L'ultimo legionario Stampa E-mail

Guido Pallotta

L'ultimo legionario
Un diciottenne a Fiume
Diario inedito di un'impresa impossibile
A cura di Aldo Grandi


Diarkos, pagg.224, € 16,00

 

pallotta ultimo  Guido Pallotta, giovanissimo legionario fiumano, scrisse questo libro (ritrovato nel suo archivio privato) nel 1923. L'opera giunge adesso in libreria per i tipi di Diarkos, a cura di Aldo Grandi e con l'introduzione di Giordano Bruno Guerri.

  Grandi scrive - nel corposo saggio che precede il testo - che per Pallotta l'esperienza fiumana fu "determinante sia per forgiarne il carattere sia per radicare ancora di più in lui, ammesso che ce ne fosse bisogno, l'amore per la patria. Giovanissimo, si trovò a contatto stretto e diretto con un'umanità varia e ricca di sfumature, non sempre del tutto ortodosse e legali, ma che avevano come unico denominatore la volontà di lanciarsi oltre l'ostacolo rappresentato dalla burocrazia e dalla mentalità dei politici italiani dell'epoca, da Francesco Saverio Nitti a Giovanni Giolitti, che non erano disposti a rischiare un nuovo conflitto per la città di Fiume". Le imprese compiute da quella generazione, secondo il Curatore, non vanno "criticate aprioristicamente" (come spesso è stato fatto a partire dal secondo dopoguerra), ma vanno inserite all'interno del clima politico e culturale che caratterizzò la generazione "che fornì poi, è bene dirlo, la manovalanza al fascismo e alla marcia su Roma".

  E del Fascismo Pallotta fu un convinto sostenitore fino alla morte, che lo colse nel dicembre 1940 sul fronte dell'Africa settentrionale durante la controffensiva inglese.

  La marcia di Ronchi appariva a Pallotta come "un gran faro vermiglio acceso a salvamento del Destino nell'ora più cupa, nella tempesta più fosca della Patria".

  "A Ronchi – aggiungeva l'Autore – spuntò l'alba che doveva poi coronarsi di un'aurora trionfale sotto le mura di Roma, tra i canti delle Legioni in marcia sull'Urbe; a Ronchi nacque l'Italia nuova, quella che oggi riempie d'ardimenti i cieli, di pacifiche prore gli oceani, e i cuori di mille audacie e di mille speranze. Il 12 settembre 1919 fu il Natale dell'orgoglio d'Italia, così come il 28 ottobre 1922 ne fu la Pasqua di risurrezione".

  L'impresa di Ronchi fu "un miracolo d'amore", che Pallotta rievoca con "gratitudine infinita per il grande italiano che la volle, per il Veggente cieco che pur vide nella tenebra fitta".

  Fiume conobbe "l'accorrere degli adolescenti fuggiti alle trepide mamme, il fervido pellegrinaggio di fanciulli che doveva continuare poi per tutti i quindici mesi dell'epopea fiumana, sino alla vigilia del Natale fratricida ove caddero da eroi fanciulli arruolati da due giorni appena: come quel sedicenne Lanfranco Baleani. Bei tipi, i volontari. Ne giungevano tutti i giorni da ogni angolo d'Italia; isolati, a gruppi, a piedi, in motoscafo, nascosti nelle paranze pescherecce, nel tender delle locomotive, nei serbatoi d'acqua, nelle stive dei postali; travestiti da ferrovieri, da contadini, persino da guardie municipali fiumane".

  L'epopea fiumana si concluse nel sangue: "L'Olocausta doveva essere assassinata da questa criminale propaganda dei rossi: di quelli stessi che all'avvento del Fascismo consiglieranno il fuoco rapido e lo stato d'assedio contro le Legioni nere, salvo poi strillare al liberticidio per un po' d'olio di ricino o per qualche legnata sacrosanta".

  Fiume "cedeva all'inaudita violenza", "dopo cinque giorni di combattimenti disperati". Per le sue gesta, tuttavia, "non tramonterà mai più la nostra divina giovinezza; per essa doveva finalmente incarnarsi quell'alta speranza di grandezza che ci è pungolo e cilicio, orgoglio di tutto un popolo ridesto".

  Conclude il volume una ricca "Appendice iconografica".