Obiettivo Iraq | ||||
Jean-Marie Benjamin | ||||
Editori Riuniti, pagg. 240, Euro 12,00 | ||||
Padre Jean-Marie Benjamin è un sacerdote di origine francese, ma risiede in Italia da oltre trent'anni. Già funzionario dell'Onu, attualmente è presidente del "Benjamin Committee for Iraq", un 'comitato' che dal 1997 è impegnato nella denuncia della tragica situazione in cui versa il Popolo iracheno. Recentemente ha dato alle stampe il suo secondo libro dedicato all'Iraq, di cui ci aveva anticipato l'uscita nel corso di un colloquio telefonico avvenuto nello scorso mese di marzo. In quei giorni, Padre Benjamin era in cerca di un editore "coraggioso", che fosse cioè disposto a pubblicare la sua opera 'controcorrente' su un argomento 'spinoso' e di strettissima attualità qual è appunto la "questione irachena" (nelle ultime settimane l'Iraq è tornato a occupare le prime pagine dei giornali europei e occidentali ...'brutto' segno: di solito, alla 'tempesta' mediatica succede quella nel deserto…). Ci disse, inoltre, di aver sottoposto il 'testo' ad alcune importanti case editrici (tra cui Mondadori…), ricevendo per lo più imbarazzati dinieghi. Da alcune settimane, "Obiettivo Iraq. Nel mirino di Washington" è in libreria. Scritto sotto forma di 'diario', esso rende pubblici - per la prima volta! - importanti documenti del Pentagono e del Dipartimento di Stato Usa, e ha, tra gli altri, il merito di dar voce senza censure alle ragioni della Repubblica dell'Iraq. L'opera prende le mosse dalla Guerra del Golfo Arabico del 1991, l'aggressione terroristica guidata dagli Stati Uniti che riportò l'Iraq "all'età della pietra" (in conformità con gli auspici di James Baker), ne provocò l'isolamento politico e diplomatico, ne favorì il blocco economico (tuttora perdurante, con gravissime ripercussioni sull'inerme popolazione civile), e sancì la reclusione del Popolo iracheno in un grande campo di concentramento contaminato dalle armi all'uranio impoverito (nella fattispecie, forse, l'espressione "campo di sterminio" non risulterebbe inappropriata. Nel 1941 uscì negli Stati Uniti un libello di Theodore N. Kaufman dal titolo rivelatore "Germany must perish!": vi si proponeva senza tanti giri di parole lo sterminio dell'intero Popolo tedesco, e se ne illustravano anche le pratiche modalità di esecuzione. Quel progetto (che definire 'criminale' pare un eufemismo…), con le debite modifiche determinate dal differente contesto 'storico', è stato applicato negli ultimi dodici anni in Mesopotamia: "Iraq must perish!". Del resto, gli Iracheni sono considerati i Prussiani del Medio Oriente…). Ma torniamo ai fatti del 1990-1991. Perché gli americani decisero di aggredire l'Iraq? Il vice-primo ministro iracheno Tareq Aziz, intervistato da Padre Benjamin, così risponde: "In quel periodo, (…) nel 1988, nell'89, nel '90, gli ebrei americani e quelli europei nutrivano un certo accanimento nei confronti dell'Iraq, perché avevano sperato che esso uscisse dalla guerra [contro l'Iran, ndr] sull'orlo del collasso. Quando invece l'Iraq ne uscì vincitore, forte e "in piena salute", con dalla sua l'appoggio del mondo arabo, si resero conto che esso era diventato un pericolo per Israele (…) e per gli interessi statunitensi illegittimi nel Golfo" (1). Quindi, la cosiddetta "liberazione" del Kuwait era un pretesto, dietro cui si nascondeva il tentativo americano-sionista di occupare l'Iraq e condurlo nella sfera di influenza degli Usa. Altrettanto pretestuose risultano, oggi, le accuse relative alla presunta contiguità irachena rispetto al cosiddetto "terrorismo internazionale" o, addirittura, al coinvolgimento dell'Iraq negli attentati dell'11 settembre (2). Esse adombrano la volontà statunitense di perseguire l'obiettivo di 'sempre': destituire il legittimo Governo iracheno (3). "C'è un costo per poter dire che siamo liberi, non accettiamo di essere soggiogati e abbiamo il diritto di scegliere la nostra strada e i nostri amici.. La nostra indipendenza economica e politica ha il suo prezzo; perciò, gli americani hanno cominciato giorno dopo giorno a manifestare le loro intenzioni… essi vogliono che l'Iraq paghi il prezzo delle sue posizioni, della sua indipendenza e della sua fede nazionale", ha di recente affermato il Presidente Saddam Hussein (4). Gli ispettori dell'Unscom (che, in realtà, lavoravano - e Padre Benjamin lo dimostra con dovizia di documentazione - per la Cia e il Mossad), nel corso delle loro "missioni" in Iraq, "hanno esaminato - come ricordava il vice-primo ministro Aziz alcuni mesi or sono - ogni fessura e rivoltato ogni pietra, ma quello che ancora manca è il rapporto conclusivo, che costituisce la premessa per la fine delle sanzioni contro il nostro Paese". Tale rapporto 'stenta' ad arrivare proprio per non privare gli atlantici della giustificazione per prolungare le sanzioni criminali e quindi l'agonìa del Popolo iracheno ('colpevole' di non essersi 'sbarazzato' dei governanti 'sgraditi' ai sionisti), e per garantire ai "dottor Stranamore" del Pentagono, nello stesso tempo, la possibilità di predisporre i piani per un'aggressione militare tesa non già alla distruzione di inesistenti arsenali di armi chimiche e batteriologiche, bensì alla sostituzione dell'attuale classe dirigente irachena con dei burattini asserviti alla plutocrazia internazionale (5). L'Iraq non produce né possiede armi di distruzione di massa, e gli americani lo sanno bene. La Repubblica dell'Iraq, inoltre, è l'unico Stato ad aver avanzato una proposta seria affinché esse vengano messe al bando in 'tutta' la regione del Medio Oriente (soltanto "Israele", peraltro, dispone, nell'area mediorientale, di tali ordigni ...pare che il suo arsenale sia costituito, tra l'altro, da oltre duecento testate atomiche...). E' più che legittima, dunque, la riluttanza manifestata dalla dirigenza irachena di fronte ai reiterati inviti provenienti dalla "comunità internazionale" a consentire il ritorno a Baghdad delle spie travestite da ispettori: il Governo del Presidente Saddam Hussein 'deve' difendere la sovranità nazionale dell'Iraq. Quanto alle sanzioni criminali, Padre Benjamin scrive che "nel suo rapporto del 12 agosto 1999, l'Unicef conferma la morte di 90.000 bambini l'anno in Iraq, vittime dell'embargo: ogni mese, oltre 5.000 bambini di età inferiore ai cinque anni e oltre 4.000 bambini di età superiore ai cinque anni muoiono di fame e di malattie (diarrea, polmonite, ipertensione, tumori, diabete, disfunzioni cardiache). Un bambino iracheno su quattro soffre di malnutrizione e diversi milioni ne sono vittime. Il 12% dei bambini sotto osservazione a Baghdad muore, il 28% è affetto da rachitismo e il 29% è sottopeso. La mortalità infantile è passata dal 23 per mille nel 1990 al 92 per mille nel 1995 e al 130 per mille nel 1998" (6). Durante i bombardamenti terroristici del 1991, gli americani 'scaricarono' sul territorio iracheno 940.000 proiettili da 30 mm con cariche di uranio impoverito (7) e oltre 14.000 proiettili all'UI di calibro maggiore. In seguito all'esposizione continuata in ambienti contaminati da tale sostanza radioattiva, si sono registrati tra i neonati e i bambini dell'Iraq innumerevoli casi di gravissime malformazioni. "Si è dovuto aspettare il luglio 2001 - scrive Padre Benjamin - perché l'Oms inviasse in Iraq una prima delegazione nella prospettiva di aprire un'inchiesta sull'uranio impoverito, in collaborazione con gli esperti iracheni" (8). L'ultima parte del libro di Padre Benjamin è dedicata alla "coabitazione" fra musulmani e cristiani in Iraq. Afferma il cristiano Tareq Aziz: "Così è la società irachena: possono vivere una accanto all'altra una famiglia cristiana e una musulmana. Sono amici. Vanno d'accordo. A volte sono soci in affari. E ognuno rispetta le credenze dell'altro. Se entri in una chiesa di Baghdad dedicata alla vergine Maria, puoi vedere molte donne musulmane che accendono candele. Puoi vedere questo spettacolo. Se vai a al Shir-Habdul-Kadul-Ghaladhi, se entri nella moschea di Al-Fussein, Immahmal Hussein Immahmal Abbas, potresti trovare cristiani che pregano" (9). La libertà religiosa che si respira in Iraq è sconosciuta al resto del mondo arabo-islamico: la Costituzione irachena non soltanto garantisce il diritto di culto, di predicazione e di proprietà per l'Islam e il Cristianesimo, ma riconosce anche ai Cristiani gli stessi diritti di culto e le stesse prerogative in campo professionale, sociale ed economico conferiti ai musulmani. Il Patriarca dei caldei, Raphael Bidawid, è un amico del Presidente Saddam Hussein (chi ha 'seguito' l'intervista che egli ha rilasciato nel corso della trasmissione "Frontiere", mandata in onda da Raiuno il 12 luglio 2002, avrà senz'altro notato come il Patriarca tenga in bella mostra nel suo studio una fotografia che lo ritrae in compagnia del Raìs). In Iraq, inoltre, non si sono mai registrati incresciosi episodi di violenza a danno delle minoranze religiose (a differenza del Pakistan del "democratico" Musharraf, servo degli Usa, dove negli ultimi tempi sono state commesse diverse stragi contro i cristiani); al contrario, Mons. Jacques Issak, segretario del Sinodo della Chiesa caldea, sostiene che "quando gli Stati Uniti hanno attaccato l'Afghanistan, il governo [iracheno, ndr] ha dato ordini precisi di punire severamente eventuali attacchi contro i cristiani" (10). Purtroppo, Padre Benjamin evita di ricordare, nel libro, come tutti gli Iracheni (non solo quelli di religione cristiana) abbiano atteso 'invano', in occasione del Giubileo del 2000, la promessa visita di Giovanni Paolo II. E' doveroso sottolineare che quel viaggio non ebbe luogo, perché il Papa (che in precedenza non aveva disdegnato di stringere la mano, per esempio, a Fidel Castro e ad Augusto Pinochet) si piegò alle indebite pressioni esercitate sul Vaticano dal Congresso Mondiale Ebraico e dalla "lobby" ebraica americana (11). "Obiettivo Iraq" è la 'migliore' risposta alle accuse e alle aggressive minacce statunitensi contro l'Iraq. NOTE: |