Palestina. Cento anni di colonialismo, guerra e resistenza Stampa

Rashid Khalidi

Palestina
Cento anni di colonialismo, guerra e resistenza

Laterza, pagg.416, € 24,00

 

khalidi palestina  "Palestina. Cento anni di colonialismo, guerra e resistenza" di Rashid Khalidi è un'opera di grande rilievo storiografico, capace di ridefinire i termini del dibattito sul conflitto israelo-palestinese attraverso una lente metodologicamente solida e apertamente contro-egemonica. L'autore, tra i più autorevoli storici del Medio Oriente e attuale professore emerito alla Columbia University, propone una narrazione complessa, stratificata e profondamente radicata nell'esperienza palestinese, tanto personale quanto collettiva.

  Khalidi introduce il suo racconto con una lettera del 1899 del suo antenato Yusuf Diya al-Khalidi, sindaco ottomano di Gerusalemme, rivolta a Theodor Herzl. Questo incipit, tutt'altro che simbolico, funge da dichiarazione d'intenti metodologica: la narrazione che seguirà sarà infatti filtrata attraverso una prospettiva interna, non solo geopolitica ma anche affettiva, radicata in una lunga tradizione familiare di impegno pubblico e intellettuale. La storia dei Khalidi, disseminata lungo i nodi cruciali della vicenda palestinese, diventa parte integrante dell'analisi, conferendo alla trattazione uno spessore umano che non scade mai nell'aneddotica.

  Il cuore interpretativo del libro risiede nella decostruzione della cornice narrativa che, sinora, ha definito il conflitto come uno scontro simmetrico tra due nazionalismi in competizione. Khalidi contesta radicalmente questa impostazione, sostituendola con una prospettiva che qualifica la vicenda palestinese come una lunga e ininterrotta guerra coloniale. Secondo l'autore, tale guerra si è sviluppata in tre fasi principali: la colonizzazione britannica (1917-1948), l'instaurazione e l'espansione dello Stato di Israele (dal 1948 in poi), e l'alleanza strutturale tra Israele e gli Stati Uniti, divenuti i principali sponsor politici, militari ed economici dello status quo. Questa chiave di lettura consente a Khalidi di individuare una continuità strutturale nella forma e negli obiettivi dell'oppressione inflitta al popolo palestinese, al di là dei mutamenti istituzionali e internazionali intervenuti.

  L'opera propone un uso esteso di fonti d'archivio inedite, documenti governativi britannici e americani, materiali giornalistici e testimonianze dirette, in parte tratte dagli archivi familiari. Khalidi combina queste fonti con una robusta bibliografia secondaria e un'attenta rilettura della storiografia esistente, offrendo un testo che unisce rigore accademico e accessibilità divulgativa.

  Nonostante la prospettiva esplicitamente palestinese, l'autore mantiene un approccio critico anche verso i propri referenti nazionali. Le responsabilità delle élite palestinesi, in particolare nel periodo del Mandato britannico e durante la guerra del 1948, vengono analizzate senza indulgenza. Questa onestà intellettuale rafforza la credibilità dell'intero impianto teorico e narrativo.

  Uno degli aspetti più interessanti del volume è l'attenzione riservata al ruolo delle potenze globali nella definizione del destino palestinese. Khalidi mette in luce come la Gran Bretagna, prima, e gli Stati Uniti, poi, abbiano agito non come arbitri imparziali ma come attori attivamente coinvolti nell'implementazione di un progetto coloniale. L'autore argomenta che le decisioni internazionali non sono mai state neutre, ma funzionali alla stabilizzazione di un ordine regionale che marginalizza sistematicamente i palestinesi.

  La narrazione si spinge fino alle dinamiche più recenti, comprese le implicazioni degli Accordi di Oslo e la progressiva erosione della legittimità dell'Autorità Nazionale Palestinese. In questo senso, il libro fornisce anche una cornice interpretativa utile per comprendere le recenti esplosioni di violenza e il ritorno di una resistenza diffusa, spesso al di fuori dei canali istituzionali.

  Khalidi offre un'alternativa coerente alla storiografia predominante, spesso improntata a una neutralità apparente che finisce per occultare le asimmetrie fondamentali del conflitto. In questo senso, il libro può essere letto come un intervento teorico volto a "decolonizzare" la narrazione storica, restituendo ai palestinesi non solo la voce ma anche l'agenzia. La narrazione non si limita a descrivere i fatti, ma li interpreta attraverso una lente che pone al centro le dinamiche di potere, resistenza e oppressione.
 
  Non si tratta semplicemente di una storia "dalla parte dei palestinesi", quanto piuttosto di un tentativo ben riuscito di offrire un paradigma interpretativo alternativo, fondato su una solida base documentaria e su una chiarezza analitica rara nel campo delle scienze storiche e politiche.

  Pur potendo suscitare dibattito e, in alcuni ambienti, anche opposizione, il libro di Khalidi è destinato a diventare un'opera che obbliga a ripensare non solo il passato, ma anche le possibilità future di giustizia e riconciliazione nella regione.