Il nodo di Gordio Stampa

Ernst Jünger - Carl Schmitt

Il nodo di Gordio
A cura di Giovanni Gurisatti


Adelphi Edizioni, pagg.238, € 14,00

 

juenger gordio  "Il nodo di Gordio" di Ernst Jünger venne pubblicato per la prima volta nel 1953, cui seguì, due anni più tardi, lo scritto di Carl Schmitt intitolato "La struttura storica dell'attuale contrapposizione planetaria tra Oriente e Occidente. Note sullo scritto di Jünger «Il nodo di Gordio»". Entrambi i testi sono raccolti in questo volume pubblicato nella collana "Piccola Biblioteca Adelphi" e curato da Giovanni Gurisatti, il quale oltre ad averli tradotti insieme con Alessandro Stavru è anche l'autore del saggio conclusivo avente per titolo "L'Europa possibile di Jünger e Schmitt".

  Jünger richiama un'antica profezia, in base alla quale "colui che fosse riuscito a sciogliere il nodo di Gordio avrebbe avuto il dominio del mondo". Il nodo di Gordio prende il nome da "un re della Frigia, terra la cui storia rimane oscura, ma che nel mito risplende di chiara luce" e "gode di una sua eterna attualità. In quanto simbolo del potere tellurico e dei suoi vincoli, viene evocato a ogni incontro tra Europa e Asia, e ogni volta deve essere nuovamente tagliato. Ciò significa un incontro con antiche sventure".

  Secondo l'Autore, "la lotta tra gli imperi antichi e quelli moderni, al di qua e al di là del nodo di Gordio, la lotta tra il potere tellurico e la libera luce, non avrà mai vincitori né vinti. In definitiva, questa lotta non viene combattuta tra immagini e idoli, tra Paesi, popoli, razze e continenti, ma in ciò che nell'uomo è incommensurabile: la sua più profonda interiorità. Sarà combattuta non solo da Alessandro, ma anche dentro di lui. È una lotta terribile e indispensabile, grazie alla quale si mantiene l'ordine mondiale. Così come nella preistoria Nord e Sud hanno plasmato il carattere elementare dell'uomo attraverso l'alternarsi delle glaciazioni, allo stesso modo nel corso della storia Oriente e Occidente ne hanno plasmato il carattere morale in flussi e riflussi, in un alternarsi di tensione e armonia".

  All'interpretazione jüngeriana del dualismo tra Oriente e Occidente Carl Schmitt oppone "un'altra immagine: l'epoca storica della rivoluzione industriale e della tecnica scatenata come conseguenza del passaggio a un'esistenza marittima, dove tale passaggio, a sua volta, non fu altro che la risposta concreta alla chiamata storica degli oceani del mondo che allora si stavano aprendo. Per noi l'attuale dualismo planetario è una contrapposizione – non già polare, ma storico-dialettica – fra terra e mare".

  "Con la nostra interpretazione – aggiunge Schmitt - emerge però subito una nuova questione e subito, con essa, un nuovo pericolo. Ci si domanda quale sia mai, oggi, la chiamata presente, attuale, della storia. Certamente la chiamata attuale non coincide più con quella dell'epoca in cui gli oceani si stavano aprendo. Di conseguenza alla chiamata attuale non si può più dare la risposta di un tempo. Anche qualsiasi ulteriore sviluppo di quella risposta oggi non è di alcuna utilità, nemmeno le ulteriori, disperate spinte di una tecnica scatenata verso il cosmo, spinte che hanno solo il senso di trasformare il pianeta in cui abitiamo, la Terra, in una nave spaziale. Purtroppo è del tutto naturale che gli uomini reagiscano alla nuova chiamata con la vecchia risposta, visto che in un'epoca precedente si è dimostrata giusta ed efficace. Il pericolo consiste nel fatto che gli uomini, credendo di essere storici, e attenendosi a ciò che è stato vero una volta in passato, dimenticano che una verità storica è vera una volta sola. Vogliono ignorare che la risposta a una nuova chiamata della storia, vista da una prospettiva umana, può essere solo un imperativo basilare, e per lo più addirittura solo un imperativo cieco. Per questo proprio l'ulteriore sviluppo della vecchia risposta diventa antistorico, e tanto più naturale appare quindi che il vincitore dell'epoca passata fallisca più facilmente di altri nella risposta alla nuova chiamata della storia".