Russia cristiana. Intervista con Padre Romano Scalfi Stampa

Russia cristiana. Intervista con Padre Romano Scalfi

a cura di Francesco Algisi

 

scalfi_romano  Padre Romano Scalfi (1923) è protojerej mitrato. Dopo l'ordinazione sacerdotale a Trento (1948), ha studiato a Roma presso il Pontificio Istituto Orientale (Russicum) dal 1951 al 1956, ricevendo un'ampia e approfondita formazione sulla Russia e sull’Oriente ortodosso. Nel 1954, si è laureato in sociologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Nel 1957, ha fondato a Milano il Centro Studi Russia Cristiana, cui ha associato, nel 1960, la rivista Russia cristiana ieri e oggi, con l'obiettivo di favorire la conoscenza della tradizione culturale e spirituale della Russia e di dar voce al samizdat (autoeditoria clandestina), facendosi portavoce della difesa dei diritti religiosi e umani. Negli anni '80 la rivista, diretta da Padre Scalfi, ha preso il nome di L'altra Europa. Dal 1991 si chiama La Nuova Europa e viene pubblicata anche in lingua russa. Nel maggio 2000, Padre Scalfi ha curato il volume I Testimoni dell'Agnello. Martiri per la fede in URSS, un importante martirologio ecumenico, frutto di un lavoro di vari anni di ricerca, in cui ha ordinato una massa di nomi e biografie di martiri del XX secolo (provenienti dagli archivi segreti sovietici). Egli ha altresì curato personalmente l'edizione russa di un testo di storia della Chiesa cattolica destinato ai ragazzi.

  In occasione dei cinquant’anni di La Nuova Europa, abbiamo incontrato Padre Scalfi presso la Villa Betty Ambiveri di Seriate (BG) e gli abbiamo rivolto alcune domande.

  Padre Scalfi, come è nata la sua passione per l’Oriente ortodosso?

  Ero studente del secondo anno di Teologia al seminario di Trento, quando vennero alcuni sacerdoti del Russicum - l’istituto, gestito dai gesuiti, che Pio XI aveva fondato nel 1929 per preparare i missionari per la Russia - che celebrarono la liturgia bizantina. Io avevo già intenzione di diventare missionario, perché a quel tempo c’era una sovrabbondanza di clero (al mio paese di 1800 anime c’erano quattro preti, adesso ce n’è uno per sette parrocchie). Non avevo pensato ancora dove e come. Mi affezionai, magari sentimentalmente, alla liturgia bizantina (il Signore si serve anche delle debolezze delle persone). Mi dissi: «questa è la mia missione». Da lì nacque l’interesse per la Russia. Poi, dopo l’ordinazione sacerdotale, rimasi altri tre anni a Trento su richiesta dei miei superiori, e in seguito andai al Russicum a Roma.

  Quindi, a far sorgere in lei l’amore per il mondo ortodosso è stato l’impatto con la Divina Liturgia bizantina. Tra l’altro, lei celebra anche in rito bizantino…

  Sì, sono biritualista: posso celebrare in rito latino e in rito bizantino. Bisogna ottenere il permesso dalla Santa Sede, che lo concede quando c’è la necessità. Tutti quelli che hanno frequentato il Russicum hanno la possibilità di diventare biritualisti.

  Ci sono fedeli di rito bizantino in Italia?

  Ci sono tre diocesi in Italia che seguono il rito bizantino: Piana degli Albanesi, Lungro e, vicino a Roma, c’è il monastero di Grottaferrata fondato da San Nilo nel 1000.

  Nella Divina Liturgia, diverse parti sono in vetero-slavo…

  La liturgia bizantina è nata in lingua greca. Poi Cirillo e Metodio, gli apostoli degli slavi, tradussero il greco nello slavo antico: questa è la lingua che tuttora usiamo anche noi. Ogni Paese che segue il rito bizantino, comunque, può adottare la lingua moderna parlata dal popolo: in Romania, per esempio, celebrano in lingua rumena; anche in Ucraina la stragrande maggioranza utilizza l’ucraino.

  Che differenze ci sono tra il rito bizantino, che celebrate voi, e quello ortodosso?

  Nessuna. I due riti sono identici. Fra gli ortodossi, tuttavia, ci sono delle differenze, paragonabili a quelle sussistenti, per esempio, fra il rito romano e quello ambrosiano. Noi celebriamo come celebrano i sacerdoti russi.

  Quindi, siete una sorta di “ponte” per favorire il dialogo fra il mondo cattolico e quello ortodosso…

  Uno dei nostri compiti è proprio questo: studiare, arricchirci della loro esperienza e offrire loro la nostra.

   Lei, tra l’altro, è un convinto sostenitore del dialogo ecumenico con il mondo ortodosso.

  Certo, in Russia lavoriamo prevalentemente con gli ortodossi, ma abbiamo molti amici anche tra i protestanti.

   Che cosa rappresenta per lei l’ecumenismo?

  L’ecumenismo è una via verso l’unità. Il primo ecumenismo per noi riguarda la persona. Ognuno favorisce l’ecumenismo se è unito in sé, cioè quanto più è unito a Cristo. Non significa imparare una tecnica, non è una specializzazione: è nel cuore del cristiano, perché Cristo ha detto di essere uniti nel Suo nome. Perciò, è la persona singola, prima di tutto, che si sente impegnata a unirsi a Cristo. Quando si è uniti a Cristo, è più facile unirsi agli altri. Questo vale anche per la famiglia: se fra marito e moglie non si è uniti nel nome di qualcosa di grande…

  Obiettivo dell’ecumenismo è che si faccia “un solo ovile sotto un solo pastore”?

  Certo. Ma questa non è una formula tattica o, per così dire, diplomatica. L’ecumenismo prima cresce nella persona, si esprime nella comunità, nella Chiesa e poi si diffonde tra gli altri. Non si può sottrarre una persona all’ortodossia per farla diventare cattolica. Nella nostra “Biblioteca dello spirito” (il Centro culturale che abbiamo a Mosca), lavorano venticinque persone e solo tre sono cattoliche; stampiamo e diffondiamo libri; organizziamo incontri: quasi ogni sera cattolici e ortodossi approfondiscono insieme qualche argomento. Un prete ortodosso, una volta, mi ha detto che per prepararsi all’ecumenismo è necessario che i cattolici siano sempre più cattolici e gli ortodossi sempre più ortodossi. Preghiamo insieme il Signore, Lui ci unirà. Ciò non significa perdere un po’ della propria identità. L’ecumenismo è un impegno di tutti: tutti i battezzati appartengono al sacerdozio di Cristo. Cristo è morto per unire tutti nella Sua Persona. L’unità si esprime prima con sé, con la propria moglie, col proprio marito, con la propria gente, con la propria parrocchia, con tutti. È una linea che si espande. È questo che noi vogliamo, desideriamo annunciare e aiutare a compiere.

  Giovanni XXIII diceva che per favorire il dialogo ecumenico è necessario privilegiare quello che ci unisce, non quello che ci divide. Se però a dividerci sono dei dogmi, delle verità di fede, non c’è il rischio di andare contro la carità?

  I dogmi nella Chiesa cattolica e nella Chiesa ortodossa sono fondamentalmente identici. L’unica differenza è che gli ortodossi non riconoscono il primato del Papa, teoricamente riconoscono che dovrebbe esserci un’autorità comune al di sopra di tutti, perciò, anche loro tendono all’unità. Non occorre rinunciare alla propria identità per camminare verso l’altro. È un’amicizia reciproca che ci rende capaci di imparare gli uni dagli altri.

  Qual è oggi la forza della Chiesa?

  Padre Pëtr Meščerinov, un monaco ortodosso nostro amico, ha scritto delle pagine bellissime su questo tema. La forza della Chiesa consiste nella Comunione Divina. Come dissero i Padri, Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio: questa è la theosis (divinizzazione), il punto centrale che in Occidente si è un po’ dimenticato. Dopo san Tommaso si è parlato molto di salvezza (Cristo Salvatore…), ma si è ridotta la salvezza al fatto che Cristo toglie il peso del peccato, dimenticando che Egli è venuto anche per creare un uomo nuovo. Dopo Cristo, chi è battezzato è un’altra persona: è in Cristo. Questa è la divinizzazione, la partecipazione alla vita di Dio. La theosis è il cuore di tutto: la forza della Chiesa risiede qui.

  E la sua debolezza, invece?

  La sua debolezza consiste nell’aver dimenticato la theosis. Oggi, in tante parrocchie, sembra che Cristo non basti più: si cerca, quindi, di inventare qualcosa di nuovo. C’è la tendenza a inventare la liturgia anche per attirare i giovani che non frequentano più le chiese. Ma è Cristo che attira, non sono le nostre invenzioni strampalate. Fondamentalmente c’è da annunciare Cristo. Io vedo che tante volte i bambini lo capiscono più degli adulti. Un ragazzino, qualche settimana fa, mi ha detto: «Padre, quando ero piccolo (ha sette anni…), credevo che Gesù fosse un grande uomo. Adesso che sono grande ho capito: Cristo è tutto». Ha capito senza tanti simboli nuovi e assurdi. Per la mia esperienza Cristo è ancora capace di affascinare la gente. Le innovazioni, invece, finiscono per nascondere il grande fascino che Cristo emana.

  Le innovazioni di cui parla sono anche il frutto di una mentalità diffusasi dopo il Concilio Vaticano II, che è stato visto da una parte del clero come un momento di rottura con la tradizione della Chiesa. Benedetto XVI, nel discorso alla Curia romana del dicembre 2005, ha esortato a interpretare quell’evento secondo l’”ermeneutica della continuità”…

  Nella Chiesa orientale la tradizione è molto più fondamentale che nella Chiesa Occidentale. Anche noi abbiamo il senso della tradizione, ma non così forte come gli orientali: su questo punto, possiamo imparare molto da loro. Naturalmente di errori ne commettono anche loro, perché talune forme tradizionali diventano dei feticci, magari tinti di nazionalismo. Se la tradizione non è correttamente indirizzata, allontana da Cristo. Dobbiamo imparare il senso della tradizione. Tarkovskij dice che la vera novità può nascere solo dalla tradizione. Parlando dell’icona della Trinità, egli afferma che è la più nuova e la più tradizionale delle icone.

  Si è diffusa l’idea di una Chiesa secolarizzata, intesa alla stregua di un ente di beneficenza…

  Sì, una specie di assistente sociale. Questo è fortemente negativo. Su questo punto la tradizione orientale ha molto da dire. Come dicevo prima, Cristo non è venuto per fare cultura o assistenza sociale, ma per permettere all’uomo di diventare Dio.

  Che cosa pensa della riforma liturgica promossa da Paolo VI alla fine degli anni Sessanta?

  A me piace molto la lingua latina. Ciononostante, sono favorevole alla liturgia celebrata nella lingua italiana: in un mondo sempre più ignorante come l’attuale, non possiamo non tener conto della gente comune. Quando mia mamma ebbe ad assistere per la prima volta alla Messa in italiano, mi disse: «Perché per tanto tempo voi preti ci avete tenuto nascoste delle cose così belle?». Fu una lezione anche per me. Gli ortodossi russi non vogliono assolutamente sostituire lo slavo antico con il russo moderno, e tuttavia i fedeli non comprendono il significato delle parole della celebrazione. Adesso fermarsi allo slavo antico vuol dire andare contro la tradizione. Tanto più che oggi, dopo tanti anni di martellante propaganda atea, il popolo è prigioniero di un’ignoranza infinita. Settant’anni di lotta contro Dio, comunque, non sono riusciti a estirpare l’esigenza di Dio: la coscienza religiosa rimane profondamente radicata in Russia. Accanto a questo, si registra la presenza di un gran numero di superstizioni.

  Non sembra molto confortante la situazione in cui versa attualmente la fede in Russia…

  È rimasto un senso religioso profondo. Mi è capitato di andare a Novosibirsk a parlare del senso religioso, mi sono trovato di fronte a 800 persone, per la maggior parte non battezzate che sono rimaste ad ascoltarmi per quattro ore senza muoversi. La cosa che più mi ha impressionato è stata la testimonianza di un docente di fisica: «Trent’anni fa – disse - venni qui e il mio professore mi invitò ad ampliare la mia prospettiva, perché il particolare si comprende meglio nella totalità (è una vecchia regola dei greci… ). Allora io ho cercato di allargare il mio sguardo e a quel punto ho dovuto ammettere l’esistenza di Dio. Dio mi ha fatto conoscere Cristo e Cristo mi ha reso felice». Si sono alzati tutti a battere le mani: per me è stata una lezione bellissima, perché vuol dire che la gente è ben disposta. In Italia, non credo che sarebbe accaduta una cosa simile.

  In quale anno è successo?

  Qualche anno fa. Nel 2000.

  Dunque, settant’anni di comunismo non sono riusciti a estirpare la fede. Il comunismo, utilizzando dei metodi coercitivi, ha comunque suscitato delle reazioni, consentendo alla fede di mantenersi viva, sia pure flebilmente. Il consumismo, invece, penetrando nelle coscienze con la sua “etica” materialistica, edonistica e relativistica…

  Indubbiamente il consumismo non è un fatto positivo: se non altro, però, permette la libertà. Il male fatto dal comunismo è stato immenso (anche se – come dicevo – non è riuscito a cancellare il senso religioso). Il comunismo ha rovinato l’uomo in quanto tale. Umanamente il russo è un uomo distrutto. Questo ha un riflesso anche sul piano economico: la Russia vive con l’80 per cento di esportazioni di gas e petrolio, mentre importa l’80 per cento di manufatti. La gente ha disimparato a lavorare. Ci vorranno generazioni prima che venga fuori l’uomo normale.

  In un libro-intervista curato da Angelica Carpifave (Mondadori, 2003), il Patriarca Alessio II espresse giudizi positivi riguardo a Putin. D’altra parte, si nota da parte del Primo ministro russo una certa attenzione verso la Chiesa ortodossa…

  C’è tutta una tradizione di rapporti stretti – forse un po’ troppo stretti – fra il potere e la Chiesa in Russia. È la famosa sinfonia risalente ai tempi di Costantinopoli. Su questo argomento, lo studio migliore è quello di Giovanni Codevilla [Lo zar e il patriarca. I rapporti tra trono e altare in Russia dalle origini ai giorni nostri, La Casa di Matriona, 2008]. Senza il permesso dello zar non si poteva fare nessun concilio. C’è una tradizione che induce a un accordo stretto tra le due autorità. Questo accordo indubbiamente esiste ancora, non così stretto, però.

  Come viene vista dagli ortodossi la pratica ormai in uso nel rito latino di ricevere la Comunione sulla mano?

  Più che il fatto di riceverla sulla mano, il problema per gli ortodossi è rappresentato dal ricevere soltanto il pane. È più tradizionale sulla mano che direttamente in bocca, perché nei primi tempi della Chiesa l’ostia sacra veniva data ai singoli affinché la portassero a casa propria e la distribuissero agli ammalati, agli infermi, ecc.. Invece, gli ortodossi non si spiegano perché i preti cattolici non debbano dare ai fedeli il Corpo e il Sangue, visto che si consacrano entrambi.

  Una parte del clero ortodosso ha visto con favore il motu proprio Summorum pontificum, con cui Benedetto XVI ha restituito “dignità” al rito romano antico…

  Probabilmente sono stati i tradizionalisti più rigidi. Del resto, anche gli ortodossi soffrono di problemi, sia pure opposti ai nostri, con un rito eccessivamente lungo e una lingua liturgica poco comprensibile. Nel 1917 la Chiesa ortodossa russa raccolta in concilio discusse proprio la riforma liturgica. Purtroppo, il colpo di stato dell’ottobre, che chiamano rivoluzione russa, interruppe i lavori. Adesso alcuni sostengono che il popolo è ancora troppo ignorante e che ogni cambiamento sarebbe fonte di scandalo.

  A proposito del “golpe” del 1917, più di un autore, Aleksandr Solženicyn per esempio [si veda l’opera Due secoli insieme, Controcorrente, Napoli, 2007], vi ha sottolineato la cospicua presenza ebraica…

  Sì. Ma non bisogna intendere questa presenza con spirito antisemita; neppure Solženicyn lo fa. Il senso è piuttosto che la grande cultura ebraica tradizionale, una volta laicizzata, ha riversato la sua attesa messianica nell’immanenza della politica, ed è stata per questo sensibilissima al fascino del marxismo. Del resto, bisogna dire che la mentalità progressista aveva invaso persino i seminari. A Milano, nel 1957, un sacerdote russo fuggito all’indomani della “rivoluzione” mi disse che nei seminari russi, all’inizio del Novecento, si parlava più di Marx che di Gesù Cristo. Molti grandi pensatori russi – da Bulgakov a Berdjaev – sono passati attraverso quella mentalità. Anche se poi furono i primi ad accorgersi dell’assurdità di quell’ideologia. Ma il marxismo era la mentalità delle persone istruite.

  Stalin in gioventù fu un seminarista. Nel libro di Michail Škarovskij, La Croce e il potere (La Casa di Matriona, 2002), vengono riferiti svariati aneddoti su Stalin e altri esponenti della nomenklatura sovietica durante la Grande guerra patriottica. Stalin, per esempio, «ordinò di prendere l'icona della Madre di Dio di Tichvin che si trovava nella chiesa di Sant'Aleksij, e di caricarla su un aereo con l'ordine di sorvolare Mosca»...

  Aneddoti a parte, Stalin sfruttò il sentimento religioso perché capiva che non avrebbe potuto incitare il popolo alla resistenza in nome del comunismo. Nel primo discorso dopo l’invasione tedesca, si rivolse ai russi chiamandoli “Cari fratelli e sorelle”: questa era la formula tradizionale utilizzata nelle prediche cristiane. Non disse “Cari compagni”. La timida apertura nei confronti della Chiesa ortodossa, negli anni della guerra, fu uno dei mutamenti tattici che adottò. Dopo la “rivoluzione” del 1917, quasi tutte le chiese erano state chiuse. Per potere in qualche modo ottenere l’approvazione degli occidentali e anche degli abitanti delle terre conquistate da Hitler (dove entravano i tedeschi, infatti, si riaprivano le chiese), Stalin liberò diversi vescovi prigionieri nei gulag e indisse un concilio. Fu una mossa politica: infatti, dopo la guerra, ricominciò a perseguitare la Chiesa. E se lasciò alla Chiesa ortodossa un lieve margine di libertà, eliminò completamente la Chiesa greco-cattolica. I greco-cattolici ucraini venivano messi di fronte a una scelta: diventare ortodossi, oppure scontare 25 anni di lavori forzati. I preti greco-cattolici erano sposati: alle loro mogli veniva tolto il lavoro; la famiglia veniva espropriata di tutti i beni, finendo sul lastrico con la prole (spesso numerosa). Vi fu, dunque, chi accettò di farsi ortodosso; molti, però, durante la liturgia continuarono a commemorare il Papa. Quella greco-cattolica è una Chiesa gloriosa perché, nonostante tutte le persecuzioni, nel 1988, con il riaffacciarsi di una timida libertà, è rifiorita.

  Quindi, quella di Stalin fu solo una mossa tattica…

  Certamente. Stalin non ebbe ripensamenti. Se ci fosse stata una sincera apertura alla religione, avrebbe dovuto esserci anche per i cattolici, nei cui confronti, invece, si adottarono dei metodi feroci (alcuni vescovi, per esempio, furono assassinati, come monsignor Romža che fu investito da un camion). Dopo la guerra, peraltro, Stalin riprese a perseguitare anche gli ortodossi.

  Sul n. 2/2009 della rivista La nuova Europa, si diceva che un pope ortodosso ha recentemente messo nella sua chiesa un’icona di Stalin, proponendo anche la canonizzazione del leader sovietico…

  Quando al posto di Dio si pone la nazione, succede questo. Stalin – si dice - ha reso grande la Russia. Ma – qualcuno obietta giustamente - ha ammazzato diversi milioni di persone! Non fa niente, ha fatto grande la Russia. Se la grandezza della nazione viene prima di tutto, si arriva a queste posizioni folli.

  Questo è un punto di vista minoritario e trascurabile?

  Non è per niente minoritario. In alcune città di provincia si vogliono rimettere monumenti a Stalin. Il nazionalismo è sempre stato un peccato della Russia. La lotta contro gli ebrei, per esempio, è stata fatta in nome del nazionalismo.

  La collaborazione con i servizi di sicurezza era il prezzo che dovevano pagare i vescovi ortodossi per esercitare il loro ministero? Oppure essi erano degli infiltrati del partito comunista nella Chiesa?

  Parecchi anni fa, il responsabile del Pcus per le questioni religiose fece un elenco dei vescovi dividendoli in tre categorie: I) chi aveva capito che l’intenzione del partito era quella di eliminare la religione e quindi collaborava; II) chi si barcamenava un po’ da una parte e un po’ dall’altra; III) quelli che facevano il meno possibile per assecondare il partito. Ci sono stati dei vescovi che hanno partecipato alla chiusura delle chiese. Ce ne sono stati altri che hanno perso la vita per essersi opposti alla politica antireligiosa del partito. Tutti in qualche modo dovevano collaborare. Bisogna vedere in che modo.

  Lei ha conosciuto qualche prete-collaboratore?

  Sì. Uno, tra l’altro, venne a trovarci a Seriate. Doveva tornare in Russia con sette valigie piene di libri di argomento religioso (tre gliele offrimmo noi). Prima di partire, mi disse di essere andato a pregare la Madonna della Neve (una chiesetta nel centro di Bergamo) perché lo aiutasse a portare a termine la missione. «Porto sette valigie – mi confidò - Ne darò tre a loro (al Kgb) e le altre quattro le distribuirò alla gente».

  Con Chruščëv cambiò la situazione?

  Nel 1961 Chruščëv stabilì che le parrocchie, per motivi democratici, non dovessero più avere come capo il prete: il capo doveva essere nominato democraticamente, cioè dal partito. La situazione era veramente tragica. Chruščëv fece assassinare preti, avvelenare vescovi, con spudoratezza. Il XXI congresso del Pcus terminò con questo “solenne” auspicio: la nostra società diventerà una società comunista: saranno eliminate le leggi, lo Stato, il denaro, ogni forma di controllo; l’uomo sarà così perfetto che non ci sarà bisogno di tutte queste cose.

  L’utopia, insomma…

  Sì, l’utopia pura e stupida. A quel punto iniziarono a circolare barzellette del tipo: «Il comunismo è l’orizzonte - si diceva -. Che cos’è l’orizzonte? Cerchiamo sul vocabolario la spiegazione scientifica (noi comunisti siamo sempre dalla parte della scienza): l’orizzonte è quella linea che, quanto più ci avviciniamo, tanto più si allontana. Ah, beh, allora tutto è chiaro…».

  Di recente, il Patriarcato di Mosca ha pubblicato un libro in edizione bilingue (russa e italiana) con i discorsi che il Cardinal Ratzinger ha dedicato all’Europa nel corso di un decennio. Come va letto questo fatto?

  Gli alti prelati ortodossi nutrono una grande stima nei confronti dell’attuale Papa. Basti sapere che, oltre alla pubblicazione da lei citata, il metropolita Kirill (attuale patriarca) aveva scritto una bella prefazione all’Introduzione al Cristianesimo di Ratzinger, pubblicata dalla nostra Biblioteca dello Spirito a Mosca. Ratzinger lo ha ringraziato personalmente con una lettera.

  Che tipo di formazione ha ricevuto il Patriarca Kirill?

  Essendo nativo di Leningrado, si è formato sotto l’ala del metropolita Nikodim, uomo di grande apertura ecumenica, che morì tra le braccia di Giovanni Paolo I nel 1978. Ecumenista per eccellenza, Nikodim non condivideva la chiusura di tanti vescovi ortodossi; fu un grandissimo uomo. Dopo essere stato nominato patriarca, Kirill si è recato diverse volte sulla tomba di Nikodim, riconoscendosi come suo discepolo.

  Rimane sempre il veto del Patriarca di Mosca alla visita del Papa in Russia…

  In fondo non è poi così essenziale (lo dico con tutta la stima che provo per Benedetto XVI). Se la popolazione non è adeguatamente preparata e desiderosa, un simile evento rischia di diventare una parata ecumenica. È meglio, perciò, aspettare che i tempi siano maturi. Anche se il governo russo vorrebbe che il Papa andasse in Russia, questa visita non è la cosa più importante. Siamo ancora in un periodo di nazionalismo acceso, ogni tanto riaffiora il mito (risalente al Settecento) di un complotto ordito da ebrei, cattolici e massoni ai danni della Russia. Qualcuno ci crede ancora...

  Lei ha conosciuto personalmente Solženicyn. Che ricordo ha dell’autore di Arcipelago Gulag?

  È stato un grandissimo uomo: è stato l’anima della cultura indipendente, quella del samizdat. La sua intuizione: «vivere senza menzogna» è di una forza straordinaria. Solženicyn aveva capito che la crisi della Russia non era una questione morale, ma una questione di fede. Non è spiritualismo questo: Cristo è il centro della storia e del cosmo. Rivalutare la persona di Cristo come Colui che non ci ha semplicemente salvato dai nostri peccati, ma ha cambiato l’uomo: l’uomo rinnovato, l’uomo del Battesimo (ricordiamo la risposta di Cristo a Nicodemo). Questa centralità di Cristo è stupenda in Solženicyn.

  Negli ultimi anni della sua vita, Solženicyn è stato vicino a Putin…

  Sì, è vero. E credo che lo abbia influenzato in maniera positiva. Solženicyn ha avuto il coraggio di intravedere nella verità il fondamento del rinnovamento. È stato un caposcuola del movimento del dissenso. La rinascita cristiana in Russia è cominciata prima della caduta del comunismo. Il problema è stare nella verità, prima di tutto e soprattutto. Secondo la mentalità tipicamente marxista, la coscienza dell’uomo è determinata dalle condizioni sociali; se si creano delle condizioni sociali adeguate, l’uomo diventa perfetto. Invece l’uomo è libero, non ci sono situazioni che gli impediscano di essere uomo. Grossman diceva che non c’è situazione che impedisca all’uomo di vivere da uomo e morire da uomo. Mandel'štam diceva che se cerchi un risultato vai verso la schiavitù, se cerchi il significato (la verità) vai verso la libertà. Che in Unione Sovietica siano emerse queste grandi personalità, è un miracolo. Voglio ancora ricordare Mandel'štam quando diceva: «Non è la situazione che ti fa grande, ma il tuo cuore». Questo è il senso della verità prima di tutto. Dostoevskij a questo proposito diceva: «Se tutto dipende da Dio, vuol dire che tutto dipende da me».

 

7 maggio 2010

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