Il sionismo americano tra le due guerre mondiali Stampa

Antonio Donno - Giuliana Iurlano - David Elber

Il sionismo americano tra le due guerre mondiali

Le Lettere, pagg.232, € 18,00

 

iurlano sionismo  Nel vasto panorama degli studi sul sionismo e sulle relazioni internazionali del primo Novecento, "Il sionismo americano tra le due guerre mondiali" rappresenta un contributo rilevante e metodologicamente articolato, che colma un vuoto significativo nella storiografia italiana sul tema. Il volume, curato da tre autori con profili e approcci disciplinari complementari — Antonio Donno, Giuliana Iurlano e David Elber — affronta in modo esaustivo la genesi, l'evoluzione e le tensioni interne del movimento sionista negli Stati Uniti tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, con una particolare attenzione al dialogo — spesso conflittuale — con il sionismo europeo.

  Organizzato in tre parti distinte ma interconnesse, il libro adotta un impianto strutturale che consente al lettore di cogliere, da prospettive diverse, le dinamiche politiche, culturali e ideologiche che hanno segnato il sionismo oltreoceano durante un periodo cruciale per la storia ebraica e mediorientale.

  David Elber, nella prima parte, ricostruisce con notevole rigore storiografico la fase compresa tra la Conferenza di pace di Parigi del 1919 e il consolidamento della leadership di Chaim Weizmann nel 1923. In particolare, l'attenzione è rivolta all'elaborazione e alla presentazione del memorandum sionista, che trovò riconoscimento nella Conferenza di Sanremo del 1920. L'autore mostra con chiarezza come il sionismo sia riuscito, in quel contesto, a ottenere una prima legittimazione sul piano diplomatico internazionale, grazie a un'efficace mobilitazione politica e alla capacità di inserirsi nei meccanismi della diplomazia postbellica. La sezione si distingue per l'attenta lettura delle fonti e per la capacità di delineare i molteplici livelli su cui si giocava la questione sionista: dal diritto internazionale alle pressioni dell'opinione pubblica, dalle dinamiche intra-ebraiche ai rapporti con le potenze vincitrici della guerra.

  Antonio Donno, nella seconda parte, si concentra sul panorama interno statunitense e analizza in profondità la complessa costellazione del sionismo americano tra gli anni Venti e Trenta. Il cuore della sua analisi è rappresentato dalle frizioni tra sionisti e non-sionisti — all'interno della più ampia comunità ebraica americana — e dalle divisioni tra le varie correnti sioniste stesse. L'autore mette in luce le strategie adottate dal movimento per ottenere il sostegno dell'opinione pubblica e delle istituzioni statunitensi, nonché i limiti strutturali di tale impresa, in particolare durante la presidenza di Franklin D. Roosevelt. Pur ravvisandosi un'iniziale apertura verso le istanze sioniste, Donno evidenzia come l'amministrazione rooseveltiana abbia in realtà mantenuto una linea ambigua e reticente, soprattutto di fronte alle politiche restrittive britanniche in Palestina. L'approccio dell'autore è profondamente contestualizzante: le dinamiche interne al sionismo americano vengono infatti lette alla luce delle trasformazioni sociali e politiche degli Stati Uniti dell'epoca, offrendo così un quadro complesso ma coeso.

  Giuliana Iurlano, nella terza parte, propone un confronto intellettuale di particolare spessore tra due delle figure più emblematiche del sionismo internazionale: Louis D. Brandeis e Chaim Weizmann. L'analisi si muove lungo l'asse della contrapposizione tra il modello statunitense e quello europeo di sionismo, mettendo a fuoco non solo divergenze strategiche ma anche profonde differenze culturali e filosofiche. Da un lato, Brandeis rappresenta un sionismo "liberale" e radicato nei valori democratici americani, dall'altro, Weizmann incarna una visione più organica, politica e continentale del progetto nazionale ebraico. Iurlano esplora questa dialettica con finezza analitica, evitando letture semplificatorie e mostrando come le tensioni tra le due visioni abbiano contribuito a forgiare un'identità sionista transnazionale che, pur segnata da dissidi, fu capace di convergere, nel secondo dopoguerra, verso l'obiettivo comune della fondazione dello Stato di Israele.

  Uno dei principali meriti del volume risiede proprio nella capacità di restituire la complessità del sionismo come movimento internazionale, policentrico e attraversato da tensioni ideologiche, strategiche e culturali. Lungi dal proporre una narrazione univoca o lineare, gli autori offrono invece una lettura sfaccettata, capace di integrare i diversi livelli — locale, nazionale, transatlantico — su cui si articolava la questione sionista nel periodo tra le due guerre.

  Dal punto di vista metodologico, il libro si segnala per il rigore filologico, l'ampiezza delle fonti utilizzate (diplomatiche, giornalistiche, epistolari, memorialistiche), e la solidità dell'impianto analitico. Ogni sezione, pur mantenendo una propria autonomia tematica, dialoga coerentemente con le altre, grazie a una struttura editoriale ben calibrata e a una visione d'insieme condivisa dagli autori.

  Dal punto di vista storiografico, "Il sionismo americano tra le due guerre mondiali" si inserisce nella migliore tradizione degli studi internazionali sul sionismo, pur conservando una marcata originalità nella prospettiva italiana. L'opera si presta a diversi livelli di lettura: da un lato, come contributo alla storia del movimento sionista e del pensiero politico ebraico; dall'altro, come strumento per comprendere il ruolo crescente degli Stati Uniti nella definizione della geopolitica mediorientale, ben prima della loro egemonia postbellica.

  L'equilibrio tra rigore accademico, chiarezza espositiva e profondità interpretativa rende quest'opera un contributo durevole e stimolante alla riflessione sul sionismo e sulla sua dimensione globale nel XX secolo.