Carlo Scorza, l’ultimo gerarca. Intervista con Carlo Rastrelli Stampa

Carlo Scorza, l’ultimo gerarca. Intervista con Carlo Rastrelli

a cura di Francesco Algisi

 

rastrelli_scorza  Carlo Rastrelli, nato a Napoli nel 1959, vive a Mantova, dove lavora come dirigente d’azienda nel settore delle Risorse Umane. Ricercatore storico, collabora da anni con riviste specializzate nel campo della storia militare e dell’uniformologia. È autore del volume Carlo Scorza. L’ultimo gerarca (Mursia, pagg.264, Euro 17,00), la prima biografia dell’ultimo segretario del Partito Nazionale Fascista.

  Dottor Rastrelli, dalla ricostruzione che offre nel suo libro rimane controversa la responsabilità di Carlo Scorza nell'agguato mortale di Valdottavo…

  L’episodio di Valdottavo presentò indubbiamente dei lati oscuri mai definitivamente chiariti. Nel maggio del 1921 tuttavia divennero frequenti e sempre più violenti gli scontri tra i fascisti ed i “rossi”. Premesso che nessun valore sul tema può essere attribuito all’indagine condotta nel 1932 dall’on. Ranieri su ordine di Starace, perché finalizzata a distruggere politicamente il ras lucchese, l’ipotesi più credibile resta, a mio avviso, quella dell’agguato avversario. È difficile credere che Scorza, presente su quel camion precipitato nella scarpata a seguito del lancio di massi, abbia rischiato la propria vita e determinato la morte ed il ferimento di alcuni dei suoi “camerati” al solo fine di determinare il pretesto per ulteriori e più violente reazioni squadriste.

  La stessa cosa si può dire per l'aggressione contro Giovanni Amendola?

  Solo parzialmente. Come noto l’aggressione del luglio 1925, unita a quella del 1923 a Roma, condurrà Giovanni Amendola alla morte avvenuta a Cannes nell’aprile del 1926. Allo stato della documentazione esistente non è possibile affermare con certezza il coinvolgimento diretto di Scorza nell’agguato. Al tempo stesso reputo improbabile che il fascismo lucchese potesse organizzare simile aggressione ad un personaggio di tale popolarità senza almeno il consenso del suo ras indiscusso. La stessa Corte d’Assise di Perugia, dopo una prima sentenza annullata dalla Cassazione, nel 1949 condannò l’ex segretario del P.N.F. per omicidio “preterintenzionale” che, come tale, verrà estinto dall’amnistia Togliatti. Giovanni Artieri, che ebbe modo di avere tra le mani i diari di Vittorio Emanuele III, racconta che alla data del 21 luglio 1925 il Re annotò: “ Presso Serravalle Pistoiese on. Amendola gravemente ferito da bastonate (Carlo Scorza)”. Secondo il noto storico e giornalista napoletano, scomparso nel 1995, il Sovrano intese in tal modo attribuire a Scorza la responsabilità di quanto accaduto.

  Perché, secondo lei, Vittorio Emanuele III attribuiva a Scorza la responsabilità dell'aggressione contro Amendola?

  I Diari di Vittorio Emanuele III sono notoriamente estremamente schematici ed essenziali. Molto probabilmente note riservate del Ministero degli Interni e/o delle forze dell’ordine attribuirono, sebbene non formalmente, l’organizzazione e la responsabilità dell’aggressione contro Amendola a Scorza.

  A quando risale l'amicizia tra Farinacci e Scorza?

  Non ci è dato conoscere la data esatta della conoscenza tra i due. Probabilmente la stessa può essere fatta risalire ai primi anni Venti, con la nomina di Scorza a segretario federale di Lucca. Tuttavia l’amicizia tra i due gerarchi sarà intensa, sincera e duratura. Farinacci sosterrà Scorza nella prima elezione a deputato, cercherà di aiutarlo, offrendogli collaborazione come giornalista, durante la crisi politica contestuale e conseguente alla segreteria Starace; sarà merito del ras di Cremona la nomina di Scorza a vice segretario del partito nel dicembre 1942, sarà Farinacci che Scorza cercherà e contatterà per primo durante il drammatico pomeriggio del 25 luglio 1943 e sarà, infine, la sua plateale testimonianza, durante il processo tenutosi a Parma nell’aprile del 1944, a risultare decisiva ai fini dell’assoluzione dell’ex segretario.

  La visione del Fascismo intransigente sostenuta da Scorza può essere accomunata a quella del ras di Cremona?

  Entrambi i gerarchi non condivisero, almeno inizialmente, la trasformazione del fascismo da movimento a partito, il suo divenire regime e la sua burocratizzazione. Tuttavia mentre Farinacci mantenne sempre, per tutto il Ventennio, atteggiamenti polemici e critici nei confronti di Mussolini e del regime, Scorza spesso dissentì, specie nei primi anni, ma sempre nel pieno rispetto del suo culto mussoliniano. Questa diversa posizione raggiunse il suo culmine con l’ultima seduta del Gran Consiglio. Durante quella afosa notte del luglio 1943 Farinacci non volle aderire all’ordine del giorno del partito, preferendone uno proprio finalizzato a consolidare l’alleanza politica e militare con la Germania, a rimuovere Mussolini ed a prenderne il posto con l’aiuto dei tedeschi. Scorza, viceversa, era oramai convinto che la guerra fosse irrimediabilmente perduta e che Mussolini fosse il vero e principale ostacolo ad un’immediata uscita dell’Italia dal conflitto ma non volendo tradire il Duce assunse, in quelle drammatiche giornate, atteggiamenti confusi ed a volte ambigui.

  Lei scrive (pag. 75) che Scorza accolse con entusiasmo l'annuncio dell'entrata in guerra dell’Italia al fianco dell'alleato germanico. Egli, quindi, approvò la svolta filotedesca della seconda metà degli anni Trenta?

  Nel 1933, anno dell’ascesa al potere di Hitler, Scorza guardò con interesse e simpatia il movimento nazionalsocialista tedesco. Sempre in quell’anno, si recò in Germania per numerose interviste, sul fascismo e sulla figura del Duce, rivolte ai maggiori gerarchi del nazismo; interviste che raccoglierà nel volume “Fascismo, idea imperiale”. L’assoluta fiducia nell’infallibilità mussoliniana, il suo apprezzamento, da soldato, delle doti guerriere tedesche, l’aver combattuto in Africa Orientale ed in Spagna, le sanzioni economiche ed il conseguente isolamento internazionale dell’Italia, determinarono in Scorza, come in Mussolini, l’avvicinamento politico e militare con la Germania nazista. Deflagrato il secondo conflitto mondiale, le strabilianti vittorie tedesche in Belgio, Olanda e Francia convinsero Scorza, alla pari della stragrande maggioranza degli italiani, che fosse necessario “non arrivare tardi” per impedire che la guerra, da dichiarare piuttosto che da combattere, i tedeschi la potessero vincere da soli. Coerentemente con questi stati d’animo, ed a differenza di molti altri gerarchi, Scorza fece domanda di arruolamento e partì, come volontario, per il quarto conflitto della sua vita.

  Quale fu la posizione di Scorza riguardo alla politica razziale del Regime?

  Quando nell’ottobre 1938 furono introdotte in Italia le leggi razziali, Scorza si allineò in silenzio alla nuova, vergognosa, politica mussoliniana.  Erano ancora gli anni della sua crisi politica per cui non ebbe particolari occasioni per esplicitare il proprio pensiero. Non assunse tuttavia mai posizioni violente come quelle di Farinacci e di Giovanni Preziosi che, sin dai primi anni trenta, pubblicavano a Cremona riviste antiebraiche. L’unica espressione esplicita di Scorza sul problema ebraico la troviamo nel suo libro “Tipo..Tipi..Tipi”, pubblicato da Vallecchi nel 1942, laddove definisce gli ebrei, “abitatori del ghetto”, come titolari di una ”avarizia sordida, rognosa e crudele”.

  Con quale dei suoi predecessori alla guida del PNF si pose in maggiore continuità Carlo Scorza?

  Scorza fu il decimo ed ultimo segretario nazionale del partito fascista. La sua figura ed il periodo storico che ne segnò la segreteria non sono riconducibili ad alcun altro periodo e segretario del partito. Le uniche similitudini possibili sono con Michele Bianchi, primo segretario del PNF e calabrese come Scorza, e con l’amico Farinacci anch’esso chiamato a reggere la segreteria del partito, dal febbraio del 1925 al marzo del 1926, dopo l’assassinio di Matteotti, in un momento delicato per Mussolini ed il fascismo.

  Lei riferisce (pag. 82) che Dino Grandi salutò con favore la nomina di Scorza alla segreteria del Partito. Fu un’approvazione sincera o puramente dettata dalla volontà di accattivarsi le simpatie del neo-segretario?

  Grandi disistimava profondamente Scorza e nelle sue memorie lo definisce come “sleale, mentitore e pagliaccio”. La risposta al quesito è nella storia e nella figura di Dino Grandi. Grandi, ministro degli Esteri, Ambasciatore a Londra, ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, si oppose alla politica di avvicinamento e di alleanza con la Germania nazista ed all’entrata in guerra dell’Italia. Nel giugno del 1940 scrisse che “in Mussolini ha vinto il demone. È l’errore che un popolo intero dovrà espiare”. Nell’inverno successivo, richiamato alle armi come ufficiale degli alpini sul fronte greco-albanese, maturò la convinzione che la guerra fosse perduta, che bisognasse sganciarsi dall’alleanza con Hitler e che per raggiungere l’obiettivo fosse indispensabile “l’intervento risolutivo della Corona”. Grandi incontrò più volte il re in quegli anni drammatici e dall’incontro del marzo 1943 cominciò a lavorare a quel “pretesto costituzionale” atteso e richiesto dal sovrano. Ne consegue che il telegramma inviato a Scorza all’atto della sua assunzione a segretario del PNF ha un valore meramente formale ed affatto sincero.

  Nei discorsi pronunciati da Scorza in qualità di segretario del PNF, si trovano diversi riferimenti positivi al Cattolicesimo (cfr. pagg. 89 e 126). Egli, inoltre, si prodigò addirittura, come lei ricorda a pagina 220, per "una visita del Gran Consiglio al pontefice per riprendere il dialogo tra la Chiesa e il partito". Considerando i "trascorsi burrascosi dei primi anni Trenta tra Scorza e i circoli cattolici" (pag. 220), come va letta la posizione filocattolica del periodo della segreteria del PNF?

  Probabilmente questa conversione, “politica” più che religiosa, ebbe una duplice causa. Da un lato l’influenza e l’amicizia di una figura prestigiosa come padre Tacchi Venturi, già segretario generale della Compagnia di Gesù ed amico personale di Pio XII, che, come noto, sarà anche determinante nella salvezza e nell’espatrio di Scorza. Dall’altro la convinzione che un riavvicinamento alla Chiesa ed alle gerarchie ecclesiastiche avrebbe potuto essere utile; in un primo tempo al partito ed al regime per rompere il crescente isolamento e discredito di cui questi godevano in quei drammatici primi mesi del 1943 e, in un secondo tempo, al Paese per favorire possibili contatti con gli angloamericani finalizzati a far uscire l’Italia da una guerra irrimediabilmente perduta. D’altronde lo stesso Mussolini aveva richiesto al Segretario di Stato Vaticano, cardinale Maglione, di prendere contatto con gli Alleati al fine di verificare le possibilità di uno sganciamento dai tedeschi e dell’uscita dell’Italia dalla guerra.

  Nell’aiuto prestato a Scorza dopo la guerra da alcuni esponenti del clero, può aver giocato un ruolo la posizione filocattolica ricordata poc’anzi?

  Certamente. Il riavvicinamento di Scorza alla Chiesa cattolica del 1943, l’amicizia già ricordata con padre Tacchi Venturi e la presenza ed il ruolo del cugino francescano Don Alighiero determinarono i ripetuti interventi delle più alte gerarchie ecclesiastiche e della Compagnia di Gesù a favore della fuga e dell’espatrio dell’ex segretario del partito fascista e durante la fase processuale del dopoguerra.

  Secondo lei, Galeazzo Ciano aveva ragione a sostenere che il Vaticano non avrebbe gradito la "partecipazione del Gran Consiglio al cordoglio del Pontefice per la distruzione, sotto i bombardamenti del nemico, di innumerevoli chiese" (cfr. pag. 167) espressa da Scorza nell'ordine del giorno del PNF in occasione del 25 luglio?

  L’ordine del giorno presentato da Scorza la notte del Gran Consiglio presentava più di un riferimento alla Chiesa ed al Santo Padre. Scorza nelle sue memorie racconta che tramite l’intermediazione di padre Tacchi Venturi aveva ottenuto il via libera per una visita del Gran Consiglio a Pio XII al fine di riprendere il dialogo tra la Chiesa ed il partito. Al tempo stesso il conte Ciano godeva di una posizione estremamente privilegiata in quanto ambasciatore presso la Santa Sede. Personalmente ritengo che Ciano avesse ragione e che il Vaticano, nel contesto storico di quel lontano luglio 1943, avrebbe preferito evitare siffatta visita e compromissione.

  Che giudizio dà, nel complesso, della breve segreteria di Scorza?

  La nomina di Scorza a segretario del partito, la sua storia personale e l’energia e la determinazione che profuse, determinarono il rinascere di speranze e persino di entusiasmo in quei fascisti che ancora credevano nel fascismo e in Mussolini. Ma rinnovare e rivitalizzare il partito e, attraverso questo, l’Italia, era un’impresa in cui nessuno, in quel momento storico, poteva riuscire. Carlo Scorza era oramai convinto che la guerra fosse perduta e che il Duce fosse di fatto il maggior ostacolo ad una uscita immediata dell’Italia dal conflitto. Ma non volle tradire e non tradì Mussolini. Per questo assunse, in quelle giornate drammatiche del luglio 1943, atteggiamenti confusi se non ambigui. Si pensi solo che proprio il segretario del partito, che per cento giorni aveva rivendicato, in tutti i suoi discorsi e scritti,  l’orgoglio e l’obbligo per tutti i fascisti di indossare, con fierezza, le uniformi ed i distintivi del partito, la mattina del 25 luglio non indossò la sahariana nera del partito preferendo la divisa grigioverde da generale della Milizia. In definitiva anche Carlo Scorza, come altri protagonisti di quei giorni, non si mostrò, per il ruolo ricoperto, all’altezza dell’ora drammatica che fu chiamato a vivere. Solo un uomo eccezionale avrebbe potuto affrontare la situazione creatasi.  E quell’uomo mancò.

  A chi allude in particolare laddove (cfr. pag.193) parla degli "intransigenti" del Fascismo repubblicano che davano la caccia a Scorza?

  In particolare al neo segretario del Partito Fascista Repubblicano, Alessandro Pavolini, ed ai principali gerarchi attivi nella ricostituzione del fascio a Roma come Gino Bardi, Commissario  Federale Repubblicano dell’Urbe, e Guglielmo Pollastrini. Le atrocità commesse durante quelle poche settimane terrorizzarono la città al punto da indurre l’occupante tedesco ad imporre alle autorità repubblicane, nel novembre 1943, di commissariare la federazione romana e di arrestare Bardi e Pollastrini. Tuttavia la caccia ai “traditori del 25 luglio” non fu prerogativa esclusiva della vecchia guardia. Scrive difatti Renzo De Felice, nella sua monumentale biografia sul capo del fascismo, che vi erano ”giovani fascisti acquartierati appena fuori città, il cui primo obiettivo era quello di scovare e arrestare il”traditore” Scorza.”

  Che cosa pensa della lettera che Carlo Scorza scrisse a Badoglio la sera del 27 luglio 1943?

  La lettera, duramente contestata a Scorza durante la Repubblica Sociale e nel dopoguerra, è perfettamente in linea con i comportamenti assunti dal segretario del partito in quei giorni e con gli avvenimenti in corso. Scorza difatti, a fronte dell’accordo raggiunto con il generale Cerica, aveva tenuto a bada il partito. Venuto a conoscenza che il nuovo governo, presieduto da Badoglio, “teneva fede alla parola data”, che la guerra continuava, a fianco dell’alleato tedesco e contro un nemico che già “calpestava il sacro suolo della Patria”, e preso atto che lo stesso Mussolini la notte precedente aveva scritto a Badoglio, ritenne, nella sua qualità di segretario del partito, di fare altrettanto.

  Come giudica l’atteggiamento tenuto dal Duce nei confronti di Scorza nel periodo della Repubblica Sociale?

  La posizione di Mussolini nei confronti di Scorza, durante i seicento giorni della R.S.I., fu analoga a quella tenuta nei confronti di Ciano piuttosto che di Galbiati. La “questione Ciano”, più politica che non giuridica, per Mussolini era un “banco di prova” che doveva mostrare la sua grandezza come uomo di Stato. Di sicuro Mussolini non desiderava la sua morte, ma ben sapeva che, avviando la macchina della vendetta, la prima vittima sarebbe stata proprio il genero. La stessa figlia Edda, che sino alla fine lottò per salvare la vita al marito, nel 1982 dichiarò a Nicola Caracciolo che il padre avrebbe potuto salvare Ciano ma che, a distanza di tempo, si rendeva conto che non “avrebbe potuto fare nient'altro". Anche Giorgio Pini, nel suo “Filo diretto con Palazzo Venezia”, racconta che Mussolini ricevette Galbiati nell’ottobre 1943 alla Rocca delle Caminate e che “non contestò all’ex capo di stato maggiore il mancato ordine alla Milizia di reagire al suo arresto ammettendo che il colpo di stato si era svolto in modo tanto diabolico da confondere tutti”. Ciano andò a morire con grande dignità, in una fredda mattinata del gennaio 1944 nel poligono di tiro di Porta Catena a Verona. Scorza, oltre ad essere arrestato e processato a Parma, in quei seicento giorni, come Galbiati, fu ignorato con disprezzo sebbene chiedesse solo di poter tornare a combattere. Graziando il primo ed aiutando i secondi, Mussolini avrebbe perso il rispetto politico ed umano dell’alleato tedesco e di tutti quei fascisti, giovani idealisti ed anziani irriducibili, accorsi sotto le bandiere dell’ultimo, morente, fascismo repubblicano, che non avrebbero né capito né perdonato un atto di clemenza e di debolezza da parte del Duce nei confronti dei “traditori”, attivi e passivi, del 25 luglio 1943.

22 ottobre 2010

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