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Valentin Gendrot

Sbirro
Un giornalista infiltrato racconta la polizia francese


Nutrimenti, pagg.223, € 17,00

 

gendrot sbirro  Valentin Gendrot, giornalista specializzato in infiltrazioni (ne ha all'attivo più di sei), racconta in questo libro l'esperienza vissuta da infiltrato nella polizia francese, rivelando "senza nessun tabù" la vita quotidiana degli sbirri d'Oltralpe.

  "Durante l'infiltrazione – scrive Gendrot – mi è stata subito chiara una cosa. In teoria gli sbirri dovrebbero lottare contro la violenza, il razzismo e il sessismo nella società. In pratica ne sono spesso i primi responsabili. Possiamo riflettere sulla cause ma è un dato di fatto. È proprio così, in un commissariato tira aria da spogliatoio di squadra di calcio. Un ambiente virile in cui le persone violente sono tollerate, e quasi mai riprese. Perché c'è da fare i conti con il personale e i mezzi a disposizione".

  Per questo, "quando i poliziotti sgarrano si proteggono tra loro, e spesso i superiori insabbiano quelle che preferiscono considerare 'cattive abitudini'. Nella maggior parte dei casi questi superiori non hanno scelta, a forza di pretendere l'impossibile da queste donne e da questi uomini sul campo, dopo non possono fare altro che coprirli".

  Quella del poliziotto è anche tra le professioni "più toccate dai suicidi. Nel 2017 cinquantuno poliziotti si sono tolti la vita. Trentacinque poliziotti nel 2018". Il trentatreesimo poliziotto suicida del 2019 per Gendrot non rappresenta "un numero astratto": "È un uomo che lavorava qui, nel mio commissariato. Guardo ancora una volta la sua foto. Capelli corti, neri, un bel ragazzo con un cellulare nuovo di zecca tra le mani. Lavorava in una brigata diversa dalla mia, la J2. Penso di non averlo mai incontrato nei corridoi".

  "Al commissariato – scrive l'Autore – i discorsi razzisti, omofobi e machisti fioccano ogni giorno. Da alcuni colleghi sono ripetuti in continuazione e da altri sono tollerati o ignorati".

  Nel corso di tre mesi di infiltrazione, Gendrot ha visto "colleghi sbattere un migrante nero contro una pensilina dell'autobus e poi pestarlo nel furgone della polizia; colpire un sans-papier marocchino; menare il giovane Konaté; mollare schiaffi a diversi fermati, sempre arabi o di pelle nera".

  Tra gli sbirri, inoltre, è normale "la condivisione delle imprese sessuali – reali o fantasticate", "secondo i vecchi codici triti e ritriti della mascolinità. Per non stonare troppo con gli altri, qualche volta li ho assunti anch'io, che per abitudine sono sempre molto pudico e non tratto mai l'argomento, neanche con gli amici. Un giorno, mentre salutavo i colleghi, ho buttato lì che quella sera sarei andato a letto con una tipa. Il giorno dopo uno sbirro mi ha premiato con una pacca sulla spalla e un "Tutto bene, campione? Hai tenuto alta la bandiera, ieri?"".

  A un certo punto, il giornalista scrive di non essere più riuscito a tollerare la "presenza costante della violenza nel nostro quotidiano. La cosa che mi stupisce di più, oltre ai profili violenti, è quanto si sentono intoccabili. Come se non ci fosse nessuna struttura e nessuna sorveglianza da parte della gerarchia. Come se un poliziotto potesse scegliere, in base al proprio arbitrio e all'umore del momento, se essere violento o meno".

  Dopo due anni di infiltrazione, per Gendrot è giunto il momento di "rientrare nei miei veri panni": "Mi tolgo per l'ultima volta i pantaloni blu, il cinturone e la polo con la scritta polizia. Spingo tutto in fondo al borsone, m'infilo i miei vestiti da civile, chiudo a chiave la porta dell'armadietto e salgo le scale a due a due verso il piano terra, e la porta d'uscita".