Krasnov, l’atamano. Intervista con Fabio Verardo Stampa

Krasnov, l’atamano. Intervista con Fabio Verardo

a cura di Francesco Algisi

 

verardo_krasnov  Nato a Pordenone nel 1982, Fabio Verardo si è laureato in Storia e Civiltà Europee presso l'Università degli Studi di Udine nel 2008. Nello stesso anno ha svolto, per conto della Biblioteca civica di Tolmezzo, un lavoro di ricerca sul "Movimento di Liberazione" che prevedeva la raccolta di testimonianze di partigiani attivi in Friuli e in Carnia. Autore del volume I cosacchi di Krasnov in Carnia (Aviani & Aviani, 2009), ha recentemente dato alle stampe una documentatissima biografia di P. N. Krasnov, l’atamano dei Cosacchi del Don, dal titolo Krasnov, l’atamano. Storia di un cosacco dal Don al Friuli (Libreria Editrice Goriziana, pagg.658, € 38,00).

  Dottor Verardo, lei scrive che Krasnov, nel 1917, “fu in un primo momento favorevole a un cambiamento dei vertici dello Stato poiché era consapevole della necessità di un rinnovamento radicale che risolvesse i problemi più urgenti dello Stato e dell’Esercito russo” (pag.84). Come si sarebbe dovuto realizzare sul piano pratico questo rinnovamento?

  L’esercito e la guerra erano appunto i suoi primi pensieri. In quei mesi la debolezza del Governo di Nicola II e le difficoltà affrontate dall’esercito russo rendevano evidente che si dovessero mettere in atto delle profonde riforme politiche e organizzative. Krasnov riteneva che fosse indispensabile ridare credibilità ai vertici miliari e concedere loro ampi poteri per ribaltare la situazione al fronte; era sua opinione che una evoluzione finalmente positiva del conflitto avrebbe ridato stabilità all’intero paese e alle sue istituzioni. Egli riteneva quindi indispensabile armare ed equipaggiare in modo migliore l’esercito, riorganizzarlo gerarchicamente e qualitativamente, motivarlo e renderlo più forte, più fedele e disciplinato. Nel primissimo periodo che seguì la rivoluzione di febbraio, Krasnov pensò poi all’opportunità di convocare un’assemblea costituente che desse vita a una monarchia costituzionale al cui vertice sarebbe stata chiamata la personalità della famiglia imperiale che egli riteneva essere la più adatta ad assumere tale compito: il granduca Mikhail Aleksandrovič. Un rinnovamento dunque, ma attuato in continuità con gli impegni di guerra assunti e conservatore dell’istituto monarchico.

  Quali erano i “privilegi e le peculiarità che storicamente erano stati assegnati ai cosacchi” (pag.192) dall’Impero zarista?

  Garantendo loro una larga autonomia amministrativa, la facoltà di eleggere i propri rappresentanti, il possesso della terra anche in piccoli appezzamenti, l’esenzione da alcuni tributi e dando loro un preciso compito militare, nel corso dei secoli gli zar trasformarono i cosacchi da mercenari indocili a sudditi fedeli. In tal modo i cosacchi diventarono una sorta di casta di guerrieri gelosa della propria autonomia, della propria appartenenza e delle proprie tradizioni. Nel periodo immediatamente precedente allo scoppio della Grande guerra vi erano ben undici eserciti cosacchi strutturati secondo l’appartenenza geografica; l’esercito dei cosacchi del Don, il più numeroso, era insediato in un territorio di seicentomila chilometri quadrati e poteva garantire duecentomila uomini per il servizio militare. Era privilegio dell’esercito cosacco disporre liberamente di grandi mandrie di bestiame (soprattutto buoi, cavalli e montoni), poter sfruttare terre e pascoli, godere del diritto esclusivo di pesca sul fiume Don e sul mare d’Avoz e dell’esenzione da alcune tasse come per esempio quelle sulla circolazione delle merci e sul commercio del vino. La presenza sui territori cosacchi di alcune scuole e istituti superiori garantivano poi un livello di istruzione in grado di garantire l’accesso a posti di comando e di prestigio. Non va infine dimenticato che i cosacchi erano possessori delle terre che coltivavano o che facevano coltivare e che godevano di diritti politici, soprattutto l’accesso alla vita pubblica e la facoltà di servire nei reparti militari, che non spettavano alla popolazione immigrata che era stanziata nel loro territorio, ma che non godeva dello status di cosacco: gli inogorodnie. Nelle loro regioni il possesso della terra era quindi in mano principalmente ai cosacchi; si calcola infatti che, sebbene nel 1917 i cosacchi si fossero ridotti a poco meno della metà della popolazione delle regioni che occupavano, essi detenessero il possesso di circa l’80% di tutte le terre.

  Il 16 maggio 1918 Krasnov venne eletto atamano del Grande Esercito del Don dal Krug per la Salvezza del Don (cfr. pag.213). Chi erano i membri di quest’assemblea? Come venivano nominati?

  Il Krug per la Salvezza del Don era costituito dagli atamani delle stanize libere dai bolscevichi e dai comandanti dei reparti militari dell’esercito che si stava organizzando per combattere la rivoluzione. Non potendo contare su un largo suffragio popolare per l’elezione dei deputati a causa dalla situazione caotica del periodo e per il fatto che a essere stata liberata fosse solo un piccola parte del loro territorio, i cosacchi organizzarono l’elezione dei rappresentanti, la carica di atamano era di norma elettiva, stabilendo che ogni staniza potesse inviare all’assemblea solo un deputato. Per quanto concerne i reparti militari si stabilì il diritto di rappresentare ogni reggimento e quindi ogni centuria poté inviare due delegati. In questo modo la maggioranza dei centotrenta rappresentanti del Krug per la Salvezza del Don fu costituita da militari, mentre la parte restante contava i delegati appartenenti ai villaggi cosacchi del corso inferiore del Don, situati vicino Novočerkassk. Per creare una continuità evidente con le precedenti istituzioni, alle cariche di Presidente e Vice-presidente dell’assemblea vennero nominati i membri del Governo provvisorio del Don. Considerando la formazione e la composizione di questo Krug non sorprende che esso abbia inteso affidare pieni poteri all’atamano Krasnov per provvedere a una rapida ricostituzione dell’esercito che si basasse sugli antichi modelli militari. Ma è allo stesso tempo interessante notare come Krasnov abbia posto l’accento sulla composizione del parlamento cosacco; volendo elogiare l’istituzione che lo chiamò e lo appoggiò nel suo ruolo di atamano, Krasnov definì il Krug per la salvezza del Don, e non il Krug convocato successivamente nel quale l’opposizione al suo operato era maggiormente forte, come una delle assemblee più popolari e democratiche che «composta per tre quarti di semplici cosacchi proprietari, non perse tempo in chiacchiere». Krasnov scrisse in diverse sue opere compilate negli anni seguenti che il Krug per la salvezza del Don non comprendeva esponenti «dell’intellighenzia», personalità alle quali il generale rimproverava di essersi nascoste durante la prima occupazione bolscevica per poi riapparire una volta che i Rossi furono scacciati e che ostacolarono il suo Governo.

  A pag.220 si legge che, nel 1918, “i cosacchi non disdegnavano di raggiungere in tempi brevi una pace con i bolscevichi non appena questi avessero riconosciuto i loro privilegi”. Anche Krasnov era di questo avviso?

  È plausibile che già in questa fase Krasnov avesse compreso che la lotta contro la rivoluzione bolscevica sarebbe stata molto lunga e sanguinosa; d’altra parta la realtà della guerra in atto, la sua complessità, la sua durezza e lo sforzo messo in campo già in questa fase dai contendenti non suggeriva una facile risoluzione del conflitto. Ritengo quindi che l’atamano, anche per le sue precedenti esperienze con i bolscevichi, immaginasse che una soluzione del conflitto favorevole ai cosacchi e una vera pace sarebbero state possibili solo quando la rivoluzione bolscevica sarebbe stata definitivamente sconfitta.

  Perché Krasnov “non accettava di buon grado di trattare su un piano di parità” (pag.229) con persone di umili origini come Denikin, il comandante dell’Esercito Volontario?

  Sicuramente molta parte di questo atteggiamento è rintracciabile nell’indole, nel carattere sanguigno e nel complesso delle convinzioni culturali, sociali e politiche del generale. Questi aspetti sono testimoniati da un importante documento, Portrait Etude, che ho riportato e analizzato nel capitolo dedicato agli anni d’esilio e si ritrovano coerenti nel corso di tutta la sua vita, sino alla permanenza in Carnia e dopo la consegna all’Armata Rossa. Ad ogni modo ritengo che la poca disposizione di Krasnov a trattare con Denikin su un piano di parità derivi anche dalla evidente rivalità che intercorse fra i due militari; il desiderio di entrambi di primeggiare, e, per quanto riguarda in maniera specifica Krasnov, il fatto di sentirsi, come atamano del Grande Esercito del Don, il rappresentante di un popolo autonomo e fiero gli fecero mal digerire le pretese e l’atteggiamento di presunta superiosità e disprezzo che riteneva Denikin avesse nei suoi confronti. Krasnov infatti fu  sempre molto orgoglioso del suo ruolo di atamano e pretese sempre che gli fosse tributato il rispetto che la dignità che la sua carica e dell’istituzione che rivestiva meritavano.

  Nel 1918, Krasnov, a differenza di Denikin, non mirava a “creare un forte movimento anti-bolscevico unitario per una «Russia unita e indivisibile» (pag.229). Come mai?

  Nel 1918, grazie all’appoggio che gli era garantito dalle armi e dai rifornimenti provenienti dalla Germania, dopo la riorganizzazione dell’esercito cosacco, dopo i primi successi militari e la liberazione di gran parte del territorio del Don e con la maggioranza dei cosacchi dalla sua parte, Krasnov poteva trattare con le altre componenti controrivoluzionarie del Sud della Russia da una posizione di superiorità. Pur essendo convinto che si dovessero liberare le regioni meridionali del paese per poi partire da quelle verso Mosca e San Pietroburgo, Krasnov era conscio che il suo ruolo, il suo spazio d’azione politico e militare e il suo prestigio sarebbero stati ridimensionati all’interno di un movimento più grande e composito; era poi conscio che alcune delle sue convinzioni ed alcuni degli aspetti della sua politica, come ad esempio il ritorno allo stato sociale precedente alla guerra, il suo atteggiamento marcatamente filo-monarchico, il suo progetto per la gestione della guerra e delle alleanze, sarebbero stati mal sopportati in seno a una organizzazione che non fosse stata strettamente cosacca. Ma egli era convinto al medesimo tempo che anche l’autonomia dei suoi cosacchi nelle questioni interne e il peso politico e militare che essi potevano esercitare all’esterno sarebbero stati notevolmente ridimensionati dalla creazione di un movimento antibolscevico unitario. Se questa linea parve funzionare e avere una logica e una efficacia nell’estate del 1918, con l’uscita di scena della Germania tutto mutò rapidamente; ma Krasnov non volle cambiare strategia. Questa condotta risulterà essere uno dei limiti più evidenti del suo operato come atamano e farà maturare negli Alleati, una volta cominciato il loro impegno nella questione russa, la convinzione che Krasnov fosse un reazionario sul quale si poteva riporre poca fiducia e scarso credito.

  Come va interpretata la scelta di Krasnov di allearsi nel 1918 con la Germania, contro la quale aveva combattuto “sino a pochi mesi prima” (pag.253)?

  La sua scelta va ricondotta essenzialmente a ragioni di opportunità militare e politica. Krasnov comprese che in quel preciso momento l’unico soggetto che potesse garantirgli un appoggio militare consistente e fattivo era la Germania. Per riorganizzare l’esercito necessitava altresì di ingenti materiali e capitali e, per intraprendere la guerra contro i bolscevichi, necessitava dell’appoggio e del benestare dei tedeschi. Dal punto di vista politico era conscio che solo la Germania, a seguito delle conquiste territoriali seguite alla pace di Brest-Litovsk, poteva concedergli un margine d’azione all’interno del proprio territorio. Ma questa non fu comunque una scelta senza conseguenze rilevanti: va infatti riportato che faticò a convincere molti dei suoi stessi cosacchi nonostante i benefici dei quali godette già nel primo periodo e va infine riportato che con questa scelta di campo si giocò la simpatia di molti esponenti del movimento Bianco. In conclusione è opportuno riportare una sua celebre affermazione che può servire per comprendere le motivazioni di opportunità che gli fecero prendere la decisione di allearsi alla Germania: «Quando è in gioco la sorte dell’intera causa non c’è ragione di peritarsi ad accettare l’aiuto dell’ex nemico»; qui però Krasnov “dimentica” di scrivere che fu egli stesso a chiedere l’aiuto dei tedeschi.

  La carta costituzionale approvata dal Krug il 28 settembre 1918 recitava al primo paragrafo: “Il Grande Esercito del Don è uno Stato indipendente fondato sui principi della sovranità popolare”. Essa, inoltre, prevedeva che “nel Don vigessero tutte le libertà democratiche” (pag.269). Ciò non è in contrasto con la visione monarchica e antidemocratica di Krasnov, il quale – come si legge a pag.30 – aveva fama di “essere un fervente sostenitore del regime zarista”?

  Certamente. Krasnov non negò le sue simpatie monarchiche e continuò a rivendicare per sé, in veste di atamano, tutti i poteri che aveva preteso al momento della sua prima elezione. La formulazione di questo articolo della costituzione non fu infatti opera di Krasnov, ma del Krug allargato dalla liberazione dei territori cosacchi e che lo rielesse nel mese di agosto del 1918 e nel quale l’opposizione al suo operato politico e militare si fece nel corso di quegli stessi mesi sempre più montante. Krasnov fu costretto in questa fase ad accettare questa e altre norme per mantenere la leadership e continuare l’impegno militare contro i bolscevichi.

  Qual era l’origine della diffidenza degli Alleati (inglesi e francesi) nei riguardi di Krasnov (cfr. pag. 287)?

  La loro diffidenza maturò da diversi fattori. Innanzitutto ciò che creava maggiori sospetti era certamente l’appoggio di cui l’atamano aveva beneficiato dalla Germania e la relazione di alleanza che era stata tessuta con questa nazione nell’estate del 1918. L’opposizione di Krasnov alla creazione di un comando unificato delle forze controrivoluzionarie fu poi un altro elemento determinate: gli Alleati videro nelle spinte particolaristiche di cui Krasnov si faceva portatore un elemento di disturbo all’unità della lotta contro i bolscevichi. Va poi fatto riferimento agli obiettivi della lotta stessa e al metodo da mettere in atto per raggiungerli: Krasnov era convinto della sua strategia militare, strategia che era già in atto e sulla quale non voleva sindacare, e non nascose mai il desiderio di restaurare la monarchia zarista. Un ulteriore elemento importate fu poi la sua condotta politica all’interno dello Stato cosacco; dagli Alleati il suo Governo fu infatti descritto essenzialmente in termini negativi: in continuità con il vecchio regime e caratterizzato dalla volontà di restaurarne anche gli ordinamenti meno democratici o più sconvenienti. Gli Alleati rimproverarono a Krasnov di aver istaurato un vero e proprio regime nel quale i posti chiave dell’amministrazione erano occupati da persone che professavano un punto di vista marcatamente monarchico e reazionario e nel quale gli abusi e la corruzione abbondavano. Ma ciò che li preoccupava maggiormente in riferimento alle questioni interne allo Stato cosacco era l’instabilità sociale che essi vi avvertivano, instabilità che poteva divenire molto pericolosa per la tenuta di tutto il movimento Bianco nel Sud della Russia. In questo modo anche quando Krasnov, con gli impegni assunti a Torgovaya, si sottomise al comando di Denikin, gli inglesi valutarono che egli non avesse intrapreso questa strada con spirito di buona fede; anche in questo frangente ritennero quindi che avrebbe potuto ostacolare la realizzazione del comando unificato o addirittura che egli avrebbe cercato di evitarla per mantenere il suo potere.

  Quale politica intendevano perseguire gli Alleati intervenendo nella guerra civile russa (cfr. pag. 292)?

  Winston Churchill dichiarò che il bolscevismo doveva essere “strangolato nella culla”; gli Alleati intervennero dunque nella guerra civile dopo che gli Imperi centrali furono sconfitti nel novembre del 1918 per sconfiggere i comunisti e scongiurare la prospettiva di un allargamento della rivoluzione socialista su scala mondiale. Appoggiarono dunque le forze Bianche che erano presenti e cercarono di creare coesione fra le diverse componenti che animavano la lotta controrivoluzionaria per fare in modo che si sviluppasse un fronte compatto che avesse concrete possibilità di successo dal punto di vista militare e politico. In questo contesto tutti gli atteggiamenti particolaristici, separatisti o politicamente estremistici erano ritenuti sconvenienti. In riferimento a Krasnov molti degli atteggiamenti marcatamente autonomistici e filo-monarchici furono quindi poco tollerati perchè sconvenienti per l’unione di tutte le forze Bianche nel Sud della Russia.

  In un dispaccio dei Servizi segreti inglesi (cfr. pag. 309), Krasnov veniva accusato di essere “manovrato” dai tedeschi. Era fondata, secondo lei, quest’accusa?

  Se si considera quanto peso ebbero nei primi mesi di governo di Krasnov gli aiuti militari tedeschi, le relazioni che si stabilirono con la Germania, il ruolo giocato dalla stessa nella sua rielezione ad atamano e nella sua iniziale fortuna politica e militare, non si può che rispondere in maniera affermativa a questa domanda. Ciò nonostante bisogna comunque tenere presente che, dopo l’armistizio del novembre 1918, il peso esercitato dalla Germania venne sostanzialmente meno. Ad ogni modo gli inglesi, a mio modo di vedere in maniera realistica e fondata, reputarono Krasnov ormai troppo compromesso con la Germania e ancora incline ad assecondarne gli interessi a discapito dell’influenza che essi volevano ora esercitare in  Russia.

  Quali erano le condizioni in cui versava la comunità ebraica della regione del Don nel periodo in cui Krasnov fu atamano (cfr. nota 256 di pag.316)?

  Su questo argomento penso di non poter dare una risposta esauriente; i dati in mio possesso sono pochi e incompleti per formulare un giudizio ponderato e storicamente attendibile. Per avendo potuto reperire traccia delle polemiche derivanti dai pogrom contro gli ebrei a Rostov sul Don che molti giornali contemporanei riconducevano in qualche modo a un intervento diretto di Krasnov, e pur considerando il contributo recato dallo stesso Krasnov nel diffondere testi di carattere antisemita (i Protocolli dei Savi di Sion e il cosiddetto documento Zunder), non sono riuscito a ricostruire il complesso degli elementi che possano dare un quadro esaustivo della condizione delle comunità ebraica nella regione del Don.

  La “forte componente antisemita” (pag.465) del pensiero di Krasnov risaliva all’epoca della rivoluzione bolscevica (come sembra emergere da quanto si legge a pag. 549) o era antecedente alla stessa?

  Ritengo che la sua componente antisemita trovi la sua origine nel complesso sistema culturale e sociale della Russia zarista riferito in modo particolare agli ultimi decenni della sua storia; in questo periodo, gli anni di formazione di Krasnov e del suo servizio nell’esercito imperiale, non erano certo infrequenti posizioni apertamente ostili nei confronti degli ebrei. Ma fu certamente la rivoluzione d’ottobre a esacerbare questo atteggiamento. Krasnov infatti, derivando le sue convinzioni anche da tensioni apocalittiche ma soprattutto partendo dalla considerazione che molti degli esponenti del Governo nel periodo 1917-1918, pur con la notabile eccezione di Lenin, erano ebrei, giunse all’equazione «bolscevico uguale ebreo». In questo modo Krasnov imputò a quella che definiva la «cricca ebraica» la responsabilità di aver organizzato e diretto il movimento che aveva sgretolato il suo mondo; secondo il generale era responsabilità degli ebrei-bolscevichi, d’ora in poi sempre accomunati, se l’esercito si era disgregato, se la monarchia zarista era caduta, se si era conclusa una pace disonorevole con i tedeschi, se regnava un grave stato di confusione politica e il contesto sociale aveva subito una drastica evoluzione e se infine in Russia era in atto lo «sterminio dei gentili» che voleva portare tutto il potere nelle mani della elite giudaico-comunista.

  Che cosa pensa dell’accusa di incoerenza politica e militare che Denikin manifestò sul conto di Krasnov all’epoca della guerra civile russa (cfr. nota 310 di pag. 339)?

  Nelle sue memorie Denikin rimproverò più volte a Krasnov i suoi repentini cambiamenti di opinione e di atteggiamento nei confronti dei principali attori della guerra civile sino ad affermare che sulle questioni politiche e militari Krasnov non aveva seguito una linea coerente, ma aveva agito a seconda delle opportunità. Ritengo che nella sostanza l’affermazione di Denikin, pur essendo venata in alcune occasioni da accesi toni di recriminazione, poggi su dati concreti. Molto spesso Krasnov basò la sua condotta esclusivamente su calcoli di convenienza; convenienza riferita certamente alla sua persona, ma anche a quanto egli reputava più opportuno per tutti i suoi cosacchi e per lo Stato del Don.

  Riguardo alla Confraternita di Verità russa, associazione segreta fondata da esuli cosacchi negli anni Venti, in che cosa consisteva “il suo atteggiamento “politicamente corretto”” (pag.389)?

  Trascorsi alcuni anni dopo la fine della guerra civile russa, e una volta che nella Confraternita di Verità Russa vennero a confluire molti esuli cosacchi di diversa estrazione e orientamento politico, si vennero a delineare due proposte per stabilire la condotta più efficace per portare a compimento la missione di cui la Confraternita si sentiva investita: liberare la Russia dal regime comunista. Vi era una linea più apertamente militarista e interventista che si proponeva di usare segretamente gli strumenti del terrorismo per riaprire la lotta contro il regime bolscevico. Vi era invece una linea, per così dire, più moderata e pubblica che riteneva di dover agire con gli strumenti della propaganda politica e non disdegnava di ricorrere a mezzi non violenti per raggiungere lo stesso scopo. Krasnov, che condivideva la prima impostazione di lotta, lasciò infatti la Confraternita di Verità Russa perché riteneva che il lavoro dei militanti languisse sino a tramutarsi in bazzecola: «nell’appendere piccole bandiere e volantini propagandistici, ma si dimenticano l’autentica attività terroristica. Le personalità più forti sono state cacciate dall’organizzazione, non è rimasto che una feccia mediocre e incapace, il centro degli stranieri non pensa più che a se stesso e non intraprende alcune azione decisiva». Tale era l’atteggiamento “politicamente corretto” che egli rimproverava ai militanti.

  Come si sarebbe dovuta tradurre in pratica “l’autentica attività terroristica” auspicata da Krasnov nella lotta contro il bolscevismo (cfr. pag.392)?

  Krasnov pensava ad azioni violente contro i centri di potere dell’Unione Sovietica, pensava ad azioni di sabotaggio alle infrastrutture ma anche agli organi istituzionali; riteneva che questi atti, attuati con perizia e organizzazione militare, avrebbero dovuto minare la resistenza delle strutture governative e screditarne la liceità rendendo allo stesso tempo evidente alla popolazione russa il complesso di quelle che egli riteneva essere le più lampanti contraddizioni intrinseche al Governo sovietico. Krasnov auspicava che l’attività terroristica potesse svegliare le coscienze, rendere evidente che vi era ancora un movimento controrivoluzionario attivo e far quindi insorgere la popolazione contro il regime.

  In quali “circoli tedeschi” (cfr. pag.442) i cosacchi riscuotevano maggiori simpatie?

  Negli ambienti militari e specificatamente fra quegli ufficiali che avevano preso parte alla Grande guerra sul fronte orientale, era nota la fama dei cosacchi come abili cavallerizzi e come soldati fieri e coraggiosi. Fra gli ufficiali di lungo corso, che conoscevano poi l’operato di Krasnov a San Pietroburgo e sul Don e che lo conoscevano anche come scrittore, cominciò a farsi strada l’ipotesi di impiegare i cosacchi nell’esercito con compiti sussidiari e rimettere in gioco la vecchia classe dirigente della quale conoscevano l’opposizione, ormai storica, al regime sovietico.

  A pag.550, lei riporta un brano tratto dal “Libro storico” di don Graziano Boria, in cui si legge che Pio XII da “cardinale aveva premiato con medaglia d’oro a Parigi il suo [di Krasnov] libro “L’odio””…

  Non sorprende che nel corso degli anni Trenta la Chiesa cattolica fosse impegnata, anche con personaggi di primo piano e anche in ambito letterario, a combattere il diffondersi dell’ideologia comunista, ma appare comunque significativo che fu scelto di premiare una personalità come Krasnov, certamente un autore non in linea con la dottrina della Chiesa di Roma. Evidentemente, anche questo faceva gioco al tempo per combattere il socialismo reale. Con molta probabilità la discussione riportata da don Boria riguardo al romanzo L’odio emerse a seguito della dedica che Krasnov scrisse il 3 marzo 1945 a una donna di Verzegnis, Elsa Flamia; presso l’Archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste ho infatti recentemente trovato traccia di questo scritto autografo di Krasnov, siglato su una delle prime pagine del romanzo. Questo fatto diede l’occasione di discorrere di uno dei romanzi di maggior successo e diffusione scritti dal generale che era certamente molto noto anche in Italia. Il libro venne infatti pubblicato in italiano dalla casa editrice Salani nel 1935 e si è potuta trovare traccia delle tre lettere inviate da Krasnov per la cessione dei diritti di traduzione e per la pubblicazione del libro; da questi scritti, riferiti ai mesi di luglio ed agosto del 1934, emerge il desiderio del generale di far pubblicare la sua opera in Italia entro l’aprile del 1935, in modo che potesse essere presentata alla giuria de «l’Académie»; egli fece riferimento alla giuria di un Istituto cattolico francese che aveva istituito uno speciale concorso per il “migliore romanzo anti-bolscevico”; nel 1936 Krasnov ricevette infatti un premio onorifico. Come riporta don Boria nel Libro Storico della Pieve di Verzegnis questo evento contribuì a rafforzare il sentimento di stima che Krasnov nutrì in quegli anni per Papa Pacelli.

  Lei scrive che Krasnov “cercò di mantenere anche nel suo modo di vivere le caratteristiche autentiche di quella “rusticità” che voleva conservare” (pag.627). Che cosa significa?

  Così come molti emigrati russi, Krasnov, pur trovandosi a vivere per molti anni in esilio, volle conservare la propria identità e la propria cultura. Egli credeva di essere investito, e le sue opere letterarie lo dimostrano ampiamente, di una missione che si poneva l’obiettivo di conservare all’estero la cultura, lo stile di vita e i valori che riteneva autentici e fondanti della vera Russia, quella pre-rivoluzionaria. Solo grazie a questa opera di tutela del patrimonio culturale e sociale sarebbe stato possibile restaurare uno Stato propriamente russo una volta che il regime sovietico fosse caduto. Oltre al costante impegno politico e militare, era quindi necessario portare avanti un impegno culturale di salvaguardia del proprio passato; Krasnov cercò di proseguire su questo solco per tutta la vita. Nel suo desiderio di non abbandonare mai neppure i simboli della vecchia Russia, Krasnov si fece sempre riprendere in divisa da generale con le onorificenze ricevute dallo zar, ma soprattutto in una delle più famose e ripetute dichiarazioni, «Io sono monarchico, russo, ortodosso», si ritrovano coerenti questi elementi che fanno comprendere la misura di questo suo impegno. I tre elementi, «Ortodossia, autocrazia e nazionalità», fanno infatti riferimento rispettivamente alla religione della Chiesa ortodossa ufficiale sottoposta al controllo diretto del sovrano, alla forma di governo che tradizionalmente aveva gestito la Russia e al concetto di etnia, riferita alla parola russa narodnost’ , ovvero alla particolare natura del popolo russo. Il radicamento di tali concetti si ritrova espresso nelle forme «Per la fede, per lo zar, per la patria» che rappresentavano le parole d’ordine che erano utilizzate non solo all’interno dell’esercito, ma anche nella società per richiamare le forze contro il nemico, quale che fosse, della Russia. La triade di valori espressa da Krasnov è quindi estremamente chiarificatrice del suo modo di pensare; in lui i valori dell’antico regime dei Romanov erano ancora fondamentali, ed egli li testimoniava con il suo attivismo politico e con la produzione letteraria. Krasnov era certo che fosse necessario conservare e testimoniare in prima persona questi valori; su questi si sarebbe costruito ancora il futuro della Russia che egli aveva in mente.

  Come si posero i fascisti della RSI nei confronti dell’occupazione cosacca della Carnia?

  I fascisti ebbero scarsissimo margine d’azione sulla questione cosacca. Essendo il Friuli parte della zona di operazioni del Litorale Adriatico, la Repubblica Sociale, e con essa tutte le sue strutture militari e politiche, fu costretta in questa regione ad accettare la completa subordinazione all’autorità tedesca. L’insediamento e le modalità con le quali il contingente cosacco e i civili che lo seguivano avrebbero dovuto seguire per l’occupazione furono infatti stabilite esclusivamente dai tedeschi. Le autorità italiane della Repubblica di Salò non giocarono praticamente alcun ruolo significativo; lo stesso Mussolini venne informato dai tedeschi a cose fatte. Il duce ricevette le prime notizie sulla questione solo tramite una lettera dell’arcivescovo di Udine monsignor Nogara alla fine dell’agosto del 1944, prima che i comandi tedeschi ne facessero il primo riferimento. Per i fascisti la presenza dei cosacchi era certamente un argomento scomodo; essi tentarono di giustificare la loro presenza come funzionale alla lotta contro quelli che chiamavano i “ribelli”, ma le efferatezze messe in atto dai cosacchi per tutto il periodo di occupazione e il fatto che una così larga parte del territorio italiano fosse stata concessa a un ulteriore esercito di occupazione non giocarono certo a loro favore, anche nei confronti della popolazione. Ad ogni modo, come già detto, furono comunque costretti a piegarsi alla volontà nazista.

 

23 novembre 2012

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