La fine del cristianesimo Stampa E-mail

Diego Fusaro

La fine del cristianesimo
La morte di Dio al tempo del mercato globale e di Papa Francesco


Piemme, pagg.450, € 19,90

 

fusaro cristianesimo  Il destino dell'uomo occidentale è stato segnato dall'avvento della civiltà del turbocapitalismo, che ha portato con sé la desacralizzazione e la scristianizzazione della società. La religione, una volta strumento di potere, è diventata superflua ai fini del dominio tecnoscientifico e del relativismo nichilista. La religione cristiana, che richiama al sacro, alla trascendenza e alla dignità dell'uomo, rappresenta tuttavia una potenza frenante rispetto al vacuo mondo della civiltà mercificata e del fanatismo economico.

  Questo libro di Diego Fusaro (docente di Storia della filosofia presso lo IASSP, Istituto Alti Studi Strategici e Politici di Milano) è un saggio filosofico che esplora, come suggerisce il titolo, il ruolo del Cristianesimo nella società moderna e la sua possibile fine.

  Secondo Diego Fusaro, questo processo di desacralizzazione sta raggiungendo il culmine nel pontificato di Bergoglio, che sembra aver accettato la logica consumistica della società, imitando il linguaggio e la visione del mondo in salsa progressista. Tuttavia, come la perestrojka di Gorbacëv ha portato alla fine del comunismo e all'affermarsi del capitalismo, anche la "modernizzazione" proposta da Bergoglio non porterà alla sopravvivenza del Cristianesimo, ma alla sua dissoluzione.

  Nel testo, si legge che "il capitalismo assoluto-totalitario ha riconosciuto la Chiesa e il cristianesimo solo nel momento in cui, con "papa" Bergoglio [...], essi si sono fatti ormai indistinguibili dalla civiltà dello spettacolo e dal suo ordine del discorso nichilista, sciolto da ogni legame con il sacro e con l'eterno. Ha, cioè, riconosciuto la Chiesa e il cristianesimo solo quando essi hanno rinunziato a sé per farsi mundus: e, così, sono divenuti irriconoscibili, id est del tutto indistinguibili dall'ordine simbolico relativista e detrascendentalizzato dell'ordine tecnocapitalistico. Aprendosi al mondo per non esserne annullata, secondo quella Weltelei, quella "smania del mondo" denunziata a suo tempo dal teologo von Balthasar, la Chiesa si è sciolta nel mondo stesso, che – forse anche con intensità maggiore di prima – ha continuato a essere sdivinizzato e scristianizzato. In ciò consiste l'atteggiamento che il non ancora pontefice Ratzinger ebbe a definire dello «spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo nello stesso tempo in discussione le basi stesse del depositum fidei»".

  Fusaro spiega che "il cristianesimo evapora essenzialmente per due ordini di ragioni, reciprocamente innervate: a) per un verso, giacché cessa gradualmente di essere l'orizzonte di senso e il fondamento di un mondo – quello merciforme – che è strutturalmente senza senso e senza fondamenti e che, dunque, non ha più bisogno di Dio, né del sacro o della trascendenza e che, di più, non può tollerarne la presenza; e b), per un altro verso, in ragione del fatto che l'istituzione stessa della Chiesa di Roma, custode e depositaria del cristianesimo in Occidente, ha scelto di aprirsi al mundus e di rinunziare, con lenta e solerte continuità, alla propria specificità, dunque alla propria proiezione nelle regioni dell'eterno, dello spirito e del sovramondano. E ciò nella convinzione che quella sia la sola via per poter sopravvivere senza farsi travolgere e annientare dal nihil della civiltà pantoclasta dei consumi. Tale strategia, tuttavia, ha condotto sempre più palesemente non già alla sopravvivenza del cristianesimo, ma alla sua estinzione, vuoi anche al suo suicidio, secondo un arco temporale racchiuso tra il Concilio Vaticano II e il pontificato di papa Bergoglio, che di quel processo pare porsi come il compimento. Al tempo del fanatismo economico, aprendosi al mondo il cristianesimo non lo "conquista", ma in esso si perde e si "scioglie", per poi evaporare senza lasciare traccia di sé".

  "Bergoglio – aggiunge l'Autore - piace all'industria culturale e alla società dello spettacolo, ai guardiani dell'ortodossia dominante e agli armigeri del pensiero unico a forma di merce, dacché, con lui, il cristianesimo nega se stesso, suicidandosi. O, più precisamente, si fa propaggine della civiltà dei consumi e del suo ordine simbolico, dal quale diviene indistinguibile. Apre il cristianesimo a tutto e a tutti, fino a farlo divenire completamente analogo a ciò a cui, di volta in volta, si apre. Con un aggettivo caro a Bauman, il cristianesimo si fa "liquido": assume ogni forma, giacché non ne ha più una propria. Svuotandosi del proprio contenuto, assume quelli sempre cangianti che l'ordine egemonico gli chiede, a seconda del contesto, di assumere. Per aprirsi al Diverso-dalcristianesimo, cancella il Proprio-del-cristianesimo. Di più, finisce per far coincidere il cristianesimo stesso con la pratica di illimitato svuotamento mediante l'apertura a ogni alterità. "Cristianesimo" diviene, così, sinonimo di accoglienza e apertura all'alterità, nel compimento della perdita dei propri contenuti legati alla sfera del sacro e della trascendenza".

  Per l'Autore, la fine del cristianesimo è un atto d'accusa contro la fede "liquida" e low cost, che invita a riscoprire l'importanza dell'opposizione al nuovo potere anche di carattere religioso, come sosteneva Pasolini. A fronte dello spirito del tempo presente, è dunque necessario un'alleanza tra la Chiesa resistente al modernismo nichilista e le forze laiche anticapitalistiche, che si oppongono al consumismo imperante.