Stalingrado Stampa E-mail

Vasilij Grossman

Stalingrado

Adelphi Edizioni, pagg.889, € 28,00

 

grossman stalingrado  Questo romanzo venne pubblicato per la prima volta in russo a puntate su "Novyj mir" nel 1952 (e in volume da Voenizdat nel 1954) con il titolo "Za pravoe delo" (Per una giusta causa) e rappresentava, nelle intenzioni dell'Autore, il primo di una dilogia dedicata alla battaglia di Stalingrado (il secondo è il celebre "Vita e destino", considerato il "Guerra e pace" del Novecento). Giunge adesso in libreria nella traduzione di Claudia Zonghetti accompagnato dalla Postfazione di Robert Chandler, il quale spiega che quest'opera rappresenta, tra le "molte altre cose", "un tributo" "a quanti erano morti, e in particolare, tra questi, a chi era stato dimenticato".

  "La battaglia per la difesa del piccolo territorio della città di Stalingrado – scrive Grossman – non fu una battaglia come le altre. E si combatté nel momento esatto in cui la produzione sovietica di motori militari e cannoni aveva superato quella tedesca, nel momento esatto in cui un anno di lavoro della classe operaia e un anno di guerra avevano azzerato il vantaggio dei nazisti quanto ad armamenti ed esperienza bellica. Fu allora che la guerra di movimento sovietica poté sbocciare incontrastata; fu allora che, non senza terrore, i tedeschi sentirono alle spalle la voce delle immense distese che avevano conquistato e che ora li chiamava alla ritirata, e fu allora che per la prima volta temettero l'accerchiamento, morbo crudele che prende le menti, i cuori e le gambe di soldati e generali".

  Giunse l'ora "in cui le riserve, energia nascosta del popolo e dell'Armata Rossa, ricevettero l'ordine dal Comando supremo di partecipare alla difesa di Stalingrado e, al tempo stesso, di prepararsi alla controffensiva".

  Secondo l'Autore, i veri "eroi della storia, le autentiche personalità storiche, i leader dell'umanità sono e sempre saranno soltanto coloro che portano la libertà, che nella libertà vedono la forza di un uomo, di un popolo, di uno Stato; sono coloro che combattono per l'uguaglianza sociale, razziale e lavorativa di tutti gli uomini, di tutti i popoli grandi e piccoli di questo mondo". Tuttavia, "la dedizione alla libertà, la gioia per il proprio lavoro, la fedeltà alla Patria e l'amore materno non sono un'esclusiva degli eroi. E in questo risiede la speranza del genere umano: sono le persone semplici a compiere le grandi imprese".

  Ciò trova conferma, per esempio, nei molti poliziotti, pompieri, soldati volontari e dell'Armata Rossa "che provarono a spegnere incendi che spegnere non si potevano, e che morirono tra le fiamme".

  "E potremmo ancora raccontare – aggiunge Grossman – dell'incredibile coraggio dei bambini, e della saggezza tersa, pacata degli operai più anziani".

  Ma, come sempre succede allorché "una catastrofe o una prova somma saggiano le forze interiori di una persona, molti si comportarono come non ci si sarebbe mai aspettati che facessero e come mai avevano fatto nella loro vita consueta. Sappiamo dalla notte dei tempi che durante i cataclismi l'istinto di autoconservazione si ridesta e l'uomo non si comporta più come tale".

  E così anche a Stalingrado si registrarono episodi di saccheggi e ci fu pure "chi corse a svuotare i depositi di viveri e di vodka". "Né mancarono coloro che in altri momenti si erano vantati del proprio valore militare e che quel giorno, invece, erano come conigli smarriti".

  Quelli che, al contrario, compiono crimini contro l'umanità non sono eroi: "sono carnefici e sono farabutti. Sono figli di forze oscure e cieche".

  "La strade in fiamme di Stalingrado – osserva Grossman – servirono a dare la misura dell'uomo".