Mare Monstrum. Intervista con Alessio Mannino Stampa

Mare Monstrum
Intervista con Alessio Mannino


a cura di Francesco Algisi

 

mannino maremonstrum  Alessio Mannino è nato il 17 luglio 1980 a Palermo. Laureato in Scienze della Comunicazione, vive a Vicenza, dove lavora come giornalista. Dirige il quotidiano telematico «Vvox.it». Curatore del blog "Asso di Picche", collabora a «La Voce del Ribelle» fondata da Massimo Fini e al sito "L'Intellettuale Dissidente". È autore dell'e-book "Contro. Considerazioni di un "antipolico"" (Maxangelo) e del recente volume "Mare monstrum. Immigrazione: bugie e tabù" (Arianna Editrice, 2014). Il tema affrontato in quest'ultimo saggio è al centro dell'intervista che segue.

  Dottor Mannino, perché ritiene "assurda" la proposta di aiutare gli immigrati "a casa loro" (cfr. p.11)?

  Semplice: perché il nostro cosiddetto "aiuto", in realtà, non è nient'altro che l'invasione scientifica dei nostri usi, costumi, consumi, macchine e interessi nel loro modo di vivere e autogestirsi, un neo-colonialismo mascherato che, stravolgendo il loro sistema economico e sociale, li porta poi a emigrare. È un circolo vizioso.

  Come si può definire l'ideologia immigrazionista (cfr. pag.15)?

  L'immigrazionismo, detto in due parole, è l'idolatria dell'immigrato, anzi del migrante, come l'uomo nuovo integralmente globale, che non ha più un'identità definita ma la cambia a seconda del luogo in cui sceglie, sulla spinta della necessità economica, di vivere. È uno straniato, un alieno a se stesso. Politicamente, l'ideologia del migrante è trasversale perché giustifica la manodopera a basso costo a destra, e il mito dell'abbraccio universale a sinistra.

  Lei scrive che corriamo il rischio di seguire la sorte degli immigrati: "tutti uguali perché, potenzialmente o di fatto, migranti" (pag.17)...

  Il magnificare l'immigrazione induce a pensare che l'emigrare sia un fatto fisiologico, normale e anzi benvenuto, nell'ottica di un mondo appiattito dalla globalizzazione, quando invece è e resta un trauma, che si può capire individualmente ma non giustificare politicamente. Se lo fanno loro, perché non anche noi, visto che ormai viviamo in una crisi economica permanente?

  A pag.34 si legge che spesso chi "viene portato a riva dopo una traversata sui barconi" non viene accompagnato – come dovrebbe – "a forza fuori dai confini". Perché succede questo?

  In Italia succede per mancanza di mezzi di dotazione alle forze dell'ordine, per pressapochismo, e io credo, anche perché così la politica può speculare in eterno sui clandestini.

  Che cosa pensa del reato di immigrazione clandestina?

  Penso che non sia la panacea del male di cui stiamo parlando. Nella severissima Australia, che prima che tocchino terra rinchiude gli immigrati indesiderati in centri situati in Stati vicini, questo reato non c'é.

  Perché i Paesi più ambiti dagli immigrati sono la Svezia, l'Inghilterra, la Francia e la Germania (cfr. pag.36)?

  Per il loro sistema di protezione sociale, che ad esempio in Svezia prevede aiuti anche agli stranieri non cittadini.

  Lei considera lo stile dei leghisti "controproducente" (pag.37)...

  Sì, perché pongono spesso problemi esatti in un modo e in un linguaggio che falsa i termini della questione, come quando parlano di invasione: non è un'invasione, l'immigrazione, perché non è pianificata, è piuttosto una dinamica interna al nostro modello globale di economia. È un meccanismo che ormai va per conto suo.

  Come giudica la proposta di Beppe Grillo di "fare dichiarare al profugo lo Stato di destinazione" (pag.37)?

  La trovo intelligente: ogni immigrato dovrebbe dire chiaramente dove vuole andare, e l'Europa dotare l'Italia di risorse per spedircelo. Invece noi, per il trattato di Dublino, ci ritroviamo a dover ospitare masse ingenti di stranieri che non vedono l'ora di scappare fuori dai nostri confini, e spesso ci riescono in clandestinità. Siamo degli idioti.

  A pag.42, scrive che Berlusconi, a parte i "suoi impudichi e umilianti baci dell'anello a un arrogante Gheddafi", andrebbe rivalutato "almeno sul capitolo dell'immigrazione"...

  Il principio sotteso all'accordo di Bengasi stilato con lui, e cioè che la gestione della prima accoglienza e della selezione degli immigrati va fatta fuori dai nostri confini, nelle sponde di partenza, è la via giusta. A patto di applicarlo in modo umano, e non nei lager che erano stati costruiti in Libia coi nostri soldi.

  Nella modernità industriale – si legge a pag. 56 - l'immigrato è assurto a figura "addirittura ideale". Che cosa significa?

  L'immigrato, lacerando radici e identità e offrendo braccia e mente a costi bassi, è lo schiavo industriale ideale. Rappresenta il nuovo esercito industriale di riserva, per dirla con Marx.

  Quale seguito hanno trovato le tesi dell'intellettuale marxista Henri Lefebvre sul "diritto alla differenza tra popoli e culture" (pag.56)?

  Se intende quanto seguito a sinistra, nessuno. La sinistra ha sostituito il marxismo (che come diagnosi è ancora attuale, non più nella terapia) con la madonna piangente Boldrini.

  Lei propone di "riconoscere lo ius soli alla prole di immigrati già cittadini" (pag.65)...

  Sì, per farli diventare cittadini subito. Non vedo perché no, se parlano fin dall'inizio la nostra lingua, frequentano le nostre scuole e imparano a essere italiani praticamente dalla nascita. Però i loro genitori, per avere la cittadinanza, devono sudare un po' dimostrando di partecipare attivamente alla vita sociale, dopo essere stati qui un certo numero di anni. Si è cittadini solo da cittadini attivi. E questo vale anche per gli italiani.

  In che modo si potrebbe attuare la "relazione rispettosa, ma gerarchica, fra comunità ospitante e comunità straniera" (pag.66)?

  Con accordi singoli e mirati fra lo Stato italiano e le diverse comunità etniche, non lasciando che ogni individuo straniero se la sbrighi da sé, con i noti problemi che ne derivano in termini di integrazione. Se una comunità non si struttura, niente riconoscimenti.

  Questa soluzione potrebbe realmente scongiurare, a suo avviso, il rischio assimilazionista?

  È la mia ipotesi, che chiamo comunitarista perché fondata appunto sul rapporto fra comunità e non sull'assimilazione della persona-atomo. Ma prima dovremmo ripensare noi italiani lo Stato come comunità e questo comporterebbe la sua completa riorganizzazione su basi di autonomia locale. La comunità è anzitutto il gruppo che ti sta più vicini e a cui senti di appartenere per prossimità.

  La proposta di "selezionare gli immigrati" (pag.67) non si espone all'accusa di discriminazione razziale?

  No, perché non sarebbe basata su criteri di razza, che trovo assurdi e ingiusti, ma di volta in volta su esigenze e scopi geopolitici, culturali, economici.

  Che cosa si potrebbe fare per recuperare l'identità italiana perduta (cfr. pag.67)?

  Prima bisognerebbe sapere in cosa consiste. Personalmente, mi porrei maggiormente la questione di come liberarci dai diktat della globalizzazione culturale, che poi altro non è che un'industria d'importazione della way of life statunitense.

  Il mito migratorio – si legge a pag.72 - ha lo scopo di "far morire le differenze, nemiche del mercato unico mondiale"...

La logica che è insita in esso è di spazzare via tutti gli ostacoli verso la creazione di un mercato unico mondiale di merci. Quindi, anche l'uomo deve diventare una merce interscambiabile, e perciò va livellato e omologato il più possibile.

  Come potremmo convincere gli immigrati "a prendere la strada del ritorno" (pag.74)?

  Convincerli, la vedo dura. Cominciamo con lo smettere di alimentare il processo attraverso operazioni radicalmente sbagliate come Mare Nostrum, ad esempio. Cerchiamo accordi coi Paesi vicini di flusso. Puntiamo i piedi in Europa buttando a mare la retorica di destra e sinistra sull'immigrato buono perché in realtà utile come schiavo. Ce ne sarebbero di cose da fare, specialmente sul lungo periodo, come riformulare il nostro rapporto col mondo (politica estera e politica economica), l'importante è che ci togliamo la sicumera di essere superiori moralmente e culturalmente e, d'altra parte, ristabiliamo un po' di limiti, di confini.

 

3 febbraio 2015

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