Guida al soldato di leva (...in tempo di pace) Stampa
Scritto da Carlo Agostini   
Sabato 13 Novembre 2010 19:42

PREMESSA ALL'EDIZIONE TELEMATICA

agostini_guida  Le pagine che seguono furono scritte e poi pubblicate qualche anno dopo la fine del mio servizio militare terminato a Roma nel 1982. Volevano essere  un' esperienza di scrittura e poi di pubblicazione riguardo ad un argomento che allora interessava quasi tutti i giovani d'Italia chiamati in massa ad espletare il servizio militare di leva nella forze armate: Esercito, Marina, Aviazione.

  Nei racconti dei miei amici ne sentivo parlare spesso con termini poco appropriati a quello che una volta fatta anch'io questa esperienza,  avevo invece potuto verificare di persona. Da qui l'idea di raccontare la mia esperienza del servizio militare di leva sotto forma di "guida".

  Oggi il servizio militare di leva non esiste più o meglio e stato sospeso per le mutate esigenze strategiche internazionali. Per questo si suppone che gli attuali militari di professione si accostino "alle armi" con ben altro atteggiamento mentale dei giovani coscritti di allora e ricevano  un addestramento assolutamente non pargonabile a quelle masse di giovani di leva che soltanto per relativamente pochi mesi rimanevano all'interno delle caserme.

  Ad un soldato di professione di oggi le considerazioni da me fatte sulla vita militare sembreranno scontate se non addirittura ingenue e forse sorriderà leggendo queste pagine.

  I giovani di allora invece,quasi tutti intorno ai venti anni, ricevano la "cartolina" di convocazione per i servizio di leva a casa e necessariamente dovevano partire ritrovavandosi in un mondo quello militare assolutamente estraneo e differente a quello che avevano vissuto  a scuola ed in famiglia, fino ad allora. Per la mia generazione inoltre questa frattura era anche accentuata dalle idee che andavano per la maggiore in quel periodo e che oggi potremmo se pur sbrigativamente definire libertarie se non addirittura anarchiche. Per la mia generazione lo scollamento era dunque maggiore perchè i valori che costituivano l'ossatura delle Forze Armate erano altri e totalmente diversi.

  Onore, disciplina, ordine, spirito di sacrificio sono costituenti fondamentali degli eserciti di tutti  tempi. La mia generazione però si era di fatto ribellata a tutto questo; agli hippy, ai "figli dei fiori" ed un poco lo ero stato anch'io, non piaceva certo marciare, occuparsi di armi e vestire divise.

  Tutto ciò rientra invece nella logica degli eserciti, da Ramsete il Grande all'attuale guerra in Afghanistan; questa breve guida cerca di spiegarlo.

Carlo Agostini

 

 

 

CAROLUS MILES

GUIDA AL SOLDATO DI LEVA (...IN TEMPO DI PACE)

LALLI EDITORE

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PREMESSA

  L'autore fa notare che é partito per il servizio militare che aveva intorno ai trent'anni e con in tasca una laurea in medicina, quindi il militare doveva essere, per la comune opinione, un'esperienza oltremodo intralciante, noiosa e, come si usa dire, addirittura traumatizzante. Invece no, per l'autore il servizio militare é stato un tranquillo periodo di vacanza, per certi aspetti anche utile. Per tanto ne dà comunicazione al gentile lettore, ripercorrendo via via le parti salienti che un soldato deve incontrare, dal giorno della visita, al congedo. Auguri.

LA VISITA MEDICA

  Intorno ai diciotto anni arriverà la cartolina(1) per la visita medica. Noi, già da alcuni anni, guardavamo i bandi di arruolamento, 1950, '51 e «finalmente» 1952. Finalmente l'ho messo tra le virgole, perché non saprei se fosse una cattiva sorpresa. Per me direi senz'altro di no, era un po' come una raggiunta di maturità, abili al servizio ed abili ad essere adulti. Una specie di gita in cui partimmo in frotte per la mitica caserma Cavalli di Firenze, la visita la mattina e baldoria la sera. La maggioranza dentro di sé sperava di essere scartata, ma vi assicuro, che quando arrivò alla fine il verdetto, vi assicuro, che coloro che furono realmente scartati erano tutt'altro che allegri. Sei sempre un «non idoneo» e come mi ripeteva un amico «chi non è buono per il re non è buono neanche per la regina». In effetti poi si saranno rincuorati subito, ai vantaggi della loro condizione di non idonei e saranno anche, glielo auguro, guariti dalla malattia, riscontrata al momento della visita. L'amico mi prendeva in giro con il famoso ritornello del re e della regina, dove per regina, ovviamente, si intende tutte le donne, perché fui fatto «rividibile»(2) all'anno successivo. Avevo una forma piuttosto grave di acne sebacea, alle spalle ed al dorso. lo non ero dunque, ma ripeto neanche gli altri, per niente allegro, di essere stato scartato, non mi sarebbe dispiaciuto provare l'esperienza militare e ci tenevo ad essere atletico e sportivo. Ricordo che tornato nei banchi del liceo, ai compagni e soprattutto alle compagne che mi chiedevano come era andata, dovetti con malumore rispondere che ero stato fatto rividibile, insomma non idoneo, non fisicamente a posto. L'anno dopo fui chiamato per la seconda visita. La mia acne non era per niente diminuita ed i tenenti medici si chiedevano fra loro, se non fosse il caso di scartarmi definitivamente. lo che stavo lì davanti sollecitai,« ...ma via che non è niente! » ... il tenente medico si decise e mi fece abile. Questi furono dunque i miei primi reali contatti con il mondo militare, prima erano solo racconti di guerra di mio padre e dei miei zii, i film visti ed i libri letti. Ancora una cosa «mio giovane lettore» come direbbe il pedagogo: nella sopracitata caserma Cavalli di Firenze, c'erano dei cartelli sul muro, con le raccomandazioni per i giovani coscritti. Me ne è rimasto in mente uno, tanto mi sorprese e mi sembrò strano. Il cartello diceva «Diffida delle raccomandazioni». Anni dopo ho ripensato quella frase, in vari momenti della vita ed ho potuto in effetti constatare, che le raccomandazioni migliori sono quelle che ci facciamo da soli, con quello che si è, e con quello che si vale. In Italia, anche in ambienti e classi sociali che dovrebbero esserne immuni, si fa troppa enfasi sul fenomeno dei raccomandati. Sarebbe meglio abolire tutti i concorsi e fare come negli stati pre-moderni, senza carta bollata. Ci si presenta o ci si fa presentare in un ambiente, in un luogo di lavoro, si dice i nostri desideri, le nostre capacità e chi ci sta davanti decide. Se sarà una buona o cattiva decisione dipenderà da tante cose, anche da chi avrà giudicato e scelto in precedenza il mio presunto esaminatore. Così salendo in linea gerarchica fini all'ipotetico capo (ma sarebbe meglio dire sovrano) di questa ipotetica nazione. La presentazione od il suo rafforzativo, la raccomandazione, sarebbero la regola e non l'irregolarità, che crea tanto disordine e amarezze. Comunque questi sono altri discorsi, torniamo al militare.

LA CARTOLINA

  Dopo la visita prima o poi arriverà, mandata dal distretto, la cartolina precetto. A me è arrivata poi, dieci anni circa dalla visita, per tutti i rinvii degli studi universitari e un altro paio di anni, per i concorsi non vinti ad ufficiale di complemento. Vi consiglio, ovviamente, se ne avete i titoli e le capacità di fare l'ufficiale. Nell'esercito, più che in qualsiasi altro ambiente, conta la gerarchia e con le stellette di sottotenente avrete degli indubbi vantaggi. In ogni modo anche se sarete soldato semplice, dato l'attuale periodo di pace, nessun problema, prendete il periodo militare come un intermezzo ed un'esperienza della propria vita. Un anno di vita militare può anche trascorrere velocemente e lasciare un piacevole ricordo. Poi, anche se così non fosse, pensate che un anno è poco più dell'uno per cento della vita media di un individuo che campi intorno ai settanta anni. Mi arrivò quindi la cartolina, e con un po' di disappunto per me, che avevo richiesto alla visita di andare o nei Lagunari o nel Battaglione S. Marco, ero inviato al C.A.R. (3) di Orvieto nei Granatieri. Un corpo di cui non sapevo niente allora, che credevo, sbagliando, senza storia e senza fatti d'armi significativi. Alla stazione di Orvieto c'era un sottotenente ed alcuni altri soldati ad aspettarci. Il sottotenente faceva lo spiritoso ed io non so cosa gli risposi, invitandolo ad un maggiore serietà, visto il suo ruolo di ufficiale. Il tenentino non se lo aspettava, si rabbuiò in viso e non disse niente. Era la prima di una serie di risposte taglienti che mi avrebbero procurato in quel periodo più di una punizione. Salimmo nel cassone del camion militare che si avviò sulle rampe di Orvieto, si aprirono i cancelli della caserma, scendemmo nel cortile guardandoci attorno,...iniziava la nostra esperienza militare.

IL C.A.R. ED IL GIURAMENTO

  Potevo, appena arrivato alla caserma, «imboscarmi»(4), come si dice, subito in infermeria. I colleghi medici, tenenti e non, me lo avevano offerto. Ma io invece no, pensando che il medico l'avrei fatto tutta la vita ed il soldato un anno soltanto, decisi di seguire la sorte degli altri. Imboscarmi in infermeria significava non fare nessuna istruzione ma subito l'aiutante di sanità, dormire nelle stanze di questa, su letti da normale ospedale, mangiare il rancio insieme agli ammalati, senza fare code a mensa, essere meno controllato per quanto riguardava i permessi, le licenze e le«fughe»(5). Non mi interessava tutto questo e preferivo rendermi conto di persona sulla vita di un normale soldato. Quindi consegnatimi gli indumenti mi fu data una branda nella 3°compagnia e poi giù a marciare, piantonare la camerata, pulire i gabinetti come tutti gli altri, per venti giorni, fino al giuramento. Non mi pento affatto di questa scelta, i miei camerati, molto più giovani di me erano simpatici e vivaci, tanti tipi diversi di ogni parte d'Italia. Nei momenti di riposo io restavo sdraiato nella branda più alta con ancora gli anfibi (6) ai piedi, leggendo un libro e loro si muovevano intorno a me facendosi scherzi e battute. Mi sentivo tranquillo e sereno in questa mia condizione di soldato ed ogni tanto guardavo i calanchi argillosi della valle del Tevere oltre la grande finestra. Una sensazione di felicità, vi sembrerà strano, che si è ripetuta più volte in quell'anno. Sentivo questo fascino misterioso, a volte crepuscolare, a volte più propriamente romantico, che promanava improvvisamente da qualche situazione o momento durante quell'anno trascorso in divisa. Dei momenti lirici a volte, che ho appuntato regolarmente anche nella mia agenda. A questo punto immagino la meraviglia dei più, e cosa posso dire e qua,li consigli trarre al termine di questo capitolo? Non posso dirvi di sentire quelle sensazioni di cui ho detto, perché queste derivano dal mio carattere e dalla educazione ricevuta. Certo è che anche voi potete senz'altro attutire l'impatto con questo nuovo tipo di vita, cercando di capire, prima di criticare, il perché di tante cose che sembrano assurde. Marciare ed usare un fucile in epoca atomica può sembrare assurdo ma sono le basi per la formazione di un soldato. Anche durante la seconda guerra mondiale, guerra in cui, in nuce, si sono usate praticamente tutte le tecnologie che si usano oggi, certi combattimenti si sono conclusi all'arma bianca. Quindi anche marciare per imparare ad essere duttili ai comandi ed ordinati, condizione indispensabile in ogni azione bellica. Vorrei dire che questo è valido anche nella vita civile. Se, ad esempio, i treni e gli ospedali dovranno essere riorganizzati dal caos in cui sono piombati, sarà necessario che, capi e sottoposti, ognuno stia al suo posto, con oneri ed onori, disciplinatamente. Al C.A.R. fece seguito il giuramento: è una cerimonia nella quale si giura fedeltà alla Repubblica: Per noi rappresentò il punto di arrivo di tutte le istruzioni del C.A.R.. Il giorno stabilito, venti giorni dopo il nostro arrivo, domenica, arrivarono tutte le nostre famiglie in caserma. Noi di corsa, con una perfetta adunata, ci schierammo davanti a loro ed al palco delle autorità. Poi si marciò al suono della banda della brigata, infine ci fu letto la formula di rito, e noi si doveva rispondere «Lo giuro». Qualcuno nella massa urlò invece «L'ho duro»; una trovata goliardica ma anche una personale riserva per non pronunciare una frase così impegnativa.

IL NONNISMO

  Veniamo dunque al nonnismo (7). Non varrebbe la pena di parlarne se i giornali nelle recenti polemiche sull'esercito non l'avessero considerato con tanta enfasi. La mia prima esperienza con i nonni fu alla predetta visita di leva. Nelle lunghe ore di attesa del nostro turno di visita o dei test attitudinali sentivi forte un nome e cognome, senza vedere, nella massa di gente, chi chiamava. L'interessato, un po' emozionato per il nuovo ambiente, un po' già in attesa da tempo, scattava in piedi e si guardava intorno per vedere chi lo voleva e per quale cosa. In realtà poi c'era sempre un nonno, uno dei soldati che facevano servizio nella caserma, che rideva divertito. Era stato lui a chiamare e non c'era nessun motivo, se non prendersi gioco di quelle nuove reclute (8). Dalla visita al mio servizio militare, come ho detto, passarono circa dieci anni; è chiaro che· anche quando condividevo la camerata o la stessa tenda al campo, nessuno si permetteva di fare scherzi. La laurea e l'età ebbero sempre molto peso, non solo con i soldati ma anche con sottufficiali ed ufficiali. Ciò non di meno uno dei caporali che venne a prelevarci con il camion, appena giunti reclute alla stazione di Orvieto, ci fece salire sul cassone e disse, come l'avesse ricordato in quel momento:«Ah!... il cassone è difettoso, se lungo la strada si dovesse ribaltare, bussateci». Salì quindi in gabina insieme al conducente. Noi ci guardammo l'un l'altro meravigliati,«come difettoso!?! ». lo però subito intuii la presa in giro, chi sa quante altre volte detta alle nuove reclute che, impacciate e spaurite, salivano per la prima volta, in un camion militare. Non ricordo cosa dissi, ma credo facessi capire al caporale che non ero «nato ieri». In un altro scherzo invece ci cascai e fu il classico «scherzo del capitano». Dopo il C.A.R. ad Orvieto ed un mese di corso per aiutanti di sanità alla caserma di Villa Fonseca a Roma, fui assegnato definitivamente al 1 Btg. Granatieri «Assietta», sempre a Roma. A quel battaglione rimasi in forza per i restanti dieci mesi di militare. La sera del trasferimento un amico romano gentilmente mi accompagnò, con la macchina ed i miei bagagli, alla caserma sopraddetta del 1 Granatieri. Entro nella palazzina dell' infermeria, ormai erano quasi le nove di sera. I miei colleghi medici aiutanti di sanità come me, oziavano nella stanza che avevano adibito a loro camerata. Faccio le prime conoscenze, mi assegnano un letto, quando improvvisamente sento urlare per le scale. Chiedo a quello che avevo davanti, chi fosse che urlava in quel modo. «Zitto, zitto!» rispose il collega facendo una faccia impaurita, «è il capitano... » e disse un nome «è tremendo, chi capita nelle sue mani». In quel momento' si spalancò d'un tratto la porta ed apparve il presunto capitano, con la faccia inferocita; non era molto alto ma robusto e due grandi baffi gli davano un aspetto ancora più marziale. Tutti ovviamente nella stanza scattarono sull'attenti ed anch'io. Il capitano continuò ad urlare per non so quale irregolarità che aveva notato in infermeria e poi si avvicinò a me. «Lei chi è... si presenti» mi urlò quasi in faccia. «Carolus Miles» risposi, «come Carolus Miles... »aggiunse lui «Carolus Miles e basta? .. Lei è un granatiere prima di tutto e lo deve dichiarare prima del nome... questa è una caserma militare e non un bordello... » e continuò sproloquiando non ricordo che cosa. Forse ad un orecchio esperto egli si esprimeva in maniera troppo iperbolica per essere vera, ma io non ci feci caso. Ero rimasto sull'attenti e quel vociare non mi spaventò più di tanto. Ad onor del vero dentro di me pensai che questa doveva essere un caserma seria, dove ci avrebbero fatto provare la vera disciplina militare. Mi veniva anche un po' da ridere, invece di essere spaventato, dato che alla cena di addio per il fine corso, fatta qualche ora prima, non avevo certo contato i bicchieri. Il capitano continuava ad inveire nei miei confronti ed infine giunse alla punizione più temuta in quell'ambiente. Molti dei miei colleghi infatti erano romani o della provincia ed avevano fatto di tutto per restare a Roma. Il capitano mi urlò «... visto che non sa neanche presentarsi, questa caserma non è per Lei... tra due giorni partirà per il campo, in Friuli!! ». lo restai sull'attenti impassibile, la punizione non mi toccò per niente, un viaggetto in Friuli poteva essere piacevole. I colleghi credettero invece, che la punizione e lo scherzo avessero raggiunto il massimo e cominciarono a ridere. Anche «il capitano» mi guardò ancora qualche attimo con l'occhio inferocito, poi ridendo si tolse le stelline... Era un soldato semplice come me, un collega medico aiutante di sanità, che si era fatto prestare i gradi di capitano in fureria (9). Quindi questa è la mia prima esperienza del nonnismo, ben poco direi, in rapporto alla recente enfasi che ne hanno fatto i giornali. C'è da dire invero, che scherzi come quelli sopraddetti rappresentano l'aspetto più goliardico del fenomeno. Un po' più antipatico diventa quando ti vedi assegnare turni di guardia in più o addirittura chiedere soldi. Il limite tra il divertente, il simpatico e la prevaricazione lo danno, come sempre, il buon gusto, l'intelligenza, ed anche l'occhio vigile del comandante. Del resto in quasi tutti gli ambienti, si paga il noviziato sotto varie forme. Mi è stato raccontato uno scherzo a due ufficiali appena giunti in una caserma in Sardegna. Fu detto loro che il colonnello comandante era molto religioso e voleva che i suoi ufficiali, appena giunti, subito si confessassero e si comunicassero. I due novelli ufficiali, il giorno seguente, andarono quindi nella cappella di caserma per la confessione. Nel confessionale però si era nascosto un loro collega, che gli fece dire tutti i peccati, con dovizia di particolari, registrando tutto. Il giorno dopo il nastro fu attaccato agli altoparlanti della caserma.

I GRADI

  In una società di tipo tradizionale, un po' come nei vecchi regni feudali del medioevo, non ci sarebbe alcun bisogno di parlare di gradi. La gerarchia di competenze, di meriti, di anzianità e soprattutto di valori morali, sarebbe così implicita e connaturale da essere assolutamente fuori discussione. Nella nostra società invece, democratica ed ugualitaria, liberale o socialcomunista che sia, bisogna un attimo soffermarvisi, anche se, certe spinte anarcoidi, propei del decennio precedente, si sono notevolmente attenuate. Esse, ciò non di meno, fanno sentire tutt'ora la loro influenza sui giovani, magari mascherate da un diffuso disimpegno. I gradi, vale la pena ribadirlo, che nell' esercito sono così evidenti e si portano sulle spalline della divisa, non sono altro che illogico corollario, di ogni organizzazione umana, che voglia essere qualcosa di più, di una mandria di bisonti, che carica impazzita nella prateria. Se nell'esercito poi, essi sono così evidenti e codificati formalmente, in rigidi obblighi gerarchici, questo è dovuto alle peculiarità proprie dell'essere soldato. Il soldato non lo dimentichiamo è un uomo armato, che si prepara ad affrontare le situazioni estreme di un combattimento. Il suo comandamento fondamentale è la disciplina. Tutti gli eserciti della storia hanno avuto come base questo comandamento. Le maggiori vittorie o quanto meno il migliore comportamento di fronte anche ad un nemico superiore in mezzi, sono state sempre di chi è stato più disciplinato sul campo. In effetti cos'è che ha reso vittoriose e famose nei secoli le legioni romane? non certo la differenza di armamenti. Corte spade i romani, spade un po' più lunghe gli altri, e non come spesso si è visto, in moderni eserciti coloniali, cannoni contro lance e vascelli contro piroghe. I legionari romani si distinguevano dalle orde barbariche, anche più numerose, per la loro organizzazione e disciplina. Celebre è l'aforisma: una legione romana dopo una giornata di dura marcia, alla sera si accampa, attorno ad un albero di mele mature. La mattina dopo la legione riparte e dall'albero non manca neanche una ' mela. La disciplina è dunque «conditio sine qua non» di ogni organizzazione militare... e civile. Certo anche civile, perché anche se sotto altre forme, senza gradi e stellette appoggiate sulle giubbe, è chiaro che la gerarchia esiste, istituzionalizzata e non, in ogni raggruppamento umano che si prefigga di raggiungere uno scopo. Dove ciò non esiste o non è ben delineato o rispettato è sempre il caos. Quindi, che gli piaccia o no, il giovane soldato di leva dovrà accettare l'ordine gerarchico della caserma a cui sarà assegnato. Meglio sarà per lui se si convincerà per quanto detto sopra, della sua ineluttabile necessità. Troppi amici e conoscenti hanno finito per rendere a se stessi un calvario, il periodo di ferma, proprio per il rifiuto preconcetto, dei gradi e della gerarchia. La vita civile e soprattutto gli ambienti giovanili e studenteschi andavano per un verso e la vita nelle caserme restava necessariamente ferma ai sopraddetti principi, ordine e disciplina, con pochissime concessioni ai tempi. Da qui la frattura, i traumi, le sindromi depressive, il rifiuto e le conseguenti punizioni... insomma un calvario della durata di un anno. Rileggere un po' della storia passata, nei suoi insegnamenti fondamentali, per chi ne ha già un po' di confidenza, procurarsi perché no, un po' di testi e regolamenti per militari e cercare di carpirne l'essenza ed inquadrarli nelle estreme necessità di una possibile guerra, possono aiutare a superare senza eccessivo danno quei dodici (ma ormai si parla di sei-otto) fatidici mesi. Il sapere, il conoscere, anche se poi non si dovrà o non lo si vorrà applicare mai, è sempre meglio del non conoscere, dell'ignorare. Avere una certa infarinatura di cose guerresche può far sembrare meno assurdi certi ordini o certe situazioni della vita militare che, ad un occhio disattento, restano incomprensibili. La celebre battuta del « ... muro o non muro tre passi avanti» è sempre citata a scherzoso esempio di ottusità gerarchica ma può anche, al contrario, essere eletta a simbolo di inriducibile volontà e determinazione. Meglio è essere quercia o giunco? Magistralmente Machiavelli risponde con la mistura di entrambi a seconda delle necessità; «Golpe e lione» a scovare le trappole ed a piegare i lupi. L'inscindibilità di questi due atteggiamenti mentali potrebbero essere raccolti in uno solo, l'intelligenza ed il livello di sviluppo raggiunto dal singolo e nella somma dei singoli dalla collettività. Non è un caso che i popoli che brillano per forza militare e per virtù belliche primeggiano poi anche nel campo civile. «L'aratro traccia il solco e la spada lo difende», faceva scrivere sui muri d'Italia, il nostro più famoso e discusso uomo politico di questo secolo. Per «civiltà» intendo, non formulazioni astratte, Il antropologiche e sociologiche, ma quello che classicamente si intende per civile: ospedali, scuole, treni, decorosi e funzionanti ed un buon livello di giustizia sociale, il che non vuoI dire necessariamente egualitarismo. Una volta inquadrata nella giusta ottica, la gerarchia che vi sovrasta, appena varcata la soglia della caserma, vi sembrerà più accettabile e più comprensibile. Non rifiuterete un eventuale promozione o passaggio di grado, come io accettai volentieri la modesta nomina a capo corso degli aiutanti della sanità, riuscendo credo, a rendere un tirocinio a noi inutile, perché già medici, un po' meno noioso e minimamente accettabile.

GLI INCARICHI

  Veniamo dunque agli incarichi, visto che ho toccato l'argomento. Gli incarichi sono il servizio a cui verrete assegnati una volta finito il C.A.R., quando da reclute passerete soldati veri e propri. Ognuno a seconda della propria specializzazione nella vita civile viene nominato scritturale, autista, cuoco, sacrista (cioé sacrestano). A parte la curiosa particolarità di questi nomi, quasi da burocrazia ottocentesca, molto spesso succede, che invece si è assegnati ad un incarico totalmente differente, da quello che realmente siamo nella vita. Può darsi che ciò sia dovuto a trascuratezza di comandanti o degli uffici preposti alla selezione dei soldati, come del resto succede anche nella vita civile. Ci possono però anche essere delle necessità pratiche. Esigenze particolari di un reparto in cui mancano, ad esempio, i cuochi, ed un meccanico viene assegnato alla cucina... resta solo da sperare che si lavi almeno le mani! !. Si da anche il mio caso, che ho fatto l'aiutante di sanità, che credo nell'esercito sia ritenuto ancora meno di infermiere, con in tasca la laurea di medicina. Ma è forse colpa dell'esercito se in Italia c'è pletora di medici? Erano forse i generali preposti a bloccare l'accesso di così tanti studenti nella facoltà di medicina? Un laureato anche solo fino a venti anni fa, era inevitabile, credo, che fosse chiamato a fare l'ufficiale. Nell'esercito inoltre ci sono delle situazioni del tutto particolari e diverse dalla vita civile. Esiste per tanto, ad esempio, l'incarico di «assaltatore»; coloro cioé che si spingono dinanzi agli altri all'assalto di una posizione nemica. Nella vita civile questa figura, questa specialità, non esiste. Ci sono gli assalti... ai furgoni postali, ai finanziamenti pubblici, alle cariche politiche, ma l'assaltatore soldato che sa fare gli sbalzi (10), al momento più opportuno, sotto il fuoco di copertura della mitraglia, non esiste. Questo per dire al giovane soldato di leva, che non si deve necessariamente aspettare di fare sotto le armi, lo stesso mestiere che faceva nella vita civile. Per i motivi sopradetti ma anche, mi diceva un ufficiale, perché ci può essere una precisa volontà, da parte dei comandi, di avere una differenziazione nella specializzazione di ogni soldato. Il medesimo potrà così essere, all'occorrenza, incaricato di più mansioni, differenti e diverse tra loro.

DESTINAZIONE, LIBERA USCITA, E LICENZE

  L'avere trasportato masse di uomini in periodi bellici e non, da una parte all'altra della Penisola, si dice abbia contribuito nell'Italia post risorgimentale, a creare un senso di unità nazionale. Molti, soprattutto nelle passate generazioni, non si erano mai mossi dal proprio paese, prima della chiamata alle armi. Oggi nell'Italia delle regioni, si tende a concedere il servizio vicino casa. Inutile discutere su ciò, tanto se ci fosse bisogno veramente, si parte tutti, compreso buona parte degli imboscati e dei raccomandati, per il posto, anche lontanissimo, di destinazione. Lo si è visto per il contingente nel Libano, lo si vede per le truppe che è necessario tenere di stanza in Friuli e dove non mancano certo, i siciliani. lo personalmente mi feci allontanare... Orvieto è più vicino a dove abito di Roma; ero destinato a rimanere lì, ma chiesi di essere mandato a Roma. Orvieto è un bel posto ma dopo venti giorni uno ha già visto tutto, a Roma invece non mi sarei certo annoiato. Gli ambienti ed i posti da frequentare non mancarono mai.

  Se come spesso succede, sarete invece destinati in un posto sperduto, cercare di fare buon viso a cattiva sorte e di guardarne i lati migliori. In questo senso la lontananza da casa potrà forse favorirvi, più è lontano il posto in cui siete, più presumibilmente sarà diverso e «turisticamente» interessante. Sì, proprio turisticamente; non si affrontano lunghi e costosi viaggi per scopi turistici? bene questo viaggio lo paga lo Stato. Se capiterete anche tra le risaie del Vercellese tra gli acquitrini e le zanzare, potete romanticamente immaginarvi in una palude tropicale e darvi all'entomologia. Non sto scherzando, infatti come dicevo, più un posto è lontano, più è diverso nella lingua, nei costumi, nella abitudini gastronomiche. Tutte cose che a voi conviene cercare di scoprire, se non vorrete passare un anno nell'angosciante nostalgia di casa. Un posto è tanto diverso ma allo stesso tempo anche tanto simile. Un bar, una chiesa, la sezione di qualche associazione a cui siete già iscritti, un campo da gioco, si trovano praticamente ovunque e li potrete trovare dei vostri simili. Essi sono tali non solo perché degli uomini come voi ma anche per quell'interesse sportivo culturale, religioso in più che vi accomuna. Presentatevi dunque, ma con tatto e discrezione. Soprattutto non pretendete di essere subito accolti a braccia aperte, in genere ci vuole un po' di tempo... Del resto, succederebbe lo stesso ad uno sconosciuto che si presentasse per la prima volta, nel vostro gruppo o nella vostra comitiva. E le licenze? .. più lontani si è più ci vuole tornare a casa. Non importa, se non ci sono strette necessità personali, si può stare anche alcuni mesi senza tornare, perché ricordate, per abituarsi ad un posto bisogna viverci e conoscerlo. Se voi, ad ogni possibilità, lo lasciate e vivete continuamente in attesa della licenza, è chiaro che non vi abituerete mai, sarete sempre estranei al luogo in cui siete. Tutto questo vale non solo per chi arriva in un posto vestendo la divisa, ma per chiunque debba trascorrere un periodo di tempo, più o meno lungo, in un luogo diverso dalla sua propria casa. Lo sappiamo bene noi che prima di essere stati militari siamo stati studenti. Il mio amico Nanti, studente a Parma di veterinaria, diceva «Per stare bene in un posto devi buttare la chiave di casa» ed in effetti è così. In effetti sono così gli ultimi anni di università in cui uno, impegnato dagli esami per l'ormai imminente laurea, finisce veramente per fare come me, un saluto a casa una domenica ogni due o tre mesi. lo prendevo le licenze e la libera uscita come tutti, ma abbastanza spesso non tornavo a casa, ne approfittavo per girare la capitale ed i dintorni. Bisogna anche un po' organizzarsi: a Torvaianica, dove fui mandato, come dirò, per punizione, mi ero portato la mia automobile ed il mio kajak (sono un ex canoista). Uscivo nei momenti liberi in mare, anche accompagnato la domenica da un capitano, anche lui canoista. Nei giorni di licenza, visitai, in quel periodo, la vicina isola di Ponza ed il parco nazionale del Circeo. Quando ero invece di stanza a Roma, mi ero portato la mia bicicletta, che tenevo la notte in un garage vicino la caserma. Con la bicicletta evitavo di essere dipendente dell'autobus e mi spostavo tranquillamente in Roma, traversandola tutta, in poco tempo. Alcuni miei amici giocavano a tennis, un altro si occupava dei films da proiettare al cinema in caserma e devo dire che in quel periodo si videro degli ottimi films. In questo modo, senza traumi e nostalgie, un anno e' passato abbastanza velocemente.

I CAMPI

  Un altro modo per non annoiarsi in caserma è partecipare ai campi. lo ne ho fatti tre o quattro, anche sostituendo alcuni amici per i quali un campo era sempre un problema. Molti miei colleghi nell'infermeria erano di Roma ed avevano continuato ad esercitare la professione. È chiaro che per questo, oltre che per i disagi 10gistici, non gradissero partire per i campi e lasciare Roma. Per me invece, campeggiatore fin da bambino, dormire in tenda non era un problema e quindici giorni in giro per l'Italia, potevano essere un'alternativa alla caserma. Così sui C.M.(11) incolonnati partii più volte, seduto o sdraiato nel cassone del camion con i nostri bagagli, le armi e tutti gli altri soldati. I camion incolonnati finivano per inquinare l'aria con i tubi di scappamento e noi usavamo le maschere n.b.c.(12) in dotazione, per non respirare tutto quel gas.

  Arrivati sul posto, a Sulmona, in uno di questi campi, avevamo delle baracche per alloggiare, a Mantova invece, dormivamo in vecchie case coloniche, altre volte si dormiva in tenda. Inutile dire che se non si aveva la brandina, ci tenevamo distanziati dall'umidità del terreno con paglia, teli da tenda ed altro. Sulmona la patria di Ovidio, è una decorosa antica cittadina incastonata tra le montagne. Su quelle montagne scarpinai a piedi calzando gli anfibi, da solo o seguendo i soldati nelle marce e nei tiri a fuoco, come aiutante di sanità. Una bella mattina di sole raggiungemmo in tre ore di marcia il rudere di un castello sul fianco di una montagna. Salendo le pendici alcuni, non abituati a camminare, restarono indietro. Mi offrii di portare anche lo zaino di un conoscente, Lorenzoni, che però colto nell'orgoglio rifiutò, continuando ad arrancare molto distanziato. Al ritorno in discesa, la strada era più agevole ed i miei compagni cominciarono a cantare, cadenzando il passo della colonna. Erano vecchie canzoncine già cantate probabilmente dai loro padri. Questo mi fece riflettere, su come poi, a parità di situazioni, le persone i costumi e le abitudini cambino meno di quello che si pensi. Così un tardo pomeriggio, alcuni giorni dopo, tornava una pattuglia sulla cresta di un monte, dove tutto il giorno avevano manovrato con gli M113 (13) e nelle esercitazioni a fuoco. Essa si preparava per gareggiare con altre pattuglie di altri corpi. Erano dieci uomini, comandati da un tenente, stanchi, sporchi, camminavano ed il vento, su quel crinale di montagna arido e brullo, strappava la polvere sotto i loro piedi. Il loro sopraggiungere in quel modo mi evocò immagini antiche, fino allora solo raccontate, una conferma spontanea alla migliore letteratura, quasi una scena da «Il deserto dei tartari»(14). Un richiamo non spontaneo alle mie precedenti letture ed a certi racconti, dovetti impormelo invece, allorché mi trovai al campo «trasmissioni»(15) di Mantova. In quelle pianure non trovavo niente di suggestivo ed al mio amico Marinucci dicevo «... eppure a chi ci abita, questa nebbia tra i filari di pioppi, questo sole spento, possono anche piacere». Non mi venne in mente nessun ricordo letterario, in quei giorni, ma sapevo che scrittori vissuti in Val Padana ne avevano parlato. Mi sarei affrettato dunque a leggerli, se fossi stato assegnato per un lungo tempo ad un posto simile, per il principio della migliore sopravvivenza, di cui ho già parlato. Quasi sempre per il posto natio si ha un'affezione particolare e chi sa scrivere e ne ha scritto riesce a comunicarlo. Una cosa che può dare noia durante i campi in particolare, ma in genere durante tutto il servizio militare, sono le lunghe attese; soprattutto se avrete incarichi come il mio, non strettamente operativi. Per inciso se invece avete cercato di fare il meno possibile, scomodando per questo, fino al ministro della difesa, non avete il diritto di lamentarvi delle frequenti noiose attese, del tempo che non passa mai, negli uffici in cui vi siete imboscati. Tutto ciò ve lo siete ampiamente meritato. Ciò nonostante come dicevo, anche a chi non ha cercato protettori, capita sotto le armi di attendere lungamente, che sia dato un ordine, che sia comandato uno spostamento. Un po' forse per negligenza, ma non si può avere un esercito perfettamente funzionante in una nazione che per molti aspetti non lo è. Sarebbe come mettere il classico fiocco al proverbiale maiale; mi si scuserà l'irriverente paragone. Se però, ad esempio, si tollera che Roma, la capitale, sia quasi sempre insozzata di rifiuti, è già molto se i viali della nostra caserma di Pietralata venivano spazzati tutti i giorni e tenuti puliti. Tornando all'argomento, si deve anche attendere, perché spostare masse ingenti di uomini non è facile; una colonna di camion militari occupa chilometri su una strada. Quando ci trasferirono dal C.A.R. di Orvieto col treno, impiegammo qualcosa come dieci ore da Orvieto a Roma. Tutto ciò credo fosse previsto e considerato normale dai nostri comandanti. Quello che non è normale invece è che i treni civili, con tanto di orari scritti, portino i ritardi che tutti conosciamo. Un reparto può anche attendere, inoltre, per giorni od anche per mesi accantonano, il momento tatticamente e strategicamente più opportuno all'impiego. Questo succede in guerra ma anche durante una lunga e complessa esercitazione. Come difendersi dunque dalle lunghe attese? Evitare di fumare come turchi o bere o mangiare spropositamente ma un mazzo di carte, un'armonica a bocca, una dama o scacchiera da viaggio entrano in qualunque taschino. Se avete l'abitudine alla lettura, e molti dovrebbero averla, dato il livello di scolarizzazione raggiunto, un «tascabile», di qualsiasi tipo, dovrebbe essere sempre con voi. lo ho sempre con me un libro od una rivista, quando prevedo, e capita molto spesso anche nella vita civile, di dover aspettare. Molto di quello che so, lo devo a queste letture corsare, tra una fila a mensa da studente, un viaggio in treno ed-una guardia medica. Tenendo presente che più il luogo è rumoroso, distraente e non adatto a leggere, più avrete bisogno di un libro interessante e per voi di facile lettura. Un testo di filosofia teoretica, da leggersi seduti nella grande confusione di uno spaccio di caserma, non ve lo consiglio. Un altro antidoto per lunghe attese Sotto le armi è la fuga, quando questa è possibile. Con questo termine, come si sa, non si intende la diserzione vera"e propria ma quell'abitudine di farsi «uccel di bosco» non visti o con la complicità di qualcuno, per ore o per giorni anche. Al campo di Mantova nelle ore di ozio, e per me erano molte, prendevo il largo insieme al detto Marinucci. Così in mimetica (16), facendoci prestare le biciclette dai contadini, si visitò i paesi vicini ed il Po, alla confluenza con il Mincio. Una domenica sera, non volendo lasciare la zona senza aver dato per lo meno un'occhiata a Mantova, allorché tutti si apprestavano a ripartire, raggiunsi la città. Pedalai per circa un'ora, con una bicicletta da donna, con la sella troppo bassa per me ed in tuta mimetica ed anfibi feci un rapido giro in città, tra lo stupore, credo, di quanti mi videro. Quest'ultimo giro lo feci da solo, Marinucci non se la sentì di rischiare, perché ovviamente, le fughe, sotto qualsiasi forma, sono proibite. Si chiamerebbero altrimenti, libere uscite o permessi ed io spero solo che le punizioni non siano retroattive. Un'ultima cosa aggiungo sui campi, per contraddire quanto normalmente si sente. I comandanti non «si divertono», è l'espressione più usata, a spostare bandierine (17) sulle carte e ad ipotizzare azioni di guerra. Quanto, ad un profano, può sembrare ridicolo ed incomprensibile, fa parte del loro mestiere ed in quel momento anche del vostro soldato. Alle accademie il cui livello di studi è, vale la pena ricordarlo, paragonabile a quello universitario, ci si prepara alla dura evenienza di uno scontro armato e tutta questa teoria deve essere simulata in esercitazioni. Dire che tutto ciò non ha senso, in un epoca di ordigni atomici, è smentito, mi sembra, dalla realtà storica. Dopo Hiroshima, l'atomica non è stata più usata, ma sparse per il mondo, di guerre con armamenti convenzionali, purtroppo, ne abbiamo avute molte.

LE PUNIZIONI

  È chiaro che se quella domenica sera, in cui giravo in fuga per Mantova, avessi incontrato il mio comandante, avrei passato dei guai. Quella volta mi andò bene, altre volte invece fui ripetutamente cazziato (18) e punito nonostante · che, come ho detto, l'età e la laurea fossero in ultima analisi rispettate da tutti. Il colonnello comandante, che non mi conosceva personalmente, mi rimproverò una volta, incontrandomi senza il prescritto berrettino da caserma. Del resto la mia generazione non è abituata a portare cappelli di sorta e quindi, sia il basco della drop (19) che il berrettino della mimetica, mi davano molto fastidio. Il comandante, che invece teneva a che l'uniforme fosse ben indossata, redarguiva tutti quelli che trovava con il berretto in tasca. Non c'è dubbio che avesse ragione. In questi giorni sono entrato in una clinica privata dove l'infermiere portavano il prescritto velo in testa, le stanze erano in ordine e pulite, il giardiniere tosava l'erba in tuta da lavoro, insomma un ambiente decoroso e tranquillo, dove forse, si guarisce anche più facilmente. Perché l'infermeria si presentava sciatta e trascurata, me la presi subito, appena arrivato in caserma da Villa Fonseca, con il sotto tenente medico La Piuma. Ci fu uno scambio di acidissime battute. Il sottotenente mi disse che, visto che mancava un aiutante di sanità a Torvaianica, era bene che ci andassi io, così lui, nel frattempo, si sarebbe congedato e non ci sarebbe stato modo incontrarsi, ulteriormente. Insomma fui trasferito a Torvaianica, sulla costa davanti Roma, dove è lo stabilimento estivo della Brigata Granatieri di Sardegna. Rimasi due mesi e mezzo al mare con nessun obbligo, tranne che restare lì, durante il giorno. Prendevo qualche pressione la mattina ai familiari degli ufficiali e facevo qualche pronto soccorso. lo fui particolarmente fortunato, per punizione fui mandato in un posto che molti avrebbero scelto volontariamente come destinazione. Comunque, se non si commettono cose gravi, in fondo tutte le punizioni militari, si riducono a qualche licenza in meno e qualche consegna in più. Se uno è chiaro, fa qualcosa di grave, come nella vita civile, viene punito, con l'aggravante degli speciali obblighi cui è sottoposto un militare. Due soldati, conducenti di autobus, furono sorpresi dal colonnello, mentre facevano la corsa con i due mezzi vuoti, per i viali della caserma. Poiché dipendevano dal nostro distaccamento di Torvaianica, il sottotenente che ci comandava dovette istruire il processo; lui come presidente, il maresciallo che fece parte della corte ed io, essendo parigrado, come difensore dei due soldati. L'accusa sostenne che i due guidavano in modo pericoloso. Si parlò di curve fatte su tre ruote. Quando fu invece il mio turno sostenni la «soltanto apparente», data la loro mole, velocità dei due mezzi. Ciò che però convinse di più fu la tirata finale. Dissi infatti, che, anche se i due giovani conducenti, avessero fatto effettivamente le corse, ciò non era altro, che l'esuberanza dello spirito giovanile portato alla competizione ed allo sport; cosa da incoraggiare, in tempi di ben altri problemi tra i giovani, come ad esempio la droga. Chiesi per questo l'assoluzione... «E noi li assolveremo!!» rispose alzandosi in piedi, con trasporto, il maresciallo; così fu. Brindammo con i due ex imputati al bar del distaccamento ma pochi giorni dopo il colonnello che li aveva denunciati, non fu contento del verdetto, cazziò il nostro tenente e fece rifare il processo in altra sede. Non so come è andata a finire, probabilmente hanno avuto qualche giorno di punizione di rigore. Infatti nonostante tutta l'enfasi e la retorica che volete, fare le corse con due autobus, nei viali della caserma, è molto pericoloso a sé ed agli altri. Un'altra volta incappai nel regolamento e presi tre giorni di consegna (20), dal capitano Colleforte, perché leggevo mentre ero di guardia in garitta (21). Se uno fa la guardia a qualche cosa, soprattutto se armato come ero io, non può distrarsi a leggere semplicemente, perché si annoia. Quindi la punizione era giusta, il capitano Colleforte un brav'uomo, che si sforzava di far funzionare al meglio la piccola caserma di Villa Fonseca, ed io decisi di scontare tutta la punizione. Decisi si, perché sarei potuto tranquillamente uscire di caserma inosservato, come feci un giorno nel vicino ospedale del Celio. Volli però scontare la punizione, secondo gli ordini del buon capitano. Nella caserma eravamo quasi tutti medici, si faceva il corso per aiutanti di sanità. Tra l'altro la mensa era ottima, la migliore del mio periodo militare ed il tenente addetto, vice comandante della caserma, ci teneva molto a che fosse di nostro gradimento. Restare tre giorni consegnato mi costò anche abbastanza, ero appena giunto a Roma da Orvieto ed ero ansioso di visitare l'Urbe, quasi mi dovesse mancare il tempo di girare per ruderi e musei. Vi ho annoiato con questi racconti? Ma le punizioni sono un'eventualità frequente e possibile. L'unica cosa è non farsi prendere dalla rabbia, rispondere o peggio imprecare verso il superiore. Una volta rimasi sull'attenti un quarto d'ora, nel cortile della Assietta, mentre il colonnello Uvati urlava ed inveiva contro di me. Il colonnello urlava tanto che i soldati si affacciarono dalle finestre, ed il cortile era grande e le finestre all'ultimo piano. Questa volta però non avevo torto ed il giorno dopo, scontata la punizione, una notte di guardia sveglio in infermeria, scrissi per lettera educatamente le mie ragioni. Il colonnello le lesse ed alla fine, chiarito come erano andate le cose, mi ringraziò. Ve ne racconterò ancora una: il Dottor Fioranni, mio amico, anche lui medico ed aiutante di sanità, fu chiamato di notte in una compagnia del 3°Granatìeri ad Orvieto. Un soldato era «scoppiato»(22), si agitava come un matto nella branda, non voleva stare fermo, urlava e scalciava. Si da il caso che il mio amico fosse, per motivi anche familiari, più scoppiato di lui. Cercò di fargli un'iniezione di sedativo e visto che non ci riusciva, perse la pazienza e come preso da raptus, cominciò a schiaffeggiare e picchiare pesantemente il malcapitato granatiere. Il caso volle che nonostante la tarda ora, qualcuno avvisasse il colonnello della presunta malattia del soldato. Egli entrò nella stanza, alle spalle del mio amico, proprio in tempo per fermarne il braccio, che nuovamente si abbatteva sul malcapitato granatiere. Il mio amico fu pesantemente redarguito ed espulso dall'infermeria, terminando i mesi che gli restavano, a fare guardie con i furieri. Anche a me capitò un caso analogo, nel senso che una sera, rimasto di guardia in infermeria, mi portarono un granatiere che si agitava in quel modo. Tra strilli, calci, svenimenti, lo reggevano in tre e diceva di volersi ricoverare in infermeria. Per me non aveva assolutamente niente, tranne lo scoppiamento di cui sopra. lo lasciai agitare nel pavimento in terra, non permisi a nessuno di toccarlo, fino a quando, dopo mezz'ora, si fu un po' calmato. Gli dissi che in infermeria non avrebbe mai dormito e che poteva scegliere tra il cortile della caserma o la camerata. Tornò in camerata, da' solo e guarito, tra la meraviglia dei presenti.

MARCE, GUARDIE ED ALTRE ESERCITAZIONI

  Le marce come il nonnismo sono venute recentemente alla ribalta dei giornali per il tragico suicidio del Col.lo Vladimiro Nesta. Come tutti sanno, per una marcia un po' più lunga ed alcune vesciche ai piedi, è stata montata una campagna di stampa che ha investito la 22° Brigata Carri «Piccinini», di stanza a San Vito al Tagliamento ed il colonnello Nesta, che la comandava, non ha creduto che fosse ancora degno e valesse la pena continuare a vivere. Non ho fatto molte marce e, dato il mio incarico, potevo evitare anche quelle che ho fatto. Soltanto che la mattina, io scendevo in adunata, a differenza dei miei colleghi di infermeria, che se ne guardavano bene, degnamente onorando il soprannome di «vasellina», dato alla sanità militare. Dopo colazione ed un ultimo caffé cogli amici, facevo due o tre giri di cortile marciando con tutto il battaglione, al suono della banda. Questi giri contribuivano a svegliarci ed a stimolare l'organismo. A me, però, sportivo abituato a ben altri allenamenti, quei tre o quattro giri non bastavano e spesso, verso mezzogiorno, usavo gli attrezzi del percorso di guerra (23) per salti flessioni e corse. Altre volte invece si giocava a tennis ed a palla a volo, nei campi della caserma, che era anche dotata di una palestra vera e propria. Un colonnello che mi vedeva dalla finestra del suo ufficio, un po' di volte, scese con me a fare il footing. Oggi in effetti le marce non dovrebbero essere un grande problema, visto che lo sport è diventato una necessità per chi non fà e sono forse i più, un lavoro manuale. Quindi anche in caserma è bene partecipare alle occasioni che si presentano, marce, esercitazioni e gare per mantenersi in forma. Non c'è peggio cosa che lasciarsi andare. Al contrario l'attività fisica fa sentire meglio anche psicologicamente. Soprattutto se capitate in posti umidi e freddi, con le caserme mal ridotte, ricordate che la ginnastica favorisce la circolazione del sangue. Esso affluisce alle estremità degli arti, che in questo modo, sono riscaldati ed accusano menò l'umidità ed il freddo. Usate gli indumenti di lana che vi sono stati assegnati in dotazione, tenendoli ben puliti. Un indumento sporco, oltre ad essere di cattiva igiene, isola meno dal freddo. Un tempo, evidentemente, si davano ai soldati in dotazione anche delle mutande bianche a pantaloncino, infatti io le scovai in un magazzino della caserma. Consiglierei senz'altro quelle, durante le lunghe marce, perché evitano gli sfregamenti più dei moderni slip, riducendo la possibilità di crearsi vesciche... altrimenti poi le lamentele di certi giornali finiscono in Parlamento! !. Dunque veniamo alle guardie ed alle esercitazioni. Ho fatto poche guardie armate, tra cui un solo P.A.O. (24) ed un picchetto d'onore al Quirinale, per il presidente egiziano Mubarak, in visita a Pertini. Dato l'esiguo numero, non fece in tempo ad esaurirsi l'effetto novità. Finito questo effetto, frammisto ad un certo romanticismo guerriero, restano l'umidità ed il freddo della notte e l'attesa di chi non viene mai. Una curiosità: in omaggio ad un celebre quadro ed altre antiche opere, in cui sempre si raffigurano i soldati di guardia intenti al gioco d'azzardo, una sera, che montavo di guardia, volli anch'io giocare il poker con gli altri soldati. Si dà il fatto però, che io non gioco mai e del poker conosca a mala pena le regole. Persi tutto e durante l'intera serata non feci neanche una mano. Per le esercitazioni invece, in più che per le guardie, c'è anche la fatica ed un certo pericolo. Una bomba a mano lanciata male, una mitragliatrice ed un carro armato in azione, sono sempre un rischio. Vale in questo caso l'attenzione, la competenza, l'interesse a capire cosa si sta facendo. Prendere le cose alla leggera potrebbe essere pericoloso. Del resto.un soldato è per definizione un uomo armato. Più saranno dure ed impegnative le esercitazioni e più, alla fine, avrete la sensazione di aver imparato qualche cosa. Una delle frustrazioni più frequenti del periodo militare, è quella di aver buttato via un anno inutilmente. Ora, io credo, che nessun appartenente ai corpi speciali, i paracadutisti per esempio, dove è noto, non si risparmiano le fatiche, possa alla fine dire di aver buttato un anno inoperoso e senza far niente. Riprendo il discorso sulla pulizia degli abiti e personale. Mi si obietterà, che le caserme sono spesso mal ridotte, senza riscaldamento ed acqua calda. Facendo sempre presente che un soldato non è propriamente un educanda, dell'acqua calda e dei riscaldamenti non mi preoccupo. L'unica regola che, secondo me, dovrebbe essere fondamentale, è la pulizia e l'ordine. Per me vanno bene anche le vecchie caserme, purché siano ben tenute, pulite e restaurate. Del resto l'Italia non è piena di antichi palazzi ancora abitati? Nella sua stanza di studente a Pisa, lo scrittore Renato Fucini, trovava spesso, d'inverno, ghiacciato l'inchiostro del calamaio. Questo avveniva nel secolo scorso, è vero ma anch'io all'università, ho dormito per anni in case non riscaldate e dove al contrario, in estate, si superavano i trenta gradi. Quando mancano i riscaldamenti si aggiungono coperte alletto ed un giovane di venti anni, fisicamente sano, può benissimo restare dieci minuti a dorso nudo per lavarsi, in ambienti non riscaldati e con l'acqua fredda. Questo non vuoI dire che, se si può, non si migliorino le caserme e i servizi ponendoli al passo con le moderne esigenze.

LA MENSA E LO SPACCIO

  Alcune considerazioni sulle mense, che sono spesso l'unico argomento di conversazione e ricordo del servizio militare. La mia esperienza di mense militari. Oltre a quelle da campo, riguardano tre caserme. Al C.A.R. di Orvieto il servizio mensa era decisamente scadente, alla caserma di Villa Fonseca, come ho già detto, era ottimo, ed accettabile al lO Battaglione Granatieri di Pietralata. Trascuro il distaccamento marino di Torvaianica, una situazione particolare, con una ventina di militari in tutto: cucinavamo da noi ed anche qui la mensa era ottima. Ricordo a questo proposito delle buonissime melanzane, la cui ricetta ho consigliato poi, a mia mamma. Per le tre grandi caserme sopracitate. come mai un così differente trattamento? Non saprei rispondere precisamente, suppongo che gli stanziamenti siano gli stessi per ognuna delle singole caserme. Probabilmente se la mensa risultava così trascurata, ciò dipendeva dal personale preposto, comandanti per primi. Mi sembra di ricordare un manifesto appeso alla Caserma Cavalli, con tutte le spettanze alimentari di ogni soldato; ce n'era abbastanza per tornare dal militare notevolmente ingrassati. Quando si frequentano mense pubbliche in caserma, alle università, nelle aziende, bisogna saper scegliere; magari cibi semplici, poco elaborati ma con la sicurezza che siano cucinati decentemente. Anche se invero, intorno ai vent'anni, stomaco e fegato sono tali, da sopportare situazioni impensabili in altre età. Se poi compare qualche bollicino in più cheidete al medico. In generale però il tenere ben pulita la pelle aiuta anche in questo senso. Diminuendo l'eccesso di sebo, s'impedisce ai batteri di proliferare e di formare il foruncolo. Per lo spaccio non ci sono poi grandi problemi, se ben fornito è in pratica un bar, con la stragrande maggioranza dei prodotti già confezionati. Tra l'altro ora, negli spacci, si vendono tutti i cosidetti quotidiani indipendenti, praticamente, se è una grande caserma, di tutta Italia. Ne approfittavo per leggere, anche molte testate per me non abituali, come quelle provenienti dal mezzogiorno. Ho mangiato ovviamente anche nella gavetta, al campo. Conservo, per inciso, la mia gavetta assieme a quella che mio padre usò nell'ultima guerra. La gavetta è il simbolo della quotidianità, spesso triste e dura, del soldato. Al campo mangiavamo quindi nella gavetta tutti noi soldati, tranne gli ufficiali ed i sottufficiali. Non so di preciso cosa dice il regolamento e se agli ufficiali sia consentito apparecchiare all'aperto, durante un'esercitazione campale, una lunga tavola e li mangiare seduti con i vassoi. Può darsi che ciò sia consentito ma ricordo che non mi fece una buona impressione. Noi eravamo tutti in fila ad aspettare il nostro turno e poi, con la gavetta riempita, si consumava il cibo seduti su un sasso. Gli ufficiali invece mangiavano seduti al tavolo, voltandoci le spalle, poco lontano da noi. Visto che nell'esercito, l'uniforme è per tutti uguale, che in quell'occasione anche il cibo era lo stesso, si poteva fare un ulteriore sforzo e superare quel privilegio più formale che sostanziale. Noli dico che il comandante debba fare fila come tutti, le sue responsabilità ed il suo tempo sono diversi, dal semplice soldato. Dovrebbe però adeguarsi, anche lui, alla gavetta, a questo simbolo entrato nella letteratura, e condividere, in tutto, i disagi della truppa. . Lo stesso dicasi per le brandine, sempre durante i campi. È chiaro che se ce n'è una sola questa si offrirà al colonnello, che si suppone tra l'altro, più vecchio di tutti. Vedere però il giovane tenente appropriarsi dell'unica brandina e noi tutti, nella stessa tenda, dormire in terra, non è formalmente bello. Sulla scia di questi discorsi verrebbe la voglia di proporre anche l'abolizione della attuale suddivisione in mense e circoli, per ufficiali, sottufficiali e truppa ed unificare, anzi uniformare tutto, come le divise. Sarà stato proposto, forse, qualche volta e non so se sarebbe un vantaggio. Sarebbe un vantaggio, se alla fine dei dodici mesi, la grande massa dei soldati, per ilquotidiano contatto con gli ufficiali, riportasse a casa anche gli insegnamenti delle buone norme di galateo a tavola e della convivenza civile. Tornerebbe invece svantaggioso se gli ufficiali finissero, dal quotidiano contatto con i soldati, per dimenticare ciò che hanno imparato nelle accademie. È il rischio, sempre insito, di ogni bella idea democratica e populista. Del resto però se si insegna a marciare, ad usare le armi, cosa affatto estranea ai più, si può anche prevedere l'insegnamento del galateo. Di esso infatti, chi più chi meno, quasi tutti abbiamo un'infarinatura. Il rischio di cui sopra esiste realmente. Ricordo ancora mio padre raccontare che in guerra, alcuni ufficiali giovani e volenterosi, durante le marce prendevano anche loro sulle spalle una cassetta di munizioni. Subito dopo però aggiungeva, «Bravi!. .. e poi se ci attaccavano, loro erano stanchi quanto noi e non erano in grado di dare lucidamente gli ordini». Come dire... ognuno al suo posto.

IL CONGEDO

  Poi arriverà per tutti il congedo. C'è l'uso tra i congedandi di riempire le divise di nastrini tricolori variamente intrecciati e di scritte «È finita!». Evitai le scritte ed accettai un piccolo nastrino che aveva preparato il caporale Alluozzi, anche lui congedando con il mio stesso scaglione. C'è poi l'informale cerimonia del passaggio della stecca. Una lunga stecca di legno, variamente istoriata che viene, tra la baldoria generale, consegnata a quelli dello scaglione successivo. Inevitabilmente vi sarete fatti degli amici e sarà un susseguirsi, in quegli ultimi giorni, di cene di addio. Con due o tre amici, finimmo in una trattoria nei pressi di Campo dei Fiori. A quel punto nei due o tre giorni che rimanevano non restava altro che ritirare l'ultima paga, che il sergente Ferrara, austero Friulano di poche parole, ci elargì con la consueta meticolosità e precisione. Molti, i soliti superficiali, criticavano la rigidità del sergente Ferrara ma poi dovevano riconoscere, che alle paghe che ci spettavano, non mancava mai un centesimo. Se per caso non avessimo potuto ritirarle, il sergente Ferrara le avrebbe fatte senz'altro recapitare, di sua iniziativa, alle nostre case. Ritirato dunque il soldo, mi presentai alla, fureria della Compagnia Comando e Servizi, da cui dipendevo, per la riconsegna degli indumenti. Riconsegnai tutto il mio guardaroba, con meticolosa precisione, per il principio, troppo spesso disatteso, che quello che è dello Stato non è mio ed appartiene alla comunità. Quel mio amico Fioranni, invece, che fu sorpreso dal colonnello, mentre somministrava quella pesante «medicina» al granatiere in crisi, indispettito per essere stato espulso dall'infermeria e per essere dovuto stare un anno, lontano dalla professione e dai suoi numerosi affari, volle rifarsi. Al momento del congedo, si portò a casa diverse paia di scarpe, scarponcini da caserma ed anfibi. Non è il caso di fare così, anche perché, invece di congedarvi, se vi scoprono, potreste continuare il servizio militare a Gaeta... che ai miei tempi, non molti anni fa, era il carcere militare. Riconsegnati gli indumenti, qualche giorno prima avevo rispedito a casa, con il treno, la bicicletta. Salutai poi gli ultimi amici ed i superiori che conoscevo meglio. Quindi, il 21 aprile del 1982, esattamente un anno dopo, mi apprestai all'uscita della caserma ed un attimo dopo, il cancello dietro di me, si richiuse. Avevo gli abiti civili nello zaino-valigia ed indossavo la divisa da libera uscita perfettamente in ordine, con anche il basco, una volta tanto, calzato in testa. Non ricordo se ancora all'interno della caserma, passando davanti al monumento, salutai un'ultima volta i granatieri caduti, probabilmente mi sfuggì, ma avrei dovuto farlo.

CONCLUSIONI

  Nella premessa a questo breve scritto ho affermato che per me il periodo militare è stato un tranquillo periodo di vacanza e sotto certi aspetti anche utile. Concludendo quindi, alla luce anche di quanto avete già letto, non vi sarà difficile credere che realmente fu così. Alcune condizioni mi furono favorevoli, come per esempio il farlo, in una grande città come Roma, tutta da scoprire e da vivere e l'avere già un'esperienza decennale passata all'università, fuori dalla famiglia. Mi aiutò inoltre, la non estraneità alla «forma mentis» del soldato, che mi resero comprensibile ed assimilabile quanto, per la maggioranza, è soltanto traumatico e del tutto estraneo. Mi fu anche utile, non tanto perché ora so cos'è un P.A.O. o come si fa un presenta-armi, ma per aver contribuito al ripensamento, su quelle che erano state le mie esperienze precedenti. Appartengo infatti alla generazione intorno al '68, che nacque proprio all'insegna del «fate l'amore non fate la guerra», dell' antidisciplina, della fantasia eretta a sistema. Il militare invece cadde per me verso i trent'anni e nel periodo del cosiddetto «reflusso». Non voglio dilungarmi molto ma l'aver frequentato il mondo in divisa, contribuì a rivedere, certe mie posizioni ed atteggiamenti di quel periodo, quando anch'io, in parte, fui influenzato dalle idee che si respiravano nell'aria. Mi sembra così lontano ora, nel ricordo, questo contributo alla mia crescita. Sono sicuro però, che questa fu la maggiore eredità che mi lasciò il servizio di leva. Esso aiutò a sanare la frattura che si era creata, in quegli anni rivoluzionari, con l'educazione ricevuta a scuola ed in famiglia. Il '68 ed il movimento culturale e politico che gli fece seguito, aveva portato disagio di fronte ad ogni forma di divisa ed in parte questo disagio dura tutt'ora, inconsapevolmente, in molti giovani di leva. Mentre scrivo queste pagine, anch'io sono impaziente di arrivare a queste «conclusioni», per dire che non ho voluto fare un elogio della guerra ma semplicemente raccontare, tra il serio ed il faceto, la mia esperienza del servizio militare, in tempo di pace e trarne qualche considerazione. Non è scopo di questo scritto discutere di pace o di guerra, di violenza o non violenza. Nessuno credo voglia in questo momento la guerra, anzi uomini di buona volontà, dell'umanesimo laico e cristiano, si adoperano per la pace. È recente il convegno voluto da s.s. Giovanni Paolo II, con la preghiera per la pace, di tutti i rappresentanti delle confessioni religiose mondiali, riunite ad Assisi. Gli eserciti però sono ancora in piedi, i giovani sono chiamati come me al servizio militare e la guerra è una dura realtà. Per me vale comunque l'insegnamento di mio padre. Egli compì il suo dovere di soldato credo anche molto bene, visto che una volta, sfiorò il riconoscimento al valore sul fronte jugoslavo. A me bambino però, non volle comprare mai nessuna arma giocattolo. Dovetti giocare alla guerra, durante tutta la mia infanzia, quasi di nascosto. Una dura realtà quindi le armi, e non un gioco ed anche io come mio padre, una volta indossata la divisa ho fatto del mio meglio. Un anno dopo il congedo, ad un raduno di granatieri, sentii per caso un soldato ancora in armi, che mi indicava ad un suo commilitone; «quello... è il massiccio dottore dell' Assietta». Questo attributo di («massiccio», come si usa nelle caserme di granatieri, significava che io avevo ben ricoperto il mio ruolo, di giovane medico e di soldato. Nella realtà poi dei corsi e ricorsi della storia, anche nella storia personale di ognuno di noi, l'uomo si trova ad essere «Bestia, Parsifal e Superman». Con questa triade e con molto acume, i giovani di Comunione e Liberazione intitolarono un loro recente convegno a Rimini. Superman mi è sostanzialmente estraneo. Bestia lo siamo stati uri po' tutti, per motivi, come dicevo, generazionali e in tutte le sue varianti: dal libertario naif, innamorato della nudità primigena, al bruto, obbediente solo alle leggi fisiche. Parsifal dunque, potrebbe essere la giusta aspirazione, anche se, a pensarci bene, anch'egli parte alla ricerca del Graal cingendo una spada. Il porgere l'altra guancia è, evidentemente, una virtù di pochi ed io non sono tra questi, ma quando un sacerdote amico, a me che accennavo una discussione sulla similitudine mistica tra spada e croce, tagliò corto dicendo « ... la novità di Cristo nella storia non è la violenza, ma la non violenza, il perdono»... restai perplesso.

NOTE

1) Cartolina o catolina precetto: Biglietto postale inviato dal distretto militare al coscritto, con la data ed il luogo in cui deve presentarsi.

2) Rividibile: Il soldato che dovrà presentarsi una seconda volta alla visita di leva.

3) C.A.R.: Campo Addestramento Reclute; dove si impartiscono i primi rudimenti alle reclute prima del giuramento allorché diventeranno soldati veri e propri.

4) Imboscare-to: Nel gergo militare colui che nasconde qualche cosa o si nasconde lui stesso per evitare qualche incombenza.

5) Fughe: Nel gergo è l'assentarsi senza permesso.

6) Anfibi: Grossi scarponi con allacciature sopra le caviglie usati nell'equipaggiamento da campagna.

7) Nonnismo: Si dicono nonni i soldati più anziani in servizio già da alcuni mesi e nonnismo è il loro far scherzi ed imporre corvé ai soldati con minore anzianità di servizio.

8) Reclute: I soldati appena arruolati prima del giuramento.

9) Fureria: Ufficio di amministrazione presso la compagnia.

10) Sbalzi: Modo di procedere all'attacco nascondendosi sul terreno e rialzandosi subito dopo.

11) C.M.: Abbreviazione con cui comunemente vengono chiamati i camion militari.

12) Maschere n.b.c.: La maschera anti gas per la protezione nucleare, batteriologica e chimica

13) Ml13: Autoblindo militari cingolati adatte al trasporto truppe.

14) Il deserto dei tartari: Celebre film dal libro di Buzzati.

15) Trasmissioni: Un campo cioé dedicato alle esercitazioni con le apparecchiature radio trasmittenti.

16) Mimetica: Uniforme da campagna.

17) Il movimento dei reparti sulle carte militari e segnato con piccole bandierine.

18) Cazziare: Espressione del gergo che sta per redarguire severamente.

19) Drop: Uniforme da libera uscita.

20) Consegna: Obbligo di restare in caserma anche nelle ore di libera uscita.

21) Garitta: Luogo riparato per la guardia della sentinella.

22) Scoppiato-are: Scherzosamente nel gergo il soldato che ha superato ogni limite di sopportazione della vita militare.

23) Percorso di guerra: Percorso attrezzato con diversi tipi di ostacoli, da superare durante le esercitazioni.

24) P.A.O.: Picchetto, armato, ordinario.

Finito si stampare nel mese di febbraio del 1987 per conto di Lalli Editore s.r.l. dalla Lito-Terrazzi -Cascine del Riccio - Firenze

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