrittori e produttori in due o più serie televisive di prima serata.. “.
- Essi influenzano pesantemente i meccanismi elettorali : “ ... L’influenza dell’ebraismo americano a Washington è largamente sproporzionata rispetto alle dimensioni della comunità, ammettono i leader ebrei e americani. Ma così è l’ammontare della somma di denaro che essi elargiscono per le campagne.. gli ebrei hanno da soli contribuito con il 50% dei fondi per la campagna di rielezione del presidente Bill Clinton del 1996.. “.
- Essi sono i padroni incontrastati di Hollywood : “ ... Nei settori chiave dei media, specialmente negli studi cinematografici di Hollywood, gli ebrei sono così numericamente dominanti che definire questi affari sotto controllo ebreo è poco più che un’osservazione statistica. Hollywood alla fine del ventesimo secolo è ancora un’industria con una pronunciata coloritura etnica. Praticamente tutti i capi delle produzioni cinematografiche sono ebrei. Scrittori, produttori, e anche i meno evoluti direttori sono in larga maggioranza ebrei - un recente studio ha mostrato come superino il 59% tra i produttori di film a budget più elevato.. “. Weber non manca di ricordare la notoria accusa lanciata dall’attore Marlon Brando nel 1996 : “ Hollywood è governata dagli ebrei “.
 
Cioè balle ebraiche
Sistemiamo prima la questione della numerosità della minoranza ebraica negli USA, assunta una volta al 2% e un’altra al 3% : secondo le statistiche ufficiali USA essa è attorno al 3%. Questo non perché cambi qualcosa. Per la precisione.
Quindi veniamo agli altri dati. Sono tutti qualitativamente di tipo soggettivo e quantitativamente più che sospetti di esagerazione. Vediamo. Sono tutti dati tratti da altri autori, ma chi sono questi altri autori ? Ecco i loro nomi, forniti dallo stesso Weber : Benjamin Ginsberg, professore di Scienze Politiche ; Earl Raab e Seymour Lipset, autori del libro “ Jews and the New American Scene “ ( “ Gli ebrei e il nuovo scenario americano “ ) del 1995 ; Jonathan J. Goldberg, editore ; un membro non specificato della “ Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations “, letteralmente “ Federazione dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraico-americane “. 
Chiaramente sono tutti degli ebrei. In pratica l’unica fonte non ebraica delle citazioni riportate da Weber è Marlon Brando. Ciò non dimostra che quei dati sono per forza gonfiati, ma che è probabile che lo siano, perché quando si viene all’influenza ebraica negli USA, lo Stato più potente della terra, ogni ebreo - da buon semita - diventa un millantatore, esattamente come fa il beduino che descrive il suo cammello. In più come detto si tratta di dati soggettivi, per loro natura aleatori e opinabili. Come si fa a valutare i “ 200 maggiori intellettuali “ degli USA ? Come si fa a circoscrivere con tanta esattezza ( 11%, 25% ! ) l’” elite nazionale “ o le “ elite giornalistica e editoriale “ ? Con che criterio vengono stabiliti i “ maggiori studi legali a New York e a Washington “ ? E perché considerare solo New York e Washington e non anche Philadelphia e Boston, e altre mille città ? E perché considerare solo gli studi legali e non anche gli studi medici, di ingegneria, di consulenza aziendale eccetera ?
E come si fa a dire che “ quasi la metà dei miliardari statunitensi sono ebrei “ ? Questa affermazione decisamente odora più di terrorismo ideologico che di vanagloria semitica, ebraica o beduina che sia. Già è difficile assegnare la qualifica di miliardario, che praticamente significa “ uomo molto ricco “ : a che periodo ci si riferisce, dato che certi tipi di ricchezza ad esempio finanziaria fluttuano di molto e con rapidità ? quale è la “ ricchezza “ minima richiesta ? come è calcolata, in valori mobiliari, immobiliari, in entrambi ? considerando solo il reddito ? valutando gli immobili a valore di acquisto, di mercato, di realizzo ? considerando o no la parte della moglie ? calcolando solo le attività in bilancio o anche le passività ? e in ogni caso dove prendere questi dati ? E associarvi poi la religione rende la compilazione di un elenco impossibile, tanto che credo che neanche l’IRS ( Internal Revenue Service, il fisco statunitense ) o l’FBI ( Federal Bureau of Investigations, la polizia politica statunitense ) ne possiedano uno.
Vance Packard, l’autore del famoso “ I persuasori occulti  “ del 1958, ha scritto un libro appositamente sui miliardari statunitensi, “ The Ultra Rich “ del 1989 ( “ I super ricchi “, Bompiani 1990 ), per il quale ha personalmente intervistato 30 miliardari scelti fra i più rappresentativi della categoria : non ha dato importanza alla religione dei soggetti, ma il fatto è che solo di uno ha detto che era ebreo ( Lazlo Tauber ), mentre si potrebbe arguire dai cognomi che forse altri due o tre lo sono ( precisamente Melvin Simon, Samuel LeFrak e forse Ewing Kauffman ). Si tratterebbe di 3-4 su 30, pari al 10-13%. Per combinazione, è circa la stessa percentuale con la quale da qualche decennio gli ebrei sono presenti nel Senato federale, un organismo cui sono eletti quasi soltanto dei veri e puri miliardari, come i senatori Edward Kennedy e John D. Rockefeller ( che per inciso non sono ebrei, ma l’uno cattolico romano e l’altro episcopaliano ) stanno a esemplificare : su 100 Senatori quelli di religione ebraica sono sempre 10 o 11, forse qualche biennio anche 13. E questa dovrebbe essere la vera percentuale dei miliardari ebrei sul totale nazionale statunitense : diciamo del 10%. Un valore di ben 5 volte inferiore a quello accreditato da Weber.
Anche così si tratta di una percentuale più che tripla rispetto al 3%. Sì, e infatti io non nego che gli ebrei negli USA siano presenti - in certi settori in vista - più della loro quota nella popolazione : nego che lo siano al livello dei numeri proposti da Weber. E soprattutto io valuto questo “ presenzialismo “ ebraico negli USA secondo un’ottica assai diversa da quella di Weber, che evidentemente accetta il postulato - oramai un assioma - della superiore intelligenza ebraica. E’ l’ottica che ho esposto nel mio libro sugli USA “ Un Paese pericoloso “ del 1999, in una appendice appositamente dedicata agli ebrei americani, ottica che praticamente qui mi trovo per sommi capi a riassumere.
 
Gli ebrei, un popolo normale anzi normalissimo
E’ un’ottica storica, psicologica, politica.
Gli ebrei sono di natura un popolo seminomade, che vive in simbiosi e in parassitismo economici coi popoli stanziali, che va a cercare là dove sono, migrando. Già nel 140 a.C., tre secoli prima della Diaspora, gli Oracoli sibillini scrivevano che “ tutte le terre e tutti i mari sono pieni di ebrei “ : in effetti, quando Alessandro il Macedone nel 330 a.C. aveva fondato Alessandria d’Egitto vi erano accorsi tanti ebrei da giungere in breve al numero di 200.000, con due dei cinque quartieri della città riservati a loro. Da quando sono stati individuati come popolo specifico - circa 3.700 anni fa - hanno mostrato sempre le stesse caratteristiche, sia di indole che di intelletto. L’indole è quella notoria nel mondo, quell’indole “ da ebreo “ che non richiede commenti. L’intelletto sin dall’inizio fu concordemente giudicato dai contemporanei privo di motivi di distinzione, mai portato ad esempio di particolare originalità, sottigliezza o creatività. Anzi, semmai portato come esempio del contrario. Apollonio Milone, retore a Rodi verso il 100 a.C., diceva che gli ebrei erano “ i più inetti dei barbari, gli unici che non abbiano portato una qualche invenzione al mondo “. La stessa opinione era ribadita da Celso nel Discorso vero del 180 d.C. : “ Non si può certo sostenere che i giudei siano una nazione antichissima e di grande saggezza, alla stregua degli egizi, degli assiri, degli indiani, dei persiani, degli odrisi, dei samotraci, degli eleusini ... I giudei sono schiavi fuggiti dall’Egitto, i quali non sono mai riusciti a fare nulla di considerevole e non sono mai stati tenuti in alcun conto o considerazione “ ( “ L’antigiudaismo nell’antichità classica “ di Gian Pio Mattogno, Edizioni di Ar, Padova 2002 ). Neanche Gesù il Nazareno ( personaggio indubbiamente storico, forse il Maestro di Luce del monastero esseno di Qumran ) considerava i suoi connazionali delle aquile : “ uomini di dura cervice “ li definì una volta. Tali giudizi sugli ebrei antichi erano effettivamente confortati da alcuni fatti poco lusinghieri :
 
- Volendo costruire un “ bel “ tempio a Gerusalemme re Salomone era ricorso agli architetti e agli artigiani fenici, che gli aveva inviato dietro lauto compenso il re Hiram di Tiro ; gli ebrei avevano fornito solo la manovalanza, sembra di 30.000 uomini, e così era sorto, nel 953 a.C., il famoso Tempio di Gerusalemme, distrutto nel 70 d.C. da Tito e di cui ora rimane solo il Muro del pianto.
- Il monoteismo, del quale gli ebrei si vantavano come della loro grande ed esclusiva conquista spirituale, era una invenzione egiziana, forse dovuta al faraone Akenaton in persona, che infatti aveva cercato ( ma vanamente ) di imporre il dio unico e incorporeo chiamato Aton e simboleggiato dal disco solare. La trasmissione di questa idea agli ebrei era avvenuta con ogni probabilità per mezzo di Mosè, l’uomo che verso la metà del XIII secolo a.C. li aveva guidati nel viaggio - esilio, migrazione o fuga che fosse - dall’Egitto alla Palestina. Non solo. Secondo l’analisi di Freud ( fra l’altro un ebreo, come si sa ) oltre al monoteismo neanche Mosè era ebreo : era un egiziano, un grande nobile di corte decaduto ( forse per motivi religiosi, per il suo “ Atonismo “ ) che di ebraico non aveva neanche la lingua - una lacuna camuffata nell’Esodo con una sua presunta balbuzie - e ricorreva ad un interprete di fiducia chiamato Aronne, che forse come presentato nell’Esodo era proprio suo fratello e quindi era anch’egli - il capostipite della illustre tribù ebraica di Levi - un egiziano.
- Il Pentateuco, per le restanti parti a cominciare naturalmente dalla Genesi, utilizzava a piene mani miti, storie e legislazioni di altri popoli, specie di sumeri e babilonesi, facendo passare il tutto come farina del proprio sacco.
- Il Talmud invece era, come tutti i contemporanei sapevano, una creazione originale ebraica ( composta fra I e il VI secolo d.C. ) e la sua qualità lo confermava ; in effetti a qualunque goy ( non ebreo ) che abbia la ventura di leggerne almeno un libro non possono non cadere le braccia, c’è il rischio per sempre. Gli ebrei naturalmente ne hanno un’altra opinione : per Riccardo Calimani si tratta di “ pagine così intellettualmente aristocratiche “ ( “ Storia dell’ebreo errante “, Rusconi 1995, pag.143 ). In verità chi prende sul serio il Talmud, e cioè lo considera dal punto di vista ideologico, come ammissibile frutto della speculazione umana, o è appunto un ebreo o il libro non lo ha letto proprio ma ne ha solo sentito parlare.
- La religione ebraica vietava la fabbricazione di “ idoli “ e altre statue o immagini, ma credo che anche i loro contemporanei dell’antichità nutrissero - come me - la convinzione che ciò fosse per mascherare il fatto che non le sapevano fare e volevano evitare il confronto con lo strabiliante sfarzo artistico e architettonico dei loro vicini fenici, siriani ed egiziani, per non parlare dei greci. Anche il tanto decantato braciere o bacile sostenuto da tori ( il “ lago di metallo liquido “ ) che stava all’ingresso del Tempio di Gerusalemme, un monoblocco di rame del diametro di molti metri e del peso di circa 27 tonnellate fuso col sistema della cera persa, era stata fabbricato dai mastri artigiani di Hiram.
 
Ma un popolo con un ruolo preciso
Questi seminomadi, dunque, dal punto di vista intellettuale erano certamente normali, anzi normalissimi. Però avevano una particolarità : nutrivano un attaccamento feroce alla loro identità, sia etnica che culturale. Sembra un controsenso, oltre dal punto di vista culturale, che abbiamo già visto, anche da quello etnico perché gli ebrei antichi non dovevano certo vantare una costituzione e un aspetto fisici tali da rifiutare “ contaminazioni “, ma così era. Ciò fece sì che ovunque andassero gli ebrei assumessero sempre lo stesso ruolo sociale. Non possessori di terre, sradicati, stranieri, ovunque stavano fra di loro e formavano la feccia della plebe, dedicandosi al commercio al minuto, spesso ambulante, e ad ogni basso espediente : ovunque gli ebrei erano lenoni e prostitute ; accattoni, usurai e ladri ; kapò, sicari e mercenari ; trafficanti di schiavi e di merci proibite o “ sporche “. A sentire Giovenale i mendicanti di Roma imperiale erano tutti ebrei.
Quella perenne condizione di alieni e di emarginati aveva però anche dei risvolti positivi : quando si apriva un settore economico nuovo gli ebrei erano i più pronti a coglierlo, perché loro erano i meno legati a situazioni consolidate e soddisfacenti. Inoltre gli ebrei - come già notato da Tacito - ovunque formavano comunità molto strette e in costante contatto con tutte le altre negli altri Paesi ; formavano una rete, che si scambiava informazioni e possibilità economiche. Questa rete internazionale ed esclusiva formata dagli ebrei, vera e propria rete di intelligence economica e culturale, si rivelerà nel tempo di importanza capitale, la vera artefice dei successi ebraici, quando ci saranno successi. Da non trascurare, il culto ebraico dei libri sacri, la Torah e il Talmud, che li spingeva all’alfabetizzazione e ad una considerazione per i libri generalmente superiore ai locali. Così capitava che diversi ebrei in ogni comunità diventassero molto ricchi e il ritratto economico delle comunità ebraiche era sempre uguale : una miseria diffusa, un ceto medio striminzito basato su professioni esotiche e “ colte “, e poi delle punte di ricchezza notevoli, anche molto notevoli. Neanche l’Europa dell’Ottocento, quando per la prima volta nella storia nasceva il mito della “ ricchezza ebraica “, faceva eccezione : “ I Rotschild - scrive l’ebreo Riccardo Calimani - colpirono l’immaginazione... ma... per un Rotschild in Francia c’erano mille e mille mendicanti e in Polonia addirittura le masse ebraiche erano poverissime “ ( “ Storia dell’ebreo errante “, Rusconi 1995, pag.459 ).
C’era sempre anche un’altra cosa molto importante. Essa è che gli ebrei si prestavano a farsi strumentalizzare dal Potere. Il fatto è che essi, oggettivamente e spontaneamente, a ciò portati dalle loro proprie libere scelte, venivano a trovarsi sempre in opposizione al popolo dei locali, e benedicevano le occasioni di opprimerlo impunemente, specie se contemporaneamente c’era da guadagnare : il Potere così poteva sempre contare sugli ebrei per compiti impopolari, e spesso lo faceva effettivamente. I casi in cui ciò capitò furono veramente molti e se ne può riportare giusto qualcuno fra i centinaia disseminati nei luoghi e nei secoli. In Egitto, ad esempio, all’epoca della dominazione degli Hyksos furono gli ebrei locali, che vivevano nella valle di Goshen, a costituire la burocrazia primaria, quella a contatto con la popolazione ; in pratica erano loro che riscuotevano o estorcevano tasse e balzelli. Ogni volta che territori mesopotamici dell’Impero Bizantino venivano conquistati da vicini, che erano prima i persiani e poi gli arabi, gli ebrei locali si mettevano sempre a disposizione per “ gestire “ i sottomessi. Durante il Medioevo, specie nei suoi primi secoli, gli ebrei furono quasi gli unici a poter fornire pregiate merci orientali ai potenti, arricchendosi ( al solito, solo alcuni di loro ) e opprimendo il popolo praticando l’usura e ricercando gli incarichi di collettori di tasse, incarichi che ottennero ampiamente per esempio nella Spagna dominata dagli arabi, totalmente per esempio nei territori ucraini e cosacchi del regno di Polonia, e in diversi altri gradi in diversi altri luoghi e tempi. Tutto ciò era - o era anche - una strumentalizzazione nei confronti degli ebrei perché quei ruoli erano remunerativi, sì, ma anche pericolosi perché comportavano una provocazione a delle masse popolari che potevano reagire brutalmente. Il Potere insomma usava gli ebrei come schermo e come parafulmine, per celare la propria responsabilità in politiche da lui senz’altro create per i propri interessi, e per fuorviare l’odio popolare verso una categoria che sembrava fatta apposta, odiosa per natura com’era ; lungi dall’ingelosirsi, esso gioiva al diffondersi della convinzione dello “ strapotere “ ebraico nel Paese, e volentieri metteva gli ebrei sul piedistallo - un piedistallo esattamente collocato sulla bocca del vulcano. Gli ebrei da parte loro non ebbero mai una visione chiara di queste situazioni, probabilmente anche perché incapaci di resistere alla vanità solleticata dalla loro illusoria potenza, una vanità cui si aggiungeva il piacere di tormentare i locali. Così a tempo debito, in pratica con la caduta dei Poteri coi quali si erano compromessi, subirono una dopo l’altra tutta quella serie di vendette da parte di praticamente tutti i popoli in mezzo ai quali vissero, vendette che loro hanno sempre chiamato “ persecuzioni “. Con riferimento solo agli esempi fatti :
- Dopo la cacciata degli Hyksos furono maltrattati dagli egiziani ( sembra che furono resi giuridicamente schiavi, adibiti alle costruzioni ), sino a che o furono cacciati o riuscirono a fuggire in Palestina guidati da Mosè.
- Subirono ricorrenti punizioni nell’Impero Bizantino sia da parte di popolazioni locali ( ad esempio, col pogrom di Ctesifonte ) che da parte della burocrazia, che fra l’altro non accettò mai un ebreo a Corte, benché gli ebrei abbiano sempre costituito una quota rilevante della popolazione dell’Impero,  quota che per molti secoli fu attorno al 20%.
- La prima crociata fu l’occasione per i popolani europei di regolare i conti con i loro ebrei, le cui comunità furono assalite e spesso sterminate in Francia e Germania dai volontari guidati da Guillaume Le Carpentier e da Emicho di Leisingen, atti che in Inghilterra si verificheranno nella terza crociata ( 1189-1192 ), per ricomparire in Germania nel 1336-38 con gli stermini operati dalle formazioni degli Armleder.
- In Spagna la reconquista andò di pari passo con la punizione degli ebrei che avevano collaborato con gli arabi, sino a culminare nella espulsione totale e generalizzata degli ebrei dalla Spagna e anche dal Portogallo nel 1492 ( l’anno della scoperta dell’America, ma gli ebrei espulsi non vi andarono per espresso divieto reale ).
- Alla fine, preceduta dal sintomatico pogrom antiebraico di Posen del 1576 ( ripetuto pochi anni dopo ), ci fu nel grande regno di Polonia la rivolta dei cosacchi di Bogdan Chmielniski del 1648, che rasero al suolo 700 comunità ebraiche, sterminando almeno 100.000 persone ed eliminando così ogni traccia di ebrei dalla parte orientale del regno, in pratica l’Ucraina.
 
L’American Way non è cosa ebraica
Queste cose considerate, è facile vedere come negli Stati Uniti con gli ebrei non sia stata suonata nessuna musica nuova.
Tanto per cominciare, gli ebrei non hanno avuto alcuna parte nella creazione della realtà statunitense, la quale si è formata nei suoi tratti caratteristici senza di loro. Pochissimi ebrei risiedevano nelle tredici colonie ; penso che nessun ebreo partecipò alla guerra di Indipendenza ( certamente nessun ebreo fu tra i caduti in battaglia, né fu tra i 56 firmatari della Dichiarazione di Indipendenza, né fu tra gli estensori della Costituzione ) ; quasi nessuno, e forse nessuno, partecipò alla guerra del 1812 contro la Gran Bretagna ; pochissimi parteciparono alla “ Conquista del West “ e alle concomitanti prese di possesso nell’America Centrale che seguivano le ricorrenti invasioni di marines ; numeri trascurabili di ebrei combatterono la Guerra di Secessione, circa equamente divisi fra il Nord e il Sud.
Gli ebrei cominciarono ad arrivare in numeri significativi negli USA a partire dal 1880 ( nelle ondate europee arrivate nel 1827 e nel 1847 c’erano ogni volta solo qualche centinaio di ebrei ), ed è solo da allora che per gli USA si comincerà a parlare di una minoranza ebraica, quella che appunto negli ultimi decenni è del 3%. E per il 1880 gli USA erano già ampiamente “ fatti “, da ogni punto di vista : era fissata la geografia, la filosofia di vita ( american way of life ) ossia la mentalità nazionale, i meccanismi della politica interna, le mire e le prassi della politica estera. Ciò che si può dire degli USA di oggi lo si poteva tranquillamente dire nel 1880, anzi da molto ma molto prima. In effetti gli USA hanno avuto una adolescenza fulminea : nati nel 1630 con l’inizio dell’immigrazione massiccia dei Puritani, entro la Guerra di Indipendenza hanno compiuto tutti gli aggiustamenti che dovevano fare, del resto limitati a tecnicismi e sovrastrutture nel campo politico e religioso, e poi non sono più cambiati. Ricordo giusto tre fatti tra i tanti significativi :
 
- La strategia statunitense di attaccare la Russia con una guerra nelle pianure centrali dell’Asia, la strategia che ha cominciato ad essere messa in pratica proprio in questi ultimi anni con la rivolta in Cecenia e con l’occupazione dell’Afganistan e dell’Iraq, è stata enunciata per la prima volta niente di meno che nel 1862, esattamente dal Segretario di Stato del presidente Lincoln, William H. Seward, lo stesso che pochi anni dopo avrebbe condotto l’acquisto dell’Alaska ( ed è pleonastico osservare che né Seward né Lincoln erano ebrei ).
- La politica, la qualità della società e il carattere degli USA e degli statunitensi che emergono dal celebre libro “ Democracy in America “ di Alexis De Tocqueville, scritto nel 1835, sono incontrovertibilmente gli stessi di oggi, nulla di essenziale vi si è aggiunto o modificato nel frattempo : testo di Toqueville alla mano, chiunque lo può verificare.
- La Costituzione attuale è precisamente ancora quella del 1787, avendo subito in più di due secoli solo 26 modifiche, gli Emendamenti, i primi dieci dei quali approvati tutti in una volta nel 1791 ( il Bill of Rights ), gli altri riguardanti più che altro norme parlamentari tecniche, con l’ultimo Emendamento approvato nel 1971 per portare il voto a 18 anni.
 
Gli ebrei dunque non hanno influenzato la genesi della realtà statunitense, non hanno contribuito a costruirla, a renderla quello che è. Gli USA sono come sono indipendentemente dagli ebrei. Questo, nel bene e nel male, è un dato di fatto, dimostrato storicamente. Chi sostiene il contrario, anche se sono molti, riferisce un evento che non è mai capitato, mai esistito, totalmente inventato.
 
Il parallelismo creato dal Vecchio Testamento
D’altra parte non si può negare che ci siano molte somiglianze e punti di contatto tra il modo di essere statunitense e il modo di essere ebraico, tra l’american way e l’ebreitudine ( come il materialismo, l’attaccamento al danaro, la fraudolenza, molto altro ; “ ebreitudine “ sembra un brutto vocabolo ma né giudaicità o giudaismo né ebraicità o ebraismo rendono altrettanto il concetto ). Come si spiegano ? Non c’è nessun problema : è escluso ogni rapporto di causa e effetto e si tratta solo di un parallelismo. E’ il parallelismo che deriva dal fatto che entrambi i popoli hanno una religione basata sul Vecchio Testamento, la cui idea centrale è che Dio premia sulla terra i propri prediletti facendoli diventare ricchi, molto più ricchi degli altri. E’ un’idea di incredibile fecondità, e cioè con molte e molto ramificate implicazioni, che tende a imporre tutto un modo di vedere la vita sociale e quindi tutto un modo di essere, una personalità : la personalità appunto “ da ebreo “. Ecco, gli statunitensi sono portati dalla sovrastruttura della loro religione ad avvicinarsi a quella personalità ; mantengono poi dei tratti autonomi, dovuti alle loro diverse esperienze e a una diversa etnicità, cosa che d’altra parte vale anche per gli ebrei, che in più hanno nel loro bagaglio culturale un testo come il Talmud.
Per quanto riguarda il Vecchio Testamento come religione degli statunitensi non ci si deve meravigliare : l’american way è una creazione calvinista e il calvinismo nonostante sostenga a parole di considerare tutta la Bibbia compreso quindi il Nuovo Testamento e la figura di Gesù, nella realtà si basa soltanto sul Vecchio Testamento. E do a questo punto per scontata la nozione che negli USA non si è mai verificata nessuna melting pot , che non si è mai verificata colà nessuna mescolanza culturale ( anche i matrimoni misti sono sempre stati pochi ) ; negli USA c’è sempre stato un gruppo dominante, sempre lo stesso, e ciò che si è verificato è l’imposizione a tutti della prospettiva politica e culturale del medesimo, che è il gruppo dei bianchi anglosassoni e protestanti, i cosiddetti WASP ( White Anglo-Saxon Protestants ), il gruppo fondato dai Puritani, che come si sa erano dei calvinisti inglesi.
Tra statunitensi ed ebrei dunque c’è solo un parallelismo, sono come due binari che corrono sempre vicini ma non si toccano mai. Gli statunitensi sono come sono indipendentemente dai loro ebrei, che sono arrivati negli USA a cose fatte.
 
La “ scoperta “ degli ebrei da parte del Potere USA : lo spartiacque del 1967
Per quanto riguarda il successo della minoranza ebraica negli USA occorre sapere che le cose non sono sempre andate come oggi. C’è stato uno spartiacque, un anno che ha segnato un cambiamento radicale : il 1967.
Prima del 1967 gli ebrei statunitensi - percentualmente solo poco meno numerosi di adesso - erano una minoranza discriminata, emarginata, disprezzata e anche povera quasi come quella nera, ed infatti le battaglie per i diritti civili degli anni Sessanta videro gli ebrei fianco a fianco con i neri di Martin Luther King. La situazione domestica di discriminazione verso gli ebrei, e cioè di... antisemitismo, fu segnalata anche da Hollywood, negli ultimi sprazzi di quello splendido filone realista nato negli anni Trenta e di fatto messo poi fuori legge dal Congresso : possiamo ricordare “ The House I Live In “, un cortometraggio prodotto dalla RKO nel 1945 ; “ Gentleman’s Agreement “ del 1947 ( “ Barriera invisibile “ ), di Elia Kazan con John Garfield e Gregory Peck ; il celebre “ Crossfire  “ sempre del 1947 ( “ Odio implacabile “ ) di Edward Dmytryk con Robert Mitchum. Se non ci fossero stati i neri e i portoricani, gli ebrei sarebbero stati in quel periodo lo strato in assoluto più povero della popolazione USA, la solita feccia della plebe ; in effetti nel sottobosco malavitoso gli ebrei abbondavano, sino a condividere quasi con gli italiani il monopolio della criminalità organizzata ( significativamente il braccio destro di Lucky Luciano, il grande capo di Cosa Nostra, era l’ebreo Meyer Lansky ). E questa solita misera minoranza ebraica, per il solito meccanismo detto, presentava il solito non trascurabile numero di ricchissimi.
Negli USA, fra l’altro, di quel solito meccanismo che fa scaturire fortune dalla misera massa ebraica si ebbe una dimostrazione macroscopica, esemplare : Hollywood. Si dice spesso che Hollywood è “ cosa ebraica “ ; come visto anche Marlon Brando ama ripeterlo. Lo si dice perché effettivamente furono gli ebrei a fondare l’industria cinematografica statunitense ( “ Hollywood “ ), mantenendone poi il monopolio o quasi per decenni. Ma, ci dobbiamo chiedere, perché furono proprio gli ebrei a fondare Hollywood ? Facciamo uno sforzo e immaginiamo l’industria cinematografica statunitense agli albori, negli anni a cavallo del 1900. Era cosa nuova e incerta, basata su attività umane che non richiedevano specializzazioni o cognizioni particolari ; per contro i guadagni potevano essere enormi. Era la tipica situazione adatta a calamitare elementi sradicati, senza arte né parte, e disposti a rischiare, specie se confortati da dritte precise arrivate da amici o parenti residenti nella Francia dei fratelli Lumiere : era una situazione perfetta per gli ebrei. Difatti furono loro ad impegnarsi tra i primi nel nuovo settore, sino quasi a saturarlo tramite quel loro consolidato nepotismo etnico ( un ebreo tira l’altro ), e di conseguenza anche le fortune che mano a mano germogliavano dal nuovo business ( il show business ) erano in maggioranza appannaggio di ebrei : si pensi che le cosiddette Majors di Hollywood, cioè le otto case di produzione più grandi ( MGM, RKO, UA, Universal, Paramount, 20th Century Fox e Warner Bros ), che assieme producevano il 65% dei film e il 100% dei cinegiornali, controllavano l’80% delle sale di prima visione, manovravano l’80% dei capitali investiti nel cinema e incassavano il 95% dei noleggi, erano tutte di proprietà stretta di ebrei, gli stessi che le avevano del resto fondate. E sono proprio questi uomini, ed i loro direttori di produzione, a dimostrare come nella presenza ebraica a Hollywood non c’entrassero nulla il genio o altre particolari capacità, ma si trattasse solo di un gioco di opportunità, di disponibilità e di camarilla etnica : questi uomini non erano approdati nella nascente industria del cinema provenendo da alte posizioni professionali o dirigenziali, o comunque da posizioni dove avevano dato prova di capacità intellettuali fuori dalla media, ma vi erano approdati provenendo, per esempio, Adolph Zuckor da un negozio di pelletterie, Louis B. Mayer da un deposito di robivecchi, Nicholas Shenk da un banco di frutta e verdura, Carl Laemmle dall’ufficio contabilità di un macello. Quelli erano gli uomini che poi entrarono nel mito come i maghi dello star system di Hollywood, e stelle loro stessi.
Le cose per gli ebrei statunitensi cambiarono a partire dal 1967. Cosa era successo in quell’anno ? Si era svolta la guerra dei Sei Giorni, un evento apparentemente irrilevante o di modesta portata regionale che invece aveva avuto per gli USA un significato speciale : la scoperta del grande ruolo pro USA che Israele poteva ricoprire nel Medioriente. In effetti dopo quell’anno gli USA, che solo nel 1956 con Eisenhower avevano fatto sloggiare Israele dal Sinai senza tanti complimenti, cambiarono immediatamente politica ed in breve tempo divennero i grandi protettori dello stato ebraico, i garanti della sua esistenza. Ciò portò ad un riesame generale dei rapporti con l’ebraismo. L’antisemitismo domestico tradizionale andava finalmente contrastato : non si poteva essere contemporaneamente protettori di Israele e antisemiti. Per l’estero ci si accorse del valore politico dell’Olocausto : c’era un popolo innocente, che i malvagi nazisti ( ma leggi : i malvagi della “ Vecchia Europa “ ) avevano tentato di sterminare arrivando a farne fuori ben sei milioni con camere a gas e forni crematori, e chi all’ultimo momento aveva sventato il piano ed ora vegliava sugli scampati erano gli USA. Bel colpo : gli USA avevano proprio bisogno di vantare qualche merito morale di fronte al mondo, dopo il discredito di cui li aveva coperti la guerra del Vietnam. C’era poi tutta una serie di cose cattive che il Potere USA continuava e avrebbe continuato a fare, anche in casa ma soprattutto all’estero, per le quali sarebbe stato ottimo poter incolpare qualcun altro : gli ebrei erano proprio perfetti.
In breve, nel 1967 negli USA si era ripetuto ciò che con gli ebrei era spesso capitato : un Potere nazionale aveva scoperto la loro utilità, e cominciava ad usarli, fingendo di esserne succube. Iniziava così il periodo che dura tuttora, quello del grande “ successo “ ebraico negli USA. Il Potere, specie attraverso i mass media, che sono a sua disposizione e che come si sa stabiliscono la scala dei “ valori “ per il grande pubblico, scoraggiò il tradizionale antisemitismo statunitense, che scomparve da ogni occasione ufficiale e pubblica e si affievolì di molto nelle sfere del privato. Significativamente però, a dimostrazione del suo radicamento, l’antisemitismo certo diminuì ma non scomparve del tutto dalla società privata statunitense, neanche dalla sua elite del danaro, quella che secondo Mark Weber dovrebbe essere in maggiore familiarità con gli ebrei. A Vance Packard, sempre nel suo libro già citato “ The Ultra Rich “, capita di raccontare alcuni episodi significativi in merito, relativi praticamente ai nostri anni : nel consiglio municipale di Palm Beach, una delle residenze predilette dei miliardari statunitensi, il primo consigliere ebreo è stato ammesso solo nel 1984 ; nel 1989 sempre a Palm Beach si stava ancora discutendo se ammettere ebrei nei più prestigiosi circoli, il Club Balneare, del Tennis e del Golf; il miliardario Leonard Samuel Shoen, fondatore della U-Haul dei traslochi, si distingueva oltre che per la ricchezza anche per gli incerti nella sua vita privata, fra i quali c’era il fatto che il suo nome sembrava ebreo e ciò gli precludeva ancora nel 1989 molte porte ( Shoen invece è di madre svizzera e padre scozzese, entrambi cattolici ).
In ogni caso, gli ebrei cominciarono a trovare porte spalancate ad ogni passo. Occupavano posti nelle Università, nelle redazioni della grande stampa e delle televisioni, nei consigli di amministrazione di società finanziarie e di altri servizi, negli studi legali di certe città, balzavano alla ribalta come romanzieri, saggisti, economisti ; in breve, effettivamente, si moltiplicavano in tutti quei settori nominati da Weber, anche se non in quelle percentuali. Come al solito essi erano introdotti in quei posti o lanciati al successo culturale da altri ebrei già piazzati, per il ben noto nepotismo etnico, ma ecco, tutto era diventato improvvisamente e fantasticamente facile, scorrevole, senza intoppi si sorta. Ha fatto eccezione Hollywood, citata davvero a sproposito da Weber fra i capisaldi del successo ebraico : qui infatti la percentuale di addetti ebrei è da lui ( cioè da J.J. Goldberg ) posta al 59%, un valore lusinghiero solo in apparenza perché nei tempi iniziali era dell’ordine dell’80-90% . Proporzionalmente quindi la presenza ebraica a Hollywood è diminuita dagli inizi ; forse dopo il 1967 la tendenza al calo, cioè a quella sostituzione di ebrei con elementi WASP più capaci che si è effettivamente verificata nel tempo a Hollywood, è diminuita o si è fermata, ma questo non può essere definito un successo. Specie se, secondo valutazioni che trovo più credibili, attualmente la quota di ebrei a Hollywood non è del 59 o del 60%, ma di meno del 30%.
Tutto ciò era ed è di fatto agevolato dal Potere negli USA, che è un Potere esclusivamente WASP, allo scopo di fare credere che gli USA sono condizionati dai loro ebrei : chi non apprezza le politiche USA incolperà i loro ebrei, o gli ebrei in generale. Non è un vantaggio da poco per gli USA : gli europei, i latinoamericani, e in breve quasi tutti i popoli del mondo odiano la politica estera USA ma non gettano definitivamente l’ostracismo su questo Paese anche perché implicitamente attribuiscono la sua malvagità ai suoi ebrei ; essi in verità vedono gli USA come un gigante forte e boccalone traviato dagli ebrei. Si pensi al mondo arabo, martoriato da decenni da un Israele cui danno via libera gli USA : lo scudo ebraico ha evitato e sta certamente evitando nell’area agli USA le ritorsioni e i rovesci politici della misura che questi meriterebbero.
Così essendo, sarebbe logico che gli USA presentassero la loro politica estera dietro al numero più alto possibile di volti ebraici. Lo fanno, difatti : chi non sa che la politica estera statunitense è fissata da esperti quali Kissinger, Brezinski, Albright, dei quali è nota l’ebraicità ? E chi non scorge la presenza al Dipartimento di Stato di elementi come Abrahms, Perle, Wolfowitz, ebrei notori anch’essi ? Tutti sanno e tutti scorgono e ciò è quanto quel puro WASP dello Zio Sam vuole.
L’Olocausto fa comodo agli USA per i motivi propagandistici detti. Non è rovinoso per loro se è drasticamente ridimensionato dalla tesi revisionista ( che nega un piano di sterminio nazista nei riguardi degli ebrei e ammette solo nella seconda guerra mondiale 3/400mila ebrei morti di tifo e stenti in campi di lavoro tedeschi ) : sarebbero sempre dei ben intenzionati, ingannati dalle false vittime. Ma certamente il suo trionfo è preferibile. In effetti, sull’Olocausto si è cominciato a spingere davvero a partire dal 1967 e chi lo ha fatto davvero sono stati gli USA. Certo, esso era alimentato dagli ebrei e dalle loro associazioni, di varie nazionalità, ma il danaro per tutti proveniva decisamente dagli USA, così come da loro erano forniti i potenti canali di comunicazione mediatica : erano loro, cioè il Potere WASP che li regola, a muovere tutto dietro le quinte. Ultimamente l’Olocausto - come ha denunciato anche l’ebreo statunitense Norman Finkelstein ( “ L’industria dell’Olocausto “, Rizzoli 2002 ) - sembra essere diventato un’industria, o un sistema di estorsione, per pompare soldi in tasche ebraiche : associazioni di sopravvissuti ai lager fanno cause per risarcimento danni a governi, banche, industrie ed enti vari europei ostensibilmente a suo tempo compromessi e strappano sentenze o accomodamenti per importi multimiliardari, che intascano. Anche qua ci sono gli USA dietro : nessun governo, tribunale o industria dell’Europa darebbe un soldo a questi individui se non in seguito alla prospettiva di dover subire ritorsioni da parte della potenza che oggigiorno tutto può e nulla teme, che sono gli USA e non Israele. USA che hanno anche interesse a tenere l’Europa sotto pressione, diciamo pure sotto ricatto. E non è neanche certa la destinazione dei risarcimenti : sopravvissuti ed eredi sembra che non intaschino mai niente e probabilmente le cifre dopo qualche giro finiscono in Israele, ma solo per alleviare il peso assistenziale autoimpostosi dallo Zio Sam.
Tutto ciò si riversò anche all’estero, nei Paesi sotto la dominazione o l’influenza statunitense ( come l’Italia ). Gli ebrei di quei luoghi cominciarono a prendere posti e lustro come mai prima, diventando sempre più visibili nei giornali, nelle televisioni, in libreria : improvvisamente erano diventati “ intelligenti “, grumi di genio in nazioni avvolte nella tenebra mentale, in popoli di cavernicoli. I premi Nobel, che come si sa non hanno mai premiato affatto i migliori ma sono sempre stati assegnati per via politica, a seconda di chi e di come fa comodo, dopo il 1967 cominciarono a trovare sempre più facile la strada verso personalità ebraiche, in primo luogo  statunitensi è ovvio ma non furono ignorati neanche gli ebrei di altre nazionalità, perché in fin dei conti l’idea era che a prevalere più che gli ebrei statunitensi erano gli ebrei in sé stessi. Si arrivò così con i Nobel ad autentiche farse, a rendere questo concorso una parodia della sua stessa parodia ( mi riferisco di sicuro al comico “ Premio Ignobel “ ), come quando nel 2002 il Premio per la letteratura fu assegnato all’ebreo ungherese Imre Kertesz, evento significativamente segnalato dal prof. Claudio Mutti con un articolo intitolato “ Se questo è un Nobel “ ( quotidiano “ Rinascita “ del 15/10/2002 ). Ora lo stesso professore in un altro articolo, questo intitolato “ Clown. Probabilmente Nobel “ ( idem del 13/01/2004 ) ci segnala che probabilmente per il 2004 si sta preparando un “ colpo “ analogo : sembra infatti che favorito per il Nobel per la letteratura di quest’anno sia tale Norman Manea, scrittore medio anzi più che così ma guarda caso ebreo, ebreo della Romania emigrato negli USA nel 1996.
 
Il caso degli ebrei russi dopo il 1989
Un evento molto recente, e ancora in essere, esemplifica e riassume perfettamente quanto detto : il clamoroso successo economico degli ebrei russi seguito al crollo dell’URSS del 1989. Si trattò effettivamente di un successo eclatante per le sue dimensioni e per la sua fulmineità, che colpì molto gli osservatori internazionali : nel marasma in cui era piombata la Russia, un marasma totale e scioccante ( l’enorme Paese che giace su 12 fusi orari passava da un giorno all’altro non da una tassa IRPEF al 16 ad una al 18%, ma dal comunismo al capitalismo ! ), emersero pochi individui che si appropriarono dei settori economici più importanti, divenendone i magnati, e quei pochi individui erano quasi tutti ebrei ! La gente normalmente pensa che tale performance non sia che la conferma del leggendario talento per gli affari degli ebrei, della loro diabolica sottigliezza di mente, in breve della loro superiore, einsteniana intelligenza, ma qualcuno ha meglio interpretato la cosa, un qualcuno che gli ebrei specie russi li conosce bene perché ebreo russo lui stesso : lo scrittore Israel Shamir.
Shamir, che già io molto apprezzavo per i suoi articoli, è un uomo che benché sia appunto ebreo è dotato di grande obiettività, oltre che naturalmente di grande perspicacia. Nel dicembre dello scorso anno 2003, in occasione dell’arresto ad Atene del magnate dei media russi Vladimir Gusinski, il giornalista greco Kostas Karaistos, editore del settimanale Antifonitis, lo ha intervistato. Fra le altre cose Karaistos, notando l’abnorme presenza degli ebrei nei vertici dell’economia della Russia, ebrei come i notissimi Berezovski, Khodorkovsky, Abramovitch, Chubais, lo stesso Gusinski e così via, gli ha chiesto come lui spiega questo “ ristretto potere guadagnato dalla lobby filo israeliana dopo il 1989 “. Ed ecco la risposta di Shamir, testuali parole come risulta dall’intervista riportata sul sito israelshamir.net :
“ L’ascesa della comunità ebraica nella Russia postsovietica è uno dei fenomeni più stupefacenti. Dei sette uomini più ricchi in Russia sei sono ebrei e sono molto influenti nei media, nelle banche e nel controllo delle risorse naturali. Non è facile spiegare come un contabile di Tashkent, Chernoy, con un salario mensile di 100 rubli, sia diventato il proprietario dell’industria russa dell’alluminio.
Una delle ragioni risiede nella sfera religiosa. I cristiani ortodossi si vergognano di diventare ricchi. Ricordano le misure della cruna e del cammello. Sanno che i ricchi difficilmente sono anche onesti. Si vergognano del potere, perché fu detto loro : gli ultimi qui saranno i primi lì. Questa qualità del Cristianesimo Ortodosso è stata praticamente ereditata dal Comunismo, ecco perché il Comunismo ha avuto successo in Russia. ( L’avrebbe avuto anche in Grecia, ma l’Inghilterra schiacciò i comunisti nella Grecia postbellica ).
I calvinisti e gli ebrei non hanno tali timori. Essi inseguono il potere, perché il Vecchio Testamento dice : “ Sii un padrone per i tuoi fratelli, ed essi si inchineranno a te “. Credono che la ricchezza sia un segno di benedizione. Ecco perché sono pronti ad arraffare tutto ciò che è possibile. Su un piano meno religioso citerò Victor Pelevin, uno scrittore russo moderno : “ In tempi tumultuosi, un uomo onesto e senza scrupoli riesce meglio di uno onesto, perché si adatta rapidamente ai cambiamenti. A un certo grado di scaltrezza e disonestà, l’uomo riesce a prevedere i cambiamenti con molto anticipo, e quindi vi si adatta ancora prima. La peggiore canaglia si adatta ai cambiamenti ancora prima che essi avvengano. Queste peggiori canaglie sono il motore del cambiamento, perché esse non prevedono il futuro, ma lo formano. Questa canaglie arriviste senza scrupoli e senza vergogna convincono gli altri che la loro previsione è corretta, e così il cambiamento ha luogo. In altre parole, il “ successo di un gruppo a spese di altri è il segno della mancanza di scrupoli. Ma, a un livello più pragmatico, gli ebrei russi devono il loro successo alle strette relazioni che intrattengono con gli ebrei americani. Quando questi ultimi entrarono nel grande gioco di spartirsi le spoglie della Russia, avevano bisogno di alleati locali e gli ebrei russi erano disponibili a questo ruolo “.
 [ di seguito Shamir porta degli esempi della protezione accordata dagli ebrei americani, ad esempio da Perle e da Soros, ai neomagnati ebrei russi ; le sottolineature* (*in grassetto) sono mie ].

 
La lucidità di Shamir nell’interpretare questa vicenda della sua stirpe è quasi commovente. Egli ha capito che il “ successo “ degli ebrei russi dopo il 1989 non è stato dovuto a loro particolari capacità, ma all’appoggio ricevuto dall’estero : giustamente, un contabile da 100 rubli al mese non poteva impossessarsi dell’intera industria dell’alluminio russa solo perché sapeva fare bene i conti, cosa poi neanche certa ! E’ chiaro come andarono le cose all’indomani della repentina conversione dell’economia russa, avvenuta come si ricorderà con poche leggi promulgate quasi clandestinamente. Intere industrie, banche, campi petroliferi eccetera potevano essere accaparrate da chi sapeva il dove, come e quando delle modalità burocratiche della acquisizione, e disponeva delle somme necessarie per rastrellare i microcertificati di proprietà distribuiti ai dipendenti. Chi era pronto con tutto - informazioni e danaro - erano gli ebrei americani, che solo abbisognavano di collaboratori in loco che naturalmente scelsero fra la loro stirpe.
Peccato che Shamir eviti di fare l’ultimo passo, di eseguire la finale demolizione del falso mito di un potere mondiale ebraico autonomo. Egli sembra infatti ammettere che gli ebrei americani abbiano agito di loro iniziativa, ma ciò non è possibile : se avevano il danaro, non avevano però il coordinamento né, soprattutto, le informazioni, che potevano essere a disposizione solo di strutture in loco, strutture tipo l’Ambasciata degli USA a Mosca, con i suoi funzionari esperti di politica e di economia russe e con l’intera rete CIA del Paese ai loro ordini. Fu questa, ne sono certo, a gestire il tutto : coinvolse gli ebrei americani, li coordinò, li mise in contatto con gli adatti ebrei locali, forse anticipò anche somme di danaro. Perché l’Ambasciata USA adoperò gli ebrei, sia quelli di casa che i locali ? Perché, come detto, questo è il nome del gioco del Potere USA a partire dal 1967 : mandare avanti gli ebrei, fare figurare loro nei lavori sporchi. E quello di approfittare del caos russo per scippare le risorse ai loro legittimi proprietari - i veri cittadini russi - un lavoro sporco lo era.
Per contro Shamir fa un altro centro rilevando un secondo fatto significativo : la mancanza di scrupoli evidenziata dalla media degli ebrei russi rispetto alla media della popolazione. Una accusa - questa - risuonata più volte nel mondo, da parte di popoli che avevano ospitato ebrei e che ad un certo momento avevano dovuto scoprirne una insospettata ma immediata, fulminea, disponibilità a tradirli, ad allearsi col nemico.
Ulteriormente, Shamir conferma in implicito la tesi sulla vera natura del rapporto fra americani ed ebrei, quella del parallelismo culturale e non dell’influenza : nota infatti le somiglianze fra calvinisti ed ebrei ( “ I calvinisti e gli ebrei non hanno tali timori “ ), e gli americani sono certamente di matrice calvinista.
 
Il vero “ peso “ degli ebrei negli USA
In fine, torniamo agli ebrei degli USA. Questa è dunque la conclusione : il successo che Weber attribuisce agli ebrei statunitensi è un successo artificioso ; è iniziato solo nel 1967, ed è stato dovuto ad una decisione precisa del Potere USA, motivato dalle concrete considerazioni sopra esposte.
La “ particolare intelligenza “ o anche solo il “ particolare talento per gli affari “ degli ebrei non c’entra nulla : fosse stato per i loro meriti gli ebrei statunitensi sarebbero sempre rimasti ai livelli antecedenti il 1967, e cioè alla vera base della piramide sociale, poco sopra i neri ed i portoricani e circa alla pari con i paisà italiani. Cioè, avrebbero tenuto le posizioni circa sempre tenute nei Paesi ospiti dell’Europa, dell’Africa settentrionale e dell’Asia, nessuno dei quali si è mai fatto mettere sotto dai propri ebrei per via di “ meriti “. Negli USA poi bisogna ricordare che a dominare sono i WASP, un gruppo che mediamente, dal punto di vista dell’efficienza intellettuale, ha ben poco da invidiare a chiunque. Credere, come gli ebrei statunitensi certamente credono visto l’entusiasmo con cui divorano il banchetto messogli sotto il naso, che una minoranza come la loro possa prendere il sopravvento su un tale gruppo è solo un’altra dimostrazione di quanto gli ebrei siano intellettualmente normali, anzi normalissimi, proprio come effettivamente in tutti i tempi e in tutti i luoghi si è sempre evidenziato.
La “ potente lobby ebraica “ che fa il bello e il cattivo tempo negli USA e ne condiziona o addirittura stabilisce le politiche estere è un mito. Gli ebrei contano poco negli USA ; contano poco in quelli di oggi, hanno contato poco in quelli di ieri, e tanto meno hanno contato in quelli di prima del 1967. Il governo USA non ha mai attuato alcuna politica né effettuato alcuna azione di rilievo che fosse solo nell’interesse degli ebrei statunitensi o di Israele e non anche nel suo. L’appoggio degli USA a Israele non è stato né un sentimentalismo verso le “ vittime dell’Olocausto “ né il frutto della pressione della lobby ebraica negli USA : è stato puro American Interest, una strategia scelta dagli USA per contribuire al controllo del Medioriente e del suo petrolio. Le estorsioni a danno di Paesi europei che sono state denunciate da Finkelstein hanno esiti positivi per i querelanti ebrei perché così vogliono gli USA, certamente, e gli USA così vogliono non perché convinti dai loro ma perché la cosa fa esattamente comodo anche a loro, per i motivi detti sopra. Le leggi liberticide che alcuni Paesi europei, con l’indignazione dei loro stessi popoli, hanno adottato contro il revisionismo dell’Olocausto non vedono solo ebrei e Israele come beneficiari, ma anche gli USA, perché gli USA gongolano nel vedere diffondersi in Europa l’astioso mito dello strapotere ebraico.
La stessa Hollywood, dove pure gli ebrei sono sempre stati tanto numerosi, per decenni addirittura la maggioranza, non ha mai prodotto niente - e intendo non un film - che fosse soltanto nell’interesse ebraico e contro quello statunitense. Questo perché Hollywood è sempre stata controllata in qualche modo dal Potere USA, che si è sempre reso conto delle sue potenzialità politiche e che non ha mai permesso - ebrei o non ebrei - la diffusione di “ messaggi “ non conformi. Nei primi anni il controllo fu eseguito informalmente tramite le Producers’ Associations ( associazioni di produttori, di vari tipi ), quindi nel 1930 tramite il regolamento scritto detto Codice Hays, ed infine nel 1953 affidato alla Agenzia federale USIA ( United States Information Agency ), in pratica il Ministero della Propaganda degli USA ( vedi il mio libro “ I Divi di Stato “, Il Settimo Sigillo, Roma 1999 ). Così, per esempio, l’“ ebrea “ Hollywood non ha mai realizzato un film non dico incentrato, ma neanche vagamente ispirato allo spirito del Talmud. Avrebbe potuto farlo, perché questo è il vero e peculiare spirito ebraico e qualunque ebreo ne desidera l’esaltazione pubblica, ma non lo ha mai fatto, perché ? Perché esso urta i non ebrei, compresi certo i WASP, e così nessun ebreo di Hollywood ha mai osato produrre una tale pellicola, perché Hollywood non è “ governata dagli ebrei “ come dice Marlon Brando, ma anche lei come tutti negli USA dipende dal Potere USA, che è WASP dalla cima dei capelli alla pianta dei piedi. Il signor Steven Spielberg, ebreo, non confeziona tanti film pieni zeppi di propaganda ebraica occulta e palese perché così vuole lui per servire le sue cause ; lo fa perché ciò è apprezzato dal Potere e spesso addirittura gli è commissionato dal Potere, Potere che è WASP e che segue i suoi propri scopi. Spielberg non è un “ buon ebreo “ ; è un buon persuasore occulto nel campo del cinema, che fa ciò che i padroni degli USA vogliono, e questi padroni sono WASP e solo WASP. Infatti, confeziona anche film pieni zeppi di propaganda statunitense tipica, zeppi di American Way. 
Si potrebbe continuare con altri esempi, ma il concetto ormai dovrebbe essere chiaro : tutto ciò che gli USA fanno per ebrei e Israele lo fanno perché fa comodo anche a loro stessi, e non perché sono plagiati dagli ebrei. Questo semmai lo fanno credere. Negli USA una lobby ebraica esiste ( lo si vuole, che esista ) ma la sua potenza è apparente ; essa si agita e tramite i suoi sforzi ottiene solo le cose che già si era deciso che era conveniente concederle. Essa esiste, ma c’è qualcuno dietro che la sostiene, issandola proprio come una maschera e agitandola anzi come un drappo rosso davanti a un toro, qualcuno che di ebreo non ha niente : il Potere USA, sempre stato monopolio WASP.
Ma anche io come Weber voglio cercare di dare una veste “ scientifica “ alle mie valutazioni sugli ebrei statunitensi, anche io voglio suffragare il tutto con dei numeri, delle statistiche. Ho detto prima che gli ebrei statunitensi contano “ poco “ ; ebbene, quanto è questo “ poco “ ?
E’ presto detto. Weber ha riportato tante statistiche atte a dimostrare l’influenza degli ebrei sulla società statunitense : ebrei tot percento dei “ 200 massimi intellettuali “, tot percento della “ elite del Paese “, eccetera. Ma a pensarci sarebbe bastato un dato solo : la quota del reddito totale nazionale di cui è titolare la minoranza ebraica. In un Paese come gli USA, dove per ammissione di tutti ciò che conta è solo il danaro ( Almighty Dollar ), ad ogni livello a cominciare da quello politico, questa dovrebbe essere la misura esatta della sua forza politica, non è vero ? Eppure, fra i tanti proposti da Weber proprio questo dato manca. Ma bene, rimedio subito dicendo che :
 
la minoranza ebraica statunitense, che numericamente costituisce circa il 3%
del totale della popolazione, rappresenta circa il 7%
del totale del reddito nazionale.

 
E a dimostrazione che negli USA il danaro davvero è tutto e misura e stabilisce tutte le cose, comprese quelle politiche, si può constatare come questa - circa il 7 % - sia circa anche la percentuale degli ebrei eletti al Congresso federale, il supremo organo politico degli USA, anche questo - a pensarci - un dato non fornito da Weber ( invece che dire quanti ebrei c’erano a Hollywood o negli studi legali, per sostenere le sue tesi non era più semplice dire quanti ce n’erano al Congresso ? ). Nel 1999, l’ultima volta che ho fatto il calcolo, gli ebrei erano 11 su 100 al Senato e 25 su 435 alla Camera dei Rappresentanti, cioè in totale 36 su 535 pari al 6,7%, la stessa percentuale circa del ventennio precedente e che dovrebbe essersi confermata anche in questo anno 2003 dopo i rinnovi parziali del 2000 e del 2002. Il fatto che la percentuale di ebrei è più alta al Senato riflette quanto già segnalato dietro, che i senatori sono tutti miliardari e gli ebrei presentano più miliardari di quanto spetterebbe alla ricchezza media del gruppo.
Questo è dunque il vero “ peso “ della minoranza ebraica USA e della sua “ potente lobby “ : su di una scala di 100 esso è di 7. Tale minoranza non può contare più di così : non lo permettono i meccanismi né sociali né politici del Paese, dove tutto è espressamente studiato per far prevalere le quantità di danaro maggiori ; gli Stati Uniti sono appunto questo, il Paese dove conta il danaro maggiore. Se abbiamo l’impressione che tale minoranza conti di più è perché c’è qualcuno - naturalmente il vero padrone del vapore - che così ci vuole fare credere.
 
La “ superiore intelligenza “ ebraica
Torniamo a quel valore del 7% come espressione del reddito e consideriamolo in sé e per sé : esso offre il corrispondente poco peso politico però rappresenta sempre un reddito più che doppio rispetto alla numerosità della minoranza, che è del 3%. Qualcuno penserà : magari gli ebrei statunitensi non saranno i padroni del Paese, però questo è comunque un risultato lusinghiero per loro, indicativo di una qualche eccellenza. Non è così. Il fatto è che quel 7% si riferisce al reddito attuale della minoranza ebraica, al reddito cioè che essa ha cominciato a raggiungere a partire dal 1967, l’anno in cui il Potere WASP le spianò la strada del successo sociale, anzi gliela mise in vertiginosa discesa. E’ dunque un reddito in gran parte immeritato e non realmente significativo, frutto dei favoritismi del Potere. In realtà, il reddito percentuale veramente pertinente della minoranza ebraica sarebbe quello degli anni anteriori al 1967, ma purtroppo questo interessante e delicato dato mi è risultato difficile da reperire ; mi manca. Ma per chi ricorda quegli anni di grandi stenti per gli ebrei statunitensi, quegli anni in cui per migliorare le loro condizioni sociali essi si attaccavano al carro di quei neri che ora immemori ed ingrati tanto spregiano, non dovrebbero esserci soverchi dubbi : il reddito pro capite della minoranza ebraica doveva essere piuttosto inferiore alla media nazionale, e la sua sommatoria rispetto al reddito totale nazionale doveva essere espresso da un numero più basso della consistenza numerica ; per esempio, se gli ebrei erano il 3% della popolazione il loro reddito totale doveva essere del 2 o 2,5% del reddito nazionale. La verità è che - se vogliamo parlare delle riuscite economiche delle minoranze USA - la minoranza etnica che nel Novecento negli USA ha raggiunto il maggior reddito medio pro capite è sempre stata, e di gran lunga, quella greca ; la minoranza ebraica non si è mai distinta se non negli ultimi decenni del secolo, per i motivi politici detti.
Che ne è allora della “ superiore intelligenza “ ebraica, quel sacro postulato che sembra implicitamente accettato un po’ da tutti qua in Occidente ? Subisce il destino di tutti i luoghi comuni, va e deve andare al macero. Gli ebrei non hanno affatto rispetto agli altri una superiore intelligenza. Abbiamo visto che nell’antichità al popolo ebraico non erano riconosciute doti intellettuali particolari, anzi da questo punto di vista gli erano imputate addirittura delle carenze, cosa abbastanza in linea con l’arretratezza del loro Stato della Giudea, uno Stato di secondo piano dal punto di vista culturale, sociale, politico e militare, che nel corso della sua esistenza - il primo millennio a.C. abbondante - non riuscì praticamente mai ad essere indipendente, attorniato com’era da vicini che erano tutti culturalmente più raffinati ed economicamente e militarmente più potenti ( si trattava di egiziani, fenici, siriani, persiani, anche palestinesi e cioè philistin, filistei ), vicini che spesso lo razziarono e ne ridussero in schiavitù parte della popolazione. E ciò benché gli ebrei non fossero affatto, come in genere si crede, un popolo piccolo ; erano anzi uno dei più numerosi dell’antichità, tanto che nel I secolo d.C. assommavano al 10% della popolazione dell’intero Impero Romano ( 8 milioni su 80, circa ) e per secoli costituirono, come detto addietro, il 20% della popolazione dell’Impero Romano detto d’Oriente. Cifre che assumono il dovuto rilievo se si pensa che il popolo romano non oltrepassò mai il livello di 1,5 milioni di individui, un massimo raggiunto verso la metà del III secolo a.C., mentre quello cartaginese di 700mila ( sino a una metà del quale, oltretutto, era probabilmente costituita da ebrei ).
Durante la Diaspora, iniziata nel 135 d.C. per volontà dell’imperatore Adriano, presso i popoli dove andarono ( circa tutti ) agli ebrei non furono mai riconosciute doti intellettuali particolari ed i loro successi, quando li avevano, erano correttamente attribuiti ad una ragione politica, e cioè al collaborazionismo col potere. Un cambiamento ci fu nell’Europa occidentale dell’Ottocento, è vero, ma ebbe un motivo ben preciso : la rivoluzione industriale e scientifica. Ciò che capitò fu che, con l’aumento dei traffici internazionali e la diffusione delle nuove scoperte scientifiche e delle relative applicazioni tecnologiche, cominciò a farsi sentire quel vantaggio che gli ebrei avevano sempre avuto ma che prima non aveva mai avuto occasione di fare una gran differenza : la loro rete internazionale ed esclusiva di scambio di informazioni e di punti di appoggio. C’erano ora molte merci in movimento da un Paese all’altro, e c’erano ora molte novità - una scoperta scientifica, un’invenzione, un nuovo procedimento industriale, un libro - che nascevano in un Paese e che erano da diffondere in tutti gli altri, e gli ebrei erano in posizione più favorevole rispetto agli altri per trarre vantaggi da queste situazioni : così molti più ebrei di prima divennero ricchi e molti di quelli che lo erano già dai tempi precedenti divennero straricchi. Nella massa gli ebrei erano sempre poveri come al solito, ma quei nababbi davano nell’occhio, come notato da Riccardo Calimani a proposito dei Rotschild, e cominciava a nascere così, nell’Europa occidentale del tempo, l’idea che gli ebrei avessero qualcosa in più nei cromosomi dell’intelletto.
A peggiorare le cose comparvero poi in Europa in quel secolo-secolo e mezzo tre grandi menti ebraiche, che sembrarono suggellare la “ superiorità “ della “ razza “ : Marx, Freud ed Einstein. Fu appunto una impressione del tutto fuori luogo. In quel periodo gli studiosi e gli scienziati europei di livello intellettuale comparabile al loro saranno stati come minimo alcune centinaia ( mi riferisco ad elementi come Mendel, Darwin, Tesla, Gauss, Coulomb, Avogadro, Fourier, Hertz, Marconi, Fermi ecc ecc, e per l’analisi sociale a Pareto, Weber, Sombart, Engels, Michels ecc ecc ) e quindi i tre hanno semplicemente espresso la consistenza numerica della loro minoranza, forse dilatandola di un tanto per via sempre del vantaggio fornito dal cosmopolitismo ebraico in un periodo di scambi intellettuali internazionali come quello.
Inoltre non bisogna dimenticare che i tre grandi scienziati erano ebrei sì, ma anche europizzati da generazioni, cioè assolutamente inseriti nella corrente culturale europea. Una osservazione che mostra il suo significato pieno se si considera il rendimento diciamo intellettuale dell’Israele moderno, quello fondato nel 1948. Nei primi lustri, assieme ai coloni dei kibbuz, si trasferirono in Israele da vari Paesi culturalmente e scientificamente avanzati molti intellettuali - scrittori, scienziati, ingegneri, economisti, tecnici specialisti dei più vari rami - e sia in Israele che fra gli ebrei rimasti nella Diaspora c’era la convinzione che questi elementi così pieni di talento, ora che erano finalmente tutti insieme e liberi anzi ansiosi di far lavorare il cervello, avrebbero fatto meraviglie, avrebbero scoperto e inventato chissà cosa, avrebbero trasformato le pietre del deserto in diamanti e la sabbia in oro, avrebbero trovato le medicine per curare tutti i mali, le formule per vivificare ogni economia e così via e, certamente, i loro fisici quantistici avrebbero inventato chissà quali armi portentose, che avrebbero messo in grande soggezione se non proprio in dichiarata inferiorità anche le più grandi potenze del momento, gli USA e l’URSS, per non parlare di entità medie come Gran Bretagna, Francia e Cina. Era come se gli ebrei di quegli anni fossero convinti che un intellettuale ebreo fosse in verità ostacolato dal fatto di dover lavorare in Europa o negli USA, non potesse esprimersi al meglio in un ambiente così retrogrado, e che invece trovandosi esclusivamente fra altri ebrei avrebbe liberato chissà quali potenzialità. Questa - ricordo bene il mio periodo universitario a Bologna - era l’atmosfera fra gli ebrei in quegli anni, queste erano le loro fiduciose aspettative, anzi direi le loro certezze.
Ma abbiamo visto la “ carriera “ di Israele. Non è diventato il Paese dei miracoli, non ha realizzato un tremendo sviluppo economico grazie alle sue scoperte mirabolanti, non ha mantenuto una densità particolare di intellettuali : dopo alcuni decenni, indebolitosi via via il legame con le culture madri di provenienza, europea e statunitense, ha assunto la dimensione che naturalmente competeva ai suoi abitanti ed è diventato - era da dubitarne ? - un Paese mediorientale come gli altri, circa con gli stessi problemi e le stesse carenze. Guardiamolo, questo Israele dei giorni nostri. La sua economia è disastrata, non è mai decollata, e sopravvive solo grazie agli aiuti USA, che assommano alla cifra di 5 miliardi di dollari all’anno. Unica altra fonte di danaro dall’estero è il crimine organizzato, il traffico internazionale di droga ( il citato Meyer Lansky a suo tempo si trasferì a Gerusalemme ), il traffico di diamanti in Africa, il traffico di organi umani in Africa e in America Latina, l’addestramento di milizie illegali sempre in Africa e America Latina, la vendita di armi leggere ai peggiori regimi ovunque. E anche in queste attività i boss israeliani devono le loro posizioni a fattori politici : sono protetti dal loro governo ( Meyer Lansky fu accolto a braccia aperte ), e ancora più dall’alto dagli USA. E naturalmente sono ancora gli USA a garantire con la fornitura delle loro armi la superiorità militare di Israele nella regione : tutti i tentativi di Israele di fabbricare armi importanti, come cacciabombardieri, missili, carri armati e sistemi radar, anche se si trattava solo di copiare sono puntualmente falliti, tenuti in vita quando il caso solo pro forma, per prestigio.
Sembra esserci una importante eccezione : le bombe nucleari. Si dice infatti che Israele sia riuscito a fabbricarne un certo numero, si dice più di 80. Non sarebbe una impresa particolare, perché copiati i progetti e ottenute le masse critiche ( plutonio arricchito ) assemblare una bomba atomica non presenta difficoltà proibitive ( è sempre una bomba, non un bombardiere ). Ma secondo me Israele non ha fatto neanche questo. Secondo me, Israele non possiede affatto delle bombe nucleari. Anche se avesse copiato tutto dagli amici statunitensi, come ha fatto magistralmente credere l’episodio di Mordecai Vanunu, avrebbe alla fine dovuto fare almeno un esperimento, fare esplodere almeno una testata, ma ciò non risulta che l’abbia mai fatto. Ciò non significa che non ve ne siano sul suo territorio. Anzi, certamente ve ne sono, ma non sono né di fabbricazione israeliana né a loro disposizione : sono statunitensi, azionabili solo da personale statunitense dietro ordine statunitense. La spiegazione del tutto è elementare : ad Israele conviene fare credere di avere armi atomiche, e agli USA conviene fare cadere su Israele la responsabilità del loro uso nel caso dovesse verificarsi la necessità o la convenienza. Tutto torna. In effetti l’unica cosa che agli USA davvero non conviene è un Israele dotato di proprie armi atomiche, perché ciò lo porrebbe al di fuori del loro controllo.
E’ la stessa sceneggiatura messa in opera col Pakistan : si da per certo che questo Paese sia riuscito a fabbricare delle testate atomiche, ma non è probabile. E’ più che probabile che in Pakistan ci sono testate o bombe nucleari, ma del caso sono di proprietà e a disposizione esclusiva degli statunitensi, per farle entrare in azione a loro decisione. Per l’India il discorso è più incerto : il Paese è capace di molto in campo tecnologico, perché grande e con una ricerca scientifica avanzata, però il fatto che abbia condotto esperimenti nucleari - o che del caso l’abbia fatto in prima persona - secondo me non è certo : i cinque test atomici attribuiti all’India nel 1998, avvenuti nel Rajasthan, potevano non essere realmente tali, o potevano non avere una paternità realmente indiana. Dubbi analoghi ci sarebbero sui test che appena due settimane dopo il Pakistan avrebbe eseguito sul proprio territorio, in risposta. Così l’India potrebbe avere fabbricato ordigni nucleari, come potrebbe averne ottenuto un certo numero di già pronti dall’URSS, o come anche potrebbe ospitare sul territorio una deterrenza nucleare controllata da un Paese estero, che nel caso non potrebbe che essere sempre l’URSS, ora Russia.
E la Corea del Nord ? Non so ; io spero che abbia testate nucleari, e vettori per farle giungere alle desiderate destinazioni, ma non ne sono certo. Però la possibilità che le abbia esiste. I coreani sono intelligenti, e sono motivati : nella guerra del 1951-54 ebbero 4 milioni di civili morti per i bombardamenti statunitensi, e certamente nel caso di una ripresa delle ostilità questa volta vorranno essere in grado di poter contraccambiare, almeno in parte.
 
A chi serve il mito della “ potente lobby ebraica “.
Ci tengo a terminare con un invito : di non sottovalutare la questione della “ potente lobby ebraica “. Non si tratta di un mito inoffensivo : esso indebolisce le capacità di difesa del mondo - di tutti noi - nei confronti dell’assalto statunitense. Gli USA sin dalla loro fondazione hanno perseguito il fine della sottomissione-schiavizzazione di tutto il mondo, ma sempre hanno cercato di camuffarsi, di nascondere questo loro obiettivo. Ad esempio, per lungo tempo gli USA furono più deboli delle maggiori Potenze europee e non potevano permettersi di affrontarle al di fuori del continente americano ; non dissero però mai “ non possiamo “ : dicevano “ non vogliamo “, ed inventarono il mito dell’isolazionismo americano, un mito la cui colossale falsità in pratica solo ora è ammessa da tutti ( con l’eccezione di alcuni giornalisti e storici platealmente servili, specie italiani ). E’ ovvio perché gli USA dissimulano le loro intenzioni : perché un mondo consapevole offrirebbe maggiore resistenza, arrivando forse a pericolose forme di associazione, magari ad invocare una crociata antiamericana armata, che liberi per sempre l’umanità da questa minaccia che è sorprendente, è vero, ma che pure è concreta, incombente, totale. Questo gli USA temono, e costantemente mettono in atto accorgimenti per non essere individuati dalla vittima prima del boccone finale. Ecco, il mito della “ potente lobby ebraica “ è insidioso perché essenzialmente non è altro che uno di questi accorgimenti, appartenente alla categoria della disinformazione, del depistaggio, del camuffamento ideologico.
La sua funzione è già stata evidenziata in precedenza : ridurre le responsabilità degli USA sulla scena mondiale ; confondere le idee circa certe loro iniziative ; anche nascondere il fatto che la loro intima essenza è razziale e razzista. E’ una funzione ampiamente sfruttata. Si è già detto della protezione incondizionata offerta dagli USA a Israele, fatta passare per concessione alla loro “ potente lobby ebraica “ e invece puro american interest su petrolio e posizione strategica del Medioriente. Possiamo ricordare altre colpe essenzialmente statunitensi WASP addossate invece in tutto o in gran parte agli ebrei ricchi, e cioè appunto alla “ potente lobby ebraica “, una attribuzione - si noti - che anche quando si riferisce ad episodi vecchi anche di secoli è però emersa con insistenza solo negli ultimi decenni ( anche magari al livello del pettegolezzo storico, cosa che ha una sua efficacia ). Citando le topiche maggiori abbiamo : il traffico negriero dall’Africa, attribuito in buona parte ad armatori ebrei ( specie portoghesi ) o a società dominate da ebrei ( specie inglesi e olandesi ma anche statunitensi ) ; lo strangolamento finanziario della Germania dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, attribuito anche qui in buona parte a finanzieri ebrei ( statunitensi, tedeschi, francesi ) ; il finanziamento invece della rivoluzione comunista in Russia, attribuito ad alcuni banchieri ebrei ( statunitensi, tedeschi ) ; i processi, le esecuzioni capitali, i risarcimenti e le ingiustizie varie perpetrate in nome dell’Olocausto e attribuite alle organizzazioni ebraiche senza nominare donde proveniva loro tutto quel potere ; il disastro della desocialistizzazione degli anni Novanta in Russia, attribuito ai neo magnati ebrei locali, magari appoggiati dalla “ potente lobby “ statunitense.
Intendiamoci : non è che in tutte quelle evenienze gli ebrei - degli USA e degli altri Paesi - non c’entrassero nulla. Anzi, ebrei vi figurarono sempre, e con convinzione, con vera intenzione di danneggiare le vittime di turno. Ma il punto è che non furono mai loro a determinare quelle situazioni, ogni volta troppo grandi per le loro mani ; ciò che essi sempre fecero fu di farsi trovare pronti e zelanti all’appuntamento col vero demiurgo del momento, che appunto fu sempre il Potere WASP degli USA. Sono gli USA il problema del mondo, non gli ebrei. Sugli USA bisogna concentrarsi ; risolto il problema USA il resto viene da sé, tutto si sistema perfettamente ed eticamente, tutti i buoni vengono premiati e tutti i cattivi puniti.
Dunque sostenere, propagare, elaborare la tesi della “ potente lobby ebraica “, in pratica usare all’occorrenza questa chiave interpretativa, fa oggettivamente il gioco degli Stati Uniti. Ad usare questa chiave sono in molti, anche in Italia, e ci si può chiedere perché lo fanno. Io direi che in grande maggioranza queste persone sono in buona fede : credono effettivamente nella “ potente lobby ebraica “. Ci credono alcuni per ingenuità, altri per inadeguata riflessione sulla questione - per superficialità abituale o occasionale -, altri per mancanza di prospettiva storica. Alcuni sono tratti in inganno dalla Chiesa Cattolica, che mentre a parole lo nega nei fatti è però una alleata di ferro degli USA e contribuisce a propalare il mito della “ potente lobby “ nella sua variante vaticana del “ complotto giudaico-massonico “ ; lo fa in forma privata, affidandosi a quelle vere macchiette che sono gli intellettuali cattolici integralisti ed i clerici d’assalto ( magari dotati di siti internet ), ma lo fa. Altri ancora sono in realtà degli antisemiti idrofobi, ma di questi tempi non possono rivelarlo e si sfogano con gli anatemi e gli sproloqui sulla “ potente lobby “. E così via, con altre sfumature culturali-psicologiche.
Una minoranza dei propalatori del mito della “ potente lobby ebraica “ invece è in cattiva fede : si rende conto della secondarietà del fenomeno ebraico, della sua natura indotta, ma essendo dedita alla causa statunitense - per convinzione o come è più frequente per interesse ( carriera, appoggi vari ecc ) - mesta e rimesta sempre in quel mortaio. Al proposito posso solo ricordare il vecchio detto, e cioè che l’apparenza inganna.
In breve, ciò che a mio parere bisogna sapere, è che il mito della “ potente lobby ebraica “ è falso e di fatto sostiene gli USA. E sostenendo gli USA di fatto sostiene anche Israele, che sugli USA si regge ( a meno che non speri in un ritorno degli USA alla politica ante 1967, cosa del tutto improbabile ). Ognuno, ma specie chi non ama gli USA, deve respingere questo mito, riconoscerne e denunciarne la falsità, e ogni volta assegnare le responsabilità a chi veramente competono, che sono appunto gli USA. E non si dica che in questo modo le responsabilità della “ lobby ebraica “ sono condonate : non lo sono affatto, sono semplicemente riconosciute per quello che sono, minori negli effetti anche se certamente non sempre nelle intenzioni.
Marzo 2004  John Kleeves

 
   
 

IL DIBATTITO SULLA “SOLUZIONE” SIONISTA NEGLI AMBIENTI NAZIONALISTI EUROPEI DEGLI ANNI TRENTA

Saggio introduttivo a:  Herman de Vries de Heekelingen, Israele. Il suo passato, il suoavvenire, Effepi, Genova 2004
La corrispondenza intercorsa tra il Welt-Dienst di Erfurt e Ion Motza (cognato di Corneliu Codreanu) (1) ci presenta uno spaccato significativo del dibattito che nella prima metà degli anni Trenta si svolse negli ambienti nazionalisti, fascisti e filofascisti europei intorno alla questione ebraica e alle possibili soluzioni di essa. In particolare, le lettere che Ion Motza e il suo corrispondente tedesco si scambiarono dopo il congresso di Montreux (16-17 dicembre 1934), al quale il militante romeno aveva partecipato in qualità di esponente del Movimento legionario (la Legione Arcangelo Michele ovvero Guardia di Ferro), ci mostrano quale divergenza di vedute regnasse tra i congressisti che erano convenuti nella cittadina svizzera in rappresentanza delle rispettive formazioni politiche.

In una lettera del 5 febbraio 1935, Ion Motza cita i nomi dei congressisti Hoornaert e Mercouris, “che avevano delle concezioni deplorevoli, forse anche di origine sospetta” (2), nonché di Somville e di Meyer, “che erano interamente sionisti, al 100%, e buoni conoscitori del problema” (3). Paul Hoornaert, della Légion Nazionale Belge, aveva distinto gli ebrei “integrati”, assimilati e leali, dagli ebrei “internazionali”, agenti della massoneria internazionale; solo questi ultimi, a suo parere, dovevano essere denunciati e combattuti. Georgios Mercouris (4), ex ministro e capo di un movimento social-nazionalista greco, esprimendo una posizione condivisa dai delegati di Italia, Portogallo e Austria, si era opposto a “qualsiasi tentativo di fare una dichiarazione generale sugli ebrei, sostenendo che si trattava di una questione puramente interna, differente da paese a paese, e perciò, secondo lo spirito del congresso, si doveva lasciare che ogni nazione risolvesse il problema come voleva” (5). Quanto al belga Somville, esponente della Ligue Corporative du Travail, egli aveva appoggiato la richiesta fatta da Ion Motza, ossia che il congresso formulasse una dichiarazione generale sulla questione ebraica; ma aveva anche aggiunto che, secondo lui, la soluzione del problema “poteva consistere nel dare agli ebrei una loro patria; di conseguenza, prospettò la possibilità di concedere agli ebrei la Palestina in modo che potessero ‘esprimere la loro civiltà’” (6). Arnold Meyer, infine, capo del Fronte Nero olandese, doveva essere davvero il rappresentante di un’organizzazione “insignificante e oscura” (come si legge in un rapporto inviato a Ciano nel 1935), se al corrispondente tedesco di Ion Motza risultava sconosciuto.

Fatto sta che “l’ammirevole sig. de Somville” (7) e Arnold Mayer erano “interamente sionisti, al 100%”, nel senso che, secondo loro, la questione ebraica poteva essere risolta mediante il trasferimento degli ebrei dai paesi europei alla Palestina. D’altronde si trattava della medesima soluzione che sembravano proporre quei nazionalisti romeni che dicevano: “La Romania ai Romeni, per gli ebrei c’è la Palestina!”  Bisogna però dire che il Movimento legionario non assunse mai una posizione conforme a tale parola d’ordine. Al contrario, fin dall’inizio degli anni Trenta la stampa legionaria salutò con entusiasmo “la lotta degli arabi contro la creazione di uno stato ebraico in Palestina. Anzi, venne fondato un apposito Comitato per la propaganda a favore della lotta degli arabi” (8).

D’altra parte, un mese prima del congresso di Montreux si era dichiarato “sionista” nientemeno che Benito Mussolini, il quale non aveva ancora imboccato la strada di una politica mediterranea coerente e non aveva ancora optato per la scelta inequivocabilmente filoaraba (9). Nel corso di un colloquio con Nahoum Goldmann, il Duce si era allora espresso in questi termini: “Ma voi dovetecreare uno Stato Ebraico. Io sono sionista, io. L’ho già detto al dottor Weizmann. Voi dovete avere un vero Stato [un véritable État] e non il ridicolo Focolare Nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Io vi aiuterò a creare uno Stato Ebraico” (10).

Sia gli incontri di Mussolini con Weizmann e Goldmann sia i rapporti più stretti con Jabotinsky e i sionisti revisionisti vengono spiegati da Renzo De Felice in questo modo: “il prosionismo di Mussolini del 1933-34 e in qualche misura ancora dei primi mesi del 1935, molto più che a porsi come mediatore tra ebrei e arabi e sostituire la propria egemonia a quella inglese in Palestina (ereditando tutte le difficoltà e gli oneri connessi), mirava – oltre che a guadagnarsi simpatie in Europa e in America, presentandosi come protettore degli ebrei (ma senza esporsi troppo per non pregiudicarsi quelle degli arabi) – ad accrescere la tensione in Palestina e, quindi, a creare – lo ripetiamo – ulteriori difficoltà all’Inghilterra in uno dei punti più nevralgici del suo impero” (11).

Nel 1935, anche Reinhardt Heydrich distingueva gli ebrei in due categorie, i sionisti e i fautori dell’assimilazione, esprimendo la sua preferenza per i primi, perché “professano una concezione strettamente razziale e con l’emigrazione contribuiscono a edificare il loro proprio Stato ebraico (…) I nostri auguri e la nostra benevolenza ufficiale sono con loro” (12). E Alfred Rosenberg: “Il sionismo deve essere vigorosamente sostenuto, affinché ogni anno un contingente di Ebrei tedeschi venga trasferito in Palestina” (13).

Verso la metà degli anni Trenta, dunque, la creazione di un’entità statale ebraica in Palestina veniva auspicata sia da coloro che giudicavano nociva per i propri paesi la presenza di massicce comunità ebraiche e miravano alla “pulizia etnica”, sia da chi, volendo combattere l’egemonia britannica, riteneva possibile praticare una politica mediterranea contemporaneamente filoebraica e filoaraba. Nel primo caso si trattava evidentemente di una posizione nata dall’esasperazione; nel secondo, di un calcolo che voleva essere machiavellico, mentre era semplicemente sbagliato. Un errore simile a quello di Mussolini, d’altronde, lo commetterà Stalin, allorché favorirà la nascita dell’entità sionista in Palestina, nell’illusione di poterne fare una base filosovietica nel Mediterraneo e un alleato nella “guerra fredda”.

In Romania, un’autorevole riserva circa la possibilità della “soluzione” sionista era stata espressa, nel 1934, dal maestro di Mircea Eliade, il filosofo Nae Ionescu, quello stesso al quale Ion Motza affiderà il proprio testamento spirituale prima di partire per il fronte spagnolo. Nella sua Prefazione al libro di Mihail Sebastian intitolato De doua mii de ani… [Da duemila anni…], Nae Ionescu aveva scritto: “Esiste tuttavia un’azione con cui gli ebrei hanno cercato di strapparsi al loro destino. È il sionismo. Il tentativo però mi sembra del tutto confuso. (…) E adesso, che cosa ha voluto fare Theodor Herzl, che cosa vuole il sionismo? Togliere a Gerusalemme il suo nimbo mistico, il carattere di mito che essa ha avuto finora e trasformare questa città nella capitale di uno Stato, coi suoi ministri e la sua polizia? Lo si può fare. Però si realizzerebbe soltanto un’opera effimera, come lo sono sempre stati gl’insediamenti politici ebraici; d’altra parte, se Gerusalemme diventasse qualcosa di concreto, agli ebrei della diaspora verrebbe tolto quell’unico centro unificante che ha reso loro possibile la vita fino ad oggi. Il sionismo, senza dubbio, è un tentativo di infrangere il circolo di sofferenza della fatalità giudaica, ma è un tentativo che al massimo può produrre un risultato: la perdizione degli ebrei come popolo, a causa dello sgretolarsi del mito di Gerusalemme. Il sionismo? Un suicidio! E questa doveva essere una soluzione!” (14).

Quanto a Ion Motza, dal suo carteggio con il Welt-Dienst si potrebbe forse ricavare l’impressione che egli condividesse la posizione dei “sionisti” Somville e Meyer; ma sicuramente non era una posizione filosionista quella che egli aveva espressa, in termini inequivocabili, una decina d’anni prima. Infatti, pubblicando in romeno i Protocolli dei Savi di Sion, “Ion I. Motza, studente” aveva commentato l’Introduzione di Roger Lambelin con una nota a pié di pagina del seguente tenore: “Prima della guerra gli Ebrei erano divisi in sionisti e non sionisti. I primi perseguivano l’instaurazione dell’egemonia ebraica sul mondo tramite la rinascita dell’antico regno giudaico di Gerusalemme. Gli altri volevano la stessa cosa, senza però resuscitare il regno di Palestina, ma restando dispersi tra i popoli della terra, così come sono oggi. Adesso, dopo la guerra, quasi tutti i giudei sono ‘sionisti’” (15). Liquidando l’opzione sionista come una delle due tattiche dell’ebraismo mondiale, lo studente Ion Motza si era tenuto lontano dal tranello che, in tempi diversi, minaccerà statisti e capi rivoluzionari.

                                                *

A questo dibattito partecipò anche il prof. Herman de Vries de Heekelingen (1880-1941), titolare della cattedra di Paleografia e Diplomatica all’Università di Nimega (Olanda) e presidente della Commissione Cattolica di Cooperazione Intellettuale. Fondatore di un Centro di studi sul fascismo, scrisse Il Fascismo e i suoi risultati (Alpes, Milano 1927); poi si occupò del nazionalsocialismo tedesco e pubblicò Die nationalsozialistische Weltanschauung: ein Wegweiser durch die nationalsozialistische Literatur: 500 markante Zitate (Pan-Verlagsgesellschaft, Berlin-Charlottenburg 1932). Vries de Heekelingen intervenne al Congresso internazionale del Welt-Dienst che si tenne a Erfurt dal 1 al 4 settembre 1938 e vide la partecipazione di delegati provenienti da vari paesi, tra cui il Giappone e il Sudafrica (16).

Nel 1937 apparve a Parigi, presso l’editore Perrin, un libro di Vries de Heekelingen intitolato Israël, son passé, son avenir; poco dopo ne venne pubblicata una traduzione italiana presso Tumminelli & C. Editori. Della questione ebraica, lo studioso olandese si sarebbe ulteriormente occupato con The Jewish Question in Italy (senza indicazione di luogo e di data), con L’orgueil juif (Revue Internationale des Sociétés Secrètes, Paris 1938) (17), con Juifs et catholiques (Grasset, Paris 1939) e con Le Talmud et le non-juif. Une expertise préparéepour le tribunal d’Oron siégeant à Lausanne les 15, 16 et 17 janvier 1940 (Éditions Victor Attinger, Neuchâtel 1940) (18).

Secondo il prof. Vries de Heekelingen la realizzazione integrale del progetto sionista, con la creazione di uno Stato ebraico in Palestina e il trasferimento della popolazione ebraica mondiale (o della maggior parte di essa) sul suo territorio, avrebbe consentito agli altri Stati di considerare stranieri gli ebrei della Diaspora. Fu facile obiettare allo studioso olandese che un tale progetto sarebbe stato impossibile ad attuarsi, per vari motivi. Tra coloro che lo fecero, vi furono i padri gesuiti, che intervennero in due riprese sul tema della “soluzione” proposta da Vries de Heekelingen (19). E lo fecero con argomentazioni che vale la pena di riferire. 

“L’attuazione integrale del sionismo – si poteva leggere su “La Civiltà Cattolica” del 2 aprile 1938 – appare materialmente e moralmente impossibile, sia per la ristrettezza del territorio palestinese, sia per la invincibile opposizione degli Arabi, e sia perché la massima parte dei giudei non si indurranno mai ad andare in Palestina, abbandonando le residenze dove stanno bene. La costituzione di uno Stato giudaico, senza la effettiva comprensione dei giudei nel detto Stato, aggraverebbe, anziché scioglierla, la quaestio giudaica, in quanto all'equivoco della doppia nazionalità si aggiungerebbe un nuovo equivoco: quello di uno Stato la cui massima parte di cittadini ne vivono fuori. Ma vi è di più: uno Stato giudaico in Palestina sarà sempre un fomite di disordine e di perpetua guerra tra i giudei e gli arabi, come si vede al presente” (20).

Quale rimedio potrà dunque riportare l'ordine e la pace in Palestina? “Nessun altro che la partenza degli Ebrei, o almeno la cessazione dei loro progressi e della loro immigrazione, in una parola, il totale abbandono dell'idea di uno Stato ebraico in Palestina” (21).

Anche negli anni successivi la Santa Sede manifesterà la propria contrarietà alla nascita di una Jewish Home in Terrasanta, ma questa posizione si ammorbidirà gradualmente, finché, il 30 dicembre 1993, il Vaticano l’entità politico-militare sionista firmeranno a Gerusalemme un “accordo fondamentale” cui farà seguito il reciproco riconoscimento diplomatico. Per i padri gesuiti, d’altronde, il “fomite di disordine e di perpetua guerra” era già diventato da un pezzo “il piccolo Stato d’Israele, deciso a mantenere la propria identità di nazione” (22). L’episodio che coronerà degnamente l’evoluzione dei rapporti tra il Vaticano e l’entità sionista sarà il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II, il papa “orfano di un’ebrea” (23), al Muro del Pianto.

Il professor de Heekelingen non poteva certo immaginare che i rapporti tra cattolici ed ebrei sarebbero approdati a questo traguardo. Né, essendo morto nel 1941, ebbe modo di vedere quale “soluzione” abbia rappresentato il sionismo per la questione ebraica.
Claudio Mutti

  • Cfr. Ion Motza, Corrispondenza col Welt-Dienst (1934-1936), Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1996. “’Servizio Mondiale’, Welt-Dienst, è il nome dell’organismo fondato nel 1933 da Ulrich Fleischhauer. (…) Nel 1933 Fleischhauer prese contatti in vari paesi (…) ai fini della creazione di un ‘ufficio di assistenza tecnica’ specializzato nella raccolta di notizie sulle attività dell’ebraismo, nella controinformazione e nella propaganda. Il Welt-Dienst poté usufruire dei finanziamenti del Ministero della Propaganda e, a partire dal 1937, dell’ufficio di politica estera diretto da Rosenberg” (C. Mutti, Prefazione a I. Motza, op. cit., pp. 5-6).
  • Ion Motza, op. cit., p. 44.
  • Ibidem.
  • “Padre della famigerata Melina” (Michele Rallo, I fascismi della Mitteleuropa, Edizioni Europa, Roma, s.d., p. 65.
  • Michael A. Ledeen, L’internazionale fascista, Laterza, Bari 1973, p. 158.
  • Ibidem.
  • Ion Motza, op. cit., p. 44.
  • Dragos Zamfirescu, Legiunea Arhanghelul Mihail de la mit la realitate [La Legione Arcangelo Michele dal mito alla realtà], Editura Enciclopedica, Bucuresti 1997, p. 113.
  • Cfr. Enrico Galoppini, Il Fascismo e l’Islam, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2001.

(10) Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, Comunità, Milano 1982, p. 84. 

(11) Renzo De Felice, Il fascismo e l’Oriente, Il Mulino, Bologna 1988, p. 310.

(12) Émmanuel Ratier, Les guerriers d’Israël, Facta, Paris 1995, p. 78.

(13) Ibidem.

(14) Nae Ionescu, Prefata [Prefazione], in: Mihail Sebastian, De doua mii de ani…, Humanitas, Bucuresti 1990, pp. 22-24.

(15) ”Protocoalele” înteleptilor Sionului, traduse direct din rubeste în frantuzeste si precedate deo întroducere de Roger Lambelin, în româneste de Ion I. Mota, student [I “Protocolli” dei Savi di Sion, tradotti direttamente dal russo in francese e preceduti da un’introduzione di Roger Lambelin, versione romena di Ion I. Motza, studente], Libertatea, Orastie 1923, p. 14, nota 2.

(16) Cfr. Claudio Mutti, A oriente di Roma e di Berlino, Effepi, Genova 2003, p. 20.

(17) Una recensione de L’orgueil juif scritta da René Guénon nel 1938 per “Études traditionnelles” si trova in: R. Guénon, Recensioni, edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1981, pp. 26-27.

(18) Oltre a Israele, il suo passato, il suoavvenire (Tumminelli, Roma 1937), Vries de Heekelingen pubblicò in Italia alcuni articoli: Fascismo ed Ebraismo (“L’Idea di Roma”, dicembre 1938), L’eterna questione ebraica e la sua soluzione (“Difesa della Razza”, 5 novembre 1939),  Il cristiano di fronte al problema ebraico (“L’Idea di Roma”, aprile-maggio 1940) e il saggio intitolato L’atteggiamento del Talmud di fronte al non-ebreo (“La Vita Italiana”, giugno 1940). Questo saggio (un adattamento dell’expertise presentata al Tribunale di Losanna) è stato più volte ripubblicato nel dopoguerra: in appendice a Claudio Mutti, Ebraicità ed ebraismo. I Protocolli dei Savi di Sion (Edizioni di Ar, Padova 1976), nell’opuscolo Il Talmud e i non ebrei (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1991), nel primo ed unico numero della rivista “La questione ebraica”, 1, agosto 1998, pp. 57-68. La traduzione italiana dell’expertise  (Il talmud e il non ebreo) si trova in: Johannes Pohl – Karl Georg Kuhn – H. Vries de Heekelingen, Studi sul Talmud (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1992).

(19) La prima volta fu con l’articolo La questione giudaica “La Civiltà Cattolica”, 1937, II, p. 418; 497; III, p. 27

(20) “La Civiltà Cattolica”, 2 aprile 1938, a. 89, vol. II, quad. 2107, pp. 77-78. L’articolo è riprodotto in: Chiesa, giudaismo, antisemitismo. Gli articoli de “La Civiltà Cattolica” dal 1938al 1940, Effepi, Genova, 2002.

(21) Ibidem

(22) “La Civiltà Cattolica”, 5 settembre 1981, a. 132, vol. III, quad. 3149, p. 430.

(23) Yoram Kaniuk, L’era che il Papa apre sulla terra degli ebrei,
La Repubblica, 22 marzo 2000, pagina 15

 
   
 

AIPAC: come lavora la lobby sionista negli USA
AIPAC sta per American Israel Public Affairs Committee = Comitato americano-israeliano per gli affari pubblici

AIPAC – la longa manus di Israele tesa verso Washington

L’AIPAC-la lobby ebrea-americana – esercita un’influenza imparagonabile sulla politica estera degli USA, battendosi per ottenere l’appoggio incondizionato degli USA ad Israele. Da anni la lobby americana pro-Israele ostacola il processo di pace nel Medio Oriente, scavalcando tranquillamente la maggioranze dei cittadini statunitensi di fede ebraica.
In questi giorni, la popolazione USA riceverà a casa uno spot pubblicitario di tipo funesto: all’ora di punta, una voce con tono minaccioso mette in guardia dal “terrorista” Yassir Arafat. Israele vuole la pace, spiega la voce sonora con sottofondo di suoni drammatici, ma Arafat continua a non volere Israele. “Arafata chiama Gihad, Gihad, Gihad”, continua la voce, per poi vilipendere un intero popolo: “Adesso i palestinesi mettono in mostra perfino il loro appoggio a Saddam Hussein, un dittatore che odia gli USA ed Israele”. Dietro alla spot pubblicitario anti-Arafat c’è la AIPAC, la più potente lobby che si aggira sulla scena della politica estera negli USA. Lo “American Israel Public Affaire Committee” è un’organizzazione ebraica privata che sino dalla sua fondazione, 50 anni fa, sta perseguendo il suo obiettivo fondamentale: impegnare il governo USA ad un sostegno incondizionato per Israele. La lobby pro-Israele sa fare il suo lavoro così bene che da tempo l’AIPAC viene considerato fattore determinante per la politica statunitense verso il Medio Oriente. Quando l’AIPAC mette in moto la sua macchina impressionante (60 000 iscritti ed un budget annuale di 19,5 milioni di dollari), il successo è quasi sempre garantito. E’ merito dell’AIPAC, ad esempio, se Israele riceve, da oltre 20 anni, tre miliardi di dollari annui dalle casse di Washington – più che ogni altro paese del mondo. Anche nell’ONU e negli altri fori internazionali, l’AIPAC si dà da fare con efficienza. Se gli USA regolarmente boicottano qualsiasi delibera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU volta ad arginare la politica israeliana di espandere le colonie ed aumentare la pressione a danno dei palestinesi, ciò è innanzitutto frutto delle iniziative dell’AIPAC.

Uomo solitario a Washington
L’impegno ed il potere finanziario della lobby pro-Israele suscitano ammirazione e soggezione a Washington, ma della volte anche paura. E’ leggendario il discorso di Bush padre che nel settembre 1991 si dichiarò  alla stampa, con voce agitata, un “piccolo uomo solitario”, la cui autorità sarebbe sotto tiro da parte di “forze politiche potenti”. “Le forze”, alle quale si era riferito Bush, erano costituite da 1300 professori, giuristi, assistenti sociali, uomini d’affari e rabbini ebrei, confluiti a Washington da ogni parte degli USA  per manifestare contro la politica del Presidente. Il motivo per la protesta  era l’intenzione dell’allora Presidente Bush, di bloccare un credito di 10 miliardi di dollari destinati all’insediamento di ebrei sovietici in Israele; Bush padre intendeva congelare questo credito a causa della politica dell’espansione delle colonie perpetrata da Israele che, a suo avviso, ostacolava il processo di pace. E’ vero che alla fine Bush padre si fece valere procurando alla lobby una delle sue sconfitte più brucianti. Ma la vittoria del Presidente ben presto si rivelerà una vittoria da Pirro. Molti americani ebrei interpretarono le parole di Bush quali esternazioni anti-semite. Alcuni si spinsero perfino  ad intravedere “il più grande tradimento  nella storia degli ebrei in America”. La fattura gli fu presentata l’anno dopo: alle elezioni presidenziali del 1992,  Bush otterrà dagli ebrei solo il 12% dei voti, anziché il 35%, come nell’anno 1988. Questo esempio dimostra che nessun Presidente degli USA può  permettersi di andare in rotta di collisione con la lobby ebrea.  Rispetto alla loro percentuale di soli 3% della popolazione USA,  i 6,1 milioni di ebrei americani hanno un’importanza politica sproporzionata. Non costituiscono soltanto un elettorato impegnato e propenso a spendere, ma vivono per lo più ripartiti su alcuni pochi, grandi Stati Federali i quali controllano più della metà di tutti i voti federali. Così, alle elezioni federali, gli elettori ebrei spesso diventano  il fattore decisivo per il  risultato delle elezioni stesse,  rendendo i loro voti un bene prezioso, molto ambito e corteggiato da tutti i concorrenti.

Le teorie della cospirazione
Il successo della lobby pro-Israele negli USA ha indotto molti, soprattutto nei paesi arabi, a concepire teorie di cospirazione e dietrologie fanatiche. Dal Cairo a Baghdad, circolano volantini anti-semiti che denunciano la politica USA verso il Medio Oriente quale prodotta sotto dettatura di agitatori ebrei. Con toni più pacati, questa interpretazione ha trovato terreno fertile anche negli uffici governativi di paesi europei, innanzitutto dinanzi alla posizione pro-Israele mantenuta dagli USA sino dallo scoppio dell’Intifada. Intanto, anche i critici  più prudenti della lobby ebrea americana, di solito dimenticano due cose: prima, il lavoro delle lobby negli USA non ha nulla di scandaloso, ma, a differenza di ciò che succede nella maggior parte dei paesi, fa parte della vita politica normale. Inoltre, c’è da considerare che la lobby pro-Israele negli USA sarebbe impotente, se Washington non avesse un interesse molto manifesto a mantenere in vita quel piccolo stato degli ebrei. Sia i democratici che i repubblicani vedono in Israele un’isola meritevole di protezione, un’isola della libertà e della democrazia  circondato dal mare delle dittature arabe. A Washington Israele è considerato il più affidabile alleato politico e la più importante testa di ponte  nel Medio Oriente. Questo atteggiamento si  era venuto a creare durante la Guerra Fredda,  quando l’universo arabo si orientava sempre di più verso l’Unione Sovietica ed dopo gli attacchi dell' 11 settembre ha acquistato sempre più importanza. Ma l’amicizia americana-israeliana non dà carta bianca alla lobby  pro-Israele.  Il maggiore concorrente dell’AIPAC sulla scena americana, è il secondo gigante tra i gruppi d’interesse statunitensi, la lobby del petrolio, i cui interessi sono collocati, innanzitutto nei paesi arabi. Nella dura lotta per aumentare la propria presa, la lobby ebrea spesso calpesta anche le posizioni del governo di Israele. Ufficialmente, l’AIPAC  dichiara di non volersi intromettere nella politica del governo di Israele, ma in realtà è proprio ciò che avviene.  

I falchi determinano le scelte
Dalla fine degli anni 60, la lobby pro-Israele negli USA  è nelle mani di esponenti della corrente ortodossa e di sionisti radicali. Questa elite  ultraconservatrice si è ripetutamente ribellata con grinta contro la politica ufficiale di Israele e degli USA. L’esempio più importante sono le trattative di pace con i palestinesi. Sino dall’inizio, l’AIPAC era contrario agli accordi di Oslo siglati nell’anno 1993 tra Yitzak Rabi e Yassir Arafat. Quando la costruzione dell’Autorità Palestinese era ormai in corso, la lobby pro-Israele negli USA propose un argomento molto discutibile per bloccare le trattative. Con una campagna propagandistica di grande respiro l’AIPAC chiese pubblicamente il trasferimento dell’Ambasciate statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, nonostante Gerusalemme, a causa dell’occupazione illegale di Gerusalemme est dal 1967,  non fosse riconosciuta, sul piano internazionale, quale capitale di Israele. Il Trattato di Oslo aveva previsto di rimandare la definizione dello status finale di Gerusalemme  all’anno 1996. Ma l’AIPAC non voleva aspettare ed incominciò a farsi sentire al Congresso. Con successo. Nel giro di poco tempo 93 su 100 Senatori firmarono una petizione a favore del trasferimento dell’Ambasciata a Gerusalemme.  La faccenda suscitò indignazione nel mondo arabo, oltre ad intralciare il processo di Oslo e danneggiare l’immagine degli USA quale mediatore di pace. L’ostinata resistenza della lobby pro-Israele al processo di pace desta sconcerto se si considera che essa non rispecchia per nulla lo stato d’animo degli ebrei in America. Perfino dopo l’11  settembre, secondo un sondaggio condotto dal settimanale Jewish Week di New York, l’85% degli ebrei statunitensi erano del parere che gli USA dovrebbero  esercitare più pressioni sia su Israele che sui palestinesi per riportarli al tavolo delle trattative. Questo stato d’animo viene semplicemente calpestato dall’AIPAC. “Non conta ciò che 6 milioni di ebrei americani pensino, ma conta ciò che le maggiori organizzazioni ebree ritengono giusto”, spiega il giornalista Jonathan J. Goldberg  riferendosi allo scostamento tra l’opinione effettiva ed l’articolazione dell’opinione nella società ebrea-americana nel suo libro “Jewish Power” del 1996.

Bush figlio sarà il miglior amico di Israele
Dopo le elezioni di Gorge W. Bush e di Ariel Sharon, l’AIPAC è tornato in prima linea per combattere. Sopratutto dall' 11 settembre sta mettendo Washington sotto pressione affinché Arafat venga scardinato come interlocutore politico. Gli sforzi dell'AIPAC, fino adesso, hanno avuto un successo solo parziale, visto che non è riuscito ad impedire l'invio di Anthony Zinni in Medio Oriente, quale intermediario. Anche i suoi tentativi di fare dichiarare Arafat ufficialmente un "terrorista" non hanno sortito il risultato auspicato, cioè, l'interruzione dei rapporti con l'esponente palestinese. Ciononostante, lasciando ad Israele mano libera nella sua "guerra contro il terrorismo palestinese", George W. Bush sta accontentando la lobby pro-Israele negli USA in una delle sue richieste più importanti. "Bush è il miglior amico che Israele abbia mai avuto nella Casa Bianca", giudica Mortimer Zuckermann, un esponente di spicco della lobby pro-Israele negli USA. Uno dei motivi per il buon rapporto del governo Bush figlio con le organizzazioni degli ebrei negli USA sta nella composizione della nuova classe governativa portata a Washington da Bush: una quota significativa di questo nuovo "organico" è composto da politici di spicco ebrei, ad esempio il vice-Ministro alla Difesa, Paul Wolfowitz e dal consigliere del Pentagono, Richrad Perle. Per una politica radicale in direzione pro-Israele si battono, inoltre, i cristiani protestanti legati al partito Repubblicano, i quali giustificano l'espansione delle colonie ebraiche nei Territori Occupati con la Bibbia. Ad esempio, il Senatore James Imhofe di Oklahoma aveva dichiarata  recentemente, che Israele sarebbe obbligata a mantenere la presa sui Territori Occupati perchè "gli ebrei vivono lì perchè Dio l'ha voluto, leggetelo nella Bibbia."
Tratto da un articolo di Urs Gehriger, apparso nel Tages-Anzeiger il 22 aprile 2002

 
   
 
AIPAC – una macchina perfetta per girare donazioni
Tratto da un articolo di Urs Gehriger, apparso sul Tages-Anzeiger il 22 aprile 2002.

Con professionalità e casse sempre piene la lobby pro-Israele negli USA è riuscita a schierare l' 80% dei Parlamentari (Membri del Congresso) attorno agli interessi di Israele. Alla base del successo dell’AIPAC (American Israel Public Affaire Committee = Comitato americano-israeliano per gli affari pubblici) c’è la fanteria, ossia la massa delle reclute. La lobby fa leva su 60 000 iscritti negli USA che possono essere messi in moto in qualsiasi momento, quando si tratta di convincere un Membro del Congresso della validità degli interessi di Israele. Il segreto del successo dell’AIPAC sono i soldi. “La lobby pro-Israele è una macchina dispensatrice di soldi”, scrive Michael Lind in una sua analisi per la rivista inglese “Prospect”, spiegando che la macchina dispensatrice investe con grande professionalità soldi per finanziare su tutto il territorio campagne “volte ad influenzare i Membri del Congresso perfino nelle circoscrizioni elettorali con scarsa o nessuna popolazione ebrea.”

Un esempio perfetto del lavoro della macchina messa in moto da questo gruppo di pressione, l’AIPAC, è l’attuale Presidente di Senato, Tom Daschle. Quando Daschle, un membro del partito Democratico, si candidò per la prima volta per un seggio nel Senato, nel 1986, il suo atteggiamento verso Israele era di indifferenza. AIPAC decise di “dargli una cultura”, per usare le parole della lobby. La lobby si assunse il finanziamento della campagna elettorale di Daschle per un quarto delle spese che complessivamente erano di due milioni di dollari. Nelle sue campagne elettorali successive, Daschle ottenne una somma analoga dall’AIPAC, a titolo di contributo. I notevoli investimenti sostenuti rendono bene. Daschle ha fatto carriera – da semplice candidato ad un seggio nel Congresso è diventato Presidente del Congresso – trasformandosi in un affidabile e strenuo avvocato dello stato di Israele. Allo stesso modo, negli ultimi decenni centinaia di parlamentari appartenenti ad ambo i grandi partiti politici, sono stati trasformati a suon’ di contributi finanziari, in sostenitori degli interessi di Israele. Per avere un’idea della distribuzione dei contributi elettorali, vedi il sito della Federal Election Commission www.fec.doc. Il lavoro dell’esercito di reclute dell’AIPAC viene coordinato nella Capitale, dalla Centrale AIPAC, dove lavorano 130 specialisti altamente motivati. Qualora nel Congresso venisse messo sull’ordine del giorno un argomento che fosse di rilevanza per Israele, l’AIPAC fa partire immediatamente a tutti i membri del Congresso una sua circolare di routine, il cosiddetto Talking Point Report, per illustrare brevemente gli interessi specifici di Israele per questo particolare ordine del giorno. Per controllare il comportamento dei parlamentari, l’AIPAC gestisce un registro dettagliato dei voti dati da ogni singolo membro di Congresso alle varie delibere. Nell’imminenza di una votazione particolare, i parlamentari poco decisi vengono sottoposti ad un “trattamento speciale”, di solito ad un colloquio diretto per illustrare loro quali siano gli interessi di Israele. L’efficienza di questo gruppo di pressione pro-Israele è stata commentata da William Quando, un Membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza sotto i Presidenti Nixon e Carter:  “Il 70% - 80% dei membri di Congresso si comportano, nelle delibere su argomenti ritenuti rilevanti da Israele, secondo le disposizioni date loro dall’AIPAC.”

Il lavoro dell’AIPAC viene appoggiato da un'altra grande lobby pro-Israele, la cosiddetta Conferenza dei Presidenti, cioè, la Conference of Presidents of major American Jewish Organizations = Conferenza dei Presidenti delle Maggiori Organizzazioni Ebree., una lega di 51 organizzazioni ebree. I due gruppi di pressione – AIPAC e Conferenza dei Presidenti – si dividono il lavoro: mentre l’AIPAC è focalizzato sul lavoro di lobbying nel Congresso statunitense, la Conferenza dei Presidenti si è assunta il compito di “lavorare” il governo. Le iniziative della Conferenza dei Presidenti sono dettate dal suo capo, Malcolm Hoenlein. Hoenlein, rampollo di una famiglia ebrea-ortodossa di Philadelphia, è stato definito dal giornale Forward quale l’americano ebreo più influente della nazione. Un diplomatico statunitense di alto rango lo descrisse perfino quale la persona privata con la maggiore influenza sulla politica estera degli USA. Grazie alle sue maniere spigliate e le sue conoscenze approfondite del Medio Oriente, gli si sono aperte le porte di tutti gli uffici governativi negli USA. Ogni giorno Hoenlein parla con il Ministero degli Esteri, con un consigliere del Presidente od un Ambasciatore, per mantenere la politica estera degli USA sulla linea tracciata da Israele. Come l’AIPAC, anche la Conferenza dei Presidente svolge una politica decisamente conservatrice. Ufficialmente Hoenlein si dichiara un moderato, dedicato ad Israele prescindendo dalla composizione del relativo governo. Ma la sua grande simpatia per Ariel Sharon e per il partito del Likud non sono un segreto a Washington. Hoenlein non ha mai nascosto la sua opposizione a qualsiasi concessione israeliana verso i palestinesi. Per molti anni Hoenlein aveva rastrellato finanziamenti per Bet El, una delle colonie più problematiche nei Territori Occupati. Hoenlein giustifica il suo impegno per i coloni così “Gli ebrei hanno il diritto di vivere in Giudea e Samaria, la patria ancestrale degli ebrei, giusto come hanno il diritto di vivere a Parigi o a Washington”.

 
   
 

La lobby israeliana
Michael Massing, scrive su The Nation, USA, in data 24 maggio 2002

In data 2 maggio 2002 nel Senato USA 94 Senatori su 96 e nel Congresso 352 Deputati su 373 hanno espresso il loro supporto inqualificabile per Israele in occasione delle recenti azioni militari israeliane contro i palestinesi. Queste delibere erano talmente univoche che l'Amministrazione Bush - che non si potrebbe definire reticente per quanto riguarda l'appoggio ad Israele - aveva cercato di smorzare i toni per non rovinarsi la sua immagine, esposta all'opinione pubblica, di sostenitrice delle trattative di pace. Ma i suoi ammonimenti non furono ascoltati, mentre membri del Congresso, da Joe Liebermann a Tom DeLay, facevano a gara per coprire di encomio Ariel Sharon e di disprezzo Yasir Arafat. Scrivendo delle votazioni, il quotidiano New York Times annoterà che uno dei pochi dissidenti, il Senatore Ernest Hollings della South Carolina avrebbe commentato che molti Senatori "sono a caccia di contributi per le loro campagne elettorali". Questa breve nota a parte, il Times non menzionava mai il ruolo che il denaro od i gruppi di pressione in generale potrebbero avere svolto nel determinare un voto così clamorosamente unilaterale. Più specificamente, il Times non menzionava mai l'AIPAC, il Comitato americano-israeliano per gli affari pubblici. Si tratta di una svista ragguardevole. L'AIPAC viene largamente considerato il più importante gruppo di pressione nel campo della politica estera a Washington. I suoi 60 000 iscritti elargiscono milioni di dollari su centinaia di membri del Congresso di ambo i grandi partiti politici. AIPAC mantiene anche una rete di collaborazione tra cittadini ricchi e potenti in tutto il paese che riesce in qualsiasi momento di mobilizzare per fare valere i suoi obiettivi, cioè, assicurarsi che non vi sia la pur minima fessura tra la politica di Israele e quella degli Stati Uniti. Quindi, quando il voto del Congresso risulta così decisamente un appoggio ad Israele, questo non avviene per coincidenza. Intanto, sfogliando i giornali del Middle East (cioè, gli stati USA "importanti", situati sulla costa atlantica tra Maine e Virginia) durante gli ultimi mesi, non ho trovato nulla sull'AIPAC e sulla sua influenza. L'unica relazione di qualche sostanza era apparsa nel Washington Post, a fine aprile. Nella sua relazione sulla conferenza annuale dell'AIPAC, il corrispondente Mike Allen annotava che tra i partecipanti vi furono la metà dei Senatori, novanta membri del Congresso, tredici alti funzionari degli uffici governativi federali, tra di loro il Capoufficio della Casa Bianca Andrew Card il quale si attirò un interminabile applauso dalla platea quando dichiarò, in ebreo "il popolo di Israele vive". Allen riferiva che l'AIPAC "chiamò uno ad uno centinaia di dignitari, con vivo applauso per ognuno dei nomi citati". Ma nemmeno questo articolo andava più in profondità e non parlava delle azioni della lobby e delle sue tecniche per organizzare finanziamenti volti a compattare l'appoggio del Congresso.

AIPAC non è l'unica organizzazione pro-Israele che riesca a restare a riparo dalle luci riflettori. La Conferenza dei Presidenti delle maggiori organizzazioni ebree, nonostante sia poco nota al pubblico generale, ha un'influenza tremenda a Washington, sopratutto sull'Amministrazione Pubblica. La Conferenza, cui sede è a New York, avrebbe il compito di dare voce alle cinquantadue organizzazioni ebree rappresentate nella sua commissione, ma in realtà, la Conferenza tende ad essere portavoce del suo Vice-Presidente, Malcolm Hoenlein. Hoenlein ha per molto tempo mantenuto legami stretti con il partito Likud di Israele. Negli anni novanta, Hoenlein aveva aiutato a reclutare finanziamenti per le colonie nei Territori Occupati ed oggi, riferendosi a quest'ultimi, parla regolarmente di "Giudea e Samaria", usando con ciò una parola d'ordine coniata dai conservatori su ispirazione biblica, per giustificare la presenza di coloni ebrei su questi territori. Un funzionario abile e con grande capacità comunicativa, Hoenlein mette a frutto le sue possibilità di accesso al Governo, al Pentagono ed al Consiglio Nazionale di Sicurezza per premere per un continuo rinforzo della posizione di Israele. Egli svolge il suo lavoro con tanto successo che il giornale ebreo, Forward, l'ha messo al primo posto nella sua annuale graduatoria degli cinquanta più importanti ebrei americani. Hoenlein ha dato prova delle sue capacità organizzative in aprile  quando contribuì a mettere in piede il grande raduno pro-Israele a Capitol Hill (nota del traduttore: in concomitanza, in Italia abbiamo avuto l'Israel Day che Ferrara e Mieli dicono di avere escogitato, ma in realtà è stata la lobby pro-Israele negli USA che l'aveva organizzato anche in Europa). Mentre il raduno pro-Israele veniva raccontato in grande stile dai mass-media, Hoenlein rimaneva invisibile, in disparte. Da un mio recente monitoraggio della stampa risulta che da nessuna parte fu pubblicato un'articolo su Hoenlein e su come egli abbia usato la Conferenza dei Presidenti per impedire che l'Amministrazione Bush faccia troppa pressione sul governo di Sharon.  

Come si spiega questo black-out? Innanzitutto, non è facile parlare di questi gruppi. AIPAC ha un potere che intimidisce potenziali fonti d'informazione trattenendoli dal parlare liberamente ed i suoi dipendenti, in sede di dimissione, normalmente firmano un impegno al silenzio. I funzionari dell'AIPAC raramente concedono interviste e l'organizzazione non è nemmeno disposta a rendere pubblica la lista dei suoi membri di commissione direttiva. Inoltre, giornalisti spesso esitano di scrivere dell'influenza del mondo ebraico organizzato. In tutto il mondo arabo, la "lobby ebrea" è vista come causa di ogni male che succede al Medio Oriente e molti giornalisti e redattori - specialmente gli ebrei tra di loro - sono riluttanti a contribuire a dare conferma a tali stereotipi.

Alla fine però, il motivo principale per cui leggiamo così poco di questi gruppi è la paura. Le organizzazioni ebree fanno in fretta a scorgere eventuali tendenze di parte nelle relazioni sul Medio Oriente e fanno in fretta ad articolare le loro proteste. Questo è particolarmente vero per quanto riguarda gli ultimi tempi. Come aveva osservato il Forward a fine aprile, "l'impegno verso lo sradicamento dai media di ogni percepibile tendenza anti-Israele è diventato, per molti ebrei americani, il modo più diretto e più emotivo per esprimere il proprio legame con il conflitto in atto a 6.000 miglia di distanza". Recentemente, circa 1000 abbonati al quotidiano Los Angeles Times avevano sospeso per un giorno il ricevimento del giornale a casa per protestare contro ciò che loro consideravano una tendenza pro-palestinese negli articoli apparsi su detto giornale. Il Chicago Tribune, il Minneapolis Star Tribune, il Philadelphia Inquirer ed il Miami Herald sono stati tutti colpiti da simili azioni di protesta e NPR ha ricevuto migliaia di e-mails di protesta per le sue relazioni sul Medio Oriente. Possono queste azioni di protesta avere un effetto? Prendete in considerazione l'esperienza recente del New York Times. Il 6 maggio, questo quotidiano aveva pubblicato due foto della manifestazione pro-Israele svoltasi a Manhattan. Ambedue le foto facevano vedere la parata pro-Israele in fondo, mentre davanti, in prima vista, il corteo di protesta anti-Israele faceva da protagonista (nota del traduttore: nulla di strano in questo, in quanto il corteo pro-palestinese a New York era molto più numeroso, comprendente anche gli ebrei anti-sionisti). Il giornale fu bersagliato di proteste e subì la minaccia di un boicottaggio organizzato. Il 7 maggio, il Times si cosparse il capo di cenere e pubblicò le sue scuse, il che provocò costernazione negli uffici della redazioni ed alcuni giornalisti e redattori avevano la sensazione che la loro testata si fosse piegata ad un potente fattore d'influenza. "E' molto intimidante" disse un corrispondente ad un collega di un altro quotidiano, ugualmente importante. "I giornali", aggiunse, "hanno paura" di organizzazioni come AIPAC e la Conferenza dei Presidenti. "La pressione di questi gruppi è intransigente. I redattori in capo scelgono di non toccarli nemmeno". Non occorre ricordare che l'appoggio che gli USA fanno avere ad Israele è il prodotto di molteplici fattori - il ruolo di Israele quale unica democrazia nel Medio Oriente, la sua importanza quale alleato strategico degli USA ed il diffuso orrore per le bombe suicide dei palestinesi. Ma il potere della lobby pro-Israele è pure un fattore importante. In effetti, sarebbe impossibile comprendere l'atteggiamento accondiscendente dell'Amministrazione Bush nei confronti del governo Sharon se si volesse prescindere dall'influenza esercitata da gruppi quali l'AIPAC. Non sarebbe forse venuto il momento di esporre questi gruppi alla luce del sole ?

Note della traduttrice Susanne Scheidt
Per quanto riguarda l'attività di Hoenlein, negli anni novanta erano apparsi diversi articoli su giornali e riveste arabi che parlavano dei campi d'addestramento para-militari, allestiti negli USA, per preparare i futuri coloni alle loro carriere di occupanti armati nei Territori Occupati. Uno di loro era il famoso medico Baruch Goldstein, che aveva falciato decine di fedeli a Hebron, durante la preghiera nella moschea di Abramo. I giornali arabi parlavano di una rete di campi para-militari nei quali verrebero reclutati migliaia di immigrati dai paesi dell'ex-Comecon, prima di essere avviati in Palestina. Ho conservato tutti questi articoli e li tengo a disposizione per una futura pubblicazione, possibilmente da fare in gruppo. Faccio notare che l'argomento è talmente complesso - comprende anche la sorte di numerosi ebrei orientali, immigrati negli USA e successivamente spinti verso la "ri-immigrazione" in Israele tramite la cancellazione dei loro permessi di residenza in USA, i "green-card".
http://www.asslimes.com/nel%20mondo/aipac.htm

 
   
 

Il problema e' ancora il sionismo
di Ghada Karmi

Queste affermazioni catturano l'essenza del sionismo: che uno stato ebraico non avrebbe mai potuto essere creato senza forza, coercizione e pulizia etnica; che la sua sopravvivenza dipende da un grado superiore di violenza che schiacci ogni opposizione; che il sionismo era ispirato dalla convinzione di una giustizia morale che pone gli ebrei al di sopra degli altri; e che, a causa di ciò, tutto era strumentale alla realizzazione dei suoi fini.

Per coloro che hanno dimenticato o non hanno mai compreso cosa sia il sionismo, due rimarchevoli articoli da poco pubblicati saranno salutari. Il primo e' un'intervista allo storico israeliano Benny Morris, apparso il 4 gennaio scorso su Ha'aretz ed il secondo e' un articolo di Morris pubblicato sull'edizione del Guardian di Londra del 14 gennaio. In entrambi gli articoli, Morris spiega, con candore agghiacciante, cosa comportava la realizzazione del progetto sionista. Pochi sionisti, al di fuori della cerchia degli estremisti di destra del Likud, avrebbero il coraggio di essere così brutalmente onesti e Benny Morris si definisce un "sionista di sinistra". Più significativamente, egli fu il primo ad esporre le vere circostanze della creazione di Israele, demolendone i falsi miti. Usando i documenti declassificati dell'archivio di stato israeliano per un suo testo di ricerca sul problema dei profughi palestinesi - pubblicato nel 1987 - fu considerato un coraggioso "storico revisionista". Il suo lavoro suggerì a molti che, avendo conosciuto i veri fatti di prima mano, egli sarebbe stato più che simpatetico verso i palestinesi. Negli ultimi anni, tuttavia, ha cominciato ad esporre concezioni sempre più estremiste, come se fosse pentito del fatto di avere esposto senza filtri la selvaggia realtà della creazione di Israele. Questo cambiamento e' culminato nelle ultime esternazioni sulla natura del sionismo. Nonostante esse siano sgradevoli, dobbiamo tuttavia ringraziarlo per aver espresso in maniera così schietta ciò che tutti i sionisti, per quanto "liberali", pensano ma non dicono.

Ci fu un tempo in cui gli arabi compresero che il sionismo era la causa basilare del conflitto israelo-palestinese.

Dagli anni '20 in poi, i palestinesi, essendo i veri obiettivi, temettero che il sionismo avrebbe preso possesso della loro terra. Cercarono di opporsi, ma non ci riuscirono ed il progetto sionista prese piede. Mentre ciò avveniva, gli altri arabi entrarono nel conflitto ed era abituale che gli israeliani venissero chiamati semplicemente "sionisti" ed Israele "l'entità sionista". La gente scrisse trattati, articoli e libri sul sionismo ed esso veniva percepito come una questione di "bianco e nero". Ma, dopo la guerra del 1967, apparve una nuova ambiguità. La Risoluzione 242, accettata dagli stati arabi, introdusse l'idea che il nocciolo della questione fosse l'occupazione israeliana dei territori post-1967, senza alcun riferimento a ciò che era accaduto prima. Questo pose le basi per tutti i successivi piani di pace arabo-israeliani, che puntavano ad un ritiro israeliano da quei territori in cambio del riconoscimento arabo. La prima applicazione di successo di questo principio fu l'Accordo di Camp David del 1979, che negoziava il ritiro israeliano dai territori egiziani occupati nel 1967 in cambio di un trattato di pace. Nel periodo della Conferenza di pace di Madrid, nel 1991, fu instaurata con fermezza la formula post-1967 "terra in cambio di pace". Madrid coinvolgeva solo gli stati arabi che erano in prima linea, ma nella proposta di pace saudita del  marzo 2002, l'offerta divenne ancora più allettante: ritiro israeliano da tutti i territori arabi occupati nel 1967 in cambio della normalizzazione delle relazioni con l'intero mondo arabo. Nel frattempo, la percezione araba di Israele come corpo illegittimo impiantato a forza nella regione dal colonialismo e la cui ideologia, il sionismo, inevitabilmente significava aggressione ed espansione ai danni del mondo arabo, scivolò tranquillamente nel dimenticatoio. Ora  il problema era solo l'occupazione israeliana post-1967 e, una volta rettificato, l'integrazione di Israele nell'area avrebbe potuto procedere. I palestinesi avevano una visione più chiara del sionismo. Nel 1969, l'OLP propose la visione di un unico stato democratico che avrebbe potuto sostituire Israele, dando uguali diritti a tutti i suoi cittadini, musulmani, cristiani ed ebrei. Si trattava di una sfida diretta all'idea di uno stato esclusivista ebraico, ma, cosa più importante, si trattava di un rifiuto ad accettare il furto sionista della Palestina del 1948. Tuttavia, l'imponente squilibrio  tra le parti  costrinse l'OLP a modificare la sua visione e, nel 1974, fu presa la decisione di accontentarsi di molto meno. La soluzione dei due stati nacque nel 1988, e l'OLP riconobbe formalmente Israele entro le frontiere del 1948.

Nel 1993, l'OLP firmò gli Accordi di Oslo, che, infine, legittimarono il sionismo. I termini dell'Accordo escludevano ogni discussione sull'Israele del 1948, relegando i negoziati ai territori occupati nel 1967. E, accettando questi termini, l'OLP marcò la sua accettazione della pretesa originale sionista alla Palestina. Questo processo ha trovato la sua apoteosi nei recenti Accordi di Ginevra, che impongono ai palestinesi di riconoscere Israele come "stato ebraico". Non potrebbe essere immaginato un più grande voltafaccia nella storia.

Insieme a questo mutamento di attitudine, vi fu una sorta di flirt tra gli arabi ed il sionismo. Dopo il trattato di pace egiziano/israeliano, furono messe in atto un certo numero di attività ed iniziative arabo/israeliane. Queste si rispecchiarono in occidente durante gli anni '80, in cui furono fondati diversi "gruppi di dialogo" e divenne seducente rompere i tabù tradizionali. Gli scambi tra accademici e studiosi arabi ed israeliani divennero comuni e, dopo gli accordi di Oslo, furono iniziati persino progetti congiunti israelo/palestinesi. Iniziarono contatti tra diversi stati arabi ed Israele, ufficiali o segreti. Persino gli stati arabi fautori di una linea dura, come la Siria e la Libia, cominciarono a fare aperture verso Israele. La maggioranza di queste iniziative coinvolgevano però sempre sionisti "liberali", mai la piccola e marginalizzata minoranza di ebrei anti-sionisti. Era come se la vecchia antipatia verso il sionismo, causa della tragedia palestinese e dello scompiglio in Medio Oriente, fosse stata dimenticata. Come la terminologia marxista nell'occidente di oggi, così la retorica anti-sionista prevalente tra gli arabi sembrò dissolversi  e molti crederono che i sionisti fossero davvero persone con cui stabilire contatti reali. A questo punto, le rivelazioni di Benny Morris sono come uno schiaffo in faccia.

Ci ricorda che Israele fu creato mediante espulsione, stupri e massacri. Le sue più recenti ricerche, citate nella nuova edizione del suo "La nascita del problema dei profughi palestinesi", ne forniscono prove documentate.

Lo stato ebraico non avrebbe mai visto la luce senza pulizia etnica e, asserisce, ce ne sarà ancora bisogno, in futuro, per assicurarne la sopravvivenza. Per l'imposizione ed il mantenimento d'Israele e' stata sempre essenziale la forza, spiega; l'ostilità dei nativi verso il progetto era inevitabile sin dall'inizio e doveva essere contrastata da una potenza schiacciante.

I palestinesi rappresenteranno sempre una minaccia, dunque vanno controllati e "chiusi in gabbia" (come sta accadendo con il Muro in Cisgiordania).

Morris riconosce che il progetto dello stato ebraico e' un'idea impossibile e che, logicamente, non avrebbe mai dovuto essere realizzata. Nondimeno, ne valeva la pena, poiché si trattava di un progetto morale giustificato, nonostante i danni da esso causati, dall'assoluto bisogno di una soluzione al problema ebraico. In ogni caso, gli arabi "hanno una cultura tribale", dice, "senza inibizioni morali" e "capiscono solo la forza". I musulmani non sono migliori. "C'e' un profondo problema, nell'Islam ... per cui la vita umana non ha lo stesso valore che in occidente, ed in cui libertà, democrazia e creatività sono aliene".

Queste affermazioni catturano l'essenza del sionismo: che uno stato ebraico non avrebbe mai potuto essere creato senza forza, coercizione e pulizia etnica; che la sua sopravvivenza dipende da un grado superiore di violenza che schiacci ogni opposizione; che il sionismo era ispirato dalla convinzione di una giustizia morale che pone gli ebrei al di sopra degli altri; e che, a causa di ciò, tutto era strumentale alla realizzazione dei suoi fini.

Morris si dispiace delle sofferenze palestinesi, ma le considera necessarie al perseguimento di "un bene più grande". "Il diritto dei profughi a tornare nelle loro case sembra naturale e giusto", dice, "ma esso deve essere messo sul piatto della bilancia insieme al diritto alla vita ed al benessere dei cinque milioni di ebrei che vivono attualmente in Israele". Dunque, Morris dimostra eloquentemente perché il sionismo sia un'ideologia pericolosa: alle sue radici vi e' la convinzione di una giustezza morale che giustifica qualsiasi atto ritenuto necessario a preservare la purezza etnica dello stato ebraico. Se ciò significa armi nucleari, forza militare massiccia, alleanze con regimi sgradevoli, furto e manipolazione delle risorse altrui, aggressione ed occupazione, la distruzione dei palestinesi e di qualsiasi altra forma di resistenza, per quanto inumani, ben vengano. L'ideologia sionista non ha perso la sua forza, ed e' profondamente impiantata nell'intimo di molti ebrei siano essi israeliani o no. Nessun arabo dovrebbe credere che si tratti di un'ideologia morta, non importa quanto alla moda possano sembrare i discorsi sul "post-sionismo" o sul "sionismo culturale". 

A nessuna regione al mondo sarebbe stato chiesto di dare ospitalità a questa ideologia, tranne che allo sprovveduto e arretrato mondo arabo. E' probabilmente un segno di questa inadeguatezza che taluni arabi - governi e popolazione - credano che sia possibile un accomodamento con il sionismo. Abbiamo un debito di gratitudine con Benny Morris per averli disingannati. Il progetto sionista non ha un futuro a lungo termine: il fatto che sia arrivato così lontano e' rimarchevole ma non e' una garanzia di sopravvivenza. Come ha dichiarato lui stesso: "La fine di questo processo potrebbe essere l'implosione".

La dott. Ghada Karmi e' presidentessa dell'Associazione delle Comunità Palestinesi in Gran Bretagna. Nacque a Gerusalemme, nel quartiere benestante di Qatamon, ma la sua famiglia fu costretta a riparare altrove nel 1948, dopo l'occupazione israeliana. La famiglia Karmi si trasferì in Inghilterra. Laureata in Medicina all'Università di Bristol, e' politicamente attiva sin dal 1972, quando fondò la prima organizzazione politica palestinese in Gran Bretagna. Ghada Karmi e' accademica e ricercatrice e scrive frequentemente sulla questione palestinese, apparendo spesso sui media arabi e britannici. E' anche a capo della Campagna Internazionale per Gerusalemme. Nel 2002, ha pubblicato la sua autobiografia, In Search of Fatima.
da Palestine Chronicle

 
   
 

Emmanuel Ratier presenta un nuovo libro esplosivo...
MISTERI E SEGRETI DEL B'NAÏ B'RÏTH
La più importante organizzazione ebraica internazionale

Dalla rivista "Sodalitium"
N. 38, Giugno-Luglio 1994
Verrua Savoia (TO)

INTRODUZIONE
Emmanuel Ratier ci presenta uno studio molto interessante sul "B'naï B'rith". Su questo argomento non era stato scritto ancora nulla di così completo, dettagliato e nello stesso tempo ben documentato. Era infatti molto difficile poter parlare del "B'naï B'rith", poiché riguardo a quest'associazione non si trovava nulla, di "esposto al pubblico". Nulla, neppure alla Biblioteca Nazionale di Parigi, tranne tre modesti fascicoli del 1932. Tuttavia, secondo l'"Encyclopedia Judaica"(1970), il "B'naï B'rith" costituisce "la più antica e la più numerosa organizzazione giudaica di mutuo soccorso, organizzata in logge ed in capitoli in 45 nazioni. Il numero totale dei membri è di circa 500.000…".
Strano che un associazione così importante, fondata negli USA nel 1843, non abbia mai pubblicato nulla su di sé…
Se si consulta la collezione delle riviste, che per legge devono essere esposte in quattro esemplari alla Biblioteca Nazionale ogni volta che appaiono, si constata che il "B'naï B'rith" non ha mai effettuato tale deposito. pur essendone obbligato per legge. Malgrado questa precauzione, l'Autore dello studio presentato dal Ratier, ha potuto consultare una certa parte delle pubblicazioni del "B'naï B'rith" americano ed europeo. In questo articolo mi sono limitato a recensire tale libro, cui rimando il lettore per eventuali consultazioni di citazioni fatte nell'opera stessa.

FONDAZIONE
Il 13 ottobre 1843 il "B'naï B'rith" fu fondato al Caffè Sinsheimer, nel quartiere di Wall Street, a New York. Allora fu chiamato "Bundes-Brueder" (che significa "Lega dei fratelli"), nome tedesco a causa dell'origine dei fondatori ebrei-tedeschi, che parlavano soltanto il tedesco o l'yiddish. Il "B'naï B'rith " è pertanto una delle più antiche associazioni americane ancora esistenti. Il fondatore, Henry Jones. cercò dei co-fondatori reclutandoli presso la Sinagoga. di cui era uno dei principali responsabili. Il "B'naï B'rith" stesso riconosce inoltre che almeno quattro dei suoi fondatori erano massoni. L'Ordine del "B'naï B'rith". per libera scelta dei fondatori, era riservato ai soli ebrei.
I fondatori volevano creare un Ordine che avrebbe dovuto essere il mezzo per unire gli ebrei d'Amenca ed "illuminare" così "come un faro il mondo intero". Un mese dopo la creazione dell'Ordine, si decise che la sede sarebbe stata a New York; il locale scelto per fondare la prima Loggia di New York, non fu una sala della Sinagoga, ma il tempio massonico situato all'angolo di Oliver Street e Henry Street, proprio per mostrare la sua origine massonica.
I fondatori decisero di cambiare nome all'associazione, stimando che un Ordine ebraico dovesse avere un nome ebraico. Conservarono così le iniziali B. B., ma cambiarono il nome dell'Ordine, che da "Bundes-Brueder " (Lega dei Fratelli) divenne "B'naï B'rith" (Figli dell'Alleanza). Il motto dell'Ordine era: "Benevolenza, Amore fraterno ed Armonia". Si scelse perciò come simbolo dell'Ordine la "menorah", il candeliere a sette bracci, che simboleggia appunto la luce.

FORMARE DEI QUADRI
Henry Jones intuì la necessità di una stretta unione della comunità ebraica americana, in vista del suo futuro incremento, per l'arrivo di un sempre crescente numero di emigranti, e quindi il bisogno di un'organizzazione che provvedesse alla loro sistemazione ed al loro sostentamento; seppe unire i principi religiosi del Giudaismo a quelli filantropici di mutuo soccorso della Massoneria. Il disegno di Jones era quello di selezionare tra gli immigrati i migliori elementi. per costituire i "quadri" o le élites indispensabili al ruolo che il Giudaismo americano avrebbe dovuto avere nel mondo intero: essere il sacerdote dell'umanità posta al suo servizio, come "noachida" o proselite della porta! Per far questo bisognava conservare il carattere religioso del Giudaismo, ma nello stesso tempo evitare ogni disputa teologica.
Ora la Sinagoga, che in America era profondamente divisa, non poteva compiere quest'opera: la Loggia doveva quindi interporsi ed unificare ciò che le dispute sinagogali avevano diviso. Il "B'naï B'rith" avrebbe dovuto essere il grande educatore degli ebrei americani, per poterli innalzare al rango che compete loro: essere il faro dell'umanità! Esso aveva quindi una duplice funzione: essere un bastione contro la secolarizzazione e la perdita dell'identità ebraica; e nello stesso tempo evitare ogni pericolo di divisione, a causa delle dispute teologiche. Per favorire quest'unione degli ebrei l'Ordine, rifacendosi ai principi della Massoneria, si poneva al di sopra dei partiti e delle correnti teologiche ebraiche. Esso divenne il centro di tutti gli affari del mondo ebraico americano ed il punto d'incontro degli ebrei liberali ed ortodossi. Grazie alla sua caratteristica pluralista, non esclusivista, il "B'naï B'rith" riuscì ad unire ciò che la Sinagoga aveva diviso. Inoltre il "B'naï B'rith", per poter mantenere intatta la sua vitalità, mostrò sempre una grande capacità di adattamento al mutare delle circostanze.

INFLUENZA POLITICA DEL "B'NAÏ B'RITH"
Nell'ambito dei suoi compiti di tutela delle minoranze ebraiche l'Ordine esercitò, tramite il canale della diplomazia americana, enormi pressioni in favore degli ebrei perseguitati in Russia, in Romania, in Germania ecc. Nel 1903 per esempio, il presidente Roosevelt preparò insieme al "B'naï B'rith" una lettera di protesta da inviare allo Zar di Russia per condannare i pogrom russi. Le richieste contenute nella lettera, trasmessa dal Segretario di Stato americano, non furono accolte dallo Zar, il quale anzi, vedendo che gli ebrei capeggiavano i rivoluzionari russi, decise di sottomettere gli israeliti stranieri ad un regime speciale di passaporto, per poterli meglio sorvegliare. L'America fece nuovamente pressioni diplomatiche sullo Zar, ma Nicola II rifiutò ancora una volta di ricevere le proteste ebree. Il Gran Presidente del "B'naï B'rith" di quel tempo, Krans, ha scritto che uno dei membri del "B'naï B'rith" dichiarò in quell 'occasione: "Se lo Zar non vuole dare al nostro popolo la libertà che esso desidera, allora una Rivoluzione installerà una Repubblica in Russia, mediante la quale otterremo i nostri diritti". Previsione o premozione?…

L'INFLUENZA ATTUALE DEL B'NAÏ B'RITH
Negli USA le campagne presidenziali passano inevitabilmente attraverso le assemblee del "B'naï B'rith", dove i candidati, sia democratici che repubblicani, vengono a porgere i loro messaggi di sostegno ad Israele. Per esempio nel 1953 il vice presidente Richard Nixon fu il principale oratore politico al banchetto della Convenzione, ed il presidente Dwight Eisenhower inviò un caloroso messaggio d'incoraggiamento alla Loggia. Eisenhower prese poi parte al banchetto per il 40· anniversario dell'A.D.L. (Anti-Diffamation League of "B'naï B'rith"), il "braccio armato" del "B'naï B'rith". Mentre nel 1963, per i 50 anni dell'A.D.L., l'invitato d'onore fu il presidente John Kennedy. Alcuni mesi più tardi anche il nuovo presidente Lyndon Johnson fu invitato dall'Ordine. Per finire, il presidente del "B'naï B'rith", Label Katz, incontrò in udienza privata Giovanni XXIII nel gennaio 1960. Tramite Jules Isaac (membro del "B'naï B'rith") l'Ordine ha giocato un ruolo di primo piano nella preparazione del documento Nostra Ætate del Concilio Vaticano II.

IL B'NAÏ B'RITH E LA MASSONERIA
Oggi i membri del "B'naï B'rith" cercano di non parlare del loro legame con la Massoneria, ma abbiamo già visto come almeno quattro dei fondatori del "B'naï B'rith" erano massoni, che si riunivano in templi massonici. Il Ratier esamina a questo scopo ciò che autori o riviste massoniche o filomassoniche scrivono del " B'naï B'rith": Daniel Ligou, il "Dictionnaire de la franc-maçonnerie" (1932),l'"Almanach maçonnique de l'Europe", Jean-Pierre Bayard, la rivista "Globe" secondo cui il "B'naï B'rith" è "il ramo ebraico della Massoneria", Daniel Beresniak, la "Guide de la vie juive en France", che parla, a proposito del "B'naï B'rith" di "Massoneria colorata di Giudaismo", ed infine "Tribune Juive" secondo cui essi ("B'naï B'rith") progettano di creare un tipo di "obbedienza massonica riservata ai soli ebrei".
Da qualche decennio tuttavia, i dirigenti del "B'naï B'rith " stanno cercando di non far trasparire la specificità massonica del loro Ordine.

LA REGOLA DEL SEGRETO
Ufficialmente il "B'nai B'rith" avrebbe dovuto abbandonare la regola del segreto nel 1920, ma ancora nel 1936 Paul Goldman, presidente della prima Loggia di Londra, parlava, in un articolo che ne tratteggiava la storia, del segreto o silenzio sulle attività della Loggia. Il Ratier spiega inoltre come vi siano nel "B'naï B'rith" delle "riunioni aperte" cui possono assistere anche i profani, e le "vere riunioni", chiuse o segrete, riservate ai soli fratelli.

IL CARDINALE DEL B'NAÏ B'RITH
Il 16 novembre 1991, il card. Albert Decourtray, Arcivescovo di Lione e Primate di Francia, riceveva il Premio internazionale dell'azione umanitaria del distretto XIX (Europa) del "B'naï B'rith". Nel discorso pronunciato per la consegna della medaglia ricordo a Decourtray, Marc Aron, presidente del "B'naï B'rith" francese, fece un'allusione molto interessante circa l'evoluzione delle relazioni tra gli ebrei e il Vaticano: "Poi venne Jules Isaac, un "B'naï B'rith"; il suo incontro con Giovanni XXIII è la punta dell'iceberg; il Vaticano II, Nostra Ætate, le direttive conciliari per lo sradicamento di ogni concetto antigiudeo nella catechesi e nella liturgia…".

IL CARDINALE BEA
L'attitudine filoebrea del cardinale Bea gli valse l'accusa di essere un agente segreto B'naï B'rith". Qualcuno, come ha riassunto Léon de Poncins, ha accusato Bea di essere d'origine ebrea, si sarebbe chiamato, Béja, o Béhar, ed avrebbe agito nel Concilio come agente segreto del "B'naï B'rith", Ma non ci sono prove serie di ciò fino ad ora.

FREUD E IL B'NAÏ B'RITH
L'Autore scrive che Freud era un membro della Loggia del "B'naï B'rith" di Vienna e che il "B'naï B'rith" ha influito molto sullo sviluppo della psicanalisi, fondata sulla càbala giudaica.

IL B'NAÏ B'RITH E IL COMUNISMO
La domanda che il nostro Autore si pone è questa: vi fu opposizione o sostegno, da parte del "B'naï B'rith", alla Rivoluzione comunista del 1917? Globalmente, leggendo la stampa del "B'naï B'rith", si può dire che vi fu sostegno, senza che vi fosse alcuna paura per lo sviluppo della comunità israelitica russa, tranne le inquietudini per un'eventuale assimilazione degli ebrei nello Stato comunista e le difficoltà per la pratica religiosa. Ma oltre questi due punti, non si trova, nella stampa del "B'naï B'rith" dell'epoca, nessuna condanna del regime dittatoriale comunista per la sua ideologia. Per quanto riguarda "l'eliminazione degli ebrei ortodossi, essa fu condotta dalla sezione ebrea del partito comunista… la 'Evsekzija'(…) Si assistette perciò al triste spettacolo di ebrei, che spogliavano i loro propri fratelli".

IL B'NAÏ B'RITH E IL SIONISMO
Il "B'naï B'rith" può essere definito un movimento pre-sionista. Fin dall'origine e per sua natura, il "B'naï B'rith" è un Ordine d'ispirazione sionista, anche se nel 1843 questo termine non esisteva ancora. Paul Goldman, presidente della Prima Loggia d'Inghilterra, scrisse nel 1936 un piccolo opuscolo sulla storia ditale Loggia. In esso sono contenute notizie molto importanti sull'influenza delle logge londinesi del "B'naï B'rith" nello sviluppo del Sionismo. "Nella Palestina — scrive il Goldman — "B'naï B'rith" ha esercitato un ruolo unico, prima che il Sionismo ne facesse la base dello Stato ebraico". Nel 1865, ventitrè anni prima dell'Organizzazione sionista mondiale di Herzl, il "B'naï B'rith " organizzò una grande campagna d'aiuto alle vittiime ebree di un'epidemia di colera in Palestina. Dopo di che l'Ordine non ha più smesso di sostenere finanziariamente le iniziative private in Israele (nel 1948, inviò più di quattro milioni di dollari in Israele). Tuttavia a causa di una minoranza antisionista tra gli ebrei, il "B'naï B'rith"; che ha sempre cercato di evitare ogni querelle e divisione tra israeliti, non ha preso ufficialmente posizione (fino al settembre 1947) in favore delle tesi sioniste, pur difendendole e partecipando attivamente a tutte le conferenze sioniste.

IL B'NAÏ B'RITH FA RICONOSCERE ISRAELE
È stato il "B'naï B'rith" che ha provocato il riconoscimento (de facto) dello Stato d'Israele da parte del presidente americano Harry Truman, che era ostile ad un riconoscimento rapido d'Israele, e che a causa del suo "ritardismo" veniva accusato dai dirigenti sionisti di essere un traditore. Nessuno dei leaders sionisti era ricevuto, in quei frangenti, alla Casa Bianca. Tutti, tranne Frank Goldman, presidente del "B'naï B'rith", che non riuscì però a convincere il Presidente. Allora Goldman telefonò all'avvocato Granoff, consigliere di Jacobson, amico personale del presidente Truman. Jacobson, un "B'naï B'rith", pur non essendo sionista, scrisse tuttavia un telegramma al suo amico Truman, chiedendogli di ricevere Weizmann (presidente del Congresso Sionista mondiale). Il telegramma restò senza risposta. allora Jacobson chiese un appuntamento personale alla Casa Bianca. Truman lo avvisò che sarebbe stato felice di rivederlo, a condizione che non gli avesse parlato della Palestina. Jacobson promise e partì. Arrivato alla Casa Bianca, come scrive Truman stesso nelle sue "Memorie": «Delle grandi lagrime gli colavano dagli occhi… allora gli dissi: "Eddie, sei un disgraziato, mi avevi promesso di non parlare di ciò che sta succedendo in Medio Oriente". Jacobson mi rispose: "Signor Presidente, non ho detto neanche una parola, ma ogni volta che penso agli ebrei senza patria (…) mi metto a piangere" (…) Allora gli dissi: "Eddie, basta". E discutemmo d'altro, ma ogni tanto una grossa lacrima colava dai suoi occhi (…)Poi se ne andò».
Ebbene poco tempo dopo, Truman ricevette Weizmann in segreto e cambiò radicalmente opinione, decidendo di riconoscere subito lo Stato d'Israele. Così il 15 maggio 1948 Truman chiese al rappresentante degli Stati Uniti di riconoscere de facto il nuovo Stato. E quando il Presidente firmò i documenti di riconoscimento ufficiale d'Israele, il 13 gennaio 1949, i soli osservatori non appartenenti al governo degli Stati Uniti erano tre dirigenti del "B'naï B'rith": Eddie Jacobson, Maurice Bisyger e Frank Goldman.

IL COMPITO PIÙ ARDUO: IMPEDIRE L'ASSIMILAZIONE
Sappiamo già che il "B'naï B'rith" ha per scopo di unire gli israeliti, per far progredire l'umanità. L'Ordine cerca pertanto di sviluppare il carattere morale ed intellettuale dei propri correligionari; tuttavia, studiando meglio il problema, si può scorgere un certo "razzismo" ebreo in tali programmi. L'Ordine dei "Figli dell'Alleanza" presuppone una fedeltà totale al Giudaismo, in quanto esso serve a rafforzare la coscienza ebraica. Uno dei compiti più alti dell'Ordine è di preservare il popolo ebreo da ogni pericolo di assimilazione da parte di altre nazioni e da una conseguente perdita d'identità. La "Lega Anti-Diffamazione" (A.D.L.) scrive che essa "crede nell'integrazione, cioè nell'accettazione degli ebrei, come eguali. Ma che è opposta all'assimilazione: ossia alla perdita dell'identità ebrea (…). Uno dei principi dell'Ordine è che "non vi è posto nel "B'naï B'rith" per un Fratello che tiene i suoi figli lontani dalla comunità israelitica".

IL RIMPIANTO DEL GHETTO E I PERICOLI DELL'EMANCIPAZIONE
Nelle pubblicazioni del "B'naï B'rith" di questi ultimi anni, traspariva ancora una certa nostalgia del ghetto, come garanzia della propria identità, e perciò certi membri arrivano financo a stimare che "il nemico mortale degli ebrei non è l'antisemitismo, ma è l'assimilazione". Il "B'naï B'rith" lotta anche contro i matrimoni misti. nei quali uno dei coniugi è un "goy", anche se il matrimonio viene celebrato nella Sinagoga.

L'"ANTI-DIFAMATION-LEAGUE": O IL BRACCIO ARMATO DEL B'NAÏ B'RITH
L'A.D.L. fu fondata dal "B'naï B'rith" nell'ottobre del 1913 per lottare contro la diffamazione e la discriminazione che si sarebbero potute esercitare contro la comunità ebraica americana. Molti presidenti degli USA hanno tessuto l'elogio dell'A.D.L., ad esempio Truman, Eisenhower, J. Kennedy, Johnson, Reagan…
L'associazione scheda regolarmente ogni anno tutti coloro che hanno espresso delle opinioni non filo-israeliane. In Italia, quest'estate, il giornalista Maurizio Blondet è riuscito, clamorosamente, a rendere pubblico l'elenco dell'A.D.L. 1993, in cui si trovavano, tra gli altri, i nomi degli onorevoli Pivetti e Miglio, dei cardinali Ruini e Pappalardo. L'on. Pivetti ha presentato un'interrogazione parlamentare chiedendo al Ministro degli Interni un'inchiesta sul caso, senza ricevere alcuna risposta.

L'A.D.L. E LO SPIONAGGIO PRIVATO NEGLI USA
Il 10 dicembre 1992 e l'8 aprile 1993, i locali dell'A.D.L. del "B'naï B'rith" di S. Francisco e di Los Angeles, furono perquisiti simultaneamente da agenti dell'F.B.I. e molti dei documenti sequestrati provano che l'A.D.L., tramite la sua sezione di ricerca documentaria ("Fact Finding Division"), diretta fin dal 1962 da Irwin Svall, è stata, né più né meno, una vasta rete di spionaggio, non solo contro militanti politici vagamente antisemiti, ma anche contro diverse confessioni religiose, clubs, associazioni locali… che non hanno nulla di antisemita. La polizia americana scoprì allora che la maggior parte degli uomini o associazioni spiate dall'A.D.L., non avevano mai avuto alcun legame diretto o indiretto con la comunità ebraica, e non avevano neppure preso una posizione netta pro o contro Israele. (In Italia per esempio, il card. Ruini è stato schedato come antisemita per aver scritto che Gesù era stato crocifisso dagli ebrei. Il card. Pappalardo per aver usato l'espressione scritturale "Sinagoga di Satana"…)
Una tale rete di spionaggio è stata messa in piedi grazie alle amicizie che l'A.D.L. conta tra i poliziotti, gli sceriffi e persino tra gli agenti dell'FBI. Il potere della comunità ebrea è tanto grande che i locali dell'A.D.L. di Los Angeles dovettero essere perquisiti dalla polizia di San Francisco, perché la polizia locale si era rifiutata di cooperare direttamente all'inchiesta. Il procuratore generale di San Francisco, Arlo Smith, disse che si trattava "della più vasta rete di spionaggio che opera su scala nazionale". Due cronisti del quotidiano "San Francisco Chronicle", Phillip Matier e Andrew Ross, hanno scritto che il dossier dell'A.D.L. di San Francisco, sequestrato dalla polizia di Los Angeles, è "soltanto la punta dell'iceberg di un raggio nazionale di spionaggio e di indiscrezioni programmate dai servizi di sicurezza". I due giornalisti affermano anche che "poliziotti di almeno altre sei grandi città, sono egualmente implicati nella vendita di schede confidenziali di polizia".
Altra tattica impiegata dall'A.D.L. è quella d'infiltrare gruppi o partiti americani. Alcuni studenti ebrei dell'Università di San Francisco, come riporta il settimanale "San Francisco Weekly", hanno ammesso di spiare, per conto dell'A.D.L., altri studenti o professori, annotando sistematicamente le osservazioni fatte su Israele o sugli ebrei. Se ne deduce che l'A.D.L. scheda ogni persona che esprime sentimenti od opinioni critiche su Israele.
Sembra che l'origine dei legami A.D.L.-polizia risalga ai preliminari della dichiarazione di guerra americana del 1941. Quando gli USA dichiararono la guerra, le schede dell'A.D.L. divennero una miniera d'oro per l'F.B.I., che poté così controllare gli agenti nemici. Questa pratica non è cessata: l'A.D.L. ha fornito all'F.B.I. liste di persone o organizzazioni ritenute "razziste"; anzi l'A.D.L. ha organizzato dei seminari di formazione ai quali venivano invitati poliziotti americani per poter identificare e schedare gli "antisemiti" o presunti tali. Nel 1989 fu il capo stesso dell'F.B.I., William Sessions, a partecipare all'assemblea annua dell'A.D.L., mettendo a disposizione della stessa la sua esperienza professionale. Per ottenere i favori dei poteri repressivi e facilitare la sua penetrazione nell'apparato poliziesco, l'A.D.L. sponsorizza ogni anno, numerosi seminari consacrati specialmente ai cosiddetti "estremisti bianchi", ai quali partecipano numerosi ufficiali di polizia, dall'F.B.I. fino agli sceriffi, ivi compresi i procuratori generali di tredici Stati.
Le «pubblicazioni "tecniche" dell'A.D.L., che costituiscono spesso una vera opera di schedatura di persone critiche nei confronti del Sionismo, sono d'altronde destinate ad essere utilizzate dalla polizia, come precisa lo stesso catalogo pubblicitario dell'A.D.L.». Per conto dell'A.D.L. vengono organizzate anche operazioni di provocazione, orchestrate nel seno di gruppi di estrema destra, in modo da screditarli e al tempo stesso pilotare l'opinione pubblica sull'esistenza di un grave pericolo razzista ed antisemita, in realtà inesistente.

UN LIBRO DI DENUNCIA
Nell'estate del 1992 appariva in Francia un libro, intitolato "Les droites nationales et radicales en France", edito da "Presses universitaires de Lyon" (P.U.L.), scritto da due giovani autori René Monzat e Jean-Yves Camus (nati entrambi nel 1958). Sul retro della copertina si può leggere la scritta: «Opera pubblicata col concorso del "B'naï B'rith" di Francia». Ora il presidente del "B'naï B'rith" francese è il dottor Marc Aron, un influente personalità lionese, che ne ha firmato la prefazione dal titolo: "Il cerchio vizioso dell'estrema destra". L'opera è costituita in larga parte dalla trascrizione di schede della polizia (da pag. 61 a pag. 100) ed è un'opera di autentica denuncia di partiti, personalità, bollettini (c'è anche il nostro "Sodalitium"), associazioni, ecc.

di don Curzio Nitoglia.
Il libro "Misteri e Segreti del B'naï B'rith " è disponibile al costo di £ 50.00 (+ Spese di spedizione) presso:
Centro Librario Sodalitium
Loc. Carbignano 36
10020 Verrua Savoia
Torino

Il testo francese integrale del libro "Mystères et Secrets du B'nai B'rith" può essere ordinato dalla casa editrice Facta al seguente indirizzo:
Facta 37 rue d'Amsterdam 75008 — Paris
Francia

 
   
 

La sconcertante rivelazione di Ariel Toaff: il mito dei sacrifici umani non è solo una menzogna antisemita
Quelle Pasque di Sangue
Il fondamentalismo ebraico nelle tenebre del Medioevo

Trento, 23 marzo 1475. Vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica. Nell' abitazione-sinagoga di un israelita di origine tedesca, il prestatore di denaro Samuele da Norimberga, viene rinvenuto il corpo martoriato di un bimbo cristiano: Simonino, due anni, figlio di un modesto conciapelli. La città è sotto choc. Unica consolazione, l' indagine procede spedita. Secondo gli inquirenti, hanno partecipato al rapimento e all' uccisione del «putto» gli uomini più in vista della comunità ebraica locale, coinvolgendo poi anche le donne in un macabro rituale di crocifissione e di oltraggio del cadavere. Perfino Mosé «il Vecchio», l' ebreo più rispettato di Trento, si è fatto beffe del corpo appeso di Simonino, come per deridere una rinnovata passione di Cristo. Incarcerati nel castello del Buonconsiglio e sottoposti a tortura, gli ebrei si confessano responsabili dell' orrendo delitto. Allora, rispettando il copione di analoghe punizioni esemplari, i colpevoli vengono condannati a morte e giustiziati sulla pubblica piazza. Durante troppi secoli dell' era cristiana, dal Medioevo fino all' Ottocento, gli ebrei si sono sentiti accusare di infanticidio rituale, perché quelle accuse non abbiano finito con l' apparire alla coscienza moderna niente più che il parto di un antisemitismo ossessivo, virulento, feroce. Unicamente la tortura - si è pensato - poteva spingere tranquilli capifamiglia israeliti a confessare di avere ucciso bambini dei gentili: facendo seguire all' omicidio non soltanto la crocifissione delle vittime, ma addirittura pratiche di cannibalismo rituale, cioè il consumo del giovane sangue cristiano a scopi magici o terapeutici. Impossibile credere seriamente che la Pasqua ebraica, che commemora l' esodo degli ebrei dalla cattività d' Egitto celebrando la loro libertà e promettendo la loro redenzione, venisse innaffiata con il sangue di un goi katan, un «piccolo cristiano»! Più che mai, dopo la tragedia della Shoah, è comprensibile che l' «accusa del sangue» sia divenuta un tabù. O piuttosto, che sia apparsa come la miglior prova non già della perfidia degli imputati, ma del razzismo dei giudici. Così, al giorno d' oggi, soltanto un gesto di inaudito coraggio intellettuale poteva consentire di riaprire l' intero dossier, sulla base di una domanda altrettanto precisa che delicata: quando si evoca tutto questo - le crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach, l' uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa - si parla di miti, cioè di antiche credenze e ideologie, oppure si parla di riti, cioè di eventi reali e addirittura prescritti dai rabbini? Il gesto di coraggio è stato adesso compiuto. L' inquietante domanda è stata posta alle fonti dell' epoca, da uno storico perfettamente attrezzato per farlo: un esperto della cultura alimentare degli ebrei, tra precetti religiosi e abitudini gastronomiche, oltreché della vicenda intrecciata dell' immaginario ebraico e di quello antisemita. Italiano, ma da anni docente di storia medievale in Israele, Ariel Toaff manda in libreria per il Mulino un volume forte e grave sin dal titolo, Pasque di sangue. Magnifico libro di storia, questo è uno studio troppo serio e meritorio perché se ne strillino le qualità come a una bancarella del mercato. Tuttavia, va pur detto che Pasque di sangue propone una tesi originale e, in qualche modo, sconvolgente. Sostiene Toaff che dal 1100 al 1500 circa, nell' epoca compresa tra la prima crociata e l' autunno del Medioevo, alcune crocifissioni di «putti» cristiani - o forse molte - avvennero davvero, salvo dare luogo alla rappresaglia contro intere comunità ebraiche, al massacro punitivo di uomini, donne, bambini. Né a Trento nel 1475, né altrove nell' Europa tardomedievale, gli ebrei furono vittime sempre e comunque innocenti. In una vasta area geografica di lingua tedesca compresa fra il Reno, il Danubio e l' Adige, una minoranza di ashkenaziti fondamentalisti compì veramente, e più volte, sacrifici umani. Muovendosi con straordinaria perizia sui terreni della storia, della teologia, dell' antropologia, Toaff illustra la centralità del sangue nella celebrazione della Pasqua ebraica: il sangue dell' agnello, che celebrava l' affrancamento dalla schiavitù d' Egitto, ma anche il sangue del prepuzio, proveniente dalla circoncisione dei neonati maschi d' Israele. Era sangue che un passo biblico diceva versato per la prima volta proprio nell' Esodo, dal figlio di Mosè, e che certa tradizione ortodossa considerava tutt' uno con il sangue di Isacco che Abramo era stato pronto a sacrificare. Perciò, nella cena rituale di Pesach, il pane delle azzime solenni andava impastato con sangue in polvere, mentre altro sangue secco andava sciolto nel vino prima di recitare le dieci maledizioni d' Egitto. Quale sangue poteva riuscire più adatto allo scopo che quello di un bambino cristiano ucciso per l' occasione, si chiesero i più fanatici tra gli ebrei studiati da Toaff? Ecco il sangue di un nuovo Agnus Dei da consumare a scopo augurale, così da precipitare la rovina dei persecutori, maledetti seguaci di una fede falsa e bugiarda. Sangue novello, buono a vendicare i terribili gesti di disperazione - gli infanticidi, i suicidi collettivi - cui gli ebrei dell' area tedesca erano stati troppe volte costretti dall' odiosa pratica dei battesimi forzati, che la progenie d' Israele si vedeva imposti nel nome di Gesù Cristo. Oltreché questo valore sacrificale, il sangue in polvere (umano o animale) aveva per gli ebrei le più varie funzioni terapeutiche, al punto da indurli a sfidare, con il consenso dei rabbini, il divieto biblico di ingerirlo in qualsiasi forma. Secondo i dettami di una Cabbalah pratica tramandata per secoli, il sangue valeva a placare le crisi epilettiche, a stimolare il desiderio sessuale, ma principalmente serviva come potente emostatico. Conteneva le emorragie mestruali. Arrestava le epistassi nasali. Soprattutto rimarginava istantaneamente, nei neonati, la ferita della circoncisione. Da qui, nel Quattrocento, un mercato nero su entrambi i versanti delle Alpi, un andirivieni di ebrei venditori di sangue umano: con le loro borse di pelle dal fondo stagnato, e con tanto di certificazione rabbinica del prodotto, sangue kasher... Risale a vent' anni fa un libretto del compianto Piero Camporesi, Il sugo della vita (Garzanti), dedicato al simbolismo e alla magia del sangue nella civiltà materiale cristiana. Vi erano illustrati i modi in cui i cattolici italiani del Medioevo e dell' età moderna riciclarono sangue a scopi terapeutici o negromantici: come il sangue glorioso delle mistiche, da aggiungere alla polvere di crani degli impiccati, al distillato dai corpi dei suicidi, al grasso di carne umana, entro il calderone di portenti della medicina popolare. Con le loro «pasque di sangue», i fondamentalisti dell' ebraismo ashkenazita offrirono la propria interpretazione - disperata e feroce - di un analogo genere di pratiche. Ma ne pagarono un prezzo enormemente più caro. * * * Il tema del libro Esce in libreria dopodomani, giovedì 8 febbraio, il libro di Ariel Toaff «Pasque di sangue. Ebrei d' Europa e omicidi rituali» (pp. 364, 25), edito dal Mulino Il saggio affronta il tema dell' accusa, rivolta per secoli agli ebrei, di rapire e uccidere bimbi cristiani per utilizzarne il sangue nei riti pasquali * * * Il caso di Trento Nel 1745 il piccolo Simone venne trovato morto a Trento Per il suo omicidio furono giustiziati 15 ebrei Fino al 1965 Simone fu venerato come beato * * * Uno storico del giudaismo Ariel Toaff, figlio dell' ex rabbino capo di Roma Elio Toaff, insegna Storia del Medioevo e del Rinascimento presso la Bar-Ilan University in Israele Tra le sue opere edite dal Mulino: «Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo» (1989), «Mostri giudei. L' immaginario ebraico dal Medioevo alla prima età moderna» (1996), «Mangiare alla giudia. La cucina ebraica in Italia dal Rinascimento all' età moderna» (2000)
Luzzatto Sergio
Corriere della Sera 6 febbraio, 2007

 
   
 

Elio Toaff, storico rabbino capo di Roma, si è associato alla dura condanna del libro di suo figlio: sono assolutamente contrario
Ariel Toaff, dolore e minacce «Usano mio padre contro di me»
L'autore di «Pasque di sangue»: non mi fanno parlare con lui
«Non voglio perdere il suo affetto per aver violato un tabù»

ROMA — «Mio padre è un uomo di novantadue anni. Sarebbe stato giusto risparmiarlo. Tenerlo fuori da questa storia. Io mi sono comportato così. Avevo deciso di dedicargli il libro, ma ho rinunciato, proprio per non coinvolgerlo, per non nascondermi dietro il prestigio del suo nome. Per lo stesso motivo ho evitato di parlargli del libro, di farglielo leggere prima della pubblicazione. Ora invece è accaduto il contrario: mio padre viene usato contro di me. Il suo nome viene strumentalizzato per lanciare un interdetto contro il mio libro. Anche un tempo i rabbini erano soliti bruciare i libri proibiti. Prima però li leggevano».
Ariel Toaff è un uomo turbato. Vive in Israele, insegna storia del Medioevo e del Rinascimento presso la Bar-Ilan University fin dal 1971. Ora è in Italia, a Roma, chiuso in albergo. «Sto cercando di mettermi in contatto con mio padre, ma invano. Non mi ci fanno parlare. Né posso andare a casa sua: il quartiere ebraico in questo momento non sarebbe sicuro per me. Preferisco non parlare delle minacce che ho ricevuto. Ho chiesto aiuto ai miei fratelli, Gadi, che vive a Salonicco, Daniel, che fa il giornalista alla Rai, e Miriam, che vive in Israele con suo marito, il professor Della Pergola. Spero di aver modo presto di parlare con mio padre, di potermi spiegare con lui. È vero, ho infranto un tabù. Ma non ho detto falsità contro la famiglia cui appartengo, contro gli ebrei».
Il padre di Ariel, Daniel, Gadi e Miriam è Elio Toaff. La massima autorità morale dell'ebraismo italiano, una delle coscienze della nazione: amico d'infanzia di Carlo Azeglio Ciampi, storico rabbino capo di Roma. Anche Elio Toaff si è associato alla dura condanna del libro di suo figlio («Non sono affatto d'accordo con lui, anzi sono assolutamente contrario»), pronunciata in un comunicato dal presidente dell'Assemblea dei rabbini d'Italia, Giuseppe Laras, dal presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, e da tutti i rabbini capi (compreso il successore di Toaff a Roma, Riccardo Di Segni).
Il libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue, pubblicato in questi giorni dal Mulino, è stato recensito martedì scorso sul Corriere da Sergio Luzzatto, che l'ha definito «un gesto di inaudito coraggio intellettuale»: il mito dell'infanticidio e dei sacrifici umani non sarebbe solo una menzogna antisemita; in particolare viene riaperto il caso dell'atroce morte di Simonino, un bambino di Trento venerato fino al 1965 dalla Chiesa cattolica come beato. La famiglia protegge la riservatezza di Elio Toaff: l'anziano rabbino aspetta di leggere il libro del figlio, di conoscere le carte; certo novità così rivoluzionarie, che neppure — è il ragionamento affidato alle conversazioni private — negli anni più bui delle persecuzioni novecentesche sono state avvalorate dagli storici antisemiti, gli appaiono improbabili.
Ma Toaff padre bada a sfuggire alla contrapposizione familiare, per lui particolarmente dolorosa; né intende condannare un libro prima di averlo letto con attenzione. Semplicemente, di fronte alla domanda di un giornalista, non ha potuto trattenersi dal ricordare che né la Torah, né la millenaria tradizione ebraica considerano lecito cibarsi del sangue degli animali, a maggior ragione di altre creature viventi.
Anche Ariel Toaff vuole uscire dallo schema della contrapposizione in famiglia. Vuole anzi incontrare il padre per chiarirsi con lui in privato.
«Non provo alcuna acrimonia nei suoi confronti; non potrei mai. È troppo grande il rispetto e l'amore che mi lega a lui. Ci separa una distanza fisica ma non di sentimenti, ogni volta che passo da Roma vado a trovarlo, abbiamo anche scritto un libro insieme. Questa volta non l'ho coinvolto nelle mie ricerche proprio per non creargli problemi: sarebbe stato considerato corresponsabile. E se anche gliene avessi parlato, oggi lo negherei, per lo stesso motivo. Per questo mi indigna che mio padre sia tirato in ballo e schierato strumentalmente contro di me e il mio lavoro. Non è la prima volta che su di lui vengono esercitate pressioni. Ad esempio quando ha espresso le sue perplessità, che condivido, circa la legge sul carcere per i negazionisti, è stato poi indotto a ritrattare».
«Ora i rabbini hanno lanciato un interdetto non contro il mio libro, che non possono aver letto, ma contro la recensione di Luzzatto. Che peraltro era fedele. Contro di me usano argomenti falsi. So anch'io che non bastano le confessioni estorte sotto tortura per confermare un fatto. Proprio per questo sono andato alla ricerca di fonti documentali, le quali talora avvalorano quelle confessioni; che in casi come la morte di Simonino non rappresentano soltanto la proiezione dei desideri dell'inquisitore. Del resto, applicando lo stesso ragionamento alla storia dell'Inquisizione, neppure gli eretici e i marrani sarebbero mai esistiti. Non è così. So bene anche che la Torah e l'etica ebraica non consentono di sacrificare esseri umani o di cibarsi di sangue; ma questo non significa che questi crimini non siano mai stati commessi. Il mio saggio non avvalora affatto lo stereotipo diffuso nei secoli dalla propaganda cattolica; semplicemente non ha paura dei fatti. Purtroppo il comunicato dei rabbini dimostra che infrangere i tabù è pericoloso. E gli studi sugli infanticidi e l'uso rituale del sangue sono ancora un tabù, per gli ebrei. La bibliografia sull'argomento è sterminata; ma tutti i testi, sia quelli accusatori sia quelli apologetici, sono scritti da cristiani, antisemiti o filosemiti che siano. Mai un ebreo aveva finora affrontato l'argomento».
«Pasque di sangue non è un libro scritto in un mese e mezzo. Sono 400 pagine, costituite per un terzo da documenti in nota, costate sette anni di lavoro. I rabbini l'hanno stroncato con un giro di telefonate. Ero e sono consapevole della delicatezza dell'argomento: per questo ho tenuto fermo il libro due anni. Ho chiesto l'aiuto di studiosi, che hanno potuto consultare il mio archivio in Italia. Mi sono rivolto a colleghi e allievi in Israele. Ho mandato capitoli interi da rileggere a esperti stranieri e italiani. Ho preferito non riferire nel libro alcuni casi, in cui non era perfettamente certo che le confessioni trovassero conferma nei documenti. Ma le reazioni prescindono dalle carte, dalla ricerca, dalla verità. Da anni dirigo una rivista di cultura ebraica; i finanziatori mi hanno appena telefonato per dirmi che o mi dimetto o la rivista chiude. Sto pagando un prezzo molto alto per aver violato un tabù. Sarebbe troppo se, per colpa di altri, a questo prezzo si aggiungessero la stima e l'affetto di mìo padre».
Aldo Cazzullo
Corriere della sera, 8 febbraio 2007, pag.25