La Guerra fredda. Vol. I Stampa E-mail

Mario Romeo

La Guerra fredda
Il ruolo dell'U.S. Navy nelle relazioni internazionali degli Stati Uniti
Una istituzione a tutela degli interessi globali dell'America
Vol. I


Nuova Palomar, pagg.360, € 49,00

 

romeo guerrafredda1  Mario Romeo, Ufficiale della Marina militare italiana e docente dell'Università Aldo Moro di Bari, ricostruisce, in quest'opera divisa in due volumi, il ruolo esercitato dalla U.S. Navy nel corso della Guerra fredda a salvaguardia degli interessi strategici americani nel mondo.

  La ricostruzione contenuta nel primo volume abbraccia il periodo compreso tra il 1945 (amministrazione Truman) e il 1968 (amministrazione Johnson) e prende le mosse da una rapida analisi della Dottrina Monroe e della teoria elaborata dal contrammiraglio Alfred Thayler Mahan sul "sea power", "una teoria valida ancora oggi e a cui si ispirano le principali potenze marittime del globo, ivi compresa l'US Navy".

  Al termine della Seconda guerra mondiale, spiega l'Autore, "l'U.S. Navy aveva ereditato dalla Royal Navy il rango di prima potenza marittima e la sua flotta era talmente numerosa e moderna da assicurarle un lungo periodo di supremazia sui mari", anche in considerazione del fatto che l'"unica possibile minaccia" era costituita "dalla flotta sottomarina sovietica che era la più numerosa al mondo", mentre la valenza della Voenno Morskoj Flot era "pressoché nulla".

  L'amministrazione Truman, quindi, nel 1947 decise "di ridurre le spese per la difesa" del 65 per cento, colpendo in particolare l'U.S. Navy: questo "non mancò di suscitare attriti circa la ripartizione dei finanziamenti tra le tre forze armate", osserva Romeo.

  La guerra di Corea indusse a rivedere il ruolo dell'U.S. Navy, che conobbe un rinnovato interesse fondato "sul convincimento che l'evoluzione della tecnica stesse conferendo un significato ancor più determinante all'importanza strategica dello strumento navale". Perciò, "si procedette a un deciso potenziamento della marina e all'invio di stabili forze navali nelle zone nevralgiche del globo; vere e proprie flotte capaci di intervenire sollecitamente al peggiorare della situazione".

  In quel periodo, "le portaerei assunsero un ruolo centrale nella strategia dell'U.S. Navy. Esse offrivano una potenza di fuoco enorme, completa, difficile da contrastare, utile in guerra e ancor di più a persuadere gli avversari che era il caso di desistere. In ragione di ciò, le portaerei assursero a simbolo della superiorità di mezzi e capacità su ogni altra nazione della Terra".

  Grazie alle navi portaerei, la flotta statunitense acquisì "quei livelli di prontezza operativa e di superiorità tecnologica che le consentiranno di detenere il dominio incontrastato dei mari negli anni a venire".

  Negli anni della Presidenza di Dwight D. Eisenhower (1952-1960), "gli stanziamenti per la difesa avevano raggiunto livelli spropositati nonostante la nazione non fosse in guerra; una tendenza che continuerà per mezzo secolo". Romeo scrive che "la flotta rimase uno strumento affidabile e tecnologicamente all'avanguardia", trasformandosi "in una potente forza nucleare e missilistica, acquisendo, nel contempo aerei sempre più avanzati in grado di trasportare armi nucleari strategiche".

  All'ammiraglio Arleigh Albert Burke, "l'artefice di una flotta in linea con i tempi", si deve "la costruzione di due classi di sottomarini d'attacco nucleari, l'introduzione di aviogetti imbarcati ad alte prestazioni e di una vasta gamma di missili tattici. Tutte novità che insieme al Data System Naval Tactical rappresentarono un indiscutibile salto di qualità. Sempre a lui si deve lo sviluppo di nuove classi di fregate e cacciatorpediniere lanciamissili, nonché l'introduzione della propulsione nucleare in unità come la portaerei Enterprise e gli incrociatori Long Beach e Braibridge". La portaerei Enterprise, peraltro, allorché entrò in servizio nel 1961, "divenne la più grande nave da guerra esistente al mondo".

  Negli anni di Kennedy (1961-1963), l'U.S. Navy – di fronte all'"inarrestabile declino della marina britannica" e al "contemporaneo sviluppo della minaccia sovietica" – "dovette sobbarcarsi l'onere di colmare il vuoto di potere che si stava determinando in diverse aree del pianeta".

  Con l'amministrazione Johnson (1963-1968), "i bilanci del ministero della difesa e, quindi, anche della marina USA, furono condizionati dal forte incremento della presenza di truppe americane coinvolte nella guerra del Vietnam".

  Nell'Appendice 1, l'Autore offre un quadro della strategia della Marina sovietica nell'arco temporale compreso tra il 1946 e il 1968, mentre nell'Appendice 2 si sofferma sul deterrente aeronavale.

  Per ogni periodo esaminato, Romeo presenta un'approfondita analisi degli armamenti con statistiche e tabelle in cui confronta la U.S. Navy con la Marina delle principali potenze avversarie. Inoltre, pubblica un minuzioso e utile elenco di tutti gli interventi eseguiti dalla flotta statunitense nei teatri di crisi internazionali.

  Ne risulta un'indagine davvero preziosa e, almeno per il panorama editoriale in lingua italiana, unica nel suo genere.