La Carta del Carnaro Stampa

Carlo Ricotti

La Carta del Carnaro
Dannunziana, massonica, autonomista


Fefè Editore, pagg.120, € 9,00

 

ricotti cartacarnaro  IL LIBRO – La Carta del Carnaro del 1920 fu più di un simbolo, di una prefigurazione di una società futura, come lo stesso D'Annunzio tendeva a presentarla. Il vero autore della Carta, il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris affermò invece che essa recepiva concezioni nuove quali "il riconoscimento del valore sociale del lavoro", una rappresentanza degli interessi espressa dalle corporazioni, un ampio ventaglio di diritti individuali e di libertà.

  DAL TESTO – "Fu lo stesso d'Annunzio a chiarire che "senza l'appoggio incondizionato della massoneria l'impresa di Ronchi non avrebbe potuto raggiungere il suo scopo"; ma l'influenza del Grande Oriente d'Italia, la maggiore comunione massonica del tempo, non si limitò al supporto organizzativo e/o politico, ma si irradiò diffusamente nell'ambito della stessa Carta, specie nella peculiare stesura degli istituti più qualificanti quali il lavoro, la proprietà, la libertà religiosa, l'eguaglianza di genere, nonché negli apporti personali di d'Annunzio con la redazione delle sezioni sulla Musica e sull'Edilità, e le aggiunte a quella delle Corporazioni.
  "Delle influenze libero-muratorie negli istituti della Carta del Carnaro, fa fede altresì, specie nel delicato tema dei diritti, quella pronunciata istanza egualitaria che sottende tutto il reticolato normativo della costituzione: un tema per tutti, quello del divorzio che, legalizzato a Fiume sin dal settecento e mantenuto dalla Reggenza, era stato discusso e proposto nelle logge fin dai primordi dell'unità d'Italia, sino all'approdo in Parlamento ad opera di "fratelli" come Raffaele Morelli, Berenini, Zanardelli. Per non parlare della "eguaglianza giuridica della donna", tema che proprio nel 1919 troverà ardite formulazioni nell'assemblea costituente del Grande Oriente d'Italia ed in importanti logge estere della comunione.
  "Ad una attenta analisi, poi, dei dibattiti e degli sviluppi delle dottrine massoniche nel primo dopoguerra, possiamo ben definirli antesignani di quel futuro "affievolimento" del diritto di proprietà nella Carta del Carnaro. A tale proposito vanno menzionate le richieste avanzate già nell'estate del 1917 dal Rito Simbolico Italiano, una delle organizzazioni della massoneria giustinianea, che prevedevano, anche dopo la conclusione del conflitto, la obbligatorietà della coltivazione della terra, il superamento del "concetto quiritario della proprietà" e la concessione diretta delle terre ai lavoratori "a condizioni di equità". A guerra finita, il 21 giugno 1919 sarà il Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese, l'ex Gran Maestro Ferrari, a sottolineare la necessità di "trasformazioni della costituzione sociale" e ad invocare "rapidi ed immediati provvedimenti per la trasformazione del diritto di proprietà": due giorni dopo la Costituente massonica convocata per eleggere il nuovo Gran Maestro approverà all'unanimità un ordine del giorno che prevedeva la "revisione del diritto di proprietà che deve ormai subordinarsi agli interessi prevalenti della collettività". Era in altre parole l'anticipazione diretta di quella formula "rivoluzionaria" della "funzione sociale della proprietà" che il massone De Ambris avrebbe introdotto sei mesi più tardi nella Carta del Carnaro e che il costituente italiano recepirà nel secondo dopoguerra."

  L'AUTORE – Carlo Ricotti è docente di Storia delle istituzioni politiche e amministrative, a Roma, presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS/Libera Università Internazionale degli Studi Sociali "Guido Carli".

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