L'acciaio in fumo Stampa E-mail

Salvatore Romeo

L'acciaio in fumo
L'Ilva di Taranto dal 1945 a oggi


Donzelli Editore, pagg.295, € 27,00

 

romeo acciaio  IL LIBRO – Per anni gli sviluppi del «caso Ilva» hanno occupato le cronache nazionali, per anni si è discusso del destino del siderurgico, costruito a Taranto nei primi anni sessanta e ancora oggi ritenuto «strategico» per il paese. Per anni la fabbrica, grande quasi quanto la città, è stata al centro di uno scontro tra proprietà, sindacati, associazioni ambientaliste, magistratura e politica. Per capire come si è giunti a una delle più gravi crisi industriali e ambientali della storia d'Italia occorre ricostruire il rapporto fra Taranto e il siderurgico partendo dalle sue origini e ripercorrendone l'evoluzione. Pensata come fattore propulsivo per lo sviluppo del paese, e del Mezzogiorno in particolare, l'acciaieria ha assunto da subito una posizione preminente nei confronti del contesto locale. Le trasformazioni innescate dal suo insediamento hanno sollecitato una dialettica intensa: l'impatto economico e ambientale della fabbrica, il modello di sviluppo ad essa legato, la stessa organizzazione del lavoro sono stati messi in discussione da ampi strati della società ionica in nome di un'industrializzazione attenta ai bisogni del territorio. In seguito, la crisi dell'impresa pubblica e la sconfitta del movimento operaio hanno trasformato Taranto in una delle punte avanzate del nuovo corso liberista. Con l'«era Riva» fra lo stabilimento e il contesto circostante si è aperta una cesura. In questo quadro è esplosa l'emergenza degli ultimi anni, che ha assunto la forma di un conflitto fra ambiente e lavoro, fra fabbrica e città. Uno stallo per il quale ancora non si intravede una via d'uscita. Con un'analisi appassionata e ben documentata, Salvatore Romeo ripercorre una vicenda in cui storia economica e storia d'impresa, storia urbana e storia ambientale, storia politica e storia sociale si intrecciano facendo emergere il racconto di una città e della sua interazione con la fabbrica.
  Il libro non è una storia di Taranto, come non è una storia del siderurgico. Eppure, inevitabilmente non può non essere e l'una e l'altra cosa. Troppo forte è stata l'influenza che la fabbrica ha esercitato sul contesto circostante dal momento del suo insediamento - e chiunque può coglierla anche solo entrando in città e passando accanto alle ciclopiche strutture dello stabilimento. Ma è anche vero il contrario: le caratteristiche che questo ha assunto nel tempo e le evoluzioni che ha attraversato sono state anche l'effetto di una pressione sociale mai del tutto venuta meno. Questa è dunque la storia di un rapporto, o meglio di un'interazione.
  Il volume prende le mosse dal delineare il quadro della Taranto degli anni Cinquanta: una città che, dopo la sconfitta bellica, aveva perso sostanzialmente la funzione storica che le era stata attribuita nell'Italia pre-repubblicana. Nel secondo capitolo viene esaminato il percorso che ha portato alla scelta di costruire il nuovo stabilimento. Essa scaturisce dalla confluenza di due elementi fondamentali: l'esigenza di ampliare la base produttiva del Paese nel nuovo contesto di integrazione europea aperto dalla costituzione della Comunità economica del carbone e dell'acciaio (Ceca) e la volontà politica di influenzare le scelte industriali del sistema delle partecipazioni statali per orientarle verso la risoluzione di problemi di grande rilevanza sociale - su tutti, il superamento della struttura dualistica dell'economia nazionale. Entrambi questi aspetti animano una dialettica serrata fra impresa pubblica e forze politiche: la mediazione individuata dal «nuovo corso» democristiano inaugurato da Fanfani da una parte riconosce al governo la facoltà di individuare gli obiettivi politici generali per alcune iniziative produttive - a cominciare dal nuovo siderurgico - ma, dall'altra, lascia alle imprese pubbliche ampia libertà operativa nella gestione degli investimenti. In sostanza, il progetto dell'acciaieria viene reso funzionale alle strategie aziendali perseguite dal gruppo siderurgico pubblico, Finsider. In questo modo si prospetta effettivamente un rafforzamento dell'integrazione del territorio ionico nel processo di sviluppo in atto nel paese; si tratta tuttavia di un'integrazione «subalterna» poiché, al contempo, si subordinano le priorità del contesto locale a quelle del nuovo impianto.
  Questa circostanza è gravida di conseguenze, che vengono indagate nel terzo capitolo. Finsider orienta le sue scelte sulla base delle necessità tecniche ed economiche del nuovo insediamento; in questo modo finisce con l'esercitare un potere di direzione che si articola su diversi aspetti della vita locale, sovrastando le autorità pubbliche - a cominciare dalla programmazione territoriale, che viene di fatto sussunta ai piani dell'azienda. D'altra parte, l'impatto economico del siderurgico genera una serie di squilibri e di conflitti con cui le classi dirigenti ioniche si trovano a dover fare i conti. Viene così definendosi una funzione di mediazione fra la grande impresa e la società locale intorno alla quale costruiscono la loro legittimazione nuovi soggetti politici e sociali. Il disegno urbanistico della città è il principale terreno su cui si misura, nel corso degli anni Sessanta, l'efficacia di questo equilibrio - e della formula di governo del centro-sinistra che ad esso si ispira. Questa situazione è rotta da alcune modificazioni che vengono esaminate nel quarto capitolo.
  Ma il quadro generale cambia rapidamente, e nel quinto capitolo se ne analizza l'evoluzione: agli inizi degli anni Ottanta la durissima crisi che colpisce la siderurgia mondiale e le nuove politiche economiche messe in campo dai governi per fronteggiare le tendenze inflazioniste fanno emergere le fragilità di Finsider.
  Nel sesto capitolo si ricostruiscono gli effetti che la lunga stagione della ristrutturazione ha avuto sul contesto ionico. La funzione propulsiva nei confronti dello sviluppo locale che la mobilitazione degli anni Settanta aveva cercato di assegnare allo stabilimento viene sostanzialmente messa da parte: il tessuto produttivo dell'area ne subisce le conseguenze, mentre le aspettative di uno sviluppo autonomo, trainato dalle piccole imprese, si rivelano poco solide.
  Nel settimo, e ultimo, capitolo si ricostruiscono le conseguenze della trasformazione negli ultimi anni dell'«era Riva». Anni in cui diventa preminente la questione ambientale, emersa già in passato come una delle varie criticità legate al siderurgico.
  In conclusione, nell'epilogo l'Autore cerca di tirare le fila degli ultimissimi anni, focalizzando l'attenzione su tre aspetti: gli interventi messi in campo dal governo per gestire la crisi ambientale e quella aziendale, le modificazioni dello scenario globale e il loro impatto su Ilva, le fibrillazioni vissute dalla comunità locale e le loro conseguenze sul piano sociale e politico.

  DAL TESTO – "Sembrerà di ribadire l'ovvio, ma l'immagine che ha di fronte chi oggi si approccia a questo tema è quella di un rapporto a senso unico, di una sopraffazione. È la rappresentazione che si è affermata in questi ultimi anni in cui Taranto e il siderurgico sono stati al centro delle cronache. Si tratta del risultato di una stratificazione di memorie che in modi diversi sono entrate nel discorso pubblico. Tutti abbiamo potuto ascoltare almeno una volta il racconto sofferto che rappresenta la fabbrica come un'ombra che da sempre incombe sulla vita di un individuo e dei suoi cari, a volte travolgendola senza pietà. La donna che ricorda le polveri sulla tuta di lavoro del marito operaio, l'uomo che racconta di quando - bambino – giocava sul campo davanti ai cumuli di minerale. E i malati, i morti. Sono le memorie delle vittime: materiali incandescenti da maneggiare con cura - e che invece, complice il sistema mediatico, spesso sono stati restituiti senza mediazione, talvolta persino in maniera pornografica. Tutto questo è diventato discorso dominante, senso comune."

  L'AUTORE – Salvatore Romeo, dottore di ricerca in Storia economica, è stato borsista presso l'Istituto italiano di studi storici. Ha curato la raccolta di scritti di Alessandro Leogrande su Taranto "Dalle macerie. Cronache sul fronte meridionale" (Feltrinelli, 2018). Si occupa di storia dell'industria, storia urbana e storia ambientale.

  INDICE DELL'OPERA – Introduzione – I. Taranto non vuole morire (1. La dinamica della disoccupazione e l'economia locale - 2. Il declino della navalmeccanica - 3. Speculazione e disordine urbanistico - 4. La trasformazione delle campagne - 5. Quale sviluppo?) - II. Acciaio per il boom (1. L'evoluzione della siderurgia europea (1954-59) - 2. L'evoluzione della siderurgia italiana nell'alta congiuntura - 3. 1956-57: la «questione siderurgica» nell'alta congiuntura - 4. 1958-59: la reazione al rallentamento della congiuntura) - III. L'acciaio al posto degli ulivi (1. La scelta dell'area - 2. Il Consorzio Asi - 3. Il Piano Tekne - 4. L'impatto socio-economico - 5. L'evoluzione urbanistica) - IV. La contestazione (1. La siderurgia dopo il boom - 2. Il raddoppio - 3. Il territorio conteso - 4. La «scoperta» dell'inquinamento - 5. Un Piano per il territorio - 6. Dalle lotte dell'appalto alla «vertenza Taranto») - V. La grande trasformazione (1. Shock - 2. Il crollo - 3. La ristrutturazione incompiuta - 4. Il crack - 5. La privatizzazione) - VI. La rottura (1. Piccolo è bello - 2. Declino operaio - 3. Crisi d'identità - 4. L'Ilva dei Riva) - VII. Fuoco alle polveri (1. La politica per l'ambiente - 2. La stagione degli «atti d'intesa» - 3. Verso l'Aia - 4. Un'autorizzazione «obsoleta») – Epilogo (1. Una politica incerta - 2. Un'industria fragile - 3. Una comunità spaccata) - Indice dei nomi