Una gentildonna inglese e il mar Mediterraneo Stampa

Elina Gugliuzzo

Una gentildonna inglese e il mar Mediterraneo
La peste di Tripoli
1784-1786


Società Editrice Dante Alighieri, pagg.244, € 22,00

 

gugliuzzo gentildonna  Elina Gugliuzzo (professoressa associata di Storia moderna presso l'Università Pegaso di Napoli) approfondisce il tema dell'epidemia di peste che colpì Tripoli tra il 1784 e il 1786, utilizzando come fonte le lettere di miss Tully, "una donna straordinariamente dotata non solo di una considerevole abilità letteraria, ma anche di un occhio attento e molto preciso, e un'incessante diligenza nell'affidare alla carta gli eventi".

  Questa nobildonna inglese, di cui non si conosce il nome, giunse a Tripoli nel luglio 1783 e si stabilì nella casa del console britannico, Richard Tully, restandovi fino al 1793.

  Nel corso della sua permanenza nella capitale della Reggenza tripolina, miss Tully tenne un diario, "che era contenuto in una serie di lettere ad un amico in Inghilterra, un po' nello stile di quelle di Lady Wortley Montagu. Queste lettere, scritte spesso nello stesso giorno man mano che gli eventi scorrevano, hanno un valore eccezionale per lo storico, provenendo dalla penna di una persona che aveva accesso costante e facile al Castello, che si muoveva in «friendly terms» tra gli harem del pascià e dei principi. Ma non c'era solo questo: la signorina Tully si spingeva per la città carica di domande, per rendersi conto della storia, di «the manners and the customs» della gente di Tripoli".
A due anni dall'inizio della suo arrivo, Tripoli fu colpita "da una peste mortale, che ebbe ripercussioni per molti anni dopo. La malattia si stava diffondendo come un fuoco selvaggio nelle aree circostanti della città; tuttavia, a causa della vastità del Sahara, sarebbero occorsi diversi anni perché raggiungesse Bengasi e la Cirenaica".
Dallo studio della situazione di Tripoli in occasione della peste del 1784-1786, spiega Elina Gugliuzzo, emerge "attendibilmente una maggiore eguaglianza di fronte alla morte nella società tripolina rispetto alle società europee. In queste la differenza di classe viene esaltata dalla possibilità di fuga dei più ricchi, i quali spostandosi nelle loro residenze di campagna o rinchiudendosi nelle loro ben fornite case, lasciano in città i più poveri, che vanno incontro quindi a maggiori rischi non solo di perire per la malattia epidemica, ma anche di deperire fisicamente per la difficoltà di continuare a guadagnarsi la vita e quindi di procurarsi del cibo. Lo stesso vale per i ceti popolari di Tripoli, ma in città miss Tully registra e ricorda la caducità delle vite anche dei ricchi: di fatto emergono minori disuguaglianze sociali. Quando la stessa Tully attesta che degli europei presenti in città – fra cui vanno compresi gli schiavi – muoiono i nove decimi, non fa altro che ribaltare le disuguaglianze fra i «cristiani»: il decimo che si salva è quello composto dalle persone con la sua stessa posizione sociale. Ai due quinti si ferma la mortalità epidemica fra i «mori»; i decessi sono frequenti anche nelle famiglie facoltose della città".