Sacramentum civitatis Stampa

Ferdinando Zuccotti

Sacramentum civitatis
Diritto costituzionale e Ius Sacrum nell'Arcaico ordinamento giuridico romano


LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, pagg.184, € 31,00

 

zuccotti sacramentum  In questo volume, Ferdinando Zuccotti (docente di diritto romano e diritto greco antico presso l'Università di Torino) ha raccolto quattro saggi accomunati dall'idea portante "rappresentata dalla soluzione che lo ius sacrum romano poteva offrire al problema dell'eterna immodificabilità delle leggi che oggi potrebbero venire definite come «costituzionali», ossia, in particolare, a quelle relative al carattere repubblicano di Roma e alla nuova natura «patrizio-plebea» dello Stato, questione che non sarebbe stata risolvibile mediante una semplice legge comiziale, in quanto tale sempre modificabile da parte dell'organo che l'aveva emessa, ma che poteva tuttavia rinvenire una soluzione efficacissima nel quadro della religione romana: in questo contesto, infatti, il giuramento di tutto i cives per sé e per i propri discendenti".

  Nella "concezione sacrale romana – spiega l'Autore - e quindi nella visione eziologica degli eventi ad essa connessa, il compiere determinati atti comporta, in una concatenazione degli eventi ove il piano umano si interseca e si confonde con quello sovrasensibile del divino, determinate conseguenze il cui verificarsi è percepito dalla mentalità romana specie più antica come logicamente indefettibile (ed infatti, come è stato acutamente osservato, il rito stesso non costituisce altro che il realizzare nel mondo sensibile la condizione perché qualcosa accada nel mondo invisibile, e quindi per predisporre altrove le cause degli eventi che si realizzeranno nel mondo fenomenologico)".

  La sanzione religiosa – che non deve necessariamente essere intesa alla stregua di una pena in senso moderno, "quanto piuttosto una misura per ristabilire la pax deorum" – ha lo scopo, nella concezione sacrale romana, "di seguire precise ritualità per porre fine alla situazione di scelus, soddisfacendo la divinità ed escludendo soprattutto dalla sua ira la comunità romana (si pensi alla vestale incesta che deve essere sepolta viva, o a chi ha violato l'altrui raccolto offendendo Cerere e che, in base a xii Tab. VIII.9, deve essere sacrificato alla dea delle messi, o ancora alla sacertà dell'aratore e dei buoi che abbiano anche involontariamente scalzato un termine e che vengono dichiarati sacri affinché il dio non si sdegni con la civitas cessando di proteggerne i confini, così come, nel primo caso, si vuole evitare che la dea irata cessi la sua funzione consistente nel far crescere le messi: ipotesi in cui l'inevitabile messa a morte del reo appare del tutto inessenziale e secondaria, dato che lo scopo direttamente perseguito è invece innanzitutto quello di seguire le precise ritualità che consentono di arginare e por fine al potere contaminante dell'illecito religioso). In tale impostazione, se l'illecito prevede, come avviene per lo spergiuro, che il colpevole venga abbandonato alla vendetta del dio, la comunità umana deve limitarsi a prendere atto di questa situazione di empietà, ponendo al bando il reo e al massimo sottolineando tale situazione di ostracismo attraverso le note e le multe censorie (che non riguardano il delitto in sé considerato, quanto la conseguente condizione di ignominia ('dedecus') in cui il reo è caduto di fronte alla civitas); ma irrogare specifiche sanzioni di diritto umano in una fattispecie che preveda viceversa l'abbandono dell'empio alla vendetta divina equivarrebbe in qualche modo, provenendo dalla civitas, a una riaffermazione della giurisdizione umana su di esso, negando implicitamente quella sorta di noxae deditio al dio rappresentata dalla sottesa ed implicita dichiarazione di «empietà»: e dunque ricoinvolgendo in definitiva la comunità stessa nella responsabilità oggettiva inerente lo scelus religioso".

  Nel volume, viene esaminato anche il tema del giuramento positivamente prestato da tutti i componenti della collettività, "ossia da tutti i cives romani che volontariamente compromettano se stessi e la propria discendenza nell'automaledizione che ne sanziona in maniera esplicita la violazione: un giuramento che dunque coinvolge nel suo complesso e indefettibilmente l'intera città in quanto tale per tutto il tempo a venire, ossia una volta per tutte irremeabilmente: e non a caso si ricorre a un simile giuramento collettivo, che vincola per sempre la civitas e la sua posizione di fronte alla divinità, appunto in occasione delle fondamentali svolte costituzionali dell'ordinamento romano: e in particolare, ai primordi della fase repubblicana, in relazione all'impegno di non tollerare in nessun caso un ritorno della monarchia, che rende definitivo e irrinunciabile il nuovo regime adottato dopo la cacciata dei Tarquini, e all'accettazione delle leges sacratae, che segnano il sorgere del nuovo assetto cosiddetto patrizio-plebeo della costituzione romana".

  "Il giuramento dell'intero popolo – spiega Zuccotti -, collocandosi sul piano del diritto sacrale e così coinvolgendo non solo l'ambito umano ma la stessa posizione della civitas di fronte agli dei, appare in effetti l'unico modo per rendere effettivamente irrevocabile una determinata scelta, in particolare, costituzionale. Se infatti, nello ius sacrum, il normale procedimento per ristabilire la pax deorum riguardo alla civitas consiste in quella sorta di 'noxae deditio' del colpevole alla divinità, attraverso cui la comunità espelle il reo dalla propria sfera di responsabilità in base a codificate ritualità purificatorie, appare chiaro come questo schema lustrale non possa realizzarsi nell'ipotesi in cui a essere colpevole di fronte agli dei sia l'intero popolo romano, il solo caso in cui è appunto per definizione impossibile tale estromissione della componente infetta dalla civitas: qualora infatti si tratti di un illecito religioso non rimediabile attraverso successivi atti di resipiscenza (come si è visto tra l'altro avvenire persino nel caso del bellum iniustum), lo scelus collettivo, in assenza di possibili procedure espiatorie, diviene di per sé inexpiabile, coinvolgendo fino alle estreme conseguenze la città intera nella rovina da esso implicata".