La cultura del piagnisteo Stampa E-mail

Robert Hughes

La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto

Adelphi, pagg.242, Euro 8,00

 

hughes_piagnisteo  IL LIBRO – Chi è il capitano Ahab? Il «portatore di un atteggiamento scorretto verso le balene». Così risponde un esponente del «politicamente corretto». Noi ridiamo (meno rideremmo se ci trovassimo a vivere in una università americana). Ma poi ci chiediamo: come ha avuto origine questa devastazione mentale? È qualcosa di esotico e specificamente yankee o è qualcosa che conosciamo già anche troppo bene? Al di là dei suoi aspetti pittoreschi, e tipicamente americani, di tribalismo fondamentalista, il «politicamente corretto» non è che la manifestazione recente di un fenomeno che ha ormai una lunga storia, in gran parte europea: il bigottismo progressista. A partire dall’era reaganiana – divisa fra le opposte scemenze dei torvi falchi retrivi e delle ottuse colombelle liberal –, l’America è riuscita a elaborarne una variante particolarmente tenace, adattata al terreno, con il suo «turbinare continuo di rivendicazioni di identità». Secondo questa dottrina – mai apertamente enunciata ma ferocemente applicata –, tutto deve essere politicamente corretto: dai comportamenti sessuali ai gusti letterari, al modo di parlare, di vestirsi, di scrivere. Esisterebbe dunque un modo giusto di fare le cose, consistente anzitutto nell’adeguarsi ai desiderata di gruppi facinorosi e lamentosi d’ogni sorta, pronti a compattarsi in una maggioranza inquisitoria. Ma questa intenzione vale solo da facciata. Il pungolo segreto del «politicamente corretto» è l’insofferenza nei confronti di tutto ciò che ha una qualità – e per questo motivo stesso si distingue, operando una illecita discriminazione verso tutto il circostante. «In questo spirito» dice Hughes «potremmo purgare il tennis dei suoi sottintesi elitari: basta abolire la rete». Della temibile voga del politicamente corretto non poteva esserci miglior evocatore, narratore e interprete di Robert Hughes, polemista formidabile e testimone lucidissimo. Dietro l’occasione, che appartiene ormai alla storia – spesso esilarante – del costume quotidiano, egli lascia intravedere una prospettiva non lieta su ciò che la cultura in genere rischia di diventare nel prossimo futuro. La cultura del piagnisteo è uscito negli Stati Uniti nel 1993.

  DAL TESTO – “I negri, nella parlata educata dei bianchi di settant'anni fa, erano chiamati «gente di colore»; poi diventarono «neri»; ora sono «afroamericani», o di nuovo «persone di colore». Ma per milioni di americani bianchi, dal tempo di George Wallace a quello di David Duke, erano e restano niggers, e i cambiamenti di nome non hanno modificato le realtà del razzismo più di quanto gli annunci rituali di piani quinquennali o di «grandi balzi in avanti» abbiano trasformato in trionfi i disastri sociali dello stalinismo e del maoismo. L'idea che si cambi una situazione trovandole un nome nuovo e più gradevole deriva dalla vecchia abitudine americana all'eufemismo, alla circonlocuzione e al disperato annaspare in fatto di galateo, abitudine generata dal timore che la concretezza possa offendere. Ed è un'abitudine tipicamente americana. L'appello al linguaggio politicamente corretto, se trova qualche risposta in Inghilterra, nel resto d'Europa non desta praticamente alcuna eco. In Francia nessuno ha pensato di ribattezzare Pipino il Breve «Pépin le Verticalement Défié», né in Spagna i nani di Velàzquez danno segno di diventare «las gentes pequeñas ». E non oso immaginare il caos che nascerebbe se nelle lingue romanze, dove ogni sostantivo è maschile o femminile - e dove per giunta l'organo genitale maschile ha spesso un nome femminile e viceversa (la polla / el coño) -, accademici e burocrati decidessero di buttare a mare i vocaboli di genere definito”.

  L’AUTORE – Robert Hughes (1938), australiano, è stato il più importante critico d'arte del "Time", a cui tuttora collabora. Scrittore brillante e polemico, è autore di molti libri, alcuni dei quali tradotti in Italia e famosi sia nel campo dell'arte (Magritte, 2001), sia della storia del suo paese d'origine (La riva fatale. L'epopea della fondazione dell'Australia, 1995), sia della riflessione sui tic e le ingenuità dell'opinione contemporanea (La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, 2003). Per il suo lavoro ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi.

  INDICE DELL’OPERA - Prefazione - Prima conferenza. Cultura in un corpo civile lacerato - Seconda conferenza. Multicultura e malcontenti - Terza conferenza. La morale in sé: arte e illusione terapeutica - Note