L’ambientalismo ai tempi della destra Stampa E-mail

La difesa della razza. L’ambientalismo ai tempi della destra

di Carlo Agostini

 

INDICE

- Perché questo scritto ?

- Sì alla TAV

- Sì al Mose

- Sì al ponte sullo Stretto

- Funzione ed ecologia

- Santuari, monasteri, castelli, torri, ciminiere

- Le aristocrazie

- Le democrazie

- Sì alle autostrade

- Concetto di arca di Noè

- Sì alla caccia

- Le grandi opere non sono necessariamente brutte

- L’ambientalismo senza anima

- Conclusioni

- L’Autore


ambientalismo  Perché questo scritto?

  Perché dopo la recente estromissione dal parlamento italiano in conseguenza del voto popolare dei Verdi come partito politico, sembra oggi in Italia che la rappresentanza ambientale e delle idee ad essa correlate sia scomparsa ed eclissata. I Verdi non sono più in Parlamento e restano solo le Associazioni Ambientali storiche. Tra queste in primis WWF ed Italia Nostra, con altre ancora di più recente formazione come Legambiente, FAI, Fare Verde, nonché una miriade di altre sigle che negli ultimi decenni hanno proliferato. Questo avviene sull’onda del sempre maggiore consenso all’idea ma qualcuno, con qualche ragione, preferisce parlare di “ideologia” ambientatale.

  I Verdi rappresentavano senz’altro una voce forte presente quasi tutti i giorni nel dibattito politico Quello che resta oggi di quelle idee pur con una sempre notevole presenza nella cultura politica contemporanea sembra una voce ed un suono che giunge come “onda lunga” di tempesta lontana di cui è smarrito il luogo di origine  e le cause scatenanti.

  Restano le Associazioni Ambientali storiche di cui sopra ma la loro presenza era necessariamente sempre stata più debole del partito di Verdi  e tale resta forse per la non presenza specifica nel cuore steso della politica, governo o aula parlamentare che sia.

  L’ambientalismo naturalmente, rimane fortissimo nella cultura politica dei paesi occidentali soprattutto con l’arrivo oggi alla Casa Bianca del democratico Obama. Da questi paesi si riversa poi nel nostro dove governa il Centro Destra berlusconiano, la cui cultura politica era senz’altro all’inizio ostile e ora si è mutata in “possibilista” ma resta comunque tiepida, nei confronti delle problematiche ambientali.

  I padroncini con il SUV che votano Forza Italia oggi Popolo della Libertà, magari imprecano imbottigliati nel traffico cittadino e nell’inutile ricerca di un parcheggio ma non si chiedono come moltissimi altri, se non ci sia qualche altra forma alternativa di trasporto. Al contrario gli intellettualini della Sinistra prigionieri dei loro schemi culturali mutuati direttamente dal sessantotto e dai movimenti libertari degli anni sessanta-settanta, non riescono a prescindere dal loro stantio egualitarismo. Non riescono a distinguere costoro  un giovane dei centri sociali, un turista od uno studente  da un funzionario o manager che sia, il quale deve, quest’ultimo, per forza prendere il treno per lavoro in giacca e cravatta. Se poi detto treno arriva in ritardo, malmesso e sporco ed ha tempi di percorrenza da diligenza ippotrainata non può che salire sul suo Suv sopradetto e recarsi a lavoro con quel mezzo. Ciò lasciando le ferrovie ad altri meno esigenti in fatto di pulizia ed orari oppure a categorie di persone come i pendolari che “obtorto collo” devono di questa situazione e di questo tipo di trasporti accontentarsi.

  Le Associazioni Ambientali storiche (chi scrive era già a vent’anni segretario di Italia Nostra “Etruria Senese” ed a trenta consigliere regionale toscano del WWF) pagano anche, a nostro avviso, il prezzo dell’essersi appiattite sulle posizioni politiche dei Verdi che davano in decenni di presenza politica senz’altro lustro e risalto alle idee ambientali ma che necessariamente non potevano esimersi  dalle loro ancestrali origini culturali. I Verdi credevano in fondo essere sempre l’uomo un buon selvaggio alla pari con gli altri esseri viventi e ça va sans dire con gli altri uomini suoi simili.

  Le origini ancestrali dei Verdi sono quelle della sinistra di sempre e nei secoli più recenti sono essi i pronipoti dell’illuminismo settecentesco europeo. Oggi  inoltre, per quanto riguarda la quasi contemporaneità, i Verdi sono esponenti diretti per lo meno nei loro leaders storici, dei figli dei fiori, del sessantotto appunto ed anche ahimè degli “anni di piombo”. Tutto ciò fino a far sospettare peraltro con qualche riscontro, che l’ambientalismo di questi ultimi non sia stato in ultima analisi, che una continuazione della lotta di classe di questi ex comunisti, contro la sempre deprecata società capitalistica occidentale… “Verdi di fuori rossi di dentro come i cocomeri”; cosi si diceva tra amici nei bar della Penisola.

  Le Associazioni Ambientali storiche anche quelle di non diretta emanazione culturale dalla sinistra come Legambiente, hanno negli ultimi anni sposato pedissequamente le  posizioni  dei Verdi.  Presidente di Italia Nostra è stato per molti anni, come è noto, il verde Carlo Ripa di Meana, vicepresidente il verde Giuseppe Giliberti, quest’ultimo mio “fratellino” per la comune appartenenza all’Ordine Goliardico nazionale dei Clerici Vagantes.  Hanno detto quindi le Associazioni, come i Verdi, di no a tutto con senile fissità e dunque il sottoscritto dopo aver festeggiato tra l’altro i trent’anni di iscrizione al  WWF, ha pensato bene di non  rinnovare iscrizione alcuna a questi sodalizi. Sono rimasto soltanto iscritto a Legambiente ma solo per vecchia amicizia personale con l’attuale presidente regionale toscano Piero Baronti e con il quale militavo insieme a Firenze, verso la fine degli anni settanta, nella Lega Anti Caccia. Per tutto questo è giunta l’ora di  puntualizzare e distinguere per cercare di superare vecchie opinioni  ormai sclerotizzate e assolutamente preconcette.

 

  Sì alla TAV

  Perché ? Perché senza infrastrutture non si fa neanche ambientalismo.

  Il minimalismo dei Verdi e dei governi di sinistra su cui come detto sopra si sono appiattite  anche le Associazioni Ambientali storiche, ha provocato un rifiuto ed una contestazione anche con proteste popolari sulle  programmate Grandi Opere. La Tav prima di tutto, il Mose, naturalmente il Ponte sullo Stretto di Messina ma anche i rigassificatori, le centrali atomiche ed i raddoppi e le nuove direttive autostradali ed anche “ udite, udite !!” il grande  parcheggio del Pincio a Roma;quest’ultimo contestato fortemente da Italia Nostra. Esaminiamo le singole “grandi opere” una per una precisando subito che il mio allontanamento da tutte le associazioni ambientali a cui ero precedentemente iscritto è proprio dovuto alla constatazione che il minimalismo di cui sopra ormai dilaga nelle stesse associazioni ambientali. Questo minimalismo ha di fatto bloccato l’evolversi dell’Italia impedendo la stessa risoluzione dei problemi ambientali.

  Perché  “Sì alla TAV”?...Perché si e detto per anni e giustamente da tutti noi ambientalisti che il trasporto doveva essere spostato il più possibile sulle linee ferroviarie, per evitare l’intasamento delle autostrade, ridurre l’inquinamento dei motori a combustione e da ultimo ma sempre con maggiore ragione visto la quantità di incidenti stradali ed i morti e feriti quotidiani, per una maggiore sicurezza nei trasporti. Non c’è infatti paragone tra la sicurezza ed il numero di morti e feriti nei rarissimi incidenti ferroviari con la vera e propria mattanza che avviene ogni giorno, sulle strade per incidenti automobilistici. Anche lo stesso trasporto aereo da molti ritenuto il più sicuro, lo è forse rispetto al treno in rapporto ai chilometri percorsi visto che gli aerei si spostano quotidianamente da un continente all’altro. Non so però se la stessa cosa si possa dire se  prendiamo in considerazione il numero dei passeggeri trasportati che forse sui treni sono quotidianamente molti di più. Ogni incidente aereo costa inoltre normalmente il decesso di tutti i passeggeri presenti sull’aereo, spesso qualche centinaio, al contrario sul treno ce la caviamo,si fa per dire, con pochi morti per ogni incidente. Ricordo anni or sono il deragliamento del pendolino nei pressi di Piacenza dove morirono “solo” i macchinisti che si trovavano davanti, il resto dei passeggeri, qualche centinaio di persone,  restò illeso, compreso l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga che i giornali dettero per uscito poi fuori dal finestrino del treno ma comunque salvo. Inoltre gli aerei inquinano l’atmosfera e questo negli ultimi anni viene ripetuto sempre più frequentemente. Io stesso, forse tra i primi molti anni fa, mandai a Roma alla sede centrale del WWF un servizio fotografico da me stesso eseguito. Nel servizio si vedeva nel cielo sopra casa mia a Chianciano sulle rotte aeree per Roma, il moltiplicarsi e l’espandersi fino ad occupare la quasi totalità dell’orizzonte delle scie prodotte dagli aerei di linea. Va comunque detto, contestando un po’ anche qui il massimalismo e l’eccessivo allarmismo dei miei “ ex correligionari” delle Associazioni e dei Verdi che tutte le scie aeree che si vedono non sono tutto fumo sic et simpliciter ma anche vapori di condensa ed inoltre l’atmosfera come i liquidi e l’acqua stessa conserva un suo potere autodepurante. Non si spiega altrimenti l’abbattimento dei fumi eruttati dai vulcani nelle ere geologiche come anche la semplice polvere che quotidianamente si deposita ovunque su tutto non solo mobili e suppellettili ed indice comunque di uno spontaneo processo di autodepurazione dell’aria che ci avvolge.

  Il treno dunque può essere una validissima  alternativa agli altri tipi di trasporto; gli ambientalisti come me lo hanno sempre detto.

  Perché allora  i Verdi e le Associazioni si oppongono alla TAV ?. Francamente non si capisce !!. Parlano costoro di migliorare il vecchio tracciato della linea già esistete, di amianto sotto le montagne che metterebbe a rischio gli addetti alla costruzione del tunnel, si è parlato finanche tradendo la vecchia origine barricadiera anarchico-egualitaria di molti Verdi che l’alta velocità ferroviaria sarebbe una linea per “ricchi”.

  Allora…primo; rifare e migliorare un tracciato ferroviario già esistete costerebbe forse quanto fare una linea nuova. Lo sa benissimo chi come me è figlio di  un costruttore edile ma lo sanno tutti quanti hanno intrapreso un restauro di qualsiasi tipo con costi spesso superiori al costruire il nuovo. Ed i risultati poi ? Potremmo avere sulla vecchia linea ferroviaria nei pressi della progettata TAV un miglioramento della viabilità ma non certo i treni ad alta velocità. Questi treni sono invece assolutamente necessari per ridurre i tempi di percorrenza e proprio per motivi ambientali per battere sulla velocità le normali automobili e rendere così conveniente agli utenti l’uso del treno al posto delle auto.

  Secondo…l’amianto… ma con le tecniche di  estrazione di cui disponiamo oggi unitamente alla sempre crescente attenzione alla prevenzione, volete che sia un problema estrarre e perforare in sicurezza ?..Non scherziamo…Inoltre, oltre agli inerti prodotti dall’estrazione da riutilizzare senz’altro in massicciate et similia potremmo accumulare con le dovute accortezze anche l’amianto stesso resina fossile fin’ora utilissima e la cui attuale demonizzazione mi sembra abbia superato i limiti della solita crociata ideologica.

  Terzo…l’alta velocità sui treni sarebbe infine, un servizio riservato ai ricchi; ma lasciamo perdere anche questo ai nostalgici dell’egualitarismo comunista !. Sappiamo bene come è andata a finire quando si pretese di appiattire la società eliminando le classi sociali insieme alle specificità e le capacità individuali. Il comunismo è crollato su se stesso nel 1989 proprio perché è fallito sul piano economico (oltre che su quello morale per essere una ideologia su base materialista ) portando penuria generalizzata ,sottosviluppo e arretratezza tecnologica e culturale e disastri ambientali. Si proprio disastri ambientali anche…si pensi all’inquinamento da pesticidi del lago di Aral, del Mar Caspio, dei sommergibili nucleari ormai obsoleti e sbrigativamente affondati nei mari artici, oltre naturalmente al disastro di Chernobyl provocato dalla obsolescenza di quegli impianti nucleari.

  Il fatto è che la moderna riflessione sulle tematiche ambientali e sui limiti della tecnologia moderna si è avuta in Occidente proprio una volta raggiunta questa medesima tecnologia alla quale nell’Oriente social-comunista non si è mai arrivati né alla tecnologia né tantomeno all’ambientalismo. L’ambientalismo è rimasto pertanto esperienza culturale occidentale tranne probabilmente per qualche accademico o intellettuale chiuso nel suo studio moscovita o di San Pietroburgo di cui non ci è giunta notizia ed di fatto ininfluente sulla ex società sovietica. Inoltre tornando alle solite ingenuità e difetti culturali di fondo dei Verdi; pensano costoro che viaggino in Europa solo studenti, turisti, giovani alternativi dei centri sociali? Oppure che debbano prendere i treni altre categorie di persone come dirigenti, impiegati e borghesi (vecchia categoria odiata dai sessantottini) per i quali è necessario avere treni veloci, puliti ed in orario e capaci di essere concorrenziali per tempi e comodità di viaggio con i Suv che sicuramente queste categorie di persone tengono in garage?... Noi pensiamo che la Tav sicuramente sarà concorrenziale con le auto. Questo proprio grazie e soprattutto al dimezzamento di tempi di percorrenza come lo fu una trentina di anni fa l’apertura delle nuove linee ferroviarie direttissime che permisero ad esempio di percorrere la tratta Firenze-Roma in due ore invece delle quattro della vecchia linea…ottocentesca (sic!).

  Moltissimi a questo punto nonostante ben altre carenze del nostro servizio ferroviario senz’altro tra i  peggiori in Europa, oggi preferiscono il treno all’autostrada sulla medesima tratta.

  Un mio cugino non sospetto in alcun modo di simpatie ambientaliste mi diceva anni fa…”Io da Roma a Firenze prendo  il treno, perché salgo a Roma Termini apro il giornale e nel tempo che l’ho letto sono a Firenze”.

  Questa è la concorrenza che la Tav farà ai Suv ed alle automobili in genere e ciò porterà con realismo e non con sogni donchisciotteschi, all’auspicata riduzione del traffico stradale su gomma.

 

  Sì al MOSE

  Anche in questo caso si ripete il vecchio minimalismo concettuale dei Verdi a cui come al solito si sono unite le Associazioni Ambientali storiche. Tutti costoro hanno decretato  all’unisono che per la città di Venezia non serve in alcun modo la realizzazione delle dighe mobili sulle bocche di porto della laguna previste dal Mose ma al contrario basta rialzare la città nei suoi punti più bassi sul livello del mare.

  Ma!!...francamente ci sembra assolutamente poco percorribile questa proposta viziata dal solito minimalismo da figli dei fiori che rifugge proprio dal concepire il concetto stesso di “grandi opere”. Concetto relegato ad una era storica dominata dal titanismo dell’uomo e dall’epica politica più che dalla prosa o più anche dal piccolo ed ancor peggio orticello vernacolare da coltivare con l’aiuto di apparizioni televisive  in trasmissioni tipo Geo&Geo.

  Intendiamoci non ho nulla contro Sveva Sagramola rassicurante ragazza che conduce detta trasmissione, guardando la quale io stesso mi rilasso dopo una giornata di lavoro. Le grandi opere però sono tali perché devono necessariamente rispondere a gradi sfide ed a grandi esigenze collettive, ambientali o urbanistiche e pertanto è necessario riscoprire una certa épos, una certa capacità di pensare in grande, capacità, perché no?, di lasciare un impronta nella storia ed anche un certo sano ed ancorché autocontrollato titanismo.

  Titanismo, eros mascherato o semplicemente gusto dell’avventura che a suo tempo permise a l’uomo (naturalmente maschio seguito dalle femmine della sua tribù…) di avventurarsi eretto o quasi, scendendo dagli alberi, nella savana sottostante ed arrivare in Mesopotamia, lo stesso che in Cina, fondarvi delle civiltà, continuare ad esplorare il Pianeta  traversando l’Atlantico su fragili caravelle, come sbarcare sulla Luna con un’ altra altrettanto fragile navicella spaziale.

  Le “grandi opere” sono ed è stato da troppo tempo dimenticato, quasi sempre realizzate da “grandi uomini” con larghissime vedute storiche ed anche grandi idee per se stessi e per la collettività da loro governata che ne riconosce l’autorità e ne condivide i fini.

  Il Cavalier Silvio Berlusconi nostro  Presidente del Consiglio ha indubbiamente dimostrato nel corso della sua vita di saper concepire grandi cose come  imprenditore di amplissimo successo ed organizzatore politico di altrettanto successo. Forse manca un po’ di epos, di senso della grande storia, anche se indubbiamente ormai un posto personale nella storia d’Italia è per lui assicurato. Non manca certo di eros e di sano maschilismo che è proprio della conformazione psico-fisica del genere maschile (gli ormoni sia maschili che femminili non sono acqua fresca ma potenti sostanze che la natura ha creato per plasmare e differenziare gli organismi !).  Al Cavalier Silvio Berlusconi quindi l’onere ed anche l’onore (altra parole dimenticata !) di continuare e portare a compimento le grandi opere idrografiche di Venezia identificate con l’acronimo MOSE.

  Per tornare ai Verdi ed alle Associazioni Ambientali confesso di non aver fatto molto caso alle loro lamentazioni contro il progetto Mose certo che fossero frutto del solito minimalismo di cui ho parlato sopra anche se ora mentre scrivo queste pagine mi scopro più accondiscendente nel valutare la loro ipotesi di rialzare alcune zone di Venezia per difenderle dall’acqua alta e dalle eccessive maree. Ma come farlo? Con quali mezzi tecnici e per quale estensione urbana della stessa Venezia?. I mezzi e le soluzioni tecniche sicuramente non mancano ma vale la pena ed è economicamente conveniente per grandi zone della città ?.

  La convenienza economica è propriamente un altro punto debole del pensiero dei Verdi e della Sinistra politica in genere, convinti come sono che il denaro è lo sterco del diavolo e che chiunque abbia successo economico sia necessariamente un ladro, un evasore fiscale incallito, un affamatore della povera gente e non magari uno che lavora soldo, studia altrettanto seriamente e si applica nella risoluzione dei problemi.

  Ho sbagliato volutamente nel citare la famosa definizione di “…sterco del diavolo” . Questa è una storica definizione che ci ha lasciato il sentimento religioso dell’Occidente cristiano mentre costoro le sinistre nella quasi totalità non concepiscono diavolo alcuno e di conseguenza scivolano pericolosamente, come fanno ad onor del vero anche molti laici di destra di sinistra che siano, sul concetto di bene e di male.

  Il diavolo che non esiste, il bene e male che diventa relativo è sintomatico di queste sinistre politiche figlie del materialismo ateo social-comunista. Materialismo che non albergava solo nell’Oriente sovietico ma che dava forse i suoi frutti più perversi, responsabili e volentieri complici le élite intellettuali nostrane, proprio in Occidente. Un Occidente trasformato ormai proprio per tutto ciò in un aridissimo deserto spirituale, con la tacita accondiscendenza dell’indifferentismo laicista, sopra citato.

  Torniamo a Venezia!

  Sarebbe dunque economicamente conveniente rialzare alcune zone della città lagunare invece di realizzare il progetto Mose ? Lo sarebbe per piccole zone della città come piazza San Marco e poco più ma a Venezia il problema è molto più vasto. Le aree della città lagunare interessate all’acqua alta periodica sono estese e sicuramente il sistema Mose di dighe mobili sulle bocche di porto che se ricordo bene sono solo tre, dovrebbe essere una risoluzione definitiva del problema. Questo anche in vista del sempre più paventato innalzamento dei mari e degli oceani per riscaldamento del clima che interesserebbe per primo, come ovvio, le città rivierasche come la Serenissima Città di San Marco.

  In Olanda se non sbaglio le dighe mobili proteggono da sempre le “nederland”, terre basse, dai feroci assalti del Mar del Nord. Credo che da parte dei tecnici si sia necessariamente studiato l’esperienza olandese per porre in essere il progetto Mose e che l’attuale governo sembra vivaddio intenzionato ad ultimare. L’Olanda appunto con le famose dighe, i tulipani ed i mulini a vento dell’oleografia, oggi sostituiti dalle pale eoliche. L’Olanda all’avanguardia nell’ecologia ma anche purtroppo all’avanguardia in Europa nel processo di dissoluzione di ogni sentimento etico e religioso proprio dell’ateismo dominante e del pensiero debole figlio alla lontana del Protestantesimo e più  recentemente delle ideologie sopra citate.

  Belle donne le olandesi, alte e bionde ma sposarne una in quel contesto morale e culturale sarebbe sommamente rischioso…torniamo però all’ecologia.

 

  Sì al Ponte sullo Stretto di Messina

  Non ripeteremo i concetti di “minimalismo”  ma anche qui si è ripetutamente parlato da parte della Sinistra nostrana di rifare prima la viabilità sia stradale che ferroviaria  delle regioni Calabria e Sicilia.

  Non credo che questo rifacimento sia in alcun modo da anteporre al Ponte sullo Stretto di Messina. Passerebbero decenni e poi non si farebbe ponte alcuno rimanendo con anacronistiche navi traghetto in un punto nevralgico le comunicazioni con la Sicilia appunto, che va ricordato non è l’Isola d’Elba ma la più grande isola del Mediterraneo, con alcuni milioni di abitanti che vi risiedono. Io credo che proprio la stessa realizzazione del ponte provocherebbe invece una rapida accelerazione nella realizzazione delle infrastrutture, strade e ferrovie ad esso necessarie e quasi con un effetto domino di ricaduta psicologica sugli enti statali interessati e sulle stesse popolazioni locali e questo come solo i grandi interventi sanno fare. Si pensi alle rivoluzioni urbanistiche di fine ottocento che a noi contemporanei piacciono poco ma che indubbiamente accelerarono il rinnovamento delle città europee in esse coinvolte. Le autostrade italiane inoltre, oggi indubbiamente da affiancare con il trasporto su rotaia o via mare, a loro tempo permisero lo sviluppo economico d’Italia senza la quale oggi la Penisola sarebbe un paese del terzo mondo, bello per il turismo ma con un reddito pro capite miserevole. C’è anche un aspetto pratico che come figlio di un costruttore edile, conosco bene. Ovvero prima si costruisce e poi si fanno le cosiddette “opere di urbanizzazione “ strade, fogne, marciapiedi, giardini. In questo senso si possono considerare urbanizzazioni le strade di accesso al Ponte proprio per la grandiosità dell’opera, anche se poste a qualche centinaio di chilometri di distanza.

  Alcune amministrazioni comunali in tempi recenti hanno ribaltato  questa logica consuetudine edilizia e credo per paura che gli impresari edili una volta costruite le case e venduto i lotti omettessero di fare queste necessarie infrastrutture. Resta comunque un modo illogico di procedere. Immaginate un cantiere edile con mezzi pesanti in funzione, camion trasporto-terra, betoniere fisse e mobili, ruspe, martelli pneumatici, gru, operai e tecnici che vanno e vengono, frastuono,polvere,calcinacci e tutto questo in un cantiere già urbanizzato; con vialetti, asfaltature, pali della luce e magari anche i fiori. “Suvvia, suvvia si ravveda ! ” come disse un professore universitario, in una recente dibattito televisivo al giornalista Antonio Socci che gli contestava alcune sue affermazioni. Ravvedetevi; non è infatti con illogici cavilli legislativi che un amministrazione comunale sopperisce alla sua intrinseca debolezza ed alla sua stessa incapacità di obbligare un costruttore a portare a temine una lottizzazione, opere di urbanizzazione comprese.

  Per il Ponte sulla Stretto il modo di procedere non può che essere lo stesso di un normale cantiere anche se questa volta in scala mille volte superiore; prima il cantiere e poi le urbanizzazioni. Ve lo immaginate strade ed accessi già fatti ed ultimati con asfaltatura, viali, pali della luce ed al contempo centinaia di mezzi pesanti che vanno e vengono per la costruzione ancora in atto del Ponte. Suvvia ravvedetevi !.. e soprattutto scrollatevi di dosso il pensiero minimalista che vi fa scegliere sempre soluzioni senza grande respiro e di ben modesto cabotaggio.

  Due sole obbiezioni al progetto messo in atto dal Governo per il Ponte sullo Stretto di Messina.

  La prima obbiezione riguarda il fatto se non fosse stato conveniente procedere all’attraversamento dello Stretto di Messina con un tunnel sottomarino come è stato fatto per il famoso tunnel sotto la Manica. Di sicuro furono fatti a suo tempo studi in proposito ma evidentemente si è preferita la soluzione del ponte. Non vado comunque a documentarmi in proposito mi basta pensare che la vicinanza del vulcano attivo dell’Etna abbia scoraggiato una simile soluzione.

  La seconda obbiezione riguarda la mancata progettazione architettonica del ponte stesso. Si è infatti studiata come ovvio tutta la parte ingegneristica e tecnica del ponte ma ci si è accontentati di ripetere esteticamente cioè architettonicamente, gli stilemi di tutti i ponti di questo tipo realizzati nel mondo nel 900. La funzione statica di questi ponti, tranne qualche eccezione come in parte il Ponte di Brooklyn fatto però ai primi del 900, di fatto coincide esattamente in maniera funzionale con la sua stessa estetica realizzando a pieno uno dei capisaldi della cultura architettonica del  900 cioè appunto… del secolo scorso !!.

  In uno scritto per la rivista Area evidenziai questo aspetto dello studio anche architettonico del Ponte sullo Stretto dicendo testualmente che si poteva scegliere da parte dell’Italia e del suo Governo tra “realizzare l’ultimo ponte del 900 od il primo del 2000”. Si pensava soprattutto nella seconda metà dl 900 che “quello che è funzionale è bello e quello che è bello è funzionale” ed il ponte si presta perfettamente a questo assioma anche perché si tratta di un opera di comunicazione viaria in cui è facile omettere di pensare a qualcosa di diverso dal suo proprio uso la “funzionalità” appunto. Siamo invece ormai nel 2000, il XXI sec., ed il funzionalismo in architettura e ormai tramontato da tempo. Ovunque nei nuovi edifici è tutto un proliferare di archi, colonne ,cornici che non reggono assolutamente niente. Decorazioni messe li dai progettisti solo per il loro valore simbolico che cerca di proiettare ciò che oggi si costruisce nelle aspettative della nuova dimensione culturale che stiamo vivendo; neoclassica, new age o ecologista che sia ma sicuramente, non più razionalista come in passato.

  Perché il Ponte sullo Stretto di Messina opera di sicurissima risonanza mondiale dovrebbe esimersi da questa ricerca estetica, architettonica e culturale e limitarsi come in passato, il XX sec. appunto, alla sola sua funzione?. Penso ad esempio ai piloni dello stesso ponte colorati, ingentiliti da grandi bassorilievi, quasi come festoni appoggiati ai pilastri delle chiese barocche, narranti l’epopea dei naviganti lo Stretto di Scilla e Cariddi, Ulisse i Ciclopi e quant’altro; compreso un accenno al suo costruttore il Cavalier Silvio Berlusconi.

  “Nati non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”e quindi, ripetiamo, basta con questo minimalismo egualitario che appiattisce tutto, non vorrebbe fare neanche il ponte ed inconsciamente impedisce anche di sicuro il suo ulteriore studio e sviluppo architettonico ed estetico.

 

  Funzione ed ecologia

  Abbiamo parlato pocanzi di funzionalismo dichiarandolo decaduto nell’attuale dibattito culturale, anche nella realizzazione di un’opera di viabilità pratica come il Ponte sullo Stretto di Messina. Ora vediamo come esso invece sopravvive nell’accettazione e nell’inserimento ambientale di un qualsiasi manufatto.

  Ebbene sì; esso permane nell’accettazione ambientale di qualsiasi manufatto. Ci spieghiamo meglio…

  Non è la stessa cosa  per il suo impatto ambientale se il medesimo capannone industriale che si vede in lontananza serve per produrre ed immagazzinare ad esempio acido solforico oppure, scrivo dalla Toscana, per produrre ed immagazzinare vino. Se non si conosce la destinazione d’uso di detto capannone forse ad un osservatore esterno l’impatto ambientale risulta il medesimo. Non appena però se ne conosce la finalità sicuramente lo stesso uguale ed identico capannone risulterà inaccettabile se contiene acido solforico ed invece al contrario accettabile, anche se forse non proprio bello, se serve a produrre vino.

  Facciamo qualche esempio reale.

  Lavoro sul monte Amiata al confine tra Toscana e Lazio; dall’alto di questo monte sono visibilissimi nella valle del fiume Paglia diversi ettari di terreno ricoperti di capannoni. Si tratta di serre per produrre fiori, all’inizio si dice solo orchidee, le quali per creare occupazione quando furono dismesse le miniere di mercurio dell’Amiata, colà furono impiantate negli anni settanta. Ebbene non solo non mi risulta che nessuno abbia mai protestato per il loro evidente impatto ambientale ma io stesso che credo di possedere un “occhio attento” per queste cose, non mi sono mai sentito disturbato nel godimento del panorama, dalla loro evidentissima  presenza. Questo neanche per le serre posizionate più in alto sullo stesso monte Amiata in mezzo al verde dei boschi dove risaltano evidentissime con la loro massa bianca.

  Le serre dunque non disturbano affatto ma sarebbe la stessa cosa se gli stessi impianti che tra l’altro usano l’energia geotermica del ex vulcano Amiata per produrre fiori, fossero adibiti invece ad industria chimica?. Io credo proprio di no e quindi è evidente che la “funzione” ovvero lo scopo per cui si costruisce e si inserisce qualcosa nella ambiente fa esso stesso la differenza nell’accettazione del manufatto da parte dell’ambiente ovvero nella nostra percezione di fattibilità o meno.

  Altro esempio reale; sempre sullo stesso monte Amiata fu costruita all’inizio del 900 e poi ricostruita dopo le distruzioni della 2° Guerra Mondiale una grande croce in ferro alta qualche decina di metri visibilissima anche da sessanta-settanta chilometri di distanza. Negli ultimi decenni a questa stessa croce una volta solitaria sulla vetta della montagna sono stati affiancati decine di ripetitori delle televisioni commerciali. Orbene questi stessi ripetitori con le loro antenne e parabole appaiono bruttissimi, rovinano irrimediabilmente il panorama della montagna  da valle, fanno sentire i visitatori della vetta come  immersi in una stazione spaziale con relativi dubbi, per le emissioni elettromagnetiche, sulla salubrità del luogo. Sembrano anche i ripetitori soffocare la stessa croce oscurandone il valore simbolico e religioso ed è infatti proprio questa la differenza. La Croce del monte Amiata pur essendo fatta degli stessi tralicci in ferro con cui sono fatti i ripetitori delle televisioni commerciali ha un'altra “funzione” quella di ricordare la fede cristiana della nostra gente che a suo tempo la vollero innalzare sulla vetta della montagna. La croce è ben visibile a tutti e non disturba nessuno anzi è diventata un simbolo stesso del monte Amiata e meta da raggiungere per chi sale sulla vetta. I ripetitori fanno invece letteralmente schifo non tanto per le emissioni che pure sicuramente ci sono ma perché rappresentano una funzione di gran lunga inferiore rispetto alla Croce. La funzione cioè di una televisione commerciale non sempre di qualità,  che si finanzia con il business pubblicitario; altra attività non proprio nobile…

  Tutto qui; la ”funzione” ovvero gli scopi per cui costruiamo un qualsiasi manufatto fanno quindi la differenza nella nostra percezione estetica e nel suo coinvolgimento ed accettazione nell’ambiente circostante.

  Possiamo continuare con altri esempi. Sempre un’altra croce ed altri tralicci delle televisioni che svettano dal monte Cetona non lontano dall’Amiata questa volta al confine tra Toscana ed Umbria. Stessi tralicci in ferro per la croce e stessi tralicci in ferro per i ripetitori. Non disturba affatto la Croce del Cetona anche se più recente di quella dell’Amiata …Anche la vetustà di un manufatto ne determina infatti il suo buon inserimento nel paesaggio circostante; “il tempo è galantuomo” si dice ed è senz’altro vero. La Croce del monte Cetona non disturba affatto, al solito invece i ripetitori sono brutti e mentalmente tendo con l’immaginazione a segarli alla base e distruggerli ogni volta che li vedo.

  Per la verità negli anni settanta alcuni estremisti di sinistra della zona si dice dopo una cena con relativi spinelli salirono sulla vetta del Cetona e tentarono di segare il ferro alla base della croce…cosa peraltro faticosa da fare soprattutto in quelle condizioni ed infatti subito desistettero. Anche di recente alcuni turisti, immagino nord-europei,  hanno affermato che la croce del monte Cetona rovina il panorama. Si tratta della stessa gente che ha negato nella Costituzione Europea le radici cristiane del continente e che vorrebbe che in Italia si togliessero i Crocifissi dalle scuole. A costoro possiamo solo rispondere; “Venite voi stessi a tagliare la croce e togliere i crocifissi…vi aspettiamo sulle Alpi!!”.

 

  Santuari, monasteri, castelli, torri, ciminiere

  Continuando nella disamina dell’accettazione o meno di un manufatto rispetto all’ambiente in cui è inserito potremmo ancora fare l’esempio di santuari,castelli,torri e ciminiere che spesso svettano visibilissimi dall’alto di montagne o per le ciminiere ben sopra  gli abitati in cui sono inserite. Tutti questi manufatti non disturbano affatto e neppure mai ho sentito qualcuno lamentarsi per la loro presenza anzi al contrario sono quasi sempre segno distintivo di un luogo, propagandati dai depliant turistici e meta di escursioni e gite. Per le chiese, i monasteri e santuari vale quanto già detto per le croci sopra menzionate. Il valore religioso e spirituale ne fanno un valore aggiunto assolutamente determinante nel loro buon inserimento ed accettazione nel contesto ambientale senza i quali si avrebbe addirittura un impoverimento estetico del luogo. Lo stesso per i castelli e le torri e qui non si tratta di spiritualità ma bensì di epica guerriera immaginata naturalmente nella sua accezione migliore. Castelli e torri un tempo abitati da nobili signori ,dame, cavalieri con relativo codice d’onore, eroismo e spirito di sacrificio; ma anche semplicemente espressione di forza e di dominio. Virtù nobili le prime, virtù più umane le seconde ma che da sempre sono avvertite come positive nonostante i tentativi di imbrigliarle e ridimensionarle fatte da ogni tipo di ideologia e di riforma a carattere egualitario, cristianesimo compreso.

  I castelli e le torri che piaccia o no, sono fatti per custodire uomini armati che hanno nella spada il loro simbolo , che rischiano la vita e da questo traggono rispetto ed onore. Per loro nel corso dei secoli si sono scomodati bardi e poeti nonché infinite rievocazioni storiche più o meno scientifiche. Il loro fascino attraversa i secoli. Nessun ragioniere, o mercante ovvero finanziere che dir si voglia e che oggi troppo spesso si trova immeritatamente ai vertici della società, potrà mai ricoprire nell’immaginario, lo stesso ruolo degli eroi guerrieri. Se per caso una banca fosse posta in cima ad un monte apparirebbe a differenza dei castelli  e delle torri assolutamente brutta a vedersi ed inopportuna.

  La”funzione” ancora una volta è determinante nell’accettazione di un manufatto nel suo contesto ambientale.

  Un discorso un po’ diverso si deve fare per le ciminiere  lasciate in piedi pur nelle frequenti demolizioni  delle vecchie fabbriche ed opifici a cui erano collegate. Si avverte per le ciminiere una certa importanza storica ed anche valore simbolico pur rappresentando esse una funzione inferiore legata più all’”homo faber” che all’“homo heroicus” dei castelli. Ciò nonostante si conservano le ciminiere anche in un contesto urbano affatto moderno per la loro arditezza costruttiva con i loro alti pinnacoli che francamente non credo possano resistere a lungo al tempo ed alle intemperie ormai in disuso come sono. Arditezza costruttiva  che richiedeva per il loro innalzamento  manodopera molto specializzata, capace di lavorare ad altezze considerevoli e senza gli ausili tecnici e di sicurezza assolutamente irrinunciabili nell’edilizia contemporanea.

  Le ciminiere evocano anche la prima rivoluzione industriale fatta di masse operaie con ritmi di lavoro gravosi ed in condizioni oggi difficilmente concepibili data la meccanizzazione ed automazione delle fabbriche moderne.  Le stesse condizioni di lavoro del periodo delle ciminiere oggi si ritrovano nei paesi industrialmente emergenti come Cina ed India  con ciò dando ed è cronaca quotidiana, seri problemi di concorrenza al nostro sistema industriale europeo ed americano.

  L’accettazione delle ciminiere ben visibili nei contesti urbani dove si sono volutamente lasciate è ben dovuta oltre che per l’arditezza della loro realizzazione anche perché rimanda al ricordo del duro lavoro degli operai. Duro lavoro messo in evidenza dai primi partiti operai socialisti e successivamente comunisti che propugnavano giustamente e con ragione, il superamento di quel sistema.

  Con meno ragione, a posteriori però, questi stessi partiti proponevano un sistema collettivizzato ed esageratamente egualitario che poi è, come sappiamo, totalmente fallito portando miseria e sottosviluppo dove esso è stato applicato. Si è invece superato e migliorato le condizioni di lavoro proprio nel sistema capitalista della seconda rivoluzione industriale, laddove insieme al giusto profitto si è progredito anche nella tecnologia. La stessa tecnologia che ha permesso macchinari sempre più sofisticati i quali hanno affrancato le maestranze da quella titanica fatica dei primordi industriali che le ciminiere sono li a ricordare e per questo ben venute o se preferite “ben lasciate” a ricordo, nel contesto urbano.

  Una fatica ed un eroismo quotidiano delle maestranze operaie forse non circondato da un epica tale da  stimolare i bardi ed i poeti della “chanson de geste” e del “ciclo arturiano”  come per  gli inquilini armati dei castelli e delle torri ma senz’altro fatta di un altrettanto rispettabile eroismo quotidiano.

 

  Le aristocrazie

  Abbiamo evocato citando castelli e torri la aristocrazie ed i signori che erano i loro naturali inquilini che dalle prime gesta guerriere che ne portarono al possesso spesso se ne tramandavano per secoli la gestione in conto di sovrani o come mera proprietà.

  Le stesse famiglie con relativi altisonanti titoli nobiliari ebbero il possesso di questi manieri per secoli. Questo per lo meno fino all’alba del mondo moderno quando rivoluzioni politiche, sociali ed economiche hanno provocato passaggi di proprietà, con vere e proprie alienazioni spesso a  favore di enti pubblici come i comuni, che li hanno poi quasi sempre adibiti ad usi turistici.

  Le aristocrazie europee specialmente nel novecento sono state falcidiate da due guerre mondiali con incipit europeo e dall’avanzare dell’industria e di conseguenza della classe industriale e mercantile. Questo in Italia è avvenuto soprattutto nel secondo dopoguerra e ciò ha minimizzato la rendita terriera su cui si basavano quasi sempre queste antiche famiglie. Le aristocrazie hanno lasciato un vuoto difficilmente colmabile, proprio per la loro intrinseca natura ed origine, dalla borghesia  industriale. Si tratta naturalmente di un vuoto al vertice delle classi sociali europee e per alcuni aspetti mondiali. Alla fine della 2° Guerra Mondiale il mondo viene infatti diviso in sfere d’influenza tra i due vincitori di quella stessa guerra, America e Russia.

  L’America potenza mercantile e per tanto “borghese” per definizione, guidata da un sistema democratico elettivo con origini illuministe settecentesche. Essa si formò come nazione a suo tempo proprio in contrapposizione con l’assolutismo monarchico europeo, inglese in questo caso,dal quale si affrancò con una famosa ancorché sempre ricordata, guerra d’indipendenza.

  La seconda potenza vincitrice fu la Russia o Unione Sovietica che dir si voglia, erede invece delle speranze e delle  ideologie europee di fine ottocento materializzatesi nel regime comunista dopo la ben nota “Rivoluzione di Ottobre” .Rivoluzione a carattere egualitario e popolare cui seguì l’instaurazione di un regime collettivista con la conseguente abolizione della proprietà privata oltre che con il quasi totale livellamento delle classi sociali. Nella Russia sovietica naturalmente i primi fra tutti a scomparire furono gli aristocratici del defunto regime zarista, sterminati fisicamente o comunque cancellati dalla compagine sociale, in maniera altrettanto violenta che nella  famosissima precedente  rivoluzione Francese.

  Anni or sono capitai a cena con amici in Lussemburgo nella casa di una nobildonna russa la cui famiglia negli anni della rivoluzione comunista si era salvata fuggendo dalla Russia in fiamme attraverso la Mongolia per poi riparare infine a Roma.

  Con il comunismo non solo gli aristocratici ed il clero, i famosi storici alleati del “trono ed altare”,furono fisicamente soppressi ma anche le classi borghesi furono annientate. La stessa borghesia che invece era stata alla guida della Rivoluzione Francese e delle rivolte liberali dell’800. Il comunismo si poneva come termine ultimo di questo secolare processo rivoluzionario iniziato dalle borghesie contro nobiltà e clero. Esso poneva infatti con la “dittatura del proletariato” le basi per una società senza classi capace, naturalmente solo nelle intenzioni, di risolvere i bisogni materiali dell’uomo, felicità compresa.

  Sappiamo come è andata a finire con il crollo di questi sistemi comunisti dell’est europeo nel 1989. Un crollo su se stessi incapaci di stare al passo con l’Occidente mercantile il quale invece, avendo conservato l’attività privata, aveva di fatto con questa mantenuto il più forte stimolo alla creazione di tecnologia, ricchezza e benessere e questo per tutti; proletari compresi. Anche se questo benessere non viene distribuito in maniera uguale entrando in gioco nel capitalismo capacità lavorativa, inventiva e fortuna anche, le quali distribuite tra gli uomini in modo uguale proprio non sono.

  L’egualitarismo dialettico e scientifico proletario è quindi ormai fuorigioco e resta al comando del mondo la borghesia imprenditoriale che sembra aver sconfitto tutti i suoi avversari tanto che uno storico giapponese agli inizi degli anni novanta dello scorso secolo proclamò al mondo la “fine della storia”; cosa abbastanza ridicola fin dalla sua formulazione.

  La storia infatti si è rimessa subito in moto riportando in auge con l’Islam radicale in qualche modo l’Altare del divino contro il razionalismo neo-illuminista delle borghesie mercantili. Scrissero infatti alcuni con sorpresa che “il vecchio mondo sfidava il nuovo mondo”. Cioè il vecchio mondo preindustriale legato al sacro ed alla religione ed in qualche modo ancora feudale sfidava le democrazie borghesi e capitaliste appena uscite vincitrici dalla sfida contro il comunismo.

  Il resto è storia e cronaca recente con le guerre in Medio Oriente, in Afghanistan e naturalmente con lo shock mondiale provocato dall’attacco dell’11 Settembre 2001 alla fin allora inviolata potenza americana. Un incredula sorpresa ed uno shock come gli storici narrano fu per gli antichi la notizia del “sacco di Roma” perpetrato dai Visigoti.

  La religione quindi che in maniera convulsa, frammentata e discontinua si riaffaccia sulla scena del mondo occidentale dopo l’ateismo istituzionale di massa dei regimi comunisti e da questi in buona parte trasmigrato anche nell’Occidente “libero” sotto forma di indifferentismo e secolarizzazione. La religione e quindi l’Altare si ripresentano e manca a questo punto soltanto all’appello il Trono ovvero l’aristocrazia occidentale o quello che ne resta.

  Crediamo che essa aristocrazia recuperando i valori di onore, fedeltà a valori e principi, stile e cultura, mecenatismo per le arti e per le scienze oltre che naturalmente capacità di guida militare se necessario, potrebbe nuovamente giocare un suo ruolo ponendosi nuovamente,come gli spetta e lo stesso nome lo dice ”aristos” cioè eccellente, alla guida degli stati europei. Con ciò ponendo il vecchio continente finalmente unito politicamente e militarmente (Russia postcomunista compresa) come protagonista nelle nuove sfide mondiali tra gli equilibri atlantici,le nuove potenze emergenti Cina ed India, il mondo Islamico e gli infiniti bisogni del Terzo Mondo.

  L’aristocrazia capace di  rinnovati valori e dimenticati alcuni vizzi come spreco, protervia, amorale incontinenza.

  Un ruolo anche estetico ed ecologicamente compatibile come tutte le cose “nobili” appunto che sono tali per i valori che esprimono. Non è spiegabile altrimenti la fascinazione che ancora riescono ad esercitare le ultime case regnanti europee ed i nobili che a vario titolo ogni tanto ancora raggiungono l’attenzione dei media e questo a tutt’oggi, nonostante errori, vicende discutibili e quant’altro.

  Le borghesie imprenditoriali hanno grandi meriti ma anche dei limiti evidenti, restano le classi di mezzo come dice la parola, abitavano i burgus cioè i borghi protoindustriali delle città. Non abitano i castelli, non sono circondati da cavalieri in armi ma da ragionieri e commercialisti ed al posto di bardi e poeti al massimo rilasciano interviste poco più che tecniche…  a qualche giornalista.

 

  Le democrazie

  Parlare di aristocrazie come abbiamo fatto fin ora ci conduce necessariamente a parlare di Democrazie. Poiché la  nazione vincitrice della Seconda Guerra Mondiale e poi vincitrice anche della Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica  è una democrazia, mi riferisco naturalmente agli Stati Uniti d’America, in tutto il mondo ci si impegna a dichiarasi il più possibile democratici. Per questo parlare o dire qualcosa, non dico contro, ma di alternativo alla vulgata democratica equivale ad un vero e proprio atto di lesa maestà. Giornali, televisione e soprattutto uomini politici dispensano patenti di democrazia in lungo ed in largo per tutto  l’ “orbe terraqueo” e guai a chi viene colto in fragrante o semplicemente sospettato di non essere sufficientemente democratico.

  Non basta neanche essere assolutamente popolari o espressione comunque della maggioranza dei consensi dei cittadini del proprio paese, per essere accettato tra i democratici.. Per essere veramente democratico il tuo paese deve essere innanzitutto allineato e considerato amico degli USA e dei suoi alleati occidentali e poi deve trattarsi comunque di una democrazia laica come non lo era forse neanche la stessa Atene di Pericle e dove il relativismo soprattutto etico ed il pensiero debole la fanno da padroni. Guai se sei, anche a grande maggioranza, un paese o una nazione, per esempio, di forti sentimenti religiosi. Questa nazione non sarà mai democratica agli occhi dei politici occidentali. Il popolo cioè proprio il demos di cui si parla, in quel caso non conta niente si darà voce e si rispetterà di quel paese solo una oscura élite assolutamente minoritaria ma comunque alleata con noi ed aspirante ad imitare e fare propri, usi e costumi occidentali, per quanto degenerati ormai essi siano.

  Non proseguo e termino qui, abito comunque in Italia, nazione atlantica ed occidentale e c’è una guerra in corso ed uno scontro di civiltà che sembra peggiorare ogni giorno che passa. Dirò solo di ciò che riguarda questo scritto e dell’ambientalismo che nonostante le molte digressioni stiamo trattando.

  Ci sembra infatti  che la natura non sia affatto democratica e che le scelte anche sul piano ambientale che dovremo effettuare in futuro debbano tener conto delle differenze. Per esempio i centri storici sono ormai divenuti di fatto zone di pregio visitati quelli più famosi, anche di cittadine minori, da folle di turisti in ogni fine settimana o ponte festivo che dir si voglia. Che siano i centri storici ormai zone di pregio lo dimostra anche il prezzo degli immobili che ha raggiunto in molti casi quello delle più famose città d’arte. Per questo a mio giudizio dobbiamo proseguire nella politica di chiusura al traffico automobilistico ed al parcheggio indiscriminato negli antichi borghi senza favorire, se non i minima parte, i residenti. La politica di favorire i residenti fu attuata a suo tempo  per evitare lo spopolamento dei centri storici; fenomeno che però in moltissimi casi  oggi si è ormai concluso. Si devono creare servizi come i parcheggi naturalmente ed esteticamente compatibili con il sito in questione ma poi via…leviamo quasi tutte le macchine parcheggiate lungo gli antichi borghi.

  I parcheggi si debbono ormai pagare sempre e dovunque in ogni centro abitato antico o moderno che sia. Questo magari con sconti, tessere, abbonamenti vari ma non è più comunque  pensabile che in una situazione di ingorgo viario come quello contemporaneo si debbano avere nei centri abitati  dei parcheggi “gratis et amore Dei!!”. Questo è assolutamente impensabile e le amministrazioni cittadine se ne devono rendere conto il prima possibile. Dell’automobile oggi si paga infatti tutto oltre l’acquisto spesso “salato”, si paga il bollo, l’assicurazione, la benzina, l’olio, le gomme, si paga perfino l’“aria che si respira”, perché le macchine inquinano. Dovrebbero quindi esserci ancora zone dentro i centri abitati dove si parcheggia, magari per intere giornate, gratis ?. Non scherziamo le auto rappresentano ormai un problema di viabilità grave, di sicurezza per le decine di morti in incidenti ogni giorno, di parcheggio per mancanza di spazio e dobbiamo considerare l’auto ormai per quello che è…un vero e proprio problema sociale. Bisogna quindi inventarsi soluzioni d’avanguardia ed alternative. Tra queste far pagare il  prezzo dovuto per l’occupazione di spazio pubblico ovunque ed in ogni luogo ma soprattutto nei centri storici ormai divenuti zone di pregio e che per tanto dovranno essere trattati come tali.

  Spesso quando manifesto queste idee che ritengo un evoluzione logica e conseguente delle prime richieste, alcuni decenni or sono, di chiusura dei centri storici al traffico e  che a suo tempo sostenni, mi trovo a dire che i parcheggi dovrebbero essere a pagamento ovunque. Aggiungo inoltre tra lo stupore di chi ascolta che io stesso consentirei nonostante ciò anche uno o due posti di parcheggio in il Piazza del Campo a Siena ed in Piazza della Signoria a Firenze come in altre importantissime piazze d’Italia. Lo consentirei senz’altro ma al costo di 70/80 (e perché no?) 100 euro l’ora per parcheggiare e solo per automobili di grande prestigio ed in questo senso compatibili con il valore delle piazze menzionate. Penso naturalmente ad automobili tipo Rolls Royce, Ferrari ed qualche auto d’epoca di grandissimo pregio. In questo senso io stesso che pur posseggo un auto d’epoca ereditata da mio padre, non potrei comunque parcheggiare in Piazza del Campo neanche pagando 100 Euro di parcheggio l’ora. Questo perché la mia auto d’epoca è una “semplice” Fiat 1100/103 che seppur costruita nel 1954 non è di tale pregio da giustificare la sosta in una della piazze più belle del mondo.

  Qualcuno mi ha obbiettato che ciò è antidemocratico. Non mi importa parlare di democrazia o meno qui si tratta di dare invece il giusto valore alle cose, altrimenti si inquina in questo caso sul piano estetico e si confonde tutto perdendo il reale metro di giudizio. Grande valore hanno le piazze del Campo e della Signoria citate ad esempio, grande valore devono avere le automobili che hanno il permesso di parcheggio; sempre naturalmente a discrezione e temporaneo ed a giudizio insindacabile delle autorità preposte.

  La “manna” cade dal cielo solo rare volte e sempre per volere divino…e poi ditemi cosa c’è di democratico nei grandi alberghi delle più famose città dove una camera costa per una sola notte lo stipendio mensile di un operaio medio oppure di qualche locale di lusso alla moda dove, se ci vai una volta, il costo del caffè te lo ricordi per tutta la vita ?.

  Dare il giusto valore alle cose e farle pagare di conseguenza significa anche avere i mezzi poi per restaurare e mantenere questi importanti luoghi d’arte e trasmettere e tramandare un patrimonio che è di tutti e che tutti possono visitare …arrivando in prossimità con i mezzi pubblici o camminando a piedi naturalmente!!

  Per le Rolls Roys sopra citate non penso solo agli sceicchi arabi ma anche alla giovane coppia di sposi che ne ha affittata una per il giorno del matrimonio e arriva in Piazza della Signoria per farsi le fotografie. Anche in questo caso una cosa speciale ed eccezionale che si può senz’altro autorizzare anche con un po’di sconto se la coppia è giovane, se è il primo matrimonio e se è stato celebrato da un’autorità religiosa; prete, imam o rabbino cambia poco…i sindaci in questo campo ci interessano francamente molto di meno!.

  Abbiamo detto che ecologia è a questo punto anche ridare il giusto valore alle cose.  Per questo presentarsi per sancire un unione che si presume per tutta la vita davanti a Dio non è la stessa cosa che presentarsi al cospetto di una autorità civile che darà una frettolosa lettura di leggi, comunque fatte da uomini, in un contesto più burocratico che sacro.

  Dobbiamo essere per forza “reazionari” e reagire alla vulgata odierna e dare scandalo come e allo stesso modo che l’atea e blasfema  società occidentale offende i valori dei credenti e da scandalo tutti i giorni.

  In più per non uscire troppo fuori tema e zittire la nostra lingua che invece vuol parlare. si può dire che questo è anche un discorso ecologico ed ambientale. Rimettere le idee sul giusto binario e ridare il giusto valore alle cose significa anche fare ecologia ed ecologia dello spirito superando l’egualitarismo che ancora oggi imperversa in Occidente nonostante l’ultima propaggine dell’illuminismo, cioè il comunismo, sia omai morto e defunto da più di venti anni.

  Aggiungiamo che per l’accesso ai centri storici poiché questi sono ancora spesso muniti di mura e di antiche porte, sarebbe opportuno rimettere a queste porte le ante di legno dove possibile e porvi dei  portieri a sorveglianza con tanto di divisa “gallonata” naturalmente. Costoro sarebbero in grado dalla loro postazione in prossimità delle antiche porte di sorvegliare l’accesso ai centri storici, verificare i permessi, i tempi di permanenza ed indicare i parcheggi disponibili (…tutti a pagamento naturalmente !). Si obbietterà che oggi esistono i telepass elettronici e le videocamere grazie alle quali ho anch’io recentemente pagato una multa per divieto di accesso a Siena. Ma vuoi mettere un portiere educato e sorridente in divisa ordinaria nei giorni lavorativi o in livrea nelle festività che ti riconosce, ti saluta, telefona al parcheggiatore un po’ più su, annunciando il tuo arrivo ?. Nei locali di lusso e nei grandi alberghi c’è forse un telepass a tutt’oggi al posto del portiere ?. Naturalmente dopo il portiere anche il parcheggiatore pure in divisa, ti riconosce, ti saluta e magari dopo che gli hai consegnato le chiavi, parcheggerà per te la vettura. Dopo tutto questo, poi tu darai una mancia adeguata !. Hai dei servizi e di conseguenza avrai dei costi ma non è questo il problema. Il problema è dare il giusto valore alle cose, altrimenti tutto si confonde e sfuma e poi mancano le risorse economiche per le vere e reali necessità.

  In questo nostro periodo storico e nel contesto culturale contemporaneo non c’è dubbio che i centri storici delle nostre antiche città assumo sempre maggiore valore e generale apprezzamento. Le decisioni amministrative si devono di conseguenza adeguare e la questione se esse siano popolari ovvero democratiche o meno è solo un fatto di termini e di pubblica comprensione del problema e delle sue proposte di soluzione.

 

  Sì alle autostrade

  Non solo quando,nei decenni trascorsi, ero un ambientalista a tutti gli effetti ma anche oggi in questo periodo”revisionista”delle idee ambientali oggetto di questo scritto , io continuo a non amare le autostrade. Ciò non di meno, al contrario che in passato, ora voglio che si costruiscano quelle già progettate e che se ne facciano di nuove se necessario.

  Non è infatti colpa mia se in Italia è stata ormai raggiunta la cifra di sessanta milioni di abitanti, e che tutti questi italiani abbiano bisogno di muoversi per lavoro o per altro su e giù per la Penisola. Per tanto allora, se necessario dobbiamo costruire nuove autostrade. I Verdi e le Associazioni Ambientali storiche senz’altro insorgeranno come in passato ma io da ex ambientalista o meglio da ambientalista revisionista, voglio spiegare loro alcuni vantaggi che ho individuato riflettendo nel tempo, riguardo alle autostrade.

  Primo vantaggio. Le autostrade drenano traffico dalle altre strade e lo incanalano su direttive estremamente più veloci e ciò porta risparmio di tempo negli spostamenti e riducono in parte i consumi di carburante. Drenando poi traffico liberano le strade secondarie  che altrimenti sarebbero percorse oggi come ricordo io stesso in passato, da file di veicoli spesso incolonnati con intasamenti e quant’altro sempre succedeva, prima delle aperture delle stesse autostrade. Queste strade secondarie come sono ormai oggi anche le vetuste se pur gloriose vie consolari romane e penso alla per me vicinissima via Cassia, queste strade per effetto del suddetto drenaggio di traffico spostato sulle autostrade vengono liberate ed assumono a questo punto un ruolo di solo trasporto locale tra paese e paese. Ciò rappresenta la loro giusta dimensione di fruibilità quasi paragonabile all’uso di quando furono tracciate molti secoli or sono.

  Divengono queste vecchie strade fruibili solo per gli spostamenti tra paesi viciniori oppure nei percorsi turistici con biciclette, auto d’epoca e quant’altro risulti idoneo a tracciati cosi vetusti e che per giunta quasi sempre passano proprio all’interno di antichi borghi e paesi. Al contrario il traffico commerciale quello “serio e robusto” che non può per necessità curarsi troppo del paesaggio o delle opere d’arte incontrate per via, l’altro traffico, viene spostato nelle autostrade con tempi di percorrenza estremamente più idonei e veloci; insomma compatibili con gente che deve lavorare nel  duemila e non  nei secoli delle diligenze a cavallo.

  In questo senso i Verdi e le Associazioni Ambientali storiche (WWF, Italia Nostra ecc.) dovrebbero riflettere. Per loro consolazione dirò che possono anche loro verificare come ho fatto io la rilassante bellezza delle vie consolari o delle strade secondarie restituite, dallo spostamento del grosso traffico sulle autostrade, alla loro giusta dimensione di fruibilità, per cui furono a suo tempo costruite. Ho potuto constatare personalmente che queste strade oltre che essere percorse da un traffico limitato, sono percorse da ciclisti ed anche da gente a piedi per sport o anche da pellegrini. Si proprio pellegrini a piedi in direzione di Roma; è il caso sempre della via Cassia durante il Giubileo del 2000 ma anche da qualche sporadico pellegrino dal sottoscritto avvistato recentemente (anno del Signore 2010) sempre sulla Cassia. Costui era ormai giunto ai confini meridionali della Toscana e continuava  verso Roma con passo lesto nonostante la pioggia battente e con tanto di conchiglia al collo testimonianza evidentemente di un altro pellegrinaggio precedente; questa volta in direzione di Santiago di Compostela. Non mi sono potuto fermare perché ero per lavoro sull’auto medica del 118 altrimenti avrei potuto fare al pellegrino un offerta in denaro, in omaggio alla tradizione antica, per cui chi non fa materialmente il pellegrinaggio, contribuisce alle spese di chi il pellegrinaggio lo fa veramente.

  Secondo vantaggio delle autostrade. Lasciando il pellegrino che proseguì per Roma e tornando all’ecologia possiamo ulteriormente rassicurare gli ambientalisti ancora fermi alle idee degli anni settanta. Le strade secondarie infatti liberate dal traffico principale incanalato nelle autostrade spesso si spopolano a tal punto da cadere in disuso tanto che non viene ritenuto da parte dell’ANAS necessario provvedere ad una stretta e continua manutenzione. E’ il caso di un tratto in disuso presso Radicofani (Siena). Tratto di strada ormai tagliato fuori da un tunnel che convoglia tutto il traffico nelle sottostante via consolare evitando alle macchine ed ai camion tortuose e disagevoli strade di montagna. Su questa strada semi abbandonata, dove ormai sono molto poche le automobili in transito, ho incontrato più volte caprioli anche fermi proprio sul ciglio della strada per brucare l’erba. Ho incontrato anche greggi di pecore e capre che ti obbligano a fermarti e con piacere per altro, perché per un attimo ti restituiscono ad un arcadia ormai desueta e dimenticata.

  Tutto questo succede nelle strade secondarie ormai liberate da un traffico troppo pesante per loro e sostenuto invece dalle più adatte e moderne autostrade che permettono volumi di traffico estremamente superiori con tempi di percorrenza minori e alla fine ridotti costi in termini di consumi di carburante. Poi se infine di domenica sei in compagnia della  tua ragazza, oppure in bici come a bordo di un’auto d’epoca, come un turista in visita a luoghi d’arte oppure sei un pellegrino romeo che cerca di rigenerarsi spiritualmente, allora ben vengano gli antichi tracciati, le strade bianche pure, che passano tra un borgo antico, una pieve, un castello e si inerpicano sui colli permettendo con tranquillità di godere magari di paesaggi mozzafiato.

  Lasciamo però e permettiamo di costruire autostrade necessarie ai poveri camionisti, come agli agenti di commercio come a tutti quelli che devono fare per lavoro e non per diletto decine di migliaia di chilometri di spostamenti ogni anno.

  Terzo vantaggio. Le autostrade inoltre permettendo rapidi spostamenti possono essere usate anche da mezzi di trasposto pubblico. E’ il caso della superstrada Firenze-Siena un tempo a due corsie oggi a quattro. Su questa superstrada da alcuni decenni si sposano e corrono è proprio il caso di dirlo, anche autobus di linea con tempi di percorrenza assolutamente concorrenziali rispetto alle le automobili private. Da studente prendevo spesso questi autobus di linea recandomi a Siena da Firenze e trovando questi mezzi assolutamente vantaggiosi per i tempi di percorrenza, la sicurezza e che mi evitavano di dover guidare io stesso. Certo, se questi autobus avessero dovuto inerpicarsi nelle vecchie strade di un tempo, facendo fermate in ogni paese sarebbe stato impossibile usarli al posto delle automobili. La superstrada rendeva e rende tutt’oggi possibile l’uso di questi mezzi di trasporto collettivo al posto delle automobili. Si prende l’autobus nel centro di Firenze vicino alla stazione di S. Maria Novella, ci si siede a bordo, si apre un giornale, si sonnecchia come pure si guarda il paesaggio, l’autista che si suppone essere un professionista guida con prudenza per noi e dopo un ora circa, lo stesso tempo e forse meno che avrei impiegato con la macchina, si scende a San Domenico nel centro di Siena. Tutto questo senza problemi di parcheggio od altro probabilmente anche con minore spesa; senz’altro con molto meno stress e pericolo individuale. Ecco sulle autostrade si possono anche organizzare efficienti e concorrenziali servizi di autobus.

  Il quarto ed ultimo vantaggio delle autostrade ce lo diciamo tra noi ambientalisti  in un orecchio !!. E’ chiaro che avendo a disposizione le autostrade il trasporto, soprattutto quello pesante di camion e Tir come è già ampiamente successo, si adegua al tipo di strada che è possibile percorrere. I grossi camion  Tir sono stati pensati e costruiti per la autostrade e quindi sono in un certo senso “nelle nostre mani”. Una politica che scoraggiasse il trasporto di mezzi su ruota per spostarlo su ferro e per questo come già detto è incomprensibile l’opposizione degli stessi ambientalisti alla TAV, questa stessa  politica avrebbe buon gioco aumentando le tariffe autostradali e“taglieggiando “ i camionisti ed indurli a spostare le merci sul treno. Ho detto taglieggiare per gusto dell’iperbole ma per un ambientalismo maturo non esistono nemici, se non nei casi di vera e propria criminalità che pure esistono, ma solo gente che faticosamente svolge il proprio lavoro. Questo deve essere ben chiaro per superare un ecologismo che ancora oggi riecheggia troppo le ideologie degli anni settanta con i padroni, i proletari, i nemici di classe sempre cattivi e quant’altro. I cattivi se ci sono lo sono in maniera individuale e per ciò pagheranno un prezzo in questo o nell’altro mondo ma non lo sono per l’appartenenza o meno ad una classe sociale.

  Per concludere quindi… sì alle autostrade nei tratti ancora da fare e no ad un ambientalismo naif da ex  “figli dei fiori” invecchiati fuori dal tempo. Per ora, lo ribadisco, poiché la popolazione italiana sfiora i sessanta milioni di persone, non esistono zone vergini, tutto è antropizzato, si tratta solo di fare le cose con criterio e di convivere al meglio con la natura e con il territorio uomini,animali e cose. Oggi servono ancora le autostrade forse domani una volta superate da altri mezzi di trasporto queste potranno essere smantellate o fatte oggetto di altro uso. Di recente  è giunta la notizia che una strada sopraelevata nel centro di  New York, poiché non serviva più e non era più usata per le automobili, è stata riconvertita a parco pubblico e percorso verde cittadino.

  Le autostrade inoltre possono essere anche belle; si avete capito, proprio belle !. Penso ad alcuni tratti montani  o alla quasi superstrada che percorre le crete senesi a sud di Siena dove vedo spesso turisti fermarsi per fare foto Le autostrade possono essere belle a patto che siano poco frequentate e con scarso traffico ed è il caso della citata superstrada. La stessa superstrada a nord di Siena verso Firenze è costantemente ingombra di traffico rumoroso, inquinante, pericoloso per chi deve percorrere quel tratto e non ha niente di bello ma assomiglia ad un incubo notturno ed ad una bolgia dantesca.

  Si tratta della stessa strada, che percorre la stessa regione, la Toscana. In una evidentemente  si fanno foto pittoresche, nell’altra è meglio farsi il “segno della Croce” prima di iniziare a percorrerla.

  Ancora una volta è l’uso e  come adoperiamo le cose e lo scopo già detto altrove che fanno la differenza. Inoltre la autostrade anche se sono in genere più larghe per loro stessa natura si adattano al terreno più delle stesse linee ferroviarie che necessitano di percorsi ben più uniformi e pianeggianti. Chiudo però subito qui perché io resto un fan del treno che preferisco ad ogni altro mezzo di trasporto e perché nonostante tutti i revisionismi ed i distinguo che si vuole resto comunque un ambientalista.

 

  Concetto di Arca di Noè

  Parlando nel precedente capitolo di ormai sessanta milioni di Italiani e di territorio non più vergine ma totalmente antropizzato mi sono ricordato del concetto di Arca di Noè.

  In altre parole partendo proprio dalla ormai inconfutabile constatazione della quantità di abitanti umani presenti sul territorio nazionale è difficile se non impossibile sperare che un qualche lembo del territorio nazionale sia totalmente vergine. Vergine nel senso di mai contaminato dall’uomo oppure anche con scarsissima presenza umana.

  Sessanta milioni di abitanti in una nazione che agli inizi del 900 ne aveva soltanto venti milioni rende ben conto del balzo esponenziale ha cui e stata sottoposta la popolazione nel territorio nazionale; per altro in linea con l’aumento di popolazione sull’intero pianeta. Partendo da questa constatazione dell’impossibilità di aree totalmente vergini in cui piante ed animali possono vivere e riprodursi senza la presenza umana…ma poi è giusto considerare l’uomo qualcosa di diverso e pericoloso rispetto al resto del Creato?. Ci torneremo dopo !. Per ora costatando la fattiva ed obbiettivamente rilevabile mancanza di aree naturali totalmente vergini, non possiamo non cercare di introdurre il concetto di Arca di Noè.

  Aree totalmente vergini non ci sono ma l’uomo moderno in questo caso di nazionalità italiana e che vive su questa penisola sul Mediterraneo deve comportarsi come Noè fece su consiglio del Padreterno (…altro concetto quello religioso in rapporto alla natura di cui parleremo in seguito !) quello che Noè fece per le specie animali minacciate dal Diluvio Universale. Non dobbiamo anche noi costruire una nave di legno ma comunque come Noè, dobbiamo avere un atteggiamento di rispetto e di lungimirante responsabilità verso il Creato che ci comprende tutti uomini, animali e cose. Tutti quanti accomunati dal risiedere sullo stesso pianeta Terra di cui oggi più che l’immensità che sovrastava gli uomini del passato, oggi constatiamo proprio la finitezza ed i limiti delle risorse.  Per cui suggerisco agli ambientalisti “vecchia scuola” di scordarsi le oasi totalmente vergini e puntare comunque invece sull’educazione e sulla responsabilità dell’uomo moderno. Esso è comunque presente su questo pianeta ed al vertice del mondo animale anche se animale egli stesso (mammifero dei primati come le scimmie) ma dotato di raziocinio, capacità speculativa ed inventiva fino al punto oggi di avere le chiavi per la distruzione del Pianeta e di auto distruggersi egli stesso.  In Italia ormai siamo sessanta milioni di uomini, miliardi nel resto del mondo e soprattutto oggi con aerei e satelliti quasi tutto il globo è esplorato e raggiungibile compreso lo Spazio più vicino alla crosta terrestre, peraltro già inquinato dalla spazzatura dei satelliti in disuso.

  Constatato ciò, invece di cullarsi su sogni da civiltà preindustriale, è bene fare come Noè e far salire sull’Arca tutti, animali, piante, cose e considerali nostri compagni di viaggio ognuno secondo le caratteristiche e le attitudini che la natura in migliaia di anni di evoluzione ha previsto e codificato. Far salire la natura che ci circonda sull’Arca significa assumere, con interna presa di coscienza, la totale responsabilità di essere al vertice del creato e la consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni. Questo facendo senza però auto espellersi come vorrebbe un certo ecologismo che tende invece ad escludere l’uomo perchè considerato comunque e sempre irresponsabile criminale in tutte le sue scelte operative. Al contrario un criminale ambientale, politico, industriale o scienziato che sia, è tale solo se compie atti intrinsecamente malvagi per i sui simili e per l’ambiente; tutto il resto è umanità che opera , lavora, studia per il proprio miglioramento e con esso anche della natura che lo circonda.

  L’uomo interviene da sempre sul Pianeta secondo le sue peculiarità di specie come ed allo stesso modo in cui un uccello fa il nido, una pianta cresce e si sviluppa , un fiume scava il suo alveo, come anche le stesse immani forze endogene della terra plasmano i continenti.

  Oggi grazie al nostro ingegno e grazie a Dio che ce lo ha donato, abbiamo compreso fino agli intimi segreti della materia e siamo in grado di imbrigliare forze spaventose della natura, come la stessa energia atomica che di per se stessa non è ne buona e ne cattiva e dipende invece dal discernimento e dall’utilizzo che l’uomo stesso ne fa.  Questo allo stesso modo ed in maniera sostanzialmente non difforme dall’uomo preistorico che dopo aver realizzato una selce acuminata la usava per modellare un pezzo di legno come per raschiare una pelle ma anche al contrario per conficcarla nel corpo di un suo simile.

  Anche qui però voglio superare la vulgata buonista che va per la maggiore. Affermo infatti che se il corpo sopraddetto era quello di un pericoloso nemico che minacciava la sopravvivenza di questo nostro antenato, la sua vita e quella dei suoi familiari, allora è giustificato l’uso della punta di selce appena inventata ed in questo caso come arma. Comunque la selce rimane solo un sasso acuminato come l’energia prodotta dalla scissione degli atomi resta tale; la loro evoluzione da attrezzi in armi, dipende da l’uomo. Quando del resto si è voluto comunque sterminare i propri nemici e creare terra bruciata nel campo avversario, lo si è fatto anche nei secoli passati e con tecnologie semplicissime rispetto a quelle odierne.

  La morale che deriva dai sistemi religiosi e filosofici che prevalgono in quel periodo nei popoli, da poi il giudizio su l’uso di questi mezzi ma i risultati poi alla fine sono gli stessi.

  Il concetto di Arca di Noè prendendo atto della avvenuta globalizzazione anche in campo ecologico e naturale serve ad evitare di sognare paradisi perduti dai quali l’uomo contemporaneo è di fatto espulso ovvero considerato una presenza negativa, come detto sopra..

  L’uomo, moderno Noè invece, che con l’aiuto di Dio è cosciente delle proprie forse di cui non si vergogna ma da questa coscienza attinge ad un senso di responsabilità capace di conciliare il suo necessario lavoro e renderlo compatibile con il rispetto per il creato e le altre forme di vita. L’avvenuta globalizzazione sembra una storia contemporanea ma anche in passato era in parte presente.

  Nella Roma imperiale arrivavano merci e uomini dalla Britannia alla Mesopotamia, dall’Africa del Nord ed oltre. Nell’Europa medioevale giungevano le sete prodotte in Cina per non parlare poi della globalizzazione avvenuta dopo l’apertura delle rotte marittime oceaniche. Quindi niente di nuovo; solo tempi di percorrenza più rapidi e comunicazioni molto più veloci.

  Detto ciò, a questo proposito oggi, per motivi ambientali, perché non globalizzare anche le specie e gli animali in via di estinzione ?

  In Italia ed in Europa si allevano milioni di cani e gatti. Perché dunque non provare ad allevare un po’ meno cani e gatti ed invece al loro posto, allevare qualche specie a rischio estinzione?. In Italia per esempio l’orso marsicano o la lince di cui sopravvivono pochi esemplari, potrebbero essere riprodotti anche se necessario con tecniche di riproduzione artificiale che a differenza che sull’uomo non sollevano in questo caso problemi etici. Orsi e linci potrebbero poi essere venduti a chi ha giardini o parchi in grado di ospitali aumentando con ciò il numero di esemplari e la loro varietà genetica. Quanto poi alla pericolosità per l’uomo di avere vicino a se un orso o una lince ma…ho qualche dubbio. Si vede sempre più spesso in televisione gente che alleva tranquillamente leoni, tigri ed animali feroci i quali se trattati bene e con amore, diventano mansueti come gattoni. Del resto poi un cane pastore, come un mastino od un dobermann ma anche lo stesso gatto che accarezziamo guardando la televisione se per qualche motivo si imbizzarriscono possono diventare feroci e pericolosi. Pericolosi come altre specie che da sempre abbiamo considerato tali e forse perché da sempre queste specie vivono allo stato di natura, lontano dall’uomo.

  La Bibbia racconta che invece nell’Arca di Noè anche le belve più feroci entrarono docilmente. Forse perché il Diluvio e quindi il pericolo, era imminente ma anche perché l’Arca era un rassicurante rifugio e non una pericolosa giungla senza legge. Era poi infine l’Arca e in maniera non affatto secondaria, voluta da Dio stesso. Noè era un sant’uomo a Lui sottomesso e non un pericoloso e narcisista semidio invasato per i propri successi tecnici, economici e scientifici. Per questi successi infine obnubilato nell’intelletto,nel senso di responsabilità e di misura e nella comprensione delle ricadute pratiche e soprattutto morali delle proprie invenzioni.

  Di questi semidei soffre la natura ed il Pianeta non di venerandi patriarchi come Noè che salva tutto e tutti. Del resto lo stesso Diluvio fu ordinato per la malvagità pregressa dei semidei di allora che come oggi abitavano la Terra.

  I  Santi salvano il mondo e dialogano lodando Dio, come Francesco d’Assisi, con il creato ed i lupi diventano agnelli.  Quindi in conclusione fuori dalla metafora religiosa ma non troppo, constatare l’ormai piccolezza del Pianeta, abbandonare sogni primitivisti che escludono per salvare la natura la presenza dell’uomo stesso e globalizzare anche se con gradualità l’opera di salvataggio delle specie in pericolo facendo allevamenti anche lontano dai luoghi di origine. Fare adottare infine specie diverse anche dai privati ed usare le più moderne tecniche di riproduzione.

  Tutte queste attività non guasterebbe se fossero intercalate dalle ore canoniche della preghiera che scandiscono la giornata dei credenti cristiani, mussulmani o buddisti che siano.

  Forse non fu a suo tempo salvata la cultura greca e romana dai monaci medioevali che sospendevano la copiatura dei testi antichi ogni giorno, quando il suono della  campana, li invitava alla meditazione ed alla preghiera ?

 

  Sì alla caccia

  ….difficile per me scrivere questo capitolo a causa della la mia giovanile militanza nella Lega Anti Caccia negli ultimi anni universitari, a Firenze. Eravamo pochissimi allora ma molto combattivi e soprattutto avevamo dalla nostra si può dire l’incipit di un clima ambientalista che porterà negli anni successivi alla estrema diffusione della ideologia ecologista ed ambientale in tutto il mondo occidentale. Ciò e avvenuto fino ad un punto tale da indurmi a scrivere questo e gli altri capitoli allo scopo di ridimensionare l’ideologia ambientalista come è oggi intesa ed evidenziarne esagerazioni e limiti.

  Eravamo allora invece alla fine degli anni settanta, il decennio di “piombo” per i tanti morti ammazzati in giro per l’Italia dominata dallo scontro ideologico e politico.

  L’ambientalismo come fenomeno di massa era di la da venire e si affermerà soltanto verso la fine del successivo decennio. Allora era invece ben poca cosa di fronte alle ideologie forti come il Comunismo ed il suo antagonista il Capitalismo atlantico ed occidentale che risulterà poi vincitore. Il Presidente americano Ronald Reagan ed il Papa polacco Karol Wojtyla erano appena stati eletti e se pur percependo da subito che con entrambi eravamo al giro di boa della storia, la loro azione determinante per la sconfitta del comunismo era solo agli inizi. “Con Reagan si riga ! “ e “Il popolo è servito” invece di Servire il Popolo una delle tante sigle dell’estremismo di sinistra di allora ed ancora “Circolo culturale…la Risacca” per indicare il ritorno indietro rispetto a tutte le spinte in avanti che gli anni settanta, dominati dall’iniziativa politica e culturale delle sinistre, avevano prodotto.

  Tutte queste fantomatiche sigle si era divertito goliardicamente ad idearle Francesco Ruocco mio amico e compagno di studi a Firenze in quegli anni ed erano state suggerite proprio dalla percezione della imminente svolta che poi in effetti ci fu, a livello mondiale, con le sopraccitate elezioni di Reagan e Papa Wojtyla. L’ambientalismo anche se aveva una presenza più che decennale nelle associazioni storiche come Italia Nostra e WWF, ancora era fenomeno di pochi e  patrimonio sentito da un elite. Un elite che magari poco pensava ad impegnarsi in prima persona come facevano i più per i grandi temi sociali e palingenetici delle ideologie di quel periodo e che poi erano i grandi temi del 900, il secolo appena trascorso.

  Eravamo poche decine  gli iscritti alla Lega Anti Caccia di Firenze verso la fine degli anni settanta e quasi tutti, tranne il sottoscritto, erano anche membri del Partito Radicale cioè, come dire, una sinistra moderata e libertaria. Le riunioni infatti si facevano di solito nella sede del Partito Radicale di Firenze; un mezzanino in via dei Neri, vicino a Palazzo Vecchio. Alla Radio Radicale ricordo di aver tenuto anch’io una conferenza in quegli anni, ovviamente contro la caccia, assieme all’attuale presidente toscano di Legambiente, Piero Baronti. C’erano inoltre iscritti alla Lega Anti Caccia, Gianni Malesci coordinatore di Firenze ed il purtroppo prematuramente defunto Roberto Bernocchi e come presidente nazionale della LAC (Lega Anti Caccia), avevamo lo zoologo Carlo Consiglio, docente  universitario.

  Eravamo pochi alle riunioni nel mezzanino vicino a Palazzo Vecchio; a stento si raggiungeva le dieci persone ma come ripeto eravamo molto attivi e soprattutto avevamo dalla nostra  “la Storia” come pomposamente si potrebbe dire. Quelle idee e non solo la difesa della fauna dai cacciatori compito specifico della LAC ma l’ecologismo in toto, trionferanno come detto, nei decenni successivi. Trionferanno fino al punto in cui sento la necessità io stesso, che senza falsa modestia fui tra i precursori, sento la necessità di evidenziarne esagerazioni e limiti.

  La Storia appunto che sprona pochi a iniziare un cammino che poi si affermerà rovesciando idee ben consolidate come anche istituzioni, sistemi politici, nazioni ed imperi.

  Proprio in questi giorni, anno Domini 2010, si celebrano i 150 anni dell’unità d’Italia.

  I Mille che sbarcarono con Garibaldi in Sicilia riuscirono a conquistare il regno delle Due Sicilie molto meglio armato ed organizzato di quel pugno di avventurieri, per lo più di origini borghesi, e senza certo l’addestramento dei soldati di mestiere che li fronteggiavano. Il loro successo io credo si possa spiegare pur con puntualizzazioni e distinguo, soltanto con il prevalere in quel periodo delle idee liberali e del patriottismo, figlio del romanticismo, che andavano per la maggiore in tutta Europa. I Mille avevano dalla loro quelle idee, in quel momento vincenti, un opinione pubblica soprattutto nord europea che li sosteneva e la loro decisione ed il loro coraggio ebbero la meglio su i più numerosi e meglio armati eserciti borbonici. Questo avvenne per tutta la campagna fino all’ultima battaglia sul Volturno dove i garibaldini che erano ventimila vinsero nonostante i borbonici fossero ben cinquantamila. Si potrebbe continuare scorrendo la storia dove intere armate ormai demoralizzate e senza più volontà di combattere si sono arrese a relativamente pochi nemici ma estremamente più motivati e decisi.

  Abbiamo anche noi della Lega Anti Caccia di Firenze avuto una volta prova evidente di quanto sopra affermato.

  Si stava infatti organizzando verso la fine degli anni settanta  a Firenze una grande raduno di cacciatori toscani. Si pensava confluissero a Firenze migliaia di cacciatori  per protestare contro le ormai sempre maggiori limitazioni che l’esercizio dell’arte venatoria  subiva ogni anno anche sotto la pressione e la propaganda delle associazioni ambientali. Di questo raduno ne discutevamo noi della LAC nel solito mezzanino vicino a Palazzo Vecchio.

  Eravamo come al solito molto pochi ed anche se gli iscritti alla LAC di Firenze erano qualche decina, noi difficilmente superavamo nelle riunioni dopo cena di solito, le quindici persone. Quella sera non faceva eccezione.

  Si sapeva dunque della manifestazione dei cacciatori toscani…Oggi mi sorprendo a citarli “sine ira et studio”  allora erano invece i nostri nemici.

  Migliaia di cacciatori da tutta la Toscana e di pessimo umore non potevano essere incontrati in piazza parlando amichevolmente. Che fare dunque?. Escluso dare dei volantini direttamente nelle loro mani; immaginate come sarebbe finita. Escluse tutte le altre ipotesi di contatto diretto con loro compreso “l’incatenamento”, specialità di Piero Baronti, per protesta da qualche parte magari alla fontana del Biancone, al Perseo di Benvenuto Cellini oppure al Ratto delle Sabine del Giambologna presenti in Piazza della Signoria.

  Cito a questo proposito molti anni prima la rottura di un frammento di questa statua del Giambologna da parte di un giovane goliardo fiorentino diventato poi mio caro amico, il Dott. Massimo Sandrelli. Costui istigato dagli altri goliardi più anziani di lui dopo una cena e immagino copiose libagioni, si era arrampicato sul Ratto delle Sabine del Giambologna per, letteralmente, “mettergli le mutande” dato che come è noto si tratta, come le altre presenti in Piazza, di una statua nuda.  Massimo Sandrelli,poi futuro Priore del citato ordine goliardico dei Clerici Vagantes, era tra i  più giovani del gruppo e fu obbligato a salire sulla statua sotto pena di goliardiche punizioni dai più anziani. Invece però di infilare le mutande di stoffa che teneva in mano,  scivolò ed un piede di marmo, forse di un romano o di una sabina, si ruppe.

  Ne parlarono come ovvio per alcuni giorni tutti i giornali d’Italia.

  Io stesso ancora liceale ma che tenevo d’occhio le imprese dei goliardi universitari, quasi presagio della mia futura carriera in quell’ambiente, ricordo di averlo letto.

  Evitare quindi, si discuteva alla riunione della LAC quella sera, di incatenarsi per protesta. Certo non per paura di rompere una statua di marmo. Le statue servivano ai goliardi quella notte, a  noi sarebbe bastata una semplice colonna come pure un cancello od un portone, magari quello di Palazzo Vecchio. Come dicevo però le migliaia di cacciatori che sarebbero sicuramente confluiti poi in Piazza della Signoria erano di pessimo umore e gli ambientalisti di qualsiasi tipo erano da loro detestati ed anche noi del resto, come detto, ricambiavamo volentieri.

  Quindi escluso farsi vedere, noi probabilmente meno di venti e loro migliaia!!. Che fare ? Io proposi di far sventolare uno striscione con scritto “NO ALLA CACCIA” sulle loro teste. Un altro tra i presenti propose subito di noleggiare a questo proposito un piccolo aereo da turismo all’aeroporto fiorentino di Peretola che avrebbe portato lo striscione sopra Firenze e direttamente sopra le teste dei cacciatori.

  Così fu fatto; si noleggiò l’aereo ed il giorno della manifestazione lo striscione con quella scritta “NO ALLA CACCIA” fu portato e passò più volte sopra la manifestazione dei cacciatori confluiti  a Firenze da tutta la Toscana.

  Io non ero per strada a vedere gli effetti di quella iniziativa ma immagino gli insulti e le imprecazioni  rivolte allo striscione con la scritta ed all’aereo…ma nient’altro poterono fare i cacciatori toscani; l’aereo volava e loro camminavano in strada…

  Ancora una volta mentre scrivo mi sorprendo a nominare i cacciatori senza acredine alcuna; la differenza con quegli anni passati è evidente.

  L’aneddoto dello striscione e dell’aereo noleggiato non è il solo.  Potrei infatti proseguire citando altre iniziative in quegli anni di noi attivisti della LAC, come le proteste al campo di Tiro al Piccione di Empoli, insieme questa volta anche al futuro deputato verde Annamaria Procacci. L’aneddoto sopra citato sta a dimostrare quanto scritto prima, che cioè proprio quando si ha il vento della Storia a favore, anche poche persone ben motivate, possono metterne in scacco migliaia.

  Oggi trent’anni dopo non credo esista più la Lega Anti Caccia o per lo meno non se ne sente parlare, gli stessi cacciatori sono forse cambiati ed io mi ritrovo a scrivere forse con un po’di imbarazzo ma non più di tanto, questo capitolo in favore della caccia e dei cacciatori stessi e per i seguenti motivi.

  Primo motivo. Milioni di animali ma anche l’uomo è un animale e per questo non può sottrarsi oltre certi limiti dalle leggi delle natura, milioni di animali mammiferi, uccelli, pesci ed altro vengono uccisi dall’uomo ogni giorno per cibarsene.

  Un ambientalismo serio dovrebbe far vedere ogni tanto, magari nei molti documentari televisivi sulla natura, da dove provengono il prosciutto , la bistecca, i pesci che noi quotidianamente mangiamo. Per pesci qualcosa si vede forse perché più distanti da noi sul piano evolutivo. Mai però che una telecamera entri in un pubblico macello e documenti de visu l’uccisione e la morte in quell’istante di un bue o di un maiale. Eppure ciò avviene tutti i giorni e per milioni di animali. Capisco che preferiamo vedere la natura idilliaca  ma essa è nella realtà estremamente crudele ed  elimina il più debole. Noi ci soffermiamo ad ammirare uno splendido tramonto e non pensiamo che l’astro che ci da la vita è, come risaputo, una enorme centrale atomica. Questo a fatto dire ad alcuni miei amici che i Verdi, notoriamente contrari alle centrali nucleari, hanno poi, scegliendo come simbolo il sole, di fatto scelto una centrale nucleare. Anch’io comunque ammiro i grandi spettacoli della natura e mi rilasso guardando i documentari televisivi ma poi essendo un animale diciamo pure appartenendo all’umanità superiore ma sempre comunque animale, a mezzogiorno comincio ad avere fame e cosi all’ora di cena.

  Non si deve mangiare molta carne lo sapevano benissimo anche gli antichi ma un po’ di carne rientra nella nostra fisiologica alimentazione.

  Sfogliavo recentemente un libretto degli animalisti italiani che sosteneva che l’uomo non è un animale onnivoro ed i nostri denti canini sono li per funzioni diverse. Il fatto è invece che l’uomo si alimenta anche di carne e non può fare diversamente, a patto che non si facciano delle scelte particolarmente ascetiche seguendo regole di vita in genere riservate a pochi individui. Costoro spesso inseguono cammini ed elevazioni spirituali estranee alla maggior parte di noi.

  Assunto allora quanto sopra che cioè l’uomo è per sua natura onnivoro e mangia anche carne essendo una via di mezzo tra gli animali solo erbivori o solo carnivori; questa carne deve essere procurata. Allora perché si alla macellazione  e no alla caccia ?.Il maiale, il bue, il pollo si e la lepre, il cinghiale, il fagiano no ?.

  Non mi sembra che oggettivamente si possa proibire la caccia e mantenere al contempo la macellazione di animali per uso alimentare.

  Naturalmente non può essere una caccia di sterminio come spesso è stata in passato e che porti all’estinzione di molte specie ma si senz’altro ad una caccia rispettosa degli equilibri ambientali ed in cui anche l’uomo può comunque fare la sua parte. Oggi a differenza che in passato siamo diventati coscienti dei limiti del Pianeta su cui viviamo.

  La Terra non è più quella infinita estensione semi inesplorata in cui l’umanità si sentiva inferiore e succube. I mezzi sia scientifici che tecnologici acquisiti oggi dall’uomo sono tali che hanno la possibilità di distruggere in poco tempo la vita sul Pianeta e per cui sono necessarie una nuova coscienza ed un nuovo senso del limite.

  I nostri “nemici” di allora i cacciatori, forse praticavano una caccia superata dai tempi come se popolazione umana e mezzi tecnici fossero propri della società ancora agricola e preindustriale in cui avevano da giovani mosso i primi passi venatori, accanto ai loro padri, se non addirittura ai loro nonni.

  Gli ambientalisti ed in particolare la LAC si opposero a ciò e chiesero addirittura con referendum per abolire la caccia. La caccia non fu abolita ma subì insieme a chi la praticava un paio di decenni di opinione pubblica avversa soprattutto negli ambienti intellettuali cittadini … “che non avevano mai visto un fagiano od una lepre in natura !!”. Questa era infatti quanto dicevano i cacciatori degli ambientalisti e con qualche ragione.

  In ogni modo subirono i cacciatori un calo di praticanti e subirono leggi e regolamenti sempre più ristrettivi. Questa situazione resiste in parte anche oggi anche se alcune associazioni ambientali sono più possibiliste verso la caccia. Lo stesso Piero Baranti, ex Lega Anti Caccia come il sottoscritto ed attuale presidente toscano di Legambiente, da me raggiunto telefonicamente, mi disse che anche Legambiente non era del tutto contraria alla caccia.

  Avevo telefonato a Baronti per raccontargli di essere stato invitato per caso da un gruppo di cacciatori miei amici a mangiare uccelletti allo spiedo, di novembre la stagione giusta per questo tipo di cacciagione, con vino genuino, il fuoco scoppiettante e quant’altro. Commentai con Baronti al telefono quell’esperienza che non facevo più da anni, per lo meno da quando si era diffuso tra parenti ed amici la mia fede ambientalista e tutti si guardavano bene dall’invitarmi a simili tavolate. Baronti disse”…da come lo racconti sembra un esperienza da rifare !!”.  Lo è infatti senz’altro; salvo il rispetto degli equilibri ambientali e tali uccelletti non siano specie protette perché troppo ridotti di numero o peggio in via di estinzione.  Del resto oggi le giuste politiche di protezione della natura hanno permesso un incremento di numero di specie selvatiche ed alcune di esse sono diventate spesso troppo numerose.

  Faccio l’esempio di cinghiali e caprioli che sono diventati troppi in Toscana dove io vivo, distruggono le culture, spesso provocano incidenti stradali ed è divenuta necessaria una caccia di selezione forse ben più incisiva di quella attualmente consentita.

  Non parliamo poi dei piccioni che per la loro tendenza a colonizzare centri storici ed altre zone urbane sono una vera jattura per gli escrementi che insozzando ovunque creando anche notevoli problemi igienici. Dobbiamo intervenire; le modalità possono essere diverse, una di queste è rivalutare la caccia che naturalmente però sia responsabile e rispettosa delle regole. Chi non rispetta le regole non è un cacciatore ma propriamente un bracconiere.

  Un amico e collega appassionato cacciatore nelle nostra infinite discussioni tendeva a ripetere sempre questo differente concetto; e cioè che il cacciatore è cosa diversa dal bracconiere. Il primo pratica una caccia secondo le regole e le leggi venatorie, il secondo invece, queste stesse leggi e regole sistematicamente infrange. In più aggiungeva “Sei abbastanza vicino a capirlo ma ancora non ci siamo!!” In effetti io come tutti gli ambientalisti “primigeni” tendevo a non fare distinzione mettendo insieme i cacciatori in toto, come irresponsabili distruttori della natura.

  Ora credo che questa distinzione tra cacciatori e bracconieri sia invece indispensabile.

  Condannare senz’altro i bracconieri ma accettare i cacciatori ed anzi farsi aiutare da loro che conoscono bene fauna e ambiente, per salvaguardare il territorio, contro tutti coloro che potenzialmente potrebbero recare danni.

  Questo è ciò che penso oggi mentre vedo che molti ambientalisti si attardano su posizioni ormai vecchie di decenni.

  Queste idee “tardive”sono ormai estremamente diffuse anche in tutta l’opinione pubblica. Ad esempio un mio amico, il Prof. Giovanni d’Angelo recentemente scomparso, per nulla militante ambientalista, commentò invece in mia presenza con soddisfazione la notizia di un avvenuto incidente ad un cacciatore durante una battuta- “Bene -disse-…così imparano cosa vuol dire sentirsi a dosso una scarica di fucile!” Io obbiettai subito che il dolore e la sofferenza sono un esperienza inscindibile da ogni essere vivente uomo compreso e poi chiesi “Cosa preferiresti nascere, fagiano o pollo, coniglio o lepre ?” Volendo dire cioè animale d’allevamento come polli e conigli o selvatici come lepri fagiani, anche se cacciabili. “Beh certo –rispose-…preferirei essere lepre o fagiano“ . Questo perché io aggiungo, la lepre, i fagiani e tutta la selvaggina sono comunque animali liberi anche se beninteso cacciabili ed a ben vedere i cacciatori  non sono poi quei mostri che certo ambientalismo “tardivo” tende ancora oggi a descrivere.

  La domanda potrebbe essere estesa anche alle corride ed ai tori da combattimento che tra le due sorti essere allevati per il macello o essere allevati per il combattimento nelle arene spagnole i tori sceglierebbero senz’altro quest’ultima ipotesi. Laddove se non altro nelle arene ogni tanto ci scappa un torero incornato, se non addirittura ucciso, dallo stesso toro. Possibilità questa e “rivincita” che gli animali da macello senz’altro non hanno.

  Un'altra frase mi fu detta dal sopracitato amico e cacciatore nonché mio ex compagno di liceo.

  Il Dott. Mauro Cozzi Lepri, questo è il suo nome, mi disse una volta dopo la solita accesa  discussione sulla caccia, “…e poi noi cacciatori siamo più sani!!”. Capii immediatamente a cosa si riferisse e cioè con quel “sani” si riecheggiava implicitamente il vecchio detto riguardante le passioni maschili; la caccia, la guerra , le donne. Si può anche specificare sempre con gli antichi : “Un vero uomo deve sapere di tre cose…di cuoio, di tabacco e di polvere da sparo”. Ovvero il cuoio dei finimenti dei cavalli, delle selle e degli abiti da campagna, il tabacco di pipe e sigari e la polvere da sparo delle armi per la guerra e per la caccia. Un altro modo dunque per distinguere la psicologia maschile da quella propriamente femminile.

  Devo dire che questa frase “i cacciatori più sani”, mi colpì e con molta sorpresa,  risvegliando una cultura di base forse ormai da troppo tempo sopita e nascosta dalle idee che hanno attraversato la mia generazione. Nonostante abbia ricevuto infatti una educazione tradizionale ho poi incontrato sulla mia strada la beat generation, i figli dei fiori, il sessantotto e tutto ciò che ne consegue in ingenuità buoniste, pacifiste, non violente, egualitarie e quant’altro di ideologicamente ormai vecchio e giunto momentaneamente al capolinea.

  I cacciatori ho il sospetto, imbarazzante dopo anni di ambientalismo, il sospetto che siano effettivamente più sani sul piano fisico e forse anche psicologico…a quest’ultimo aspetto si riferiva senz’altro il mio amico.  Più sani se non altro perchè si alzano presto soprattutto nelle fredde giornate invernali, comminano a piedi per ore attraverso boschi e prati, sono a stretto contatto con la natura reale e le sue ferree e forse spietate leggi senza frapposizioni ideologiche da intellettuali salottieri.

  Abbiamo dunque per concludere senza rinnegare le giovanile esperienze della Lega Anti Caccia, spezzato una lancia anche in favore dei cacciatori e questo allo stato attuale delle cose era senz’altro dovuto.

  In ogni modo in estrema sintesi resta l’assunto fondamentale; non possiamo proibire la caccia ed allo stesso tempo invece far finta di non vedere che milioni di animali vengono uccisi ogni giorno per i più svariati usi alimentari.

  Ai cacciatori da ambientalisti che ritrovano però un sano realismo, dobbiamo solo chiedere di rispettare le leggi e le regole e che quest’ultime debbano essere improntate comunque alla salvaguardia dell’equilibri delle specie animali e della natura di cui anche l’uomo fa parte.

  L’uomo animale appunto, mammifero onnivoro, che certo non pecca o se preferite non sbaglia, quando uccide per alimentarsi. E’ proprio la legge della tanto osannata e forse a questo punto anche troppo idolatrata natura che lo stabilisce, i maniera inequivocabile.

 

  Le GRANDI OPERE non sono necessariamente brutte

  Tra le altre obbiezioni che vengono fatte alle grandi opere programmate per il prossimo futuro in Italia c’è la certezza diffusa che esse saranno comunque brutte a vedersi e di grande impatto ambientale.

  Questa è un implicazione non necessariamente dichiarata ma che sembra essere comunque nel sottofondo o nel subconscio collettivo ed alimenta la diffidenza verso ogni tipo di innovazione specie se di grandissime dimensioni e di grande impatto visivo. In genere le grandi opere promesse dal Governo di Centro Destra nei mesi precedenti questo scritto cioè circa a meta dell’anno 2009, subivano da parte dell’opposizione e dai Verdi in particolare, un contrasto e un avversione che riguardava l’impegno economico e quant’altro già trattato nei capitoli riguardanti la TAV, il progetto MOSE, il Ponte sullo Stretto di Messina.

  A questo punto vogliamo brevemente trattare della diffidenza preconcetta verso gli interventi urbanistici, viari e comunque le grandi infrastrutture moderne e di recente proposta. Questa diffidenza a nostro parere risente dell’inizio della seconda rivoluzione industriale italiana cioè gli anni sessanta-settanta dello scorso secolo. Allora infatti si interveniva pesantemente sul territorio e si era dominati dal funzionalismo sul piano progettuale ed estetico con le tanto discusse e temute cementificazioni massive, le autostrade asfaltate, i porti, le gallerie e quant’altro si costruiva in quegli anni obbedendo soltanto alle leggi inesorabili della “funzione”. In altre parole si teorizzò come già detto, che “Ciò che è funzionale è bello e - di converso - ciò che è bello è funzionale” in una logica stringente che non lasciava spazio a mediazioni.

  I criteri con cui si costruisce oggi invece, non obbediscono più a detta logica della funzionalità ma si indulge volentieri ad una ricerca estetica che spesso arriva ad un accenno ed a un ritorno di classicismo. Non è detto dunque che questo decoro estetico ritrovato, non si possa applicare ad opere pubbliche come ponti per autostrada o meglio per ferrovia e per questo non è detto che queste nuove operare necessariamente contrastino o rovinino irrimediabilmente il paesaggio.

  Ripeto quindi quanto detto sopra; siamo ormai sessanta milioni di abitanti nella penisola italiana ed è perfettamente inutile sognare paradisi perduti dove di fatto l’uomo è meglio che non sia presente. Al contrario invece siamo presenti “in massa” e certe infrastrutture sono assolutamente necessarie. Detto questo in fase di progettazione e poi di realizzazione delle grandi opere pubbliche le strade sono due.

  Prima strada: si può scegliere di nascondersi in fase progettuale cosa che gli architetti in genere non amano fare. Prendere per questo esempio dai militari che spesso mimetizzano uomini mezzi ed infrastrutture anche di grosse dimensioni per renderle invisibili al nemico. Si possono fare, in quest’ottica del nascondimento e del mimetismo piantate d’alberi come si è fatto in molte autostrade o che sono poi cresciuti spontaneamente, creando delle barriere visive ed acustiche che hanno fatto letteralmente “sparire” interi tratti di autostrada o di nuove linee ferroviarie per l’alta velocità. Seconda strada: si può intervenire anche nella progettazione architettonica superando la fase strettamente tecnica ed ingegneristica coinvolgendo architetti appunto od anche artisti puri, nell’ideare soluzioni che rendano accettabili queste necessarie grandi opere, nel contesto in cui dovranno essere inserite.

  Penso per esempio alle scale antincendio che una a mio avviso discutibile legge obbliga a fare in molti edifici dove sia previsto un grosso afflusso di pubblico. Dico “discutibile” perché ho sempre avuto il sospetto che questa legge sia stata copiata senza troppi distinguo, da paesi esteri in questo caso l’America dei film ambientati nelle squallide periferie urbane. Quanti incendi abbiamo invece in Italia dove le case sono quasi tutte in muratura e con poco legno per giustificare tale legge?. Non bastava forse potenziare un poco i Vigili del Fuoco presenti capillarmente sul territorio per avere lo stesso e forse maggiore livello di prevenzione ma con infinitamente meno spesa economica ?. Resta il fatto che la legge esiste, come quell’altra legge che obbliga a tenere i fari accessi delle auto anche quando il sole delle estati italiane, spacca le pietre. Altra legge copiata sicuramente dai paesi del nord Europa dove il clima e di conseguenza l’illuminazione solare è tutt’altra cosa.

  In ogni modo la legge sull’obbligo delle scale antincendio esiste ed a noi in questo caso interessa solo il suo riflesso sull’estetica degli edifici.

  Le prime scale antincendio furono quindi necessariamente addossate ad edifici preesistenti con effetti disastrosi sul piano estetico. Tutti i giorni ho sotto gli occhi la scala antincendio in alluminio addossata ad un grande albergo di Chianciano Terme, dove io vivo, e mi rendo conto di quanto questa scala rovini esteticamente la facciata dell’albergo stesso. Con ciò tacendo anche sui costi economici che la proprietà  ha dovuto sopportare, per la realizzazione e messa in opera, di detta scala.

  Ci sono poi le stesse scale antincendio che per effetto della medesima legge vengono progettate insieme ed in contemporanea agli edifici di nuova realizzazione. In questo caso i progettisti riescono a farne quasi sempre un elemento architettonico dell’edificio stesso e che si amalgama con il medesimo, senza troppo disturbo per l’estetica. Sempre a Chianciano Terme la scala antincendio della nuovissima Scuola Alberghiera pur se visibilissima anche da lontano é molto meglio inserita ed in coerenza con il grande edificio della scuola da poco realizzato. Senz’altro meglio inserita di quella del sopracitato albergo che ha dovuto invece sopportare l’addossamento della scala antincendio molti decenni dopo la sua prima costruzione alla quale partecipò anche mio padre, negli anni trenta del secolo scorso.

  La stessa cosa delle scale antincendio si può dire dei pannelli solari che fanno spesso brutta mostra di se e non importa se sono utili ed ecologici. Restano comunque brutti se inseriti su preesistenti tetti e sono invece accettabili se inseriti dai progettisti in nuove costruzioni e meglio se di uso industriale o comunque commerciale. Anche nelle civili abitazioni se soprattutto di disegno moderno i pannelli fotovoltaici solari possono essere un elemento architettonico compatibile con l’estetica dell’edificio. La stessa cosa quindi per le Grandi Opere perché non è affatto detto che debbano essere delle colate di cemento sic et simpliciter come si faceva in passato quando la riflessione sull’impatto estetico ed ambientale non era ancora iniziata o era comunque ai primordi.

  L’impatto visivo delle Grandi Opere oggi può comunque essere studiato in anticipo e largamente previsto e valutato.

  Si dà il caso di alcuni canali per la navigazione fluviale recentemente realizzati se ricordo bene in Germania, come fossero dei fiumi naturali; con le rive mosse e non tagliate a squadra , con anse appositamente realizzate perchè diventassero luoghi di accoglienza per piante palustri ed animali acquatici e sempre però consentendo al contempo la navigazione delle grosse chiatte da trasporto. Canali resi naturali e non semplici escavazioni lunghe centinaia di chilometri con le rive tutte uguali e magari cementificate. Si possono fare grandi opere con attenzione all’inserimento nel paesaggio e gli esempi potrebbero continuare.

  Penso alle dighe dove la colata di cemento per lo sbarramento del fiume e di contenimento delle acque d’invaso credo sia comunque inevitabile. Questa grande massa di cemento necessario può essere comunque mascherata con controscarpe di altro materiale, terrapieni, terrazzamenti e quant’altro acconsenta il veloce attecchimento di piante erba ed arbusti capaci di nascondere alla vista il detto cemento armato, strutturalmente necessario allo sbarramento del fiume. Quindi una volta stabilito il nascondimento ovvero la mimetizzazione di una grande opera non resta che affidarsi alle capacità estetiche dei progettisti e della committenza e con l’intervento non solo sul piano strettamente tecnico come è stato in passato ma anche sull’attuale e molto discusso aspetto dell’inserimento ambientale. Tutto questo porterebbe a realizzare comunque le Grandi Opere necessarie al Paese superando gli ostruzionismi preconcetti di un certo tipo di ambientalismo vecchia maniera.

  Ho parlato di interventi passati realizzati solo con finalità tecniche ed in effetti fu effettivamente così anche perché la riflessione sul piano ambientale era ai primordi e materia di un ristretto numero di appassionati al tema.

  Comunque anche in passato, parlo degli anni sessanta dello scorso secolo, si progettò con attenzione all’inserimento nel contesto preesistenti. Un esempio in questo senso che ho sempre sotto gli occhi con una certa meraviglia per la sua capacità anticipatrice, sono le cabine dell’ENEL sparse sul territorio nazionale. Queste cabine furono realizzate già molti decenni or sono con evidente attenzione al contesto in cui venivano poste. Quindi troviamo cabine in mattoni nei centri  storici  toscani, in colori pastello o più scure, come anche in cemento a secondo del luogo dove sono poste. Comunque una diversa dall’altra con un attenzione al contesto che, data l’epoca di costruzione, ha dello straordinario. Mi piace pensare che i progettisti sicuramente “di città” già recepissero un clima culturale allora ai primordi ed oggi diventato di dominio comune sia nazionale che internazionale. Tanto comune da dover ormai evidenziarne limiti ed esagerazioni le quali in alcuni contesti politici  hanno in un recente passato, bloccato le realizzazione delle Grandi Opere, peraltro assolutamente necessarie al Paese.

 

  L’ambientalismo senza ANIMA

  Nei capitoli precedenti ho cercato di dimostrare come “lo scopo” per cui si fanno le cose influenzi enormemente la loro accettazione nell’ambiente circostante. Ho citato per questo chiese, conventi, castelli, croci per dire che la loro funzione spirituale ma anche di saga eroica militare per i castelli, ne determinano la loro costante accettazione nel contesto in cui sono stati costruiti. Cosa diversa invece per opere più di uso materiale o se preferite volgare che questa stessa accettazione non riescono ad avere in alcun modo e che gli ambientalisti giustamente stigmatizzano come scempi ambientali. Lo “scopo” sopra citato può essere anche chiamato per estensione “l’Anima” delle cose.

  Un giocattolo per bambini, uno strumento medico, una pistola, come anche un oggetto liturgico e religioso hanno uno scopo e quindi un anima diversa.

  La stessa cosa può dirsi per i movimenti culturali che hanno attraversato la  storia in generale e quella del secolo scorso il 900 in particolare e di cui l’ecologismo ed i movimenti ambientali sono l’ultima propaggine. Una propaggine che coinvolge ormai tutto il mondo occidentale come e forse più delle altre passate  ideologie; comunismo, fascismo, liberismo.

  Dobbiamo purtroppo constatare che l’ambientalismo è diventato una vera e propria religione “senza Dio”. Laddove l’adorazione della natura si sostituisce a Colui che è invece origine di tutte la cose dell’uomo, degli animali, delle piante ed in fondo della natura creata e del Pianeta sul quale immeritatamente risiediamo.

  Dobbiamo necessariamente constatare che questo ecologismo ultimo figlio dell’umanesimo rinascimentale, dell’illuminismo e delle ideologie palingenetiche del novecento, sostituisce ormai la vera spiritualità.  Meglio ancora ne fornisce una versione edulcorata ed appiattita sull’immanente visivo ed estetico della contemplazione e della deificazione della natura e del pianeta. Questo porta ad aberrazioni in cui si mescola volentieri buono,meno buono, totalmente errato in una riflessione superficiale che difficilmente tocca i temi ultimi della vita , della morale ed anche della stessa condizione naturale di  ogni essere vivente di cui l’uomo è la massima espressione. Anzi proprio in forza di questa superficialità è proprio l’uomo ad essere negato, quasi fosse un intruso in questo pianeta e nell’universo.

  Nei tempi della mia passata militanza ambientale mi sono più volte ritrovato a pensare che l’uomo in quanto tale con i suoi disastri e la sua proliferazione incontrollata fosse… “il carcinoma dell’universo”. Una posizione che non mi sento più in alcun modo di condividere a patto che l’uomo stesso si riappropri della propria Anima e con essa si sottometta a qualcosa di più grande di lui che lo trascende e che ne impone e stabilisce il senso del limite ed i necessari confini operativi. Secondo scienza e coscienza naturalmente ma anche secondo verità e morale.

  In questo senso l’ambientalismo nostrano ma soprattutto quello dei paesi ex protestanti anglosassoni e nordeuropei ci sembra totalmente ateo e preoccupato di idolatrare questa religione della natura e come ogni idolatria stante l’ insegnamento di Mosè sul Sinai è intrinsecamente errata e pericolosa per l’uomo stesso in prima persona.

  Peccato quindi che in questo senso l’ambientalismo abbia deluso parte delle nostre aspettative. Come quando in un incontro con Giannozzo Pucci leader dei Verdi fiorentini negli anni ottanta nel suo ufficio di Palazzo Vecchio a Firenze si parlò di “eco della cascata”.

  In altre parole ad una mia domanda se il movimento ambientalista sarebbe sfociato una volta lasciate da una parte le ideologie del novecento, in un rinnovato spirito religioso, Giannozzzo Pucci convenne con me che ciò poteva senz’altro accadere. Una riscoperta della religione e della spiritualità ad essa correlata, e disse Giannozzzo testualmente “…si sente il rombo ma la cascata non si vede ancora” dando quasi per scontato l’ormai imminente vista della cascata, intesa come metafora dell’approdo spirituale del movimento ambientalista ed ecologico.

  Ci sbagliavamo io e Giannozzo Pucci e forse anche di parecchio, visto che ad ormai a più di venti anni dal nostro colloquio questa riscoperta religiosa non è che marginale in Italia e del tutto assente  nel nord Europa. Un’ Europa dove invece l’irrompere di assolute certezze laiciste soprattutto sulla bioetica trova l’opinione pubblica assolutamente consenziente nella sua maggioranza. Si assiste pertanto al paradosso che in Europa forse più che in America si bloccano gli OGM cioè i cibi geneticamente modificati e nessuno alza un dito per esempio contro la sperimentazione sugli embrioni umani; Vaticano escluso naturalmente!. Si piange e forse anche con ragione, se un cane viene abbandonato ma poi si approva per legge l’eutanasia andando contro non solo alla religione ma anche contro le più elementari conquiste della civiltà umana di tutti i secoli. Per non parlare poi di vere e proprie aberrazioni legislative che cozzano per un eccesso di egualitarismo, a questo punto fattosi estremamente pericoloso, contro la realtà fisiologica dell’uomo e quindi dello stesso equilibrio naturale, prima ancora che della stessa morale.

  Gli ambientalisti ultimi figli di Rousseau non si accorgono di aver perso totalmente l’anima e di adorare una natura onnipresente senz’altro ma incapace di reggere da sola e soltanto con il rispetto degli equilibri ambientali la totalità della civiltà umana contemporanea; estremamente complessa nei sui multiformi aspetti. Certo meglio un anima ecologista che un atteggiamento votato soltanto al profitto economico che trasforma il Pianeta in una giungla di egoismo pericolosissimo e potenzialmente distruttivo.

  La sola contemplazione della natura però non basta e gli ecologisti soprattutto nordeuropei  devono senz’altro riscoprire l’anima più profonda dell’uomo.

  La Religione appunto che accompagna in multiformi aspetti e manifestazioni l’uomo fin da quando soggiornava nelle caverne della preistoria e con essa riscoprire il senso della limitatezza e della transitorietà delle azioni umane.

  La stessa religione che rende belle ed accettabili le croci, le chiese ed i conventi anche posti in cima ai monti ed brutte perchè funzionali ad un espressione meno nobile del vivere, le antenne ed i ripetitori delle televisioni commerciali, sempre posti in cima agli stessi monti.

  Finiamola di sentire vagamente il rombo ma cercare e trovare finalmente la vera cascata di acqua viva e vivificatrice che riempia totalmente la vita di ognuno e sia ancora come in passato fondatrice di civiltà, verità e bellezza. Non c’è bisogno di altro ma solo di riscoprire il nucleo centrale del vivere e dell’esistenza e l’ecologia e l’ambientalismo non possono che venire in assoluta conseguenza.

 

  Conclusioni

  Tra l’inizio di una fatica letteraria anche breve come questa e la sua conclusione passano ovviamente alcuni mesi necessari per scrivere, rivedere, correggere e caso mai dare alle stampe. In questo intervallo di tempo qualcosa è cambiato. Non è certo cambiato l’assunto iniziale di questo scritto che sta come premesso nell’individuare i limiti di un certo ecologismo diventato ormai acritico, sclerotico ed incapace di svilupparsi oltre i propri paradigmi originali divenuti ormai dogmi a tutti gli effetti. La differenza con sei o più mesi fa ( sto scrivendo queste righe nell’agosto 2010…fate voi i conti a ritroso) la differenza è tutta nelle attese che la classe politica di Centro Destra nuovamente insediata al governo faceva sperare  soprattutto per le cosiddette Grandi Opere.  Il precedente esecutivo di Centro Sinistra con forte presenza dei Verdi riteneva queste opere come TAV, Ponte sullo Stretto ed altre già nominate, le riteneva se non assolutamente dannose per motivi ambientali quanto meno non necessarie od eseguibili nelle modalità previste invece dai governi a guida del Presidente Berlusconi . Voleva essere questo scritto una giustificazione in appoggio al dinamismo promesso in questo campo dal Governo. Una giustificazione ed uno spazio culturalmente sgombro da dogmatismi aperto proprio da chi, come il sottoscritto, nell’ambientalismo italiano è vissuto per decenni.

  Il Governo guidato ancora una volta da un Presidente del Consiglio, Onorevole Silvio Berlusconi,  imprenditore di grande capacità, dinamismo e che può vantare grandissimi successi personali nella propria carriera di politico ma soprattutto di  imprenditore. Per cui le Grandi Opere sembravano veramente a portata di mano e pronte ad essere realizzate, in un tempo infinitamente inferiore a quello che normalmente necessario in Italia, per le opere pubbliche di così grande interesse collettivo.

  Questo sei o sette mesi fa! La politica invece nel frattempo ha ripreso le sue prerogative di sempre e si è assistito ad un estenuante dibattito le cui ragioni esulano senz’altro da questo scritto ma che comunque sembra abbia se non imbrigliato la realizzazione delle Grandi Opere quantomeno ha senz’altro ridotto la loro visibilità mediatica.

  Questa è la situazione che registriamo; nessun giudizio politico ci è proprio in questo contesto, se non ricordare il vecchio adagio che “la politica è l’arte del possibile”. In ogni modo se si dovesse riaprire il dibattito crediamo di aver dato comunque il nostro contributo per  un ecologismo capace di approfondire le proprie tematiche oltre gli schemi preconcetti, più propri del secolo scorso che non dei decenni che avremmo dinnanzi.

  A noi spetta comunque la memoria e l’analisi di quanto in questo campo è avvenuto con le varie motivazioni culturali che ne furono alla base. Una memoria naturalmente non sterile ma base fruttuosa di future evoluzioni e se non proprio per noi, quantomeno per le nuove generazioni, di italiani e di europei.

 

  L’AUTORE - Carlo Agostini è nato nel 1952 a Chianciano Terme (Siena). Terminato il liceo scientifico si laurea in medicina presso l’Università di Firenze e successivamente si specializza presso l’Università di Parma in Medicina Termale con tesi sull’inquinamento delle acque.  Fin dagli anni universitari si interessa ai problemi ambientali, prima come segretario della sezione di Italia Nostra “Etruria Senese” e successivamente come membro del Consiglio Regionale toscano del WWF. Attivista della Lega Anti Caccia, terminata l’università, è per lunghi anni giornalista principalmente su temi ecologici e per la difesa del patrimonio artistico. Negli ultimi anni tende però a staccarsi dall’ecologismo ufficiale giudicato troppo massimalista e ideologico. “La difesa della razza. L’ambientalismo ai tempi della destra” vuole essere una conferma ed una puntualizzazione di questo distacco. Ciò non di meno il dott. Agostini continua ad impegnarsi su temi specifici a suo dire trascurati dagli stessi ambientalisti, come il problema delle dimensioni fisiche dei veicoli oggi circolanti. Si occupa inoltre di video-comunicazione e del restauro delle antiche cinte murarie urbane. Continua la professione di medico presso il 118 di Siena.

 

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