De antiquissima italorum sapientia Stampa E-mail

Giambattista Vico

De Antiquissima Italorum Sapientia
Testo latino a fronte


Diogene Edizioni, pagg.366, € 20,00

 

vico antiquissima  IL LIBRO – Il testo a stampa del "De Antiquissima" (1710) è qui riproposto in edizione anastatica e nella traduzione italiana a fronte, per contribuire ai lavori preparatori dell'edizione critica dell'opera, nonché alle iniziative scientifiche della Fondazione "Pietro Piovani per gli studi vichiani" di Napoli e del Consorzio interuniversitario "Civiltà del Mediterraneo" (Premio "G. Vico"). L'esemplare originale in legatura coeva (pergamena) ed è prezioso per le significative correzioni autografe (a penna) segnalate dal curatore in Appendice alla sua Introduzione. Rispetto alla precedente edizione (Napoli, 2011) questa si segnala per la trascrizione di un corpus di testi che comprendono gli articoli-recensioni del "Giornale de' Letterati d'Italia" e le due Risposte del Vico che ebbero pubblicazione autonoma nel 1711 e nel 1712.

  DAL TESTO – "Ma, quel che sopra ogni altra cosa più importa, serve alla teologia cristiana, nella quale professiamo un Dio tutto scevro da corpo, nel quale tutte le virtù delle particolari cose si contengono, e in lui sono purissimo atto, perché egli solo è atto infinito, ed in ogni cosa finita, quantunque menoma, mostra la sua onnipotenza; onde è tutto in tutto, e tutto in quanto si voglia menoma parte del tutto.
  "Questo è il ristretto, o, per meglio dire, lo spirito della nostra metafisica, tutto brievemente compreso, senza far bisogno ch'il ristretto uguagli la mole del libro. Dal quale ogni dotto può agevolmente fare adeguato concetto, come tutte le cose cospirino in un sistema di metafisica già compiuta; e non, con un mozzo e confuso ragguaglio, porre altri, che non han letto il mio libricciuolo, in opinione che la sia più tosto un'idea. Oltreché, dovean ritenervi a fare cotal giudizio le «innumerabili speculazioni, di che - voi medesimo dite - ogni linea, non che pagina essere affoltata»; e che dove io ho speso tanti pensieri, io non abbia avuto in animo dame un disegno, che, quantunque vasto, si può con poche linee abbozzare, ma che io abbia in effetto voluto dare un'opera già compita. E mi perdoni pure che, senza che io il meriti, Ella mi tratti da uomo, che con titoli magnifici voglia destare la curiosità ne' dotti, e poi fraudare la loro espettazione. Ma, cheché siane stata di ciò la cagione, io devo e voglio, particolarmente con voi, pregiatissimo signor mio, prenderla in buona parte, e che a voi, per la picciolezza del libricciuolo, sia paruta un'idea. Ma era pur vostro il considerare che gli scrittori utili alla repubblica delle lettere si riducono a due sorti. Una è di coloro che vogliono giovare la gioventù; ed a costoro è necessario esplicar le cose da' primi termini, esporre spianatamente le altrui opinioni, e rapportarne tutte le ragioni appuntino, o per fondarsi in quelle o per confutarle; indi addurre alcuna cosa del loro in mezzo, e farne vedere tutte le conseguenze, e raccorne sino agli ultimi corollari. E questi sono i voluminosi; e, in rapportagli, è lecito, anzi debito trasandare moltissime cose, cioè dire, tutto l'altrui. Altri sono che non vogliono gravare l'ordine de' dotti di più fatica, né obbligargli che, per leggere alcune poche lor cose, abbiano a rileggere le moltissime che hanno già lette in altrui; e costoro mandan fuori alcuni piccoli libricciuoli, ma tutti pieni di cose proprie."

  L'AUTORE – Gian Battista Vico nacque a Napoli nel 1668. Durante l'infanzia una frattura al cranio gli impedì di frequentare la scuola per tre anni e, nel 1681, abbandonò definitivamente gli studi regolari divenendo un autodidatta e dedicandosi alla grammatica, alla logica e alla giurisprudenza. Dal 1689 al '95 fu a Vatolla come precettore del marchese Rocca di Vatolla, continuò a studiare assiduamente e, nel 1693, pubblicò la canzone "Affetti di un disperato", di ispirazione lucreziana. Il 1699 fu per Vico un anno molto intenso e foriero di sviluppi futuri: vinse una cattedra di eloquenza all'Università di Napoli, aprì un studio di retorica privato, si sposò. Proprio le aperture degli anni accademici dell'Università di Napoli gli fornirono l'occasione di recitare le sei "Orazioni Inaugurali" in latino, che in seguito revisionò più volte. Nel 1710 entrò in Arcadia, ma non ne abbracciò pienamente il petrarchismo imperante, orientandosi maggiormente verso una scrittura in qualche modo più vicina ad un certo purismo arcaicizzante, tipico della cultura napoletana dell'epoca, unito ad un fortissimo senso del passato. Nel 1725 pubblica in compendio (nell'impossibilità di pagare un'edizione completa) la "Scienza Nuova", lo scritto della sua piena maturità. Nella "Scienza Nuova" (che in seguito verrà conosciuta anche al nord Italia e di cui lo Herder tesserà le lodi) Vico elesse la storia a unica conoscenza oggettiva accessibile all'uomo in quanto artefice del suo operare. Negli stessi anni Vico scrisse la sua "Autobiografia". In seguito, nel 1735, divenne storiografo regio e nel luglio del '44 riuscì a far pubblicare per intero la "Scienza Nuova". Morì nel gennaio dello stesso anno. (fonte: liberliber.it)

  INDICE DELL'OPERA – Introduzione, di Fabrizio Lomonaco - Nota al testo - I. Giambattista Vico, De antiquissima italorum sapientia - II. Articoli del «Giornale de' Letterati d'Italia» e Risposte del Vico – Postfazione, di Claudia Megale