La svolta nazional-patriottica del Presidente Ahmadi-Nejad. Intervista con Pejman Abdolmohammadi Stampa E-mail

La svolta nazional-patriottica del Presidente Ahmadi-Nejad. Intervista con Pejman Abdolmohammadi

a cura di Francesco Algisi

ahmadi-nejad_cilindro_di_ciro  Pejman Abdolmohammadi (Genova, 1979), dottore di ricerca in “Pensiero politico e Comunicazione politica” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova, è attualmente docente a contratto in “Storia e politica internazionale del Mediterraneo” presso la stessa Facoltà. Nel 2007-2008 ha tenuto inoltre due corsi integrativi intitolati “Storia e politica dell’Iran contemporaneo” e “La geopolitica del Golfo Persico” . È autore del volume La Repubblica islamica dell'Iran: il pensiero politico dell'Ayatollah Khomeini (De Ferrari, 2009).

  Prof. Abdolmohammadi, negli ultimi anni, ha avuto luogo presso la società civile iraniana un profondo cambiamento caratterizzato dalla rivalutazione dei valori e dei princìpi dell'antico impero persiano. Tale cambiamento è stato favorito dalla dirigenza dell'Iran e in particolare dal Presidente Ahmadi-Nejad?

  Il Presidente Ahmadi-Nejad, in quanto esponente della seconda generazione, porta con sé automaticamente nuovi valori all’interno della Repubblica islamica: ne sono testimonianza le ultime dichiarazioni rilasciate dagli esponenti dell’entourage presidenziale. Tra i nuovi valori emergenti spicca anche il patriottismo, che ha un natura sia religiosa (islamica) sia laica (persiana): è un po’ una via di mezzo, insomma, visto che non è indirizzato soltanto verso l’iranismo. Esso però dimostra che gli attuali dirigenti – in particolare Rahim Mashai, il consuocero di Ahmadin-Nejad, che rappresenta una figura nuova nel panorama politico iraniano - stanno in qualche modo portando al centro dell’agenda politica un nuovo tipo di pensiero. E ciò sta suscitando l’interesse della società civile. Sia la società civile sia la nuova dirigenza – la seconda generazione attualmente al potere – stanno cambiando: ciò è fisiologico. Sebbene in piazza si contrastino, paradossalmente esse convergono nel perseguire una linea generale simile, quella del ritorno al nazionalismo. Non è un caso che diversi dirigenti della Repubblica islamica vicini all’ala clericale critichino i più stretti collaboratori di Ahmadi-Nejad (anche se non direttamente il Presidente), come Mashai, per le recenti prese di posizione giudicate troppo nazionaliste.

  Nell'articolo (Il Cilindro di Ciro. Ahmadi-Nejad vuole meno Islam e più Persia) che lei ha scritto, insieme con il prof. Karim Mezran, sul recente quaderno speciale di Limes, si legge che Ahmadi-Nejad e Mashai cominciano a "dimostrare tendenze nazionaliste sempre più distanti dall'islamismo sciita imperante". È una sfida lanciata all’ayatollah Ali Khamenei?

  In realtà non si è ancora giunti a uno scontro politico aperto tra la dirigenza laica e la Guida suprema. Tuttavia, sul piano della comunicazione politica si è verificata una divergenza nel contenuto dei discorsi: l’ayatollah Ali Khamenei è il sostenitore e il baluardo dell’islamismo sciita, mentre chi come Mashai sostiene il sistema iranico si pone in termini critici nei confronti dell’islamismo clericale. Sono due visioni difficilmente conciliabili, anche se il Presidente, che non ritiene ancora maturi i tempi per uno scontro con la Guida suprema, cerca di ammorbidire i toni. Per ora, quindi, si registra un cambiamento dei contenuti del linguaggio politico da parte della nuova generazione della dirigenza iraniana.

  A quando risale la svolta nazionalista del Presidente iraniano?

  Sebbene già nel primo mandato presidenziale di Ahmadi-Nejad siano emerse tracce significative di una visione politica nazional-patriottica (per esempio, riguardo al nucleare), la svolta si è fatta decisamente più marcata con la seconda presidenza. Quello del primo Ahmadi-Nejad era un nazionalismo politico, quello del secondo  è un nazionalismo ideologico.

  Come si pone il Presidente iraniano rispetto alla figura di Mossadeq?

  Non si sono avute finora delle prese di posizione al riguardo da parte di Ahmadi-Nejad. Quindi, il suo punto di vista in materia è sconosciuto. La figura laica e nazional-democratica di Mossadeq, negli ultimi trent’anni di repubblica islamica, non ha riscosso grande simpatia presso una parte dei dirigenti politici; mentre dalla società civile, in particolare dai giovani, è considerato come un eroe e quasi un mito. Diverso è il caso dell’ayatollah Kashani, che fu un compagno di battaglie politiche di Mossadeq (almeno fino a un certo punto della storia): la sua figura è molto ammirata dai dirigenti della Repubblica islamica, tant’è che diversi edifici pubblici, ospedali e autostrade sono stati a lui intitolati. Kashani, proprio in virtù della sua appartenenza al clero sciita, è molto più popolare del laico Mossadeq.

  E rispetto alla figura dell'Imam Khomeini?

  L’ayatollah Khomeini, come del resto la stessa Guida suprema, è una figura che gode del rispetto formale da parte degli esponenti dell’élite governativa. Anche in questo caso, comunque, i contenuti dei discorsi dei consiglieri di Ahmadi-Nejad in alcune circostanze contraddicono il pensiero di Khomeini e di Khamenei. Per ora la questione non è emersa politicamente, anche se i contenuti sono abbastanza forti. La vicenda del Cilindro dei diritti umani di Ciro, esposto al pubblico presso il Museo Nazionale di Teheran, è un atto simbolico piuttosto eloquente. Il cilindro di Ciro, infatti, esprime una concezione filosofica assai diversa rispetto, per esempio, alla spada dell’Imam Alì. Comunque, non si può ancora parlare, a mio avviso, di sfida politica, ma di contraddizione nell’ideologia, una contraddizione forte all’interno della Repubblica islamica.

  Si dice che Ahmadi-Nejad sia molto legato all'ayatollah Mesbah Yazdi…

  Questo legame non è in alcun modo comprovato. È soltanto una cronaca, non molto attendibile peraltro. I giornali italiani, del resto, riportano fedelmente quello che si legge sulla stampa occidentale, la quale è spesso sprovvista di autorevolezza riguardo alle vicende iraniane.

  Come va intesa la dichiarazione di Rahim Mashai inerente all'amicizia tra il popolo iraniano e quello israeliano?

  Quella dichiarazione venne subito criticata dalla stessa Guida suprema. Successivamente Mashai l’ha chiarita: in realtà, egli intendeva dire che i popoli devono essere tutti amici l’uno con l’altro. Quindi andava intesa come un auspicio – non di tipo politico - favorevole all’amicizia fra i popoli. Fu uno dei primi segnali – risale a due anni fa – che Mashai lanciò per marcare la propria figura controcorrente. Ogni volta che Mashai fa una dichiarazione suscita le critiche del clero. Ci si può chiedere come mai egli, nonostante le sue dichiarazioni così controverse, rimanga ancora all’interno dell’entourage presidenziale e continui a essere uno dei più importanti uomini politici della Repubblica islamica.

  Come si concilia la dichiarazione di Mashai con la posizione nettamente anti-sionista di Ahmadi-Nejad?

  Probabilmente la dichiarazione di Mashai era proprio rivolta al popolo. Spesso si parla dell’amicizia fra il popolo iraniano e quello statunitense senza legittimare, in tal modo, il governo statunitense. Analogamente Mashai ha rilasciato quella dichiarazione auspicando l’amicizia fra i popoli senza coinvolgere gli Stati. Ahmadi-Nejad ha sempre attaccato il sionismo, ma non si è mai scagliato contro il popolo ebraico. È la stessa visione che aveva l’ayatollah Khomeini, il quale non confondeva l’antisionismo con l’antisemitismo. Sono due fattori chiaramente distinti anche dalla diplomazia iraniana.

  Nel passato di Ahmadi-Nejad, c'era qualche elemento che lasciava presagire la svolta nazionalista degli ultimi tempi?

  Che io sappia no. Ahmadi-Nejad è uno dei fedeli del pensiero rivoluzionario islamico ed è sempre stato all’interno dell’entourage, anche se con cariche minori. È una figura laica nel vero senso della parola: non appartiene al clero. E questo è già un elemento importante. Egli, inoltre, rappresenta i guardiani della rivoluzione, che stanno entrando gradualmente nella vita politica. Ahmadi-Nejad si sta progressivamente orientando verso il nazionalismo perché vuole modificare la propria linea politica. A trent’anni dalla rivoluzione c’è la necessità di un rinnovamento generale che si accompagni a quello della classe dirigente.

  Come vanno interpretati i frequenti riferimenti all'Imam Mahdi da parte di Ahmadi-Nejad?

  Al pari di tutti i politici sciiti, anche il Presidente iraniano ha individuato nella figura storica dell’Imam nascosto una risorsa utile per gestire la situazione politica iraniana, che è molto complicata. Secondo me, i riferimenti all’Imam Mahdi rappresentano una forma di comunicazione politica. Il credo personale dei singoli non possiamo conoscerlo.

  È corretta, secondo lei, l'espressione "khomeinismo senza clero" utilizzata da Renzo Guolo per descrivere la visione rivoluzionaria di Ahmadi-Nejad?

  Mi sembra una definizione sbagliata. Con tutto il rispetto per Renzo Guolo, che è un autorevolissimo studioso, penso che sia errata perché la visione politica del Presidente Ahmadi-Nejad, pur essendo “senza clero”, pare molto particolare, a tratti anche molto nazionalista, e non potrebbe essere definita come un “khomeinismo senza clero”. È un’altra cosa. Il khomeinismo ha tutta una propria definizione chiara e inequivocabile. Certamente la linea di Ahmadi-Nejad e soprattutto dei suoi consiglieri (Mashai e altri due o tre nominati recentemente) non aderisce integralmente al khomeinismo. Non so che tipo di “ismo” sia. Sicuramente Ahmadi-Nejad è formalmente “fedele” al pensiero dell’ayatollah Khomeini. Almeno per ora. Ho tuttavia delle riserve ad attribuirgli un “khomeinismo senza clero”.

  Nello scontro tra iranismo e sciismo, da che parte si collocano gli oppositori di Ahmadi-Nejad (Mousavi, Karrubi e Khatami)?

  Dalla parte dello sciismo. Assistiamo a un fatto paradossale: il movimento verde è sceso in piazza e ha lanciato lo slogan “libertà, indipendenza, repubblica iraniana”, che però è stato censurato dai dirigenti del movimento stesso. Sono questi ultimi i khomeinisti, non certo Ahmadi-Nejad. Tutti i dirigenti del movimento verde – Rafsanjani, Mousavi, Khatami e Karrubi (anche se forse la situazione di quest’ultimo è un po’ diversa) – sono dei khomeinisti. A loro va benissimo lo sciismo islamico all’interno del potere. Il colore che hanno scelto per contraddistinguere il movimento è - non a caso - il verde, il colore dell’Islam. Quindi, paradossalmente il movimento di opposizione di piazza è forse ideologicamente più vicino – anche se non lo si potrebbe ammettere – ad alcune posizioni (filo-nazionaliste) dei dirigenti di Ahmadi-Nejad piuttosto che a quelle degli stessi leader riformisti.

  Mentre questi ultimi sono più vicini nella loro visione ad Ali Khamenei…

  Qualora dovesse essere in pericolo l’Islam sciita, sia Mousavi sia Khatami farebbero un passo indietro. Rafsanjani, Khatami e gli altri godono ancora di una certa libertà di circolazione e non sono stati repressi (anche se adesso sono stati messi agli arresti domiciliari Karrubi e Mousavi). Essi hanno goduto della scorta governativa fino a non molto tempo fa. Non sono oppositori o dissidenti della Rivoluzione islamica iraniana: sono, al contrario, figli del khomeinismo.

  Però sulla stampa italiana Ahmadi-Nejad e Ali Khamenei vengono presentati come “alleati”…

  Questo è un grande errore della stampa italiana. A livello politologico, c’è una grande differenza terminologica tra governo e Stato. Spesso sui giornali si parla di manifestazioni antigovernative, mentre nella maggior parte dei casi queste manifestazioni hanno preso di mira l’ayatollah Alì Khamenei, cioè la Guida suprema, non il governo. Anche nella vicenda di Sakineh si è visto come la magistratura, longa manus della Guida suprema, avesse delle forti divergenze con il governo. Ahmadi-Nejad, a New York, dichiarò davanti a tutti che Sakineh non era stata condannata a morte; il giorno dopo la magistratura lo smentì dicendo che era condannata alla lapidazione e all’impiccagione. C’è quindi un contrasto che è cronaca. In generale, la divergenza tra la posizione della magistratura e quella del governo riflette la divisione interna alla società iraniana.

  Ahmadi-Nejad, che è stato accusato di aver ottenuto con i brogli la vittoria alle elezioni del 2009, può contare su un consenso concreto da parte della popolazione iraniana?

  È una domanda molto complicata. Ahmadi-Nejad finora ha potuto contare sul sostegno dei centri rurali; assai meno invece su quello dei centri urbani. Con il passare del tempo, tuttavia, la figura del Presidente della Repubblica diventa più popolare, mentre quella della Guida suprema si indebolisce. Tant’è che nelle ultime due manifestazioni – quella di domenica scorsa e del lunedì precedente – gli slogan lanciati dagli oppositori in piazza  erano contro la Guida suprema, non contro Ahmadi-Nejad. Ciò dimostra che l’ipotesi che il prof.  Karim Mezran e io abbiamo formulato su Limes ha un fondamento: la popolazione sta prendendo di mira la parte religiosa del potere, non già la parte laica. Il lavoro di immagine svolto da Mashai, soprattutto negli ultimi mesi, sta facendo emergere come all’interno di una parte della società civile iraniana ci sia un elemento di rinnovamento e di rinascita persiana. Mashai, per esempio, ha baciato la bandiera persiana, suscitando in tal modo una vasta approvazione. Egli è una pedina sana e capace di ottenere consensi. Non so, tuttavia, quanto i consensi che raccoglie possa poi riversarli direttamente sul Presidente Ahmadi-Nejad.

  Quindi, visto che la Costituzione iraniana impedisce un terzo mandato di Ahmadi-Nejad, sarà Mashai il candidato della “fazione” patriottica alle elezioni presidenziali del 2013?

  Probabilmente sì. D’altra parte, come lei ha ricordato, Ahmadi-Nejad non potrà ricandidarsi perché la Costituzione non glielo permette: la Costituzione non l’ha cambiata neppure Rafsanjani; quindi non credo che lo farà Ahmadi-Nejad. Ma non penso nemmeno che ciò rientri nei disegni della fazione vicina al Presidente. Il disegno semmai è proprio quello, secondo me, di proporre e sostenere la figura di Mashai, il quale è già a capo dell’ufficio della presidenza. E non dimentichiamo il rapporto che Mashai ha instaurato con il Libano – ne parliamo anche nell’articolo su Limes –, in particolare con Saad Hariri. Il governo guidato da Hariri è caduto proprio adesso che Ahmadi-Nejad sta modificando anche la linea della politica estera iraniana (con il taglio del 40 per cento dei finanziamenti della Repubblica islamica a Hizbollāh). Il Presidente, inoltre, ha licenziato il ministro degli Esteri Mottaki, che tradizionalmente è sempre stato collegato alla Guida suprema. Quindi, sembra che ci sia un tentativo di accentrare il potere sulla figura del Presidente della Repubblica a scapito della Guida suprema. Ovviamente l’ayatollah Alì Khamenei non starà a guardare.

 

22 febbraio 2011

Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA