Testimone di un massacro Stampa E-mail

Paolo Borruso

Testimone di un massacro
Debre Libanos 1937: la strage fascista nel diario di un ufficiale italiano


Guerini e Associati, pagg.125, € 15,00

 

borruso testimone  In questo libro curato da Paolo Borruso (professore associato di Storia contemporanea presso l'Università Cattolica di Milano), viene pubblicato il diario che il sottotenente alpino Attilio Joannas (classe 1913), assegnato al Regio Corpo Truppe Coloniale dell'Eritrea di stanza in Addis Abeba, tenne dal 18 febbraio 1937 (data della partenza) al 10 giugno dello stesso anno. Il diario è uno "strumento prezioso" – come spiega Borruso nell'ampio saggio introduttivo – perché offre una testimonianza diretta dell'eccidio avvenuto nel villaggio monastico di Debre Libanos (cui il Curatore ha dedicato una monografia nel 2020), dove nell'ultima decade di maggio del 1937 trovarono la morte – secondo le stime degli studiosi Campbell e Tsadik – tra 1400 e 2033 persone (in maggioranza preti e monaci), "contro il dato ufficiale di 452, quale emerge dai rapporti militari".

  Il 19 febbraio 1937, Rodolfo Graziani subì un attentato ad Addis Abeba "durante la cerimonia pubblica istituita davanti al Piccolo Ghebì, sede del governo generale, in onore della nascita di Vittorio Emanuele, primogenito del principe Umberto II di Savoia". Graziani, sopravvissuto all'attentato, concentrò l'attenzione sul santuario di Debre Libanos, ritenuto "il luogo di nascita e la sede organizzativa della resistenza, rifugio per i ribelli e centro propulsore della propaganda nazionalista".

  Il comando dell'azione repressiva venne affidato al generale Maletti ("bellissima e valorosa figura di condottiero", si legge nel diario di Joannas) posto a capo di reparti "composti da ascari libici, somali, eritrei". "All'operazione – spiega Borruso – prese parte anche Joannas con i suoi ascari".

  Sulla pagina del diario del 18 maggio, Joannas annota: "Vengo improvvisamente svegliato, perché la Brigata dovrà immediatamente partire per Debre Libanos. Partenza alle ore 9".

  "La nostra compagnia – si legge alla data del 20 maggio – ha l'incarico di rastrellare dall'alto fino al convento tutti gli uomini sani, validi e sospetti, ispezionare ogni tucul, ogni grotta, ogni nascondiglio. Il mio Plotone ha il principale compito. Ne vedo di tutti i colori quel giorno. Oltre 200 uomini, tra preti, contadini, ecc., porto giù al convento".

  Il sottotenente alpino riferisce il 21 maggio: "Numerose fucilazioni vengono eseguite contro elementi sospetti". E ancora: "Impressionante cosa da vedersi. Passano uno alla volta gli autocarri carichi di condannati. Va l'autocarro piano, piano attraverso i campi, scortato da un buluk di ascari, mesto funerale di viventi ancora per pochi istanti. Dietro una collina un crepitare di colpi del Plotone di esecuzione del 45° Battaglione di Musulmani, e l'autocarro ritorna indietro, vuoto, con su gli ascari che fanno fantasia. Giustizia è fatta. Mi dicono che oltre 300 cachì sono stati fucilati. In ultimo un plotone di ascari con badili e piccone, i becchini, e tutto è finito. Così vengono giustiziati i ribelli, i nemici dell'Impero italiano. Cosa che mai più potrò dimenticare, tanto mi rimane impressa".