La guerra dell'oppio e la nascita della Cina moderna Stampa E-mail

Julia Lovell

La guerra dell'oppio
e la nascita della Cina moderna


Einaudi, pagg.544, € 34,00

 

lovell oppio  Julia Lovell (docente di Storia della Cina moderna presso il Birkbeck College, Università di Londra) ricostruisce in questo documentato volume le drammatiche vicende della guerra dell'oppio combattuta da Gran Bretagna e Cina nei primi anni Quaranta del XIX secolo, un conflitto straordinario "che da quasi due secoli non smette di tormentare le relazioni sino-occidentali".

  "In Cina – spiega l'Autrice - la guerra dell'oppio è stata demonizzata come il primo emblematico atto di aggressione occidentale ai danni del paese: come l'inizio di una lotta nazionale contro un complotto straniero volto a umiliare il paese con la droga e con la violenza. In stati come la Gran Bretagna, nel frattempo, il conflitto ha contribuito a trasformare le rappresentazioni dominanti del Regno di mezzo: agli occhi degli occidentali la Cina è diventata un impero arrogante e retrivo che la diplomazia delle cannoniere aveva utilmente costretto a entrare nel mondo moderno. Ma il conflitto reale – con i suoi imperatori esausti, i suoi generali bugiardi e i suoi pragmatici collaborazionisti – fu di gran lunga più complesso e interessante".

  Nella prima parte del volume, vengono presi in esame "le svariate interazioni della Cina Qing con il mondo oltre i suoi confini; gli errori di valutazione della lobby antioppio a corte; la reciproca incomprensione che spinse entrambe le parti alla guerra; l'ipocrisia opportunista dei britannici; il terribile bagno di sangue provocato dalla schiacciante superiorità della Gran Bretagna e dallo scarso realismo militare della Cina".

  Tale ambito di indagine ha offerto lo spunto all'Autrice per analizzare i successivi centosettant'anni di storia cinese insieme con la costruzione del mito della guerra dell'oppio, tanto in Cina quanto in Occidente, facendo luce "sul progressivo intensificarsi del sentimento di guochi ('umiliazione nazionale') cinese al cospetto dell'imperialismo – la seconda guerra dell'oppio del 1856-60; la guerra sino-giapponese del 1894-95; la rivolta dei Boxer e la relativa spedizione degli alleati contro la Cina del 1900; l'invasione giapponese degli anni Trenta".

  Nell'ultima parte, Lovell si sofferma "sul modo in cui il Partito comunista ha cercato di incanalare la memoria storica per realizzare i suoi obiettivi politici", compiendo "un viaggio tra gli opinionisti cinesi contemporanei (politici, giornalisti, insegnanti, blogger) e nei luoghi in cui la storia trova espressione pubblica (mostre, musei, memoriali), con l'obiettivo di riflettere sui paradossi dell'odierno nazionalismo cinese".

  "L'oppio – scrive l'Autrice - è stato un'entità proteiforme in entrambi i paesi che, nei primi anni Quaranta del XIX secolo, combatterono una guerra che porta il suo nome. In un primo momento, sia in Gran Bretagna che in Cina, entrò in scena come droga proveniente da terre lontane (rispettivamente dalla Turchia e dall'India). Così fu considerato fino alla fine del secolo, quando venne riqualificato senza appello come veleno straniero. A quei tempi il sapere medico e l'opinione popolare non riuscirono a venire a capo della questione: l'unica cosa certa, per loro, era che l'oppio aveva il potere di alleviare il dolore".

  Daoguang (1782-1850), salito sul trono cinese nel 1820, fu l'imperatore che "scatenò la crociata contro la droga che portò il paese alla disastrosa guerra dell'oppio. Negli anni che precedettero il conflitto corse voce che Daoguang avesse addirittura fatto giustiziare il figlio, colpevole di non essere riuscito a liberarsi dalla dipendenza".

  L'imperatore cinese si distingueva in particolare per due fattori: "l'indecisione e la tendenza a scaricare le responsabilità sugli altri. Pochi giorni dopo essere salito al trono, per esempio, licenziò tre consiglieri imperiali che avevano commesso un errore nella redazione dell'editto di commiato in onore del padre appena deceduto; poco dopo, però, reintegrò due di loro. Cambiò persino idea sulla scelta del luogo in cui avrebbe dovuto essere seppellito. Ci vollero ben sette anni per costruire una tomba che in realtà ambiva a essere una vera e propria cittadella sotterranea, ma quando si aprì una falla nel cantiere Daoguang pensò che questa cosa fosse di cattivo auspicio e fece punire i funzionari responsabili. Dopodiché abbandonò il progetto e individuò un nuovo sito di costruzione. La fabbricazione della Sala dell'Illustre Preferenza – l'unico sepolcro imperiale Qing edificato interamente in legno di cedro non verniciato – fu completata quattro anni dopo. Questa struttura incarnava perfettamente l'atteggiamento frugale dell'imperatore: costò in effetti 2,27 milioni di tael d'argento (equivalenti all'incirca a 3,5 milioni di dollari d'argento), molto meno dei 4590 tael d'oro sborsati da Cixi – l'imperatrice che lo aveva preceduto – per la propria tomba, in cui persino i mattoni erano intagliati e dorati. La sua tipica predisposizione all'esitazione – ma anche la sua tendenza a censurare e licenziare i comandanti che non riuscivano a vincere battaglie impossibili – non gli sarebbe stata per nulla d'aiuto nelle guerre dell'oppio contro i britannici".

  "Per 170 anni – conclude l'Autrice - la guerra dell'oppio e i suoi innumerevoli ritorni sulla scena hanno gettato un'ombra sulle relazioni sino-occidentali. Ciascuna parte ha cercato di manipolare i fatti storici ai propri fini. Nel XIX secolo gli influenti britannici si sforzarono di trasformare un elementare problema di deficit commerciale in un casus belli ammantato di giustificazioni morali: la guerra divenne uno scontro di civiltà voluto dai cinesi, la cui tendenza all'isolamento non poteva che essere «contro natura». Nel XX secolo i fondatori della nazione cinese presero parte al gioco delle accuse trasformando quel conflitto nella causa di tutti i mali del loro paese: la guerra dell'oppio era stata scatenata nel quadro di un oscuro complotto imperialista finalizzato a ridurre in schiavitú una Cina unita, eroica e resistente. Ma la realtà della guerra fece emergere i punti deboli del disordinato e multietnico impero Qing; i governanti cinesi tentarono senza alcun successo di unire i loro ufficiali, soldati e sudditi contro il nemico straniero".