10 miti su Israele Stampa

Ilan Pappé

10 miti su Israele
traduzione di Federica Stagni
postfazione di Chiara Cruciati


Tamu, pagg.288, € 16,00

 

pappe 10miti  In "10 miti su Israele", Ilan Pappé offre un'analisi storica penetrante e al tempo stesso provocatoria del sionismo e dello Stato israeliano, sfidando in modo sistematico le principali narrazioni che ne hanno giustificato la fondazione e l'espansione territoriale. Lontano dall'essere un pamphlet ideologico, l'opera si configura come un contributo storiografico metodologicamente solido e concettualmente radicale, che intende ribaltare l'architettura discorsiva dominante nel racconto occidentale – e in larga parte anche accademico – sul conflitto israelo-palestinese.

  Pappé, storico israeliano formatosi nell'ambito della cosiddetta "nuova storiografia" del suo Paese, si è distinto per il rigore documentale e per il coraggio intellettuale con cui ha messo in discussione i fondamenti della narrazione sionista. In questo volume, l'autore isola dieci miti, ovvero dieci assiomi storici largamente accettati e riprodotti, che vanno dalla presunta desolazione della Palestina pre-sionista ("una terra senza popolo per un popolo senza terra") alla rappresentazione di Israele come unica democrazia del Medio Oriente, fino alla negazione dell'identità palestinese. Tali miti, lungi dall'essere semplici errori storiografici, sono descritti come dispositivi ideologici funzionali alla costruzione e al mantenimento di un ordine coloniale.

  L'approccio adottato da Pappé è dichiaratamente revisionista e si muove su un doppio binario: da un lato, un'accurata indagine archivistica e una robusta base documentaria, fondata su fonti primarie israeliane e britanniche; dall'altro, un impianto teorico influenzato dalle scienze sociali critiche, in particolare dagli studi post-coloniali e dalla teoria della memoria. Ne deriva un modello interpretativo che rifiuta tanto l'equidistanza storiografica quanto l'astrazione politologica, privilegiando invece una storia "situata", consapevole del proprio posizionamento etico e politico.

  Uno dei maggiori meriti del libro è la capacità di contestualizzare il sionismo all'interno delle dinamiche dell'espansionismo europeo moderno. Per Pappé, infatti, il progetto sionista – pur presentandosi come risposta all'oppressione antiebraica – ha adottato logiche coloniali di espropriazione, separazione etnica e dominio territoriale, analoghe a quelle sperimentate in Africa, in Asia e nelle Americhe. La Palestina diventa così teatro di una colonizzazione di insediamento, in cui l'obiettivo non è lo sfruttamento delle risorse, ma la sostituzione della popolazione autoctona. In questa lettura, il trauma della Shoah e l'aspirazione a una patria sicura per il popolo ebraico non cancellano, bensì complicano, le implicazioni morali e politiche del progetto sionista.

  Pappé è particolarmente incisivo quando si confronta con la retorica della legittima difesa, spesso impiegata per giustificare le guerre combattute da Israele e la sua politica di sicurezza. L'autore dimostra, con dovizia di fonti militari e diplomatiche, come le operazioni israeliane – dalla Nakba del 1948 alla guerra del 1967, fino alle offensive su Gaza – siano state frequentemente pianificate per consolidare il controllo territoriale piuttosto che per rispondere a minacce esistenziali. Lo stesso discorso vale per la supposta volontà di pace israeliana, che Pappé mostra essere spesso condizionata da un rifiuto strutturale del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, uno dei cardini del diritto internazionale.

  La struttura del volume è lineare e al contempo potente nella sua capacità argomentativa: ogni capitolo prende di mira un mito, ne ricostruisce la genesi e ne mostra la persistenza nel dibattito pubblico contemporaneo, smontandone le basi fattuali e rivelandone la funzione ideologica. L'autore non si limita a confutare: propone anche nuove chiavi interpretative, suggerendo una lettura alternativa della storia della regione fondata sulla giustizia storica, sulla decolonizzazione del discorso e sulla centralità della narrazione palestinese.

  Lungi dall'essere un lavoro accademico confinato negli ambiti specialistici della storia mediorientale, "10 miti su Israele" si configura come un testo politicamente rilevante, capace di intercettare alcune delle urgenze più pressanti del nostro tempo: il revisionismo storico, la manipolazione della memoria collettiva, l'ascesa del razzismo istituzionale e la crisi del diritto internazionale. La prospettiva di Pappé ha il pregio di sollevare domande fondamentali su cosa significhi "fare storia" in un contesto segnato da violenze strutturali e disuguaglianze epistemiche. La sua insistenza sulla responsabilità dello storico nel denunciare le menzogne del potere – anche a costo dell'emarginazione accademica, come è avvenuto nel suo caso – costituisce una sfida etica che trascende i confini del Medio Oriente.

  Alcuni studiosi rimproverano a Pappè un uso selettivo delle fonti, una certa mancanza di attenzione per le sfumature interne alla società israeliana e una tendenza a trascurare le contraddizioni del campo palestinese. Tuttavia, queste obiezioni non intaccano il valore complessivo del lavoro, il cui scopo dichiarato non è quello di offrire una visione bilanciata del conflitto, ma di restituire voce e dignità a una memoria rimossa.

  "10 miti su Israele" è, insomma, un'opera di rottura, coraggiosa e necessaria. Si tratta di un libro che non solo decostruisce narrazioni egemoniche, ma invita a ripensare radicalmente il ruolo della storiografia nel mondo contemporaneo. In un'epoca in cui la storia è sempre più terreno di contesa politica, Ilan Pappé ci ricorda che l'obiettività non coincide con la neutralità, e che l'impegno intellettuale più profondo consiste nel mettere la conoscenza al servizio della giustizia.