Barracu, l’ultimo gerarca. Intervista con Giovanni Fiora Stampa

Barracu, l’ultimo gerarca. Intervista con Giovanni Fiora

a cura di Francesco Algisi

 

fiora_barracu  Giovanni Fiora, professore, pittore e biografo, è nato a Sassari, dove vive. Ricercatore nel dominio della storia, ha inizialmente collaborato con alcuni periodici, pubblicando un ciclo di articoli di critica d'arte e ricostruendo le biografie di artisti sardi. Nel 1997 ha esordito con la monografia Giuseppe Biasi, un profilo dell'uomo e dell'artista, piccolo saggio biografico, contenente inediti sul pittore sassarese. Ha successivamente pubblicato, nel 2001, il volumetto L'evoluzione storica, il sentimento mistico e religioso delle Confraternite dal medioevo ai giorni nostri, testo efficace e suggestivo di carattere storico-critico. Nel 2003 è stata la volta di Il fascismo a Sassari e provincia: tra storia e cronaca: opera, questa, che ha riscosso notevole successo editoriale e clamoroso consenso, e che fu presentata a Sassari da Romano Mussolini nel giugno 2003. La produzione di Fiora comprende anche il volumetto di poesie in vernacolo sassarese Iscrhittu cu la manu drestha. Su invito dei familiari del generale Francesco Maria Barracu Motzo, il Prof. Fiora ha recentemente dato alle stampe il volume Barracu, l’ultimo gerarca (Associazione Storica Sassarese, pag.155, Euro 10,00), con cui ha inteso “rendere onore a un figlio di Sardegna che non merita di essere dimenticato”.

  Prof. Fiora, lei ha scritto – cfr. pag. 13 - che Barracu “fu fascista nel senso più puro e completo del termine, anche più di Alessandro Pavolini”…

  Barracu fu un soldato eroico, medaglia d’oro, pluridecorato sul campo, mentre Pavolini era un intellettuale. Sebbene fosse fedele a Mussolini e fascista, quest’ultimo era più incline a giochi di potere, intrighi e anche arrivismi o settarismi: era legato come tantissimi altri a diverse teorie, oltre che alla visione di Nietzsche con la sua volontà di potenza e il concetto della guerra, del primeggiare, del superuomo. Queste cose il Barracu militare le aveva conquistate sul campo di battaglia. Oltre a questo, però, Barracu era un uomo del popolo, coerente con le sue idee. Era più fascista di Pavolini, se intendiamo per Fascismo, in senso romantico e ideale, una concezione basata su un quasi utopistico socialismo puro che somigliava un po’ al Vangelo di Cristo nei contenuti.

  Perché Barracu portava anche il cognome materno (Motzo)?

  Si possono fare varie ipotesi. Il suo doppio cognome (e nome) potrebbe essere un retaggio spagnolo (gli Spagnoli dominarono la Sardegna per quattro secoli). In Sardegna i doppi cognomi sono molto frequenti. Oppure, verosimilmente, nell’aggiungere il cognome della madre, egli voleva rafforzare la sua già valorosa figura come un guerriero armato di lancia, scudo e corazza. C’è da dire, inoltre, che egli ebbe un rapporto piuttosto conflittuale con il padre, mentre adorava la madre.

  Nel libro – cfr. pag. 61 -, si legge che Barracu fece incastonare in una grossa croce d’argento (che offrì, per grazia ricevuta, alla Madonna di Bonarcado) i cinque talleri rinvenuti nei calzoni di un ras ucciso nella battaglia dell’Ogaden…

  Barracu era un uomo ardito e non temeva la morte, al cui cospetto si trovò in diverse occasioni vedendo morire tanti suoi uomini vicino a sé (non è retorica…). Per grazia ricevuta, decise di incastonare quei talleri nella croce che portò poi al santuario, perché legato alla fede cattolica da sempre con un rapporto con la religione saldo e convinto. Egli credeva e pregava.

  Lei riferisce (pag.92), inoltre, che il sodalizio religioso denominato Associazione Santa Lucia “conserva gelosamente” la medaglia d’oro al V. M. di Barracu…

  A questo sodalizio religioso appartiene Serafino Casula, citato nel libro, che fu balilla e si definisce fascista, perché a suo parere i fascisti facevano sempre le cose per bene. Allo stesso sodalizio appartiene Pino Viani, imprenditore, discendente di un generale. Essi sono profondamente religiosi e attaccati alle tradizioni popolari. Tuttavia, ormai in paese si è perso il ricordo di Barracu. Gli anziani che lo conobbero sono scomparsi quasi tutti. A proposito della medaglia, quando feci la ricerca, cercai di fotografarla, ma il sacerdote che l’aveva in custodia fece di tutto per impedirmelo e non mi diede alcun aiuto (non si sa per quale motivo). L’estate scorsa, durante il mio soggiorno a Santu Lussurgiu, riferii l’episodio ai confratelli, ricevendo la promessa che, qualora avessi voluto fotografare la medaglia, con il loro intervento avrei potuto farlo facilmente.  Avevamo iniziato una battaglia civile nel paese di Santu Lussurgiu per ricordare Francesco Maria Barracu: dargli almeno l’onore delle armi con un monumento alla sua memoria. Ma intorno a noi si è creata l’indifferenza e anche l’ostilità.

  Perché, secondo lei, Barracu venne nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI?

  Prima di tutto, perché era un fedelissimo. Mussolini aveva grande stima di lui, nonostante le resistenze e le diffidenze di altri gerarchi. Si pensi, a tal proposito, alla cosiddetta “congiura delle tre B”, quando cioè il Duce, in maniera molto pragmatica, voleva privilegiare i militare Barracu, Borsani e Balisti, moderati e non del tutto favorevoli ai nazisti. Ed ebbe grandi resistenze. Barracu era molto abile e godeva del beneplacito degli alti vertici nazisti, non tanto per essere un loro assoluto sostenitore, quanto per i rapporti avuti con i servizi segreti e probabilmente per aver convinto il maresciallo Graziani ad assumere il comando delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana. Penso che certi segreti non saranno mai svelati. Si parla insistentemente di un carteggio segreto di Barracu che potrebbe essere andato distrutto oppure essere finito nelle mani di qualche politico.

  Quali provvedimenti adottò Barracu nella veste di sottosegretario?

  Barracu, lo ripeto, era un uomo del popolo. Sempre dimostrò di essere a favore dei deboli. Continuò a lottare coerentemente fino alla fine del Fascismo, costituendo il Battaglione Angioy in onore del famoso rivoluzionario sardo. Tale battaglione era composto di soli Sardi. Il suo forte sentimento di sardità testimoniava non solo il grande attaccamento alle proprie radici, ma anche la totale fiducia nel suo popolo, nel contadino e nel pastore sardo. Come sottosegretario doveva riorganizzare l’esercito e aveva compiti politici. Coordinava l’azione dei prefetti (come risulta da vari documenti). Era un uomo operativo e forte nel carattere. Curò la riorganizzazione dell’esercito e delle varie brigate, che secondo dati statistici risorsero in modo imponente operando con la massima efficienza. Sarebbe troppo lungo elencare tutti gli interventi in campo politico del generale Barracu. Ma è sufficiente ricordare una frase di Silvio Bertoldi: “L’8 settembre è la data di un triplice tradimento verso i Tedeschi, verso gli Alleati, verso il popolo italiano. La fuga di Badoglio e del re aveva gettato l’Italia nel caos. Barracu si mosse tempestivamente con le trattative per rendere l’onore all’Italia calpestata ormai da tutti”. Barracu, comunque, voleva dare un ordinamento moderno alle istituzioni della RSI mediante riforme sociali radicali e profonde (lo si evince dai suoi scritti) e garantire l’integrità territoriale del Paese. Caduta la monarchia, quindi con l’avvento della Repubblica Sociale intendeva cambiare lo spirito morale dell’Italia. Dunque, la RSI non fu il “male assoluto”, ma, se male c’è stato, il minore dei mali.

  Perché Giovanni Preziosi fu tanto ostile nei confronti di Barracu (cfr. pag. 74)?

  Credo che Preziosi, il quale non era uno stinco di santo (anche se era un ex sacerdote…), fosse in realtà invidioso di Barracu, così come lo erano tanti altri fascisti, e con la delazione e l’invidia volesse accattivarsi la stima e la fiducia del Duce (che non aveva…). Mentre riuscì ad avere, con il suo razzismo esasperato, quella di Hitler.

  Ebbe un fondamento l’accusa di appartenenza alla massoneria lanciata da Preziosi nei confronti del generale?

  Barracu, in qualità di sottosegretario, era rimasto legato al ministro degli Interni Buffarini Guidi, che era massone. Da qui l’accusa di massoneria nei suoi confronti per denigrarlo. La sua appartenenza alla massoneria non è mai stata né smentita né confermata dalla stessa istituzione massonica. Non ci sono documenti. Questo rimane un mistero.

  Che cosa intende dire quando scrive (pag. 75) che “l’ostilità alla massoneria era il minore dei mali, poiché, sebbene questa venisse in effetti discriminata, il problema reale era quello di rivalutare la lira e l’economia nazionale”?

  Bisogna considerare che la massoneria, al pari del grande capitale, finanziò il Fascismo con cinque milioni di lire, perché aveva paura della rivoluzione socialista, dei disordini filo-bolscevichi e degli scioperi violenti. È altrettanto vero che in seguito essa, in virtù della propria visione universalistica che permetteva al potente imprenditore, al professionista e al semplice operaio di procedere insieme, non poteva accettare un regime antidemocratico e dittatoriale. D’altra parte, c’è da dire ancora che il generale Luigi Capello come pure i quadrumviri Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, il generale Emilio de Bono, Michele Bianchi (segretario del Partito) e tanti altri, tra i quali spicca la radiosa figura del generale sardo Carlo Sanna, avevano la doppia veste ed erano massoni. Era chiaro che il Fascismo non poteva accettare a sua volta il democraticismo massonico e quindi perseguitò i massoni. Le accuse all’istituzione massonica erano le più infondate, perché l’Ovra – la polizia segreta fascista – ben poco conosceva su di essa. Poi c’era la scomunica dei massoni da parte della Chiesa cattolica. Il problema principale del Fascismo non era certo la massoneria, la quale - come ho detto prima - si era infiltrata tra i fascisti. Il problema principale del Fascismo era di ordine economico. Nel 1926 Mussolini aveva affermato che era indispensabile la rivalutazione della lira, che aveva subito l’inflazione nel primo dopoguerra e nel ’24. Quindi, il Duce lanciò misure economiche a favore del popolo. Poi venne il tempo delle grandi opere pubbliche, delle bonifiche, ecc.. Ma questo è un altro capitolo.

  Lei offre (cfr. pag. 52) un’immagine positiva del colonialismo italiano in Africa…

  Mussolini mirava innanzi tutto a ricostruire in Europa il prestigio morale dell’Italia e a perseguire il rafforzamento militare. Quindi, voleva fare dell’Italia una grande potenza con un ruolo autonomo nei confronti della altre potenze, a cominciare dalla Francia e dall’Inghilterra. Da qui le rivendicazioni territoriali coloniali. Con la guerra d’Etiopia Mussolini vedeva uno sbocco alla pressione demografica con l’opportunità di aprire un mercato italiano economicamente favorevole. Cosa che effettivamente, a mio avviso, avvenne. Poi arrivarono le sanzioni. L’Inghilterra accusò l’Italia di essere un Paese aggressore, dimenticando il proprio passato colonialista. I coloni italiani in Etiopia vivevano nel benessere, lavoravano e i fascisti organizzavano la vita civile del popolo indigeno, costruendo edifici, infrastrutture, ferrovie, portando aiuto a quel popolo. Questa fu la realtà. All’epoca erano tutti colonialisti. Gli Italiani fecero delle grandi imprese anche nelle altre colonie. La Libia possiede ancora oggi le strade e gli edifici costruiti dagli Italiani. I Belgi in Congo, per esempio, non fecero nulla di buono: il Congo belga venne lasciato in stato di abbandono. Io cerco la verità storica con dati statistici alla mano, al contrario di altri storiografi di parte strumentalizzati e condizionati dall’ideologia. Quindi, antepongo i fatti alle opinioni e soprattutto ai pregiudizi ideologici, siano essi positivi o negativi.

  Lei sembra nutrire (pag. 79) un’opinione positiva sul conto di Achille Starace. È corretta questa impressione?

  Non capisco dove si possa aver desunto tale considerazione. È vero che Achille Starace fece delle grandi imprese. Ritengo che fu un ottimo organizzatore. È stato definito un “piccolo grande uomo”. Tutti i veri grandi fascisti non vedevano né temevano la morte e la affrontavano serenamente, insieme con la prigionia, per l’Italia e per l’onore. Quello che volevo dire è che Starace al momento della morte gridò “Viva il Duce! Viva l’Italia!” pagando di persona.

 

4 dicembre 2010

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