Ebrei occidentalizzati contro ebrei orientali? Intervista con Giovanni d’Angelo Stampa E-mail
Scritto da Francesco Algisi   
Venerdì 04 Giugno 2010 15:08

Ebrei occidentalizzati contro ebrei orientali? Intervista con Giovanni d’Angelo

a cura di Francesco Algisi

 

auschwitz  Il Prof. Giovanni d’Angelo è un autore già noto ai lettori di Archivio storico. Storico militare, recensore da oltre venticinque anni per la World Literature Today, ha al suo attivo diversi volumi, tra cui il recente La strana morte del Tenente Generale Alberto Pollio (Rossato, 2009). Fautore di un franco e leale dialogo con il mondo ebraico, il Prof. D’Angelo è altresì autore di una tesi tanto originale quanto sconvolgente sulle origini della Shoah, che sviluppò alcuni anni or sono nel controverso articolo intitolato Si può discutere serenamente e democraticamente con il mondo ebraico?. Sulla questione (e sulla censura subìta dall’articolo citato) cerca di gettare luce l’intervista che segue.

  Prof. D’Angelo, l’articolo recentemente pubblicato da Archivio storico venne scritto nell’aprile 2004 per la rivista Riscontri. Da allora è cambiato qualcosa?

  Direi proprio di no. Il dibattito storico che tocchi sia pure marginalmente, soprattutto in Italia, questioni attinenti al mondo ebraico continua a essere impedito da quella che ormai è evidentemente una specie di Santa Inquisizione ebraica: essa vieta anche a degli storici onesti (che non negano assolutamente l’Olocausto, anzi lo riconoscono) di studiare le vere origini della Shoah.

  In che modo il dibattito viene impedito?

  Da un lato, in maniera attiva da parte ebraica; dall’altro in maniera passiva – mediante una rinuncia preventiva – da parte di chi vorrebbe occuparsi di questi argomenti giudicati “scomodi”.

  Insomma, in quest’ultimo caso si tratta di una forma di autocensura…

  Esattamente.

  Perché avviene questo?

  Per il timore che una discussione serena sulle origini della Shoah possa far affiorare qualcosa di inquietante. Badi bene che non alludo al fatto che la Shoah si sia storicamente verificata, perché la storicità della stessa è innegabile (anche se poi bisogna vedere se i numeri siano veramente quelli sostenuti dal ’45 in poi).

  Lei era un collaboratore della rivista Riscontri

  Collaboravo con questa rivista che si pubblicava ad Avellino. Tra i redattori vi erano diversi docenti dell’Università Federico II di Napoli e di altre Università del Sud (ricordo dei redattori assai prestigiosi: fra gli altri vi collaborava – perché io ormai ho dovuto rompere i rapporti nel 2004 – anche il nipote di Ugo Spirito con una rubrica molto arguta). Riscontri era una rivista senz’altro di stampo crociano, sul piano culturale liberal-conservatrice: si richiamava alla vecchia Destra storica italiana.

  Aveva tutti i presupposti, insomma, per essere una rivista aperta al dibattito storico…

  Sì. In un’occasione in cui Mario Rigoni Stern fece alcune dichiarazioni, che non esito a definire un po’ ruffianesche, sul risultato della campagna di Russia (ricordo che Rigoni Stern ha sempre pubblicato con case editrici tendenzialmente di sinistra), il direttore di Riscontri accolse senza alcun problema le mie obiezioni. Vorrei aprire una parentesi.

  Dica…

  Chi afferma che Mussolini mandò gli italiani a morire inutilmente in Russia, non si cala storicamente nel contesto di quegli anni e non capisce che in una campagna militare, una volta che si accetta di entrare in guerra con un alleato, non si può più fare la guerra parallela. Noi tentammo di farla nella Grande Guerra, dal 1915 al 1916, e mal ce ne incolse. Il mondo moderno non può più accettare – oramai la guerra è bandita – il concetto di guerra parallela: già a metà del XX secolo non poteva più essere sostenuto. Noi eravamo, insieme con il Giappone, il principale alleato della Germania, e l’unico grande alleato europeo dei tedeschi, perché il Giappone operava nel quadro estremo-orientale. Era normale, quindi, che l’Italia avesse mandato dei contingenti a combattere nella campagna di Russia (c’erano anche una legione spagnola di volontari – benché la Spagna fosse neutrale -, una legione di volontari francesi, ecc.).

  C’è chi sostiene che noi abbiamo fatto i servi sciocchi mandando le truppe sul fronte orientale

  Questo è ormai un punto di vista che sa tanto di stantio; non è storia, ma ideologia oramai morta.

  Torniamo alla sua collaborazione con la rivista Riscontri

  Vi avevo collaborato con un articolo molto lungo (quasi un piccolo libretto) sul rapporto tra la figura del militare e la guerra nel teatro comico del Settecento (con particolare riguardo all’opera di George Farquhar, scrittore e drammatista  anglo-irlandese, e Carlo Goldoni). Poi, pubblicarono alcune recensioni delle mie pubblicazioni, oltre a una mia lettera aperta all’allora ministra della Pubblica istruzione, Letizia Moratti, in cui auspicavo che una riforma della scuola non potesse prescindere da una seria riforma dell’esame di maturità (a tale lettera la Moratti si guardò bene dal rispondere). Quando, però, chiesi di pubblicare l’articolo che Archivio storico ha cordialmente e gentilmente ospitato, ricevetti un rifiuto netto (benché formulato all’interno di una lettera molto cortese). Allora manifestai il mio disappunto, giudicando inaccettabile che una rivista di stampo storico-letterario non potesse pubblicare un articolo basato non su opinioni, ma su fatti puri e semplici. Censurando l’articolo, il direttore si guardò bene dal confutare quanto vi avevo esposto, ma si limitò a dire che, nel merito, non era opportuno pubblicarlo.

  Perché non era opportuno?

  Il comitato di redazione, consultato dal direttore, decise – non si è capito se all’unanimità o a maggioranza – di rifiutare l’articolo perché lo giudicò “aspro nei toni”: il che non era vero (tra l’altro, a un certo punto nell’articolo scrivo che nessuno è depositario a priori della verità). La verità è che, anche in quell’occasione, ci fu il ricorso all’autocensura cui si alludeva poc’anzi: un rifiuto passivo preventivo, senza cioè aspettare una eventuale critica delle organizzazioni ebraiche italiane.

  Questo, dunque, determinò la fine della sua collaborazione…

  Sì. Non era dignitoso per me - che mi reputo uno storico e non un ideologo (non sono certo un negazionista) – continuare a collaborare con chi impediva il dibattito storico. D’altra parte, pensiamo che si è tentato di chiudere la bocca anche al più grande storico tedesco vivente (dopo la morte di Joachim Fest), cioè a Ernst Nolte, cui è stato vietato di tenere una conferenza sulla Shoah solo perché egli ha dichiarato che Auschwitz è stato una tragedia, ma non è un dogma.

  Il suo articolo, comunque, presenta alcuni punti alquanto controversi…

  Mi rendo conto. Parto dall’assunto veritiero che buona parte della gerarchia nazionalsocialista era ebrea o di origine ebraica.

  Non sembra un dato pacifico…

  In realtà, qualche hint (come dicono gli inglesi), sotto questo punto di vista, c’era già stato negli anni passati.

  Lei scrive che personalità del calibro di Funk e Rosenberg erano di origine ebraica…

  Rosenberg era ebreo al cento per cento: egli era l’omologo di Ilja Ehrenburg, l’ideologo dello stalinismo di quegli anni, ebreo anche lui. In quell’elenco di ministri ho dimenticato di citare Julius Streicher, che fu condannato a morte a Norimberga: ebreo anch’egli, nel 1918 fondò un movimento antisemita; in seguito alla nascita del partito socialista dei lavoratori tedeschi, cioè il primigenio partito di Hitler, vi aderì immediatamente. Basta vedere la foto di Streicher per capire che era ebreo. E poi lo denuncia il cognome. Funk, invece, fu il direttore della Reichsbank dopo Schacht. Quest’ultimo, probabilmente di origine ebraica, fu uno dei soli tre assolti a Norimberga, poiché non prese parte alla repressione degli ebrei; quindi esce un po’ dallo schema della mia tesi. Funk, condannato all’ergastolo a Norimberga, fu liberato nel ’57 (solo dopo undici anni di prigionia a Spandau) senza che la stampa internazionale ne sapesse qualcosa e senza che venisse data una ragione ufficiale di questa cripto-amnistia.

  C’è poi il caso del feldmaresciallo Erhard Milch…

  Nell’articolo, non ne faccio menzione. Tuttavia, questi è un personaggio abbastanza esemplare che conferma la validità della mia tesi. Milch, un ingegnere aeronautico, aveva aderito ben presto – proprio all’inizio degli anni Venti – al Nazionalsocialismo; era diventato direttore generale della Juncker costruzioni aeronautiche, poi era transitato – ancora prima dell’ascesa di Hitler al potere – nella ricostituenda aviazione tedesca da guerra, seppur con le limitazioni poste dal Trattato di Versailles, come ufficiale del genio aeronautico. Milch era ebreo per parte di padre. Dopo l’ascesa di Hitler, contribuì attivamente alla ricostituzione dell’aviazione militare tedesca. Fu il predecessore di Göring alla guida del ministero dell’aeronautica militare tedesca (la Luftwaffe). Egli fu condannato all’ergastolo, nel 1947, in uno dei processi “minori” di Norimberga, cioè quelli instaurati immediatamente dopo il “processone” contro i vertici della gerarchia nazionalsocialista. Nel 1954, alla chetichella, venne liberato: quindi, fece ancora meno anni di prigionia di Funk. Anche in questo caso non si seppe mai il motivo per cui Milch fu liberato. Ribadisco che Funk e Milch erano ambedue ebrei. Le loro liberazioni sono molto indicative…

  Indicative di che cosa? Che cosa significano per lei?

  Che il mondo ebraico internazionale – seppure sotto lo sconquasso del dopoguerra – si attivò per liberare questi due confratelli.

  Però, alcuni dei gerarchi nazionalsocialisti, che lei ritiene ebrei, furono condannati a morte a Norimberga.

  È vero. D’altro canto, nel tribunale militare internazionale di Norimberga sedevano anche giudici militari sovietici, i quali non volevano più di tanto guardare per il sottile: essi avrebbero preteso di condannare a morte addirittura anche Schacht e Fritsche. Morto Goebbels, Fritsche era il personaggio più in alto del Ministero della propaganda tedesco caduto nelle mani dagli Alleati. Poiché si voleva condannare ogni alto esponente delle diverse branche governative nazionalsocialiste, fu portato in processo: venne  però assolto. Il terzo assolto fu Franz von Papen, che era stato vice-cancelliere subito dopo la presa del potere da parte di Hitler. Non dimentichiamo poi quello che successe in Francia subito dopo la fine dell’occupazione tedesca e il termine della guerra. Su questo io potrei citare alcuni casi molto esemplari che possono convalidare la mia tesi.

  Provi a riferirne qualcuno…

  Nel 1997, nel numero 23 di una rivista bimestrale francese dal titolo Enquête sur l’Histoire (“Inchiesta sulla storia”, in italiano)  apparve una fotografia di cui nessuno conosceva l’esistenza: vi si nota il direttore franco-ebreo dell’Istituto di studi sulle questioni ebraiche, Raymond-Raoul Lambert, a una manifestazione collaborazionista a fianco dello scrittore collaborazionista Louis-Ferdinand Céline (una delle figure più importanti della collaborazione intellettuale francese con l’occupante tedesco). In occasione del processo a Maurice Papon, che era stato prefetto di Parigi durante l’occupazione tedesca e un fedele del regime collaborazionista di Vichy, sotto processo l’imputato indicò dei fatti che mi lasciano molto perplesso.

  Per esempio?

  Innanzi tutto, il campo di concentramento di Drancy per gli ebrei francesi (ma vi erano rinchiuse anche persone non gradite al collaborazionismo francese) fu diretto a turno da personaggi ebrei collaborazionisti. Questo fatto emerse anche da una pubblicazione dello storico Maurice Raysfus (probabilmente ebreo).

  Anche la direzione dei lager tedeschi era affidata a detenuti, spesso ebrei, i Kapo…

  I Kapo non erano dei collaborazionisti: essi si mettevano volontariamente a sorvegliare gli altri prigionieri ebrei per poter beneficiare di condizioni di vita un po’ meno drammatiche rispetto ai reclusi. Gli ebrei che dirigevano il campo di Drancy, invece, erano degli intellettuali che si prodigarono anche – e qui la cosa ha dello stupefacente – per rintracciare i bambini ebrei che alcuni volenterosi cattolici avevano salvato ospitandoli nelle loro famiglie.

  Perché fecero questo?

  Ufficialmente per riportarli con i loro genitori, che erano detenuti nel campo di Drancy, e impedire che le famiglie cattoliche, che li nascondevano nel loro seno, potessero battezzarli facendo così perdere loro l’identità ebraica.

  Che cosa accadde agli ebrei che diressero il campo di Drancy?

  Una volta avvenuta la liberazione e finita l’occupazione tedesca, alcuni di essi furono formalmente messi sotto processo di fronte ai tribunali della Francia liberata (tribunali gollisti). Tutti, però, furono praticamente assolti con questa motivazione: l’assoluzione era doverosa, poiché costoro – e qui si mentiva spudoratamente – erano stati obbligati dalle autorità tedesche a ricoprire le funzioni svolte. Con l’eccezione del citato Raymond-Raoul Lambert, il quale era anche un ex combattente della Grande Guerra: egli, a causa di un disguido, venne arrestato negli ultimi giorni dell’occupazione tedesca (Parigi fu liberata il 24 agosto del 1944) e fu mandato con la moglie e i figli ad Auschwitz, dove scomparve. Ma, a parte questo caso che sa moltissimo di disguido, gli altri furono tutti assolti o fecero solo poche settimane di carcere.

  Quali altri elementi può citare a sostegno della sua tesi?

  Ricordo il fatto che, nella Francia occupata, i Rothschild, i Rosenthal e tutti gli ebrei ricchi che contavano non solo non furono minimamente molestati, ma poterono portare avanti i loro affari. A Parigi esisteva l’ospedale Rothschild (finanziato dal noto banchiere ebreo), in cui venivano portati gli ebrei che cercavano di nascondersi: a questi poveracci venivano fatti abbassare i pantaloni per controllare se fossero o meno circoncisi. Gli ebrei francesi collaborazionisti, inoltre, erano particolarmente accesi (oserei dire feroci) contro quegli ebrei non naturalizzati francesi che vivevano in Francia al momento del crollo militare francese nel giugno 1940: questi ultimi venivano indicati come ebrei orientali, che dovevano essere senz’altro messi in condizione di non nuocere. Questa è una cosa che fu ben presente nei quattro anni del collaborazionismo.

  Quanto agli alti esponenti del Terzo Reich, che cosa può dire di Hermann Göring?

  Göring, francamente, non si aspettava di essere condannato a morte a Norimberga: questo è anche rilevabile nel film Il processo di Norimberga, realizzato nel 2000 per la regia di Yves Simoneau, che ogni tanto la televisione manda in onda. Dopo l’accordo raggiunto dai vincitori dietro l’input dei rappresentanti britannici e statunitensi, cui si erano però opposti fino all’ultimo i rappresentanti militari sovietici, per emettere la condanna a morte degli imputati doveva essere riconosciuta nei loro confronti la sussistenza di tre capi di imputazione: genocidio e delitti contro l’umanità; violazione del diritto internazionale dei trattati (guerre di aggressione); particolari efferatezze a danno dei lavoratori coatti. Se ricorrevano queste tre condizioni, un imputato veniva condannato a morte; se ne ricorrevano due su tre, vi era l’ergastolo; se ne ricorreva una su tre, vi era una pena detentiva inferiore all’ergastolo. Se poi nessuno dei tre capi di imputazione citati fosse stato rilevabile nei confronti di uno degli accusati, costui avrebbe dovuto essere assolto (fu il caso dei tre che ho menzionato prima).

  Diceva che per Göring la condanna a morte fu come un fulmine a ciel sereno…

  Sì, perché uno dei fatti alla base della condanna a morte fu la sua presunta partecipazione alla “conferenza di Wansee“  (del gennaio 1942) in cui venne decisa la soluzione finale, così chiamata perché ebbe luogo in una villa che si affacciava sul lago di Wansee. In realtà, nel verbale della riunione fu commesso un falso: Göring fu nominato tra i presenti, quando invece egli non vi aveva partecipato. In sua vece, al contrario, prese parte alla riunione il citato generale Milch. Dunque, Göring fu condannato a morte per la sua supposta partecipazione alla “conferenza di Wansee” a cui, in realtà, fisicamente non prese mai parte.

  Perché Göring, durante il dibattimento, non disse nulla?

A parte le stravaganze proprie del personaggio, Göring era un vero soldato: eroico combattente nella squadriglia del Barone Rosso durante la Grande Guerra, probabilmente egli non volle coprirsi dietro un suo inferiore (perché il generale Milch, pur essendo generale di squadra aerea, dipendeva da Göring che era ministro della Luftwaffe). Qui vorrei dire anche una cosa che è riconosciuta anche dal defunto Montanelli.

  Dica.

  All’interno della gerarchia governativa nazionalsocialista, Göring era considerato un uomo “di destra”: egli manifestò fino all’ultimo la sua contrarietà ad aggredire la Polonia, cioè a scatenare la guerra, giacché prevedeva che l’invasione della Polonia avrebbe provocato a catena - come d’altronde era avvenuto nella Grande Guerra - l’intervento di potenze ben più grandi della Germania. Göring, tutto sommato, è un personaggio “interessante”. C’è, poi, un’altra anomalia nel processo di Norimberga.

  Quale?

  La Germania fu accusata di crimini relativi alla guerra terrestre e a quella marittima; stranamente non vi fu alcun capo di imputazione per quanto riguardava la guerra aerea. Se ne può dedurre, quindi, che la famosa battaglia d’Inghilterra (il blitz aereo tedesco su Londra, che durò circa tre-quattro mesi) fu considerata, dal punto di vista del diritto internazionale bellico, come assolutamente legittima. Invece, per quanto riguarda la guerra sul mare, non dimentichiamo che sia il grande ammiraglio Karl Dönitz (che, poi, dopo il suicidio del Führer, per otto-nove giorni succederà  a Hitler al vertice del Reich tedesco) e l’ammiraglio Erich Raeder furono condannati rispettivamente a dieci e a vent’anni di reclusione (pene che i due ammiragli, del tutto incolpevoli, dovettero scontare interamente, fino all’ultimo giorno), giacché nel loro caso scattò solo la dimostrazione dell’accusa di crimine di guerra, non accompagnata dagli altri due capi di imputazione. Questo è inaudito, se si pensa che Funk, il quale si era fatto gioielli d’oro con i denti dei gassati ebrei dei campi di sterminio, fu liberato dopo appena undici anni, malgrado la condanna all’ergastolo. Questi fatti, purtroppo, nella storiografia di oggi vengono ancora sottaciuti e ignorati: ma sono fatti storici, non opinioni.

  Perché, secondo lei, i due ammiragli furono condannati, mentre a Göring non furono imputati i bombardamenti terroristici sulla popolazione di Londra?

  Perché, nella guerra sottomarina condotta dagli U-boot, venne silurato un abbondante numero di mercantili britannici e americani, soprattutto nella fase in cui, benché gli Stati Uniti non fossero ancora in guerra, Roosevelt continuava ad alimentare l’assediata fortezza inglese con viveri, materie prime e armamenti. Ci fu un’evidente violazione della neutralità da parte del governo statunitense (e da parte di Roosevelt in particolare). Durante la Seconda guerra mondiale, furono perpetrati crimini da tutte le parti in lotta: perciò si potrebbe dire – con una battuta – che, in quel conflitto, il più pulito aveva la rogna. Ricordo che i diritti e gli obblighi dei Paesi neutrali, in caso di guerra, nel Ventesimo secolo erano ben precisi. Quindi, ci fu da parte di Roosevelt una vergognosa violazione della neutralità degli Stati Uniti.

  Ci sarebbe da dire qualcosa anche sull’attacco di Pearl Harbour…

  Soprattutto sui retroscena di Pearl Harbour. Oggi è ampiamente dimostrato da un libro di Robert Stinnet (un rinomato giornalista e storico americano, tra l’altro di radici democratiche e non certo ultra-conservatrici) che Roosevelt sapeva benissimo dell’imminente attacco, ma non ne informò il comandante delle forze navali americane alle Hawaii, ammiraglio Kimmel, e il comandante terrestre, generale Short. Però, si premurò di mettere in salvo quelli che considerava gli elementi utili per la futura vittoria contro il Giappone, cioè le portaerei. Inoltre, c’è da ricordare che Roosevelt, con diabolico cinismo, dopo l’attacco giapponese destituì i due predetti comandanti con l’accusa di aver trascurato le difese marittime e terrestri del possedimento. Nel 1995, i discendenti di Kimmel e di Short ottennero la riapertura dell’inchiesta sugli eventi di Pearl Harbour. Nella precedente inchiesta del 1946, non era stata pienamente riconosciuta l’onestà dei due comandanti, i quali invece sostenevano di avere agito nel migliore dei modi pur in mancanza di formali direttive sullo stato di allerta dei movimenti della flotta del Giappone, in seguito ai quali avevano indotto Washington a ritenere come imminente l’attacco giapponese. Nella seconda inchiesta del 1995, ancora una volta la marina e l’esercito non hanno voluto mostrare al Congresso e agli avvocati dei discendenti dei due comandanti le intercettazioni navali e militari a partire dal settembre 1941. I discendenti dei due comandanti ebbero solo la magra consolazione di vedere riconosciuta ai loro congiunti una parziale riabilitazione. Questo prova che ancora oggi la figura  di F. D. Roosevelt è considerata un tabù immune dalla pur minima critica nei due anni della neutralità americana. Vorrei sottolineare che l’attacco giapponese a Pearl Harbour provocò circa tremila vittime, più di quelle che sono state fatte l’11 settembre 2001 con gli attentati alle Torri Gemelle: questo la dice lunga sul cinismo di Roosevelt.

  Può ricordare il titolo del libro di Robert Stinnet?

  Pearl Harbour. Il giorno dell’inganno. È un libro che fa venire i brividi. Uscito nel 2002, è stato tradotto in italiano, ma è praticamente introvabile ormai. Bisogna dire che Stinnet cerca di dare una ripulitura a questo crimine: alla fine, egli dice che forse l’attacco è stato un bene, perché ha permesso agli Stati Uniti di dare una mano agli alleati occidentali (cioè alla Gran Bretagna e, in secondo ordine, al governo della Francia libera) e di vincere la Seconda guerra mondiale.

  Tornando alla Shoah, può riassumere brevemente la sua tesi alla luce degli elementi che ha esposto finora?

  La Shoah – come dico nell’articolo dell’aprile 2004 – potrebbe essere stata un regolamento di conti megastorico fra gli ebrei occidentalizzati (o meglio: germanizzati) e il mondo ebraico orientale (balcanico, russo, ecc.). Questo è un tabù, un nervo scoperto che è assolutamente impossibile toccare.

  Perché ci sarebbe stato questo regolamento di conti, secondo lei?

  In occasione del primo congresso sionista del 1897, Theodor Herzl aveva indicato nella Palestina la terra in cui bisognava ritornare: tutti gli ebrei, insomma, erano obbligati a guardare nuovamente alla “terra promessa”. I delegati degli ebrei euro-orientali si rifiutarono di accettare questa posizione: tale rifiuto venne dagli stessi ribadito nei successivi due congressi sionisti internazionali, l’ultimo dei quali ebbe luogo alla fine degli anni Venti.

  Quali altri indizi porta a sostegno della sua tesi?

  Alcuni rabbini ortodossi dicono che l’Olocausto fu la giusta punizione divina verso gli ebrei che in maniera anti-religiosa avevano rifiutato l’indicazione della Palestina come “terra promessa” (come è indicata nella Bibbia). C’è poi un particolare che riporta Bryan Mark Rigg nel libro I soldati ebrei di Hitler.

  Questo libro è stato pubblicato in Italia da Newton Compton…

  Rigg riferisce che gli ebrei altolocati tedeschi, soprattutto quelli che avevano aderito al movimento nazionalsocialista, malgrado il Mein kampf, salutarono con favore le leggi razziali di Norimberga del 1935, perché esse finalmente potevano fare piazza pulita degli ebrei orientali (quelli che Joseph Roth definì “ebrei con il caffetano”), i quali rifiutavano l’occidentalizzazione del loro sistema di vita. Inoltre, le vittime della Notte dei cristalli, in realtà, furono esclusivamente i commercianti ebrei (dediti al piccolo commercio, ai banchi di pegno, ecc.) che i loro correligionari altolocati (quelli che erano entrati nelle professioni liberali e, durante la Repubblica di Weimar, avevano assunto direttamente il controllo di tutto il sistema bancario tedesco) vedevano con fastidio perché, secondo loro - uso un termine volgare –, “sputtanavano” con le loro umili professioni gli ebrei tedeschi. Questo nessuno ha il coraggio di dirlo.

  Insomma, lei è d’accordo con quei rabbini che ravvisano nella Shoah una sorta di punizione…

  Potrebbe essere stata una punizione, uso il condizionale naturalmente. Tuttavia, ci sono diversi indizi in questa direzione. Ovviamente questa è la tesi di un essere umano, di uno sconosciuto storico che non pretende di essere depositario della verità.

  Una punizione contro quegli ebrei che non volevano emigrare in Palestina…

  Sì. Scoppiata la guerra, gli ebrei orientali vennero accusati dagli ebrei occidentali (compresi gli ebrei naturalizzati francesi di alto livello sociale e culturale) di essere filocomunisti. Quindi, dopo l’attacco della Germania all’Unione sovietica nel giugno del ’41, gli ebrei francesi collaborazionisti con Vichy accentuarono il loro collaborazionismo perché vedevano nei loro correligionari orientali - viventi in Francia, ma non ancora naturalizzati – una potenziale quinta colonna comunista all’interno della Francia.

  Lo stato di Israele, tuttavia, nascerà anche con il contributo degli ebrei orientali…

  Certo, soprattutto però di stirpe russa. Non erano tanto ebrei balcanici o di quello che oggi chiamiamo Est europeo, dove non includiamo la Russia.

  Quindi, gli ebrei orientali cui si riferisce lei sono quelli della Polonia, dell’Ungheria, ecc..

  Sì. Fino a quando fu vivente Stalin (marzo ’53), consolidato - grazie alla criminale condiscendenza di Roosevelt - il dominio sovietico sugli Stati satelliti, le cosiddette repubbliche popolari dell’Europa orientale, ci fu un’emigrazione  dettata soprattutto dal desiderio di sottrarsi all’oppressione sovietica. Differentemente dal primo periodo di vita dell’Urss (mi riferisco agli anni Venti), in cui gli ebrei furono eminenti, nel secondo dopoguerra il regime staliniano incominciò a perseguitarli:  quindi ci fu un’emigrazione obtorto collo verso Israele, che era stato fondato nel ‘48.

  Il Partito nazionalsocialista conduceva in Germania una politica ferocemente antiebraica e, secondo la sua tesi, una parte dell’ebraismo tedesco si infiltrò nei ranghi dello stesso per condurre un regolamento di conti…

  Ciò è dimostrato dall’alto numero non solo di ufficiali, ma anche di alti ufficiali (colonnelli, generali) ebrei o di origine ebraica che, grazie ai cosiddetti decreti di arianizzazione firmati da Hitler, di fatto furono messi al riparo da eventuali problemi.

  Si potrebbe obiettare: c’erano dei persecutori di ebrei che non erano ebrei?

  Certo. Per esempio, Heinrich Himmler, che apparteneva a una famiglia cattolicissima della Baviera, aveva studiato dai preti, battezzato, fervente cattolico durante l’adolescenza. Non dimentichiamo che Hitler, a partire dalla seconda metà del ’44, fu totalmente assorbito dal problema del fronte orientale che stava progressivamente cedendo alla controffensiva sovietica. Quindi, nella tana del lupo a Rastenburg, non si occupava né degli ebrei né dei campi di concentramento. Era Himmler che, rimasto a Berlino, faceva il bello e il cattivo tempo: nella sua furia antiebraica di ex cattolico praticante, mandò a morire nei campi di sterminio anche alcuni (non molti, per la verità) di quei generali ebrei che erano stati arianizzati. Malgrado possa sembrare paradossale, aveva più presa Mussolini sui suoi ministri che non Hitler sui suoi. Il caso di Himmler è specificatamente indicativo: era diventato un secondo Führer. Insomma, il colpo di coda dello sterminio fu messo in atto da Himmler a partire dalla seconda metà del ’44. Hitler non aveva più né la forza fisica né la forza intellettuale per stare appresso anche a quei problemi.

  Nell’articolo, lei si occupa anche di fatti più recenti…

  Parlo, tra l’altro, della sostanziale impunità di cui beneficiano gli ebrei italiani, quando si muovono come gruppo organizzato: ciò denota come loro abbiano una specie di zona franca all’interno dell’articolo 21 della Costituzione. Perché è vero che l’articolo 21 riconosce la libertà di espressione, di pensiero, di parola purché esperita nell’ambito delle leggi; però un ministro Mancino qualunque non può fare – come è successo nel 1993 - una legge che mette in non cale sotto ogni aspetto lo spirito e la pregnanza dell’articolo 21 della nostra Costituzione. Se la legge Mancino dicesse che non bisogna suscitare o sollecitare l’odio razziale, io la condividerei a piene mani; se, tuttavia, questo principio viene stiracchiato come un elastico per bloccare qualsiasi opinione contraria alla vulgata ebraica su ciò che accadde in Germania e nell’Europa occupata fra il 1933 e il 1945, allora non ci siamo.

  Perché ha stigmatizzato la presenza di Tullia Zevi in una commissione parlamentare?

  Una commissione parlamentare deve contenere al suo interno solo deputati e senatori; nemmeno un consigliere comunale o un sindaco di una città metropolitana può esserne membro. La commissione parlamentare ha il potere di un giudice istruttore (un gip) che deve indagare su determinati fatti. I fatti in questione erano il comportamento dei paracadutisti della Folgore in Somalia; fra questi paracadutisti accusati non c’era nessun soldato di religione ebraica. Quindi, rimane un mistero la presenza di Tullia Zevi in quella commissione. Io scrissi all’allora vicedirettore della Nazione, Piero Magi, il quale ebbe il coraggio di pubblicare la lettera, aggiungendovi di suo una richiesta di spiegazioni (rimasta inascoltata, naturalmente). Ora non voglio fare dietrologia: dopo due o tre mesi Piero Magi lasciò la Nazione. Può essere solo una pura coincidenza, sia chiaro…

  Se dovesse aggiornare il suo articolo, che cosa vi aggiungerebbe?

  Parlerei della pubblicazione da parte dell’editrice il Mulino del libro Pasque di sangue di Ariel Toaff (docente universitario a Gerusalemme). Il padre dell’autore, l’ex rabbino capo di Roma Elio Toaff, all’uscita del libro fu addirittura obbligato a disconoscere il proprio figlio. In pratica, dovette dire: “mio figlio non ha capito nulla”. Questo fatto parla di per sé: anche un esame di quanto avvenuto nei secoli passati (dalla condanna a morte di Nostro Signore Gesù Cristo ai giorni nostri), se coinvolge l’ebraismo, tocca un nervo scoperto e viene subito bloccato e vituperato in toto.

  Il libro di Ariel Toaff venne ritirato dal commercio…

  Era dalla fine del Fascismo che un libro non veniva ritirato dalle librerie perché sgradito al Regime. Oggi ci si strappano i capelli perché un paio di sculettanti giornaliste della televisione, dopo venticinque anni che appaiono sul video, vengono sostituite, anche per un naturale turn over, da giornaliste e giornalisti più giovani che aspettano di lavorare. Nella primavera del 2007, nessuno reagì di fronte a quella coartazione della libertà di stampa per cui abbiamo avuto il primo libro ritirato per intervento dell’autorità dalla caduta del Fascismo in poi.

  In realtà, Pasque di sangue non è stato il primo libro ritirato: già nel 1997 un altro volume, pubblicato da Mursia, intitolato Gli ebrei e la Chiesa, venne ritirato dal commercio…

  Di questo non ero a conoscenza, perché in quell’anno ero ritornato all’estero per il mio servizio. Ricordo il titolo vagamente, ma non sapevo che ne fosse stato ordinato il ritiro.

  L’autore, Mons. Vitaliano Mattioli, tra le fonti aveva menzionato alcuni libri di Giovanni Preziosi. Ciò fece scandalo e indusse l’editrice Mursia a ritirare il saggio dalle librerie.

  Visto che ha citato Giovanni Preziosi, posso raccontarle un aneddoto?

  Dica.

  Ero tornato dall'Eritrea per una vacanza. L’on. Gianfranco Fini, da poco segretario del Movimento sociale italiano, venne a visitare le sezioni dell’Amiata. In qualità di responsabile cultura e scuola della Federazione missina di Siena, fui invitato a unirmi a lui per un dibattito su Teleidea, un’emittente televisiva privata di Chianciano Terme. In quella trasmissione, si fece accenno all’antisemitismo di Giovanni Preziosi: non dico che il futuro fustigatore (con la kippà) del “male assoluto” difese Preziosi, ma poco ci mancò.

  Possiede la registrazione di quella trasmissione televisiva?

  Sì. Teleidea mi diede in omaggio il nastro con la registrazione. Ripeto la battuta che ho fatto prima: dalla destra alla sinistra, nello spettro parlamentare italiano, il più pulito ha la rogna. C’è poi un altro fatto abbastanza singolare.

  Quando accadde?

  In occasione delle elezioni politiche del 1994. Poiché la data delle stesse (27 marzo) coincideva con la Pasqua ebraica, le comunità ebraiche protestarono: i loro membri, quel giorno, non avrebbero potuto prendere parte alla tornata elettorale. Allora, in via del tutto eccezionale, si prorogò la chiusura dei seggi alle 22 del 28 marzo, che era un lunedì.

  Fu un atto di rispetto verso una minoranza religiosa. Non sembrerebbe così scandaloso…

  Nessuno si è chiesto, però, quanto questo prolungamento abbia costato all’erario italiano in fatto di pagamenti delle commissioni elettorali (scrutatori, presidenti di seggio, e quant’altro). Di fronte a questa concessione dell’allora Presidente Scalfaro, mi pare che Clemente Mastella espresse qualche timida perplessità, chiedendosi se fosse opportuno che, per soli 30.000 ebrei italiani (quindi per 30.000 cittadini italiani: in questa cifra – si badi - sono compresi anche i bambini e i minorenni che non votavano), si dovesse fare uno strappo alla regola. Apriti cielo! Mastella fu indicato al pubblico ludibrio e dovette, come al solito, fare marcia indietro, scusandosi ufficialmente per questa sua timidissima obiezione (che era più che fondata ovviamente, se guardata dal punto di vista dell’aumento del costo per l’erario italiano). Nello stesso giorno, si votava per delle elezioni amministrative in Francia. I rappresentanti della comunità ebraica parigina andarono dal Presidente della Repubblica, che allora era Mitterrand, e chiesero la stessa cosa. Mitterrand, seppure in termini estremamente cortesi, disse di non poter concedere nulla perché la repubblica francese è laica.

  Interessante è anche il caso dei coniugi Rosenberg…

  Molto interessante. Essi vennero mandati a morire sulla sedia elettrica nel giugno del ’53: per cinquant’anni furono additati a vittime dell’antisemitismo del senatore McCarthy in primis e anche di altri alti esponenti statunitensi. Sulla loro tragica vicenda, è uscito nel 2003 un libro di un autore francese, Florin Aftalion.

  È stato tradotto in italiano?

  No. Il titolo è La trahison des Rosenberg (Il tradimento dei Rosenberg). Vi si dimostra – sulla base dei documenti emersi dagli archivi dell’ex Kgb e dell’Fbi - che i Rosenberg erano sul libro-paga del Kgb e trasmisero ai sovietici un sistema di detonatore per missili contraerei, che fu utilizzato dai russi quando abbatterono l’aereo spia U2 pilotato dal famoso pilota Gary Powers il I maggio del 1960. Mentre per alcuni condannati si concedeva la commutazione della condanna a morte in quella dell’ergastolo, in quanto che la loro attività di spionaggio era stata minima (cioè non influente nel facilitare il rafforzamento della potenza militare sovietica), nel caso dei Rosenberg ciò non avvenne. Naturalmente essi si comportarono da persone di carattere: se, infatti, avessero ammesso la loro colpa, avrebbero ottenuto l’ergastolo anziché la pena capitale. Ma si rifiutarono di ammettere la loro colpa. Ribadisco che, per circa cinque decenni, furono sempre presentati come vittime dell’antisemitismo americano rafforzato dalla Guerra fredda.

  Il comportamento di taluni esponenti del mondo ebraico, animato certo dalla nobile intenzione di combattere l’antisemitismo, è sovente la causa del risorgere del pregiudizio antisemita…

  Credo che gli ebrei – i quali, secondo un luogo comune abbastanza diffuso, sarebbero dotati di un’intelligenza superiore  – siano più furbi che intelligenti. Se così non fosse, si accorgerebbero che, agendo nel modo che abbiamo visto, fomentano l’antigiudaismo e anche l’antisemitismo. Alcuni di essi probabilmente agiscono in buona fede. Sono indotto a crederlo dal fatto che la cultura ebraica, a differenza di quella islamica (che recepì nel Medioevo – con Averroè, Avicenna e tutto l’averroismo che poi diventò averroismo latino - le categorie del pensiero aristotelico e, in primis, il principio di non contraddizione e il principio sillogistico), non si è formata sul lascito della cultura classica greca e in particolare dell’aristotelismo. La filosofia greca nasce da ciò che, essendo alla luce (sophìa = sapienza = luce), non può essere contraddetto. Non avendo, dunque, alla base della loro razionalità il principio di non contraddizione, gli ebrei si comportano come nel caso della vicenda del libro di Ariel Toaff: ritirata la versione scomoda, ne hanno riproposta un’altra riveduta e corretta sotto lo stesso titolo e la medesima copertina. Il principio di non contraddizione ti impedisce di scrivere un libro e subito dopo un altro esattamente opposto, solo perché tuo padre ha detto che non hai capito nulla e quindi ti devi redimere.

 

23 maggio 2010

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